CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 18927 del 20 aprile 2017
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’Appello di Milano con sentenza del 7 marzo 2016, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Milano (13 maggio 2013) assolveva S. L. dal reato sub A – art. 5, d. lgs. 74 del 2000 -, limitatamente al periodo di imposta 2007, perché il fatto non sussiste e rideterminava la pena in anni 1 e mesi 10 di reclusione, riducendo le pene accessorie di conseguenza, confermava nel resto (capo B, art. 10 d. lgs. 74/2000, capo C, art. 8, d. lgs. 74 del 2000).
2. L’imputato propone ricorso per Cassazione, tramite il difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., c.p.p.
2. 1. Applicazione del principio d specialità ex art. 15 cod. pen. tra il delitto di cui all’art. 216 legge fallimentare e quello dell’art. 10 d. lgs n. 74 del 2000. Il 16 marzo 2016 il Tribunale di Milano depositava le motivazioni della sentenza 13634/15 che aveva condannato il ricorrente, unitamente al fratello, per il reato di cui all’art. 223 e 216, comma 1, legge fallimentare. La fattispecie dell’art. 10 d.lgs. 74 del 2000 integra una fattispecie con condotta identica, combaciante con la bancarotta fraudolenta documentale. Dall’analisi delle imputazioni si ricava che trattasi della medesima condotta. Il reato più grave è quello fallimentare (pena edittale superiore) per il quale è intervenuta la condanna e quindi ex art. 15 cod. pen. quello dell’art. 10 d. lgs. 74 del 2000 deve ritenersi assorbito. Ha chiesto, quindi, l’annullamento della decisione impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è inammissibile perché il motivo di ricorso non è stato proposto in appello e, comunque, per manifesta infondatezza e per la sua genericità. Il ricorrente pone una questione di ne bis in idem relativamente alla precedente condanna (anche se non ancora definitiva) per il reato fallimentare. Non può essere nuovamente promossa l’azione penale per un fatto e contro una persona per i quali un processo già sia pendente (anche se in fase o grado diversi) nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del P.M., di talché nel procedimento eventualmente duplicato deve essere disposta l’archiviazione oppure, se l’azione sia stata esercitata, deve essere rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilità. La non procedibilità consegue alla preclusione determinata dalla consumazione del potere già esercitato dal P.M., ma riguarda solo le situazioni di litispendenza relative a procedimenti pendenti avanti a giudici egualmente competenti e non produttive di una stasi del rapporto processuale, come tali non regolate dalle disposizioni sui conflitti positivi di competenza, che restano invece applicabili alle ipotesi di duplicazione dei processo innanzi a giudici di diverse sedi giudiziarie, uno dei quali incompetente. (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005 – dep. 28/09/2005, P.G. in proc. Donati ed altro, Rv. 23180001).
Orbene, così ricostruita la questione, divieto di un secondo giudizio per stesso fatto, si deve rilevare che la questione non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità: “Non è deducibile per la prima volta davanti alla Corte di Cassazione la violazione del divieto del “ne bis in idem” sostanziale, in quanto l’accertamento relativo alla identità del fatto oggetto dei due diversi procedimenti, intesa come coincidenza di tutte le componenti della fattispecie concreta, implica un apprezzamento di merito” (Sez. 7, n. 41572 del 13/09/2016 – dep. 04/10/2016, Tassone, Rv. 26828201).
3. 1. Comunque, stante la questione di puro diritto e senza analisi della fattispecie concreta, la Corte già si è pronunciata sull’insussistenza della specialità (e quindi del “ne bis in idem” sostanziale tra l’art. 10 d. lgs. n. 74 del 2000 e la bancarotta documentale): “Non sussiste la violazione del principio del “ne bis in idem” (art. 649 cod. proc. pen.), qualora alla condanna per illecito tributario (nella specie per occultamento e distruzione di documenti contabili, previsto dall’art. 10 del D.Lgs. n. 74 del 2000) faccia seguito la condanna per bancarotta fraudolenta documentale, stante la diversità delle suddette fattispecie incriminatrici, richiedendo quella penal-tributaria la impossibilità di ricostruire l’ammontare dei redditi o il volume degli affari, intesa come impossibilità di accertare il risultato economico di quelle sole operazioni connesse alla documentazione occultata o distrutta; diversamente, l’azione fraudolenta sottesa dall’art. 216 , n. 2 I. fall. si concreta in un evento da cui discende la lesione degli interessi creditori, rapportato all’intero corredo documentale, risultando irrilevante l’obbligo normativo della relativa tenuta, ben potendosi apprezzare la lesione anche dalla sottrazione di scritture meramente facoltative. Inoltre, nell’ipotesi fallimentare la volontà del soggetto agente si concreta nella specifica volontà di procurare a sé o ad altro ingiusto profitto o, alternativamente di recare pregiudizio ai ai creditori, finalità non presente nella fattispecie fiscale”. (Sez. 5, n. 16360 del 01/03/2011 – dep. 26/04/2011, Romele, Rv. 25017501; vedi anche Sez. 3, n. 3539 del 20/11/2015 dep. 27/01/2016, Cepparo, Rv. 26613301)
Può quindi affermarsi il seguente principio di diritto: “Non sussiste specialità, ex art. 15 cod. pen., tra la bancarotta fraudolenta documentale, art. 216, comma 1, n. 2, l.f. e l’occultamento o distruzione di documenti contabili, art. 10 d. lgs. n. 74 del 2000, stante la diversità delle suddette fattispecie incriminatrici, richiedendo quella tributaria la impossibilità di ricostruire l’ammontare dei redditi o il volume degli affari, intesa come impossibilità di accertare il risultato economico di quelle sole operazioni connesse alla documentazione occultata o distrutta; diversamente, l’azione fraudolenta sottesa dall’art. 216 , n. 2 I. fall. si concreta in un evento da cui discende la lesione degli interessi creditori, rapportato all’intero corredo documentale, risultando irrilevante l’obbligo normativo della relativa tenuta, ben potendosi apprezzare la lesione anche dalla sottrazione di scritture meramente facoltative. Inoltre, nell’ipotesi fallimentare la volontà del soggetto agente si concreta nella specifica volontà di procurare a sé o ad altro ingiusto profitto o, alternativamente di recare pregiudizio ai creditori, finalità non presente nella fattispecie fiscale”.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di C 2.000,00, e delle spese del procedimento, ex art 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende
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