CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 33299 depositata il 10 luglio 2017
Reati fiscali – Istituto della recidiva.
Massima:
Il giudice, al fine di stabilire l’esistenza o meno della recidiva, deve porre in essere un raffronto tra i fattori della condotta sottoposta a giudizio e quelli relativi ai fatti del passato e pertanto, non può basarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti contestati e sull’arco temporale nel quale questi si sono consumati. Più precisamente, l’applicazione della recidiva, quale condizione di un’accentuata pericolosità sociale, va accertata caso per caso e, di conseguenza, il giudice deve verificare, in relazione a ciascuna fattispecie concreta, e soprattutto in base ai criteri direttivi di cui all’art. 133 del codice penale, se la reiterazione del reato, da parte di chi abbia già subito una o più condanne, esprima o meno una criminosità più accentuata. In siintesi, nella fattispecie in esame, per cui l’amministratore di una società di capitali veniva condannato, con rito abbreviato, ad una pena di 2 anni e 6 mesi di reclusione, per una complessa serie di reati fiscali previsti dagli articoli 2, 4 e 10 quater del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, il giudice dovrà condurre il suo esame sul rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e la condanna o le condanne precedenti, per accertare se, ed eventualmente in quale misura, la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una persistenza di stimoli criminogeni e, quindi, di una perdurante inclinazione al delitto la quale abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione della nuova condotta attualmente sub iudice.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Bologna ha confermato, con sentenza del 19 marzo 2015, la decisione con la quale il Gup del Tribunale di Parma, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato la penale responsabilità di D.C. C. in ordine ad una complessa serie di reati fiscali da lui commessi, relativi sia alla violazione dell’art. 2 del dlgs n. 74 del 2000 sia alla violazione dell’art. 4 del medesimo dlgs che, infine, alla violazione dell’art. 10-quater sempre dello stesso dIgs n. 74 del 2000, commessi nella qualità ora di legale rappresentante della Anthea Sri, ora di legale rappresentante della FDA srl, condannandolo, ritenuta la continuazione fra i vari reati contestati e ritenuta la recidiva reiterata e specifica equivalente alle attenuanti generiche, alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione, tenuto, altresì, conto della diminuente derivante dalla scelta del rito.
Nel motivare la propria decisione la Corte territoriale ha evidenziato che le ragioni di gravame formulate dal ricorrente attenevano esclusivamente alla determinazione della pena ed al giudizio di equivalenza fra le attenuanti generiche e la ritenuta recidiva, al qual proposito la Corte emiliana ha rilevato che la concessione delle attenuanti generiche era stata giustificata, nonostante i precedenti penali dell’imputato, proprio al fine di contenere la pena, atteso che la gravità dei fatti e l’ampio arco di tempo nel quale i reati si erano consumati avevano comportato, con riferimento alla contestata recidiva, una valutazione di accentuata pericolosità sociale dell’imputato, tale da fare ritenere rilevante, quale elemento sintomatico della maggiore pericolosità del reo, la recidiva stessa.
Ha interposto ricorso per cassazione il D. C., contestando, sotto il profilo della erronea applicazione dell’art. 99 cod. pen., la legittimità della sentenza in questione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato e, pertanto, lo stesso deve essere accolto.
Osserva, preliminarmente, la Corte che la sentenza impugnata è stata censurata esclusivamente con riferimento al fatto che la Corte territoriale emiliana abbia inteso confermare, pur considerandola equivalente all’esito del giudizio di valenza alle concesse attenuanti generiche, la recidiva reiterata e specifica a carico del prevenuto.
Da ciò deriva, stante la omessa impugnazione della sentenza della Corte di Bologna sul punto, l’avvenuto definitivo accertamento della penale responsabilità del prevenuto in ordine alla materialità dei reati da lui commessi.
Tanto premesso, osserva il Collegio che la Corte territoriale emiliana ha affermato la sussistenza della recidiva come elemento sintomatico della proclività del prevenuto a delinquere sulla base – si riporta sul punto il testuale passaggio argomentativo contenuto nella sentenza impugnata – della “gravità dei fatti (contestati)” e dell'”ampio arco di tempo nel quale si sono consumati”, comportando ciò “una valutazione di pericolosità sociale dell’imputato, tale da (fare) ritenere sussistente la contestata recidiva”.
Tale forma di argomentare è assolutamente in contrasto con i consolidati orientamenti interpretativi di questa Corte in tema di rilevazione della recidiva.
In diverse occasioni, infatti questa Corte ha precisato che, una volta resasi facoltativa la rilevazione della recidiva, intesa questa come elemento sintomatico di un’accentuata pericolosità sociale del prevenuto in quanto dotato di una maggiore capacità criminale, e non come fattore meramente descrittivo della esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la esistenza di tale condizione deve essere accertata caso per caso.
Lo sforzo dimostrativo del giudicante dovrà, pertanto, essere indirizzato alla verifica, in relazione a ciascuna fattispecie concreta, e soprattutto in base ai criteri direttivi di cui all’art. 133 cod. pen., della circostanza se la reiterazione del reato, da parte di chi abbia già subito una o più condanne, esprima o meno una criminosità più accentuata; a tale fine il giudice dovrà condurre il suo esame sul rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e la condanna o le condanne precedenti, per accertare se, ed eventualmente in quale misura, la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una persistenza di stimoli criminogeni e, quindi, di una perdurante inclinazione al delitto la quale abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione della nuova condotta attualmente sub iudice.
In altre parole, il giudice, onde verificare se la reiterazione dell’illecito sia effettivamente sintomatica di una maggiore riprovevolezza della condotta e di un’accresciuta pericolosità del suo autore (Corte di cassazione, Sezione feriale, 27 agosto 2013, n. 35526; idem Sezione VI penale, 7 dicembre 2010, n. 43338), non dovrà limitarsi ad esaminare i fattori significativi della condotta sottoposta in quel momento al suo giudizio, ma dovrà istituire una relazione fra tali fattori e quelli rivenienti dal pregresso corredo penale del prevenuto, esaminando dialetticamente gli uni con gli altri, onde accertare se – in ragione della natura dei distinti reati commessi, del tipo di devianza di cui essi sono espressione e della eventuale omogeneità di essa, della qualità e del grado di offensività da essi dimostrato, della maggiore o minore distanza temporale intercorsa fa un fatto e l’altro nonché della occasionalità della ricaduta nel delitto ovvero della sua rispondenza, una volta comparati i nuovi fatti con quelli precedentemente commessi, a criteri di sostanziale sistematicità – sia possibile esprimere, correlando i fatti del passato con quelli attualmente sottoposti al suo scrutinio, l’esistenza di un legame fra di essi, tale da far ritenere accentuata, proprio in ragione delle inefficaci risposte soggettive del prevenuto alla comminatoria penale, una più intensa pericolosità in capo al soggetto in quel momento giudicando.
Nel caso in esame, come evidenziato, la Corte di Bologna, trascurando completamente di esaminare la natura dei delitti precedentemente commessi dal D.C. neppure enunciati nella loro materialità criminale, ha, invece, valutato esclusivamente fattori, quali la gravità dei fatti ed il lungo arco temporale nel quale le condotte ora sub iudice sono state poste in essere.
Elementi questi che, sebbene certamente rappresentativi della ordinaria capacità criminale dell’agente, nulla esprimono di rilevante in ordine alla peculiare valutazione che deve essere fatta onde porre in luce, attraverso l’esame coordinato delle condotte pregresse con quelle attuali, la specifica indifferenza dell’agente alla efficacia special-preventiva e riabilitativa della condanna penale; indifferenza che giustifica, nella ragionevole previsione di una ulteriore ricaduta nel crimine, la più intensa risposta punitiva, coeteris paribus, da parte dell’ordinamento alle condotte criminali poste in essere dal recidivo conclamato.
La difettività, invece, della analisi posta in essere dalla Corte di appello di Bologna sul punto, giustifica al riguardo l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente al giudizio in merito alla riscontrabilità a carico del ricorrente dalla condizione di cui all’art. 99, comma quarto, cod. pen., con rinvio per i relativi incombenti ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna, la quale, in esito alla verifica rimessale, provvederà, all’occorrenza, anche in relazione alla rideterminazione della sanzione a carico del Del Chicca.
PQM
Annulla la sentenza impugnata quanto alla riconosciuta recidiva e rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna.
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