CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 2393 depositata il 22 gennaio 2018
Reati tributari – Omesso versamento di ritenute certificate – Imputazione del reato basata sulla dichiarazione modello 770 – Assenza del rilascio di certificazioni ai percipienti – Quadro probatorio insufficiente – Esclusione della responsabilità penale
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 20.01.2016, depositata in data 5.02.2016, il Tribunale di Milano dichiarava il V. colpevole del delitto di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10 bis, d. Igs. n. 74 del 2000), commesso, n.q. descritta nel capo di imputazione, in relazione al periodo di imposta 2010, per un ammontare superiore alla soglia di punibilità prevista dalla legge (€ 170.634,00), in relazione a reato contestato come commesso in data 30.09.2011, termine previsto per la presentazione annuale relativa all’anno 2010.
2. Ha proposto ricorso per cassazione “per sattum” il difensore di fiducia di V.O., iscritto all’Albo speciale ex art. 613 c.p.p., prospettando due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) e c), c.p.p., sotto il profilo della violazione e falsa applicazione degli artt. 10 bis, d. Igs. n. 74 del 2000 e 192 c.p.p.
In sintesi, sostiene la difesa del ricorrente che, a seguito del rito abbreviato condizionato cui questi era stato ammesso, il tribunale ha condannato il medesimo per il reato addebitato; tuttavia, a pag. 4 della motivazione della sentenza si legge che la dichiarazione Modello 770 sarebbe idonea a costituire “confessione stragiudiziale” da sola bastevole a provare la responsabilità dell’imputato in ordine alla commissione del reato di cui sopra; quanto sopra costituirebbe violazione di legge nei termini che seguono: a) anzitutto, per effetto di una giurisprudenza di legittimità ormai consolidatasi, la prova dell’omesso versamento delle ritenute certificate, ratione temporis, non può essere fornita dal P.M. sulla base del semplice mod. 770, ma richiede l’avvenuto rilascio delle certificazioni ai sostituiti; nella specie, non solo dette certificazioni mancherebbero, ma non sarebbe stata prodotta in giudizio nemmeno la ricevuta di ritorno d’invio della certificazione al sostituito; a ciò si aggiunge che la tesi del tribunale, secondo cui la prova potrebbe dirsi raggiunta per la presenza in atti della dichiarazione mod. 770 in quanto “confessione stragiudiziale” è giuridicamente errata, in quanto non costituisce una spontanea ammissione di responsabilità, essendo infatti atto dovuto ex lege dal contenuto predeterminato obbligatoriamente; in realtà, il ragionamento giuridico condotto dal giudice di primo grado, cela il tentativo di superare quella giurisprudenza di cui il tribunale afferma di voler fare applicazione, attribuendo alla dichiarazione mod. 770 una valenza che non può rivestire, facendola assurgere a prova unica della sussistenza del reato; ciò implicherebbe, si aggiunge, anche la violazione della regula iuris di cui all’art. 192, comma terzo, c.p.p., in quanto la dichiarazione mod. 770 potrebbe costituire, al più, un indizio singolo che, in difetto di altri elementi indiziari, da solo non potrebbe assurgere a prova della responsabilità dell’imputato; in particolare, si osserva, difetterebbe la condizione di spontaneità e genuinità della dichiarazione medesima che, secondo la giurisprudenza, deve ricorrere affinché una confessione stragiudiziale venga assunta a fonte del libero convincimento del giudice, caratteri, questi, che mancano all’evidenza nella dichiarazione mod. 770 che, come detto, non è genuina perché indotta da un modello predisposto dalla stessa Amministrazione e, dall’altro, non è spontanea, perché oggetto di un preciso obbligo giuridico penalmente sanzionato; conclude, infine, il proprio motivo il ricorrente evidenziando, anzitutto, che non vi sarebbe poi la prova del pagamento delle retribuzioni e dell’effettuazione delle ritenute asseritamente omesse essendovi in atti prova dello stato di illiquidità della società amministrata dall’imputato (da un lato, per l’operazione di conversione in capitale sociale di un debito del gruppo S. s.r.l. nei confronti della O.I. S.p.A. per 1.800.000 euro; dall’altro, per il successivo fallimento evincibile dalla visura camerale che dimostrerebbe l’assoluta impossibilità di corrispondere le retribuzioni e quindi di eseguire le ritenute sulle medesime); in secondo luogo, infine, sarebbe proprio la stessa modifica legislativa introdotta dal d. Igs. n. 158 del 2015 al testo dell’art. 10 bis citato a dimostrare la correttezza della giurisprudenza formatasi antecedentemente nel senso di escludere la sussistenza del reato ove manchi in atti la prova dell’effettivo rilascio delle certificazioni ai sostituiti; l’aver, infatti, il legislatore del 2015 attribuito autonoma rilevanza penale alla sola dichiarazione annuale del sostituto di imposta, ossia il Mod. 770, rende ragione del fatto che si sia voluto rendere più agevole all’Amministrazione la prova del fatto-reato, così dimostrando che, per i fatti pregressi, debba invece ritenersi necessaria la prova dell’effettivo rilascio delle certificazioni.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) e c), c.p.p., sempre sotto il profilo della violazione e falsa applicazione degli artt. 1, co. 143, I. n. 244 del 2007, 322-ter c.p. e 441 c.p.p.
In sintesi, sostiene la difesa del ricorrente che erroneamente il giudice ha disposto la confisca per equivalente del profitto individuato nell’importo di € 170.634,00, pari all’omesso versamento delle ritenute evase, nei confronti dell’imputato, n.q.; il giudice, dunque, non avrebbe svolto quell’accertamento obbligatorio in ordine alla possibilità di confiscare “direttamente” il profitto nei confronti del gruppo S. S.p.A., di cui l’imputato era legale rappresentante; non sarebbe sufficiente a giustificare la confisca per equivalente il mero richiamo alla circostanza dell’intervenuto fallimento, unitamente all’omessa indicazione da parte dell’imputato dei beni della società da confiscarsi; secondo il ricorrente, da un lato, il fallimento della società non implicherebbe alcun automatismo circa l’impossibilità di eseguire la confisca diretta, in quanto la massa attiva può essere sufficiente al pagamento di imposte e tasse (circostanza che sarebbe stata agevolmente verificabile per il giudice accedendo al portale telematico dei fallimento del tribunale di Milano); dall’altro, l’omessa indicazione da parte dell’imputato dei beni sociali su cui dar luogo a confisca diretta non potrebbe determinare automaticamente l’applicazione della confisca per equivalente, sia perché in costanza del fallimento la titolarità dei rapporti giuridici della fallita spetta al fallimento e non al fallito, che non potrebbe quindi illustrare una situazione patrimoniale non più nella sua disponibilità, sia, ancora, perché sul reo non incombe alcun onere legale di riferire simili informazioni né ad egli sono state mai richieste dal giudice, donde non possono imputarsi al reo conseguenze negative in assenza di un obbligo di riferire o di richieste in tal senso da parte del giudice.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è fondato.
4. Ed invero, rileva il Collegio, le argomentazioni offerte dal giudice nella sentenza impugnata (v., per quanto qui di interesse, i §§ 3, quanto al primo motivo e 7, quanto al secondo motivo), non possono essere condivise.
Quanto al primo motivo, come correttamente dedotto da parte ricorrente, il giudice, nel soffermarsi ad esaminare la questione della prova della certificazione delle ritenute, dopo ampia illustrazione delle decisioni di questa Corte susseguitesi e dei due orientamenti contrapposti, dichiara di optare per il primo, che ritiene sufficiente ai fini del raggiungimento di tale prova la semplice dichiarazione mod. 770, nella specie in atti, sottoscritta dal reo, e nella quale questi dichiarava di aver rilasciato 75 certificazioni quale sostituto di imposta relativamente al periodo 2010, di cui 47 per lavoratori dipendenti e 28 per lavoratori autonomi; per superare le obiezioni difensive espressamente fondate sull’adesione al secondo orientamento, che invece richiede la prova del rilascio effettivo della certificazione ai sostituiti, il giudice – dopo aver correttamente escluso l’applicabilità del “nuovo” art. 10-bis, risultante dalla novella operata con il d. lgs. n. 158 del 2015, in quanto vi osta l’art. 2 c.p., avendo il legislatore ampliato l’ambito del penalmente rilevante a qualsiasi ritenuta anche non certificata – ritiene che la questione in esame debba essere risolta su un piano squisitamente probatorio, giungendo ad attribuire alla dichiarazione mod. 770 valore di confessione stragiudiziale “piena” (dunque non valenza di semplice indizio, soggetto alla regola di cui all’art. 192, co. 3, c.p.p.), che per essere superata necessiterebbe l’allegazione da parte dell’imputato di circostanze o elementi da cui possa trarsi conferma che quanto indicato in dichiarazione non risponda al vero, ciò che sarebbe mancato nel caso in esame.
5. Trattasi di ragionamento che, seppur argomentato, non può essere condiviso. Ed invero, il Collegio ritiene di dover aderire – tenuto conto anche dell’evoluzione legislativa che ha determinato inevitabili riflessi anche sull’esegesi della norma penal-tributaria applicabile nella specie – all’orientamento che richiede, ai fini della prova del reato in esame “ratione temporis”, il rilascio effettivo della certificazione ai sostituiti. Sul punto, senza dover in questa sede riproporre i termini della questione già illustrati ampiamente dal giudice di merito nell’impugnata sentenza, cui si rinvia integralmente, è sufficiente richiamare la più recente giurisprudenza di questa Corte, che ha sul punto ribadito che in tema di omesso versamento di ritenute certificate, alla luce della modifica apportata dall’art. 7 del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, all’art. 10 bis del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che ha esteso l’ambito di operatività della norma alle ipotesi di omesso versamento di ritenute dovute sulla base della dichiarazione proveniente dal datore di lavoro (c.d. mod. 770), deve ritenersi che per i fatti pregressi la prova dell’elemento costitutivo del reato non può essere costituita dal solo contenuto della dichiarazione, essendo necessario dimostrare l’avvenuto rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro quale sostituto di imposta. Questa Corte, ha, del resto, puntualizzato che, l’estensione del reato, operata dalla novella, anche alle ipotesi di omesso versamento di ritenute dovute sulla base della sola dichiarazione mod. 770 va interpretata, “a contrario”, come dimostrazione che la precedente formulazione del citato art. 10-bis non soltanto racchiudesse nel proprio parametro di tipicità solo l’omesso versamento di ritenute risultanti dalla predetta certificazione, ma richiedesse anche, sotto il profilo probatorio, la necessità di una prova del suo rilascio ai sostituiti (da ultimo, ex multis: Sez. 3, n. 10509 del 16/12/2016 – dep. 03/03/2017, Pisu, Rv. 269141).
Perdono, dunque, di spessore argomentativo le motivazioni offerte dal giudice di merito circa la presunta risoluzione in chiave prettamente probatoria della questione, non potendo infatti attribuirsi, per le ragioni dianzi illustrate dalla difesa nel primo motivo di ricorso, valenza di confessione stragiudiziale piena alla dichiarazione mod. 770, posto che, così facendo, si aggirerebbe quanto invece normativamente richiesto ratione temporis, pretendendo di addossare, peraltro, sull’imputato l’onere di una prova che diversamente solo l’accusa è tenuta a fornire secondo i canoni del processo accusatorio. Pacifico è, infatti, nella giurisprudenza di questa Corte, che la confessione stragiudiziale può essere assunta a fonte del libero convincimento del giudice quando, valutata in sé, nonché nel contesto dei fatti e nel raffronto con gli altri elementi di giudizio, sia possibile verificarne la genuinità e la spontaneità in relazione al fatto contestato (Sez. 6, n. 23777 del 13/12/2011 – dep. 15/06/2012, Zedda, Rv. 253002). Genuinità e spontaneità che, come correttamente evidenziato dalla difesa, non sono caratteristiche della dichiarazione mod. 770: la stessa, da un lato, non è genuina perché indotta da un modello predisposto dalla stessa Amministrazione e, dall’altro, non è spontanea, perché oggetto di un preciso obbligo giuridico penalmente sanzionato.
6. Quanto all’assolvimento dell’onere probatorio a carico dell’Accusa, va poi sottolineato come, una volta che, come accaduto nella specie, l’imputato lamenti con l’atto di gravame la mancanza di prova in ordine alla sussistenza di uno o più degli elementi costitutivi del reato (ovverossia, nella fattispecie in esame, appunto, la mancanza di prova circa il rilascio delle certificazioni delle ritenute), nessun rilievo può avere il fatto che, nel corso del giudizio di merito, detta mancanza di prova non sia stata supplita dall’imputato causa la mancata allegazione di circostanze ed elementi in senso contrario, non essendo, nell’ordinamento processuale penale, previsto un onere probatorio a carico dell’imputato modellato sui principi propri del processo civile (in tale ultimo senso, Sez. 5, n. 32937 del 19/05/2014, dep. 24/07/2014, Stanciu, Rv. 261657).
Permane dunque sempre e comunque in capo al giudice, pena il sostanziale ribaltamento dell’onere della prova incombente sulla Pubblica accusa, il compito di accertare la colpevolezza dell’imputato.
Infatti, sia norme sovraordinate di carattere generale internazionali (specificamente art. 6.2. della Convenzione edu e art. 14 n. 2 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, entrambe espressamente indicanti la necessità che la colpevolezza dell’accusato sia provata secondo legge) e interne (art. 25 Cost. in ordine alla presunzione di non colpevolezza sino alla condanna definitiva), sia norme processuali (specificamente l’art. 533 cod. proc. pen. laddove si stabilisce che il giudice pronuncia sentenza di condanna solo laddove l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio) appaiono indicative della fissazione in senso “sostanziale” a carico di chi sostenga la tesi di accusa nel processo penale,di un preciso onere di prova.
7. Conclusivamente, nel caso in esame, dalla lettura del ricorso e della sentenza impugnata emerge che la prova dell’omesso versamento delle ritenute è fondata sulla verifica del modello 770; un quadro probatorio, alla stregua delle considerazioni che sono state svolte, che appare insufficiente all’affermazione di responsabilità, alla luce del mutato quadro normativo e dei riflessi interpretativi evidenziati. In accoglimento del primo motivo di ricorso, che risulta assorbente anche rispetto al secondo (che presupporrebbe la verifica positiva della sussistenza del reato nei termini predetti), va dunque annullata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Milano a norma di quanto disposto dall’art. 569, ultimo comma, cod. proc. pen., per la valutazione dell’eventuale sussistenza e spessore di possibili, ulteriori, elementi dai quali ritenere provato il rilascio delle certificazioni ai sostituiti da parte dell’odierno ricorrente.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per il giudizio alla Corte d’Appello di Milano.
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