CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 3647 depositata il 25 gennaio 2018
Dichiarazione annuale di sostituto di imposta – Mancato versamento ritenute – Reato – Art. 10-bis d.lgs. n. 74/2000
Ritenuto in fatto
1. La sig.ra C. B. ricorre, per il tramite dei difensori di fiducia, per l’annullamento della sentenza del 05/10/2016 della Corte di appello di Milano che, in parziale riforma di quella pronunciata il 05/12/2013 dal G.i.p. del Tribunale di quello stesso capoluogo a seguito di giudizio abbreviato e da lei impugnata, ha applicato il beneficio della sospensione condizionale della pena, ha ordinato la confisca dei suoi beni per un valore corrispondente alle somme non versate, ha confermato nel resto la condanna alla pena di 30.000,00 euro di multa (in sostituzione di quattro mesi di reclusione) inflitta per il reato di cui all’art. 10-bis. d.lgs. n. 74 del 2000 a lei ascritto perché, quale presidente della società cooperativa <<CE.SE.D. Cooperativa Sociale>> dal 11/02/2010 al 05/05/2011, non aveva versato entro il 30/09/2010, termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta, le ritenute operate nell’anno di imposta 2009, risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per un ammontare pari ad € 495.860,00.
1.1. Con il primo motivo, invocando la forza maggiore quale causa di esclusione del dolo ed allegando, a tal fine, la crisi di liquidità provocata dall’inadempimento di numerosi enti pubblici e società private (sicché alla data del 31/12/2009 la CESED risultava creditrice di detti enti e società per una somma pari ad € 879.847,56 e al 31/12/2010 per una somma superiore ad € 654.623,19), eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 45, cod. pen. e la contraddittorietà della motivazione con altra sentenza della stessa Corte di appello che, sulla base degli stessi presupposti fattuali, aveva riconosciuto per il medesimo periodo di imposta l’esistenza della forza maggiore e l’aveva assolta dal reato di cui all’art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000.
1.2. Con il secondo motivo, deducendo la mancanza di prova del rilascio delle certificazioni ai sostituiti, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli artt. 10-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, e 192, cod. proc. pen., e vizio di carenza di motivazione in ordine alla sussistenza di tale elemento costitutivo del reato. Deduce, al riguardo, che il nuovo orientamento di questa Suprema Corte, secondo cui la prova del rilascio dei certificati ai sostituiti non può essere desunta dalla mera produzione del mod. 770, indirizzo inaugurato con sentenza Sez. 3, n. 40526 del 01/10/2014, è successivo alla scadenza del termine di presentazione dei motivi di appello e non poteva essere preveduto; tuttavia della questione la Corte di appello era stata investita in sede di discussione e avrebbe dovuto porsi il problema d’ufficio alla luce della sopravvenuta modifica dell’art. 10-bis, d.lgs. n. 74 del 2000.
1.3. Con il terzo motivo, lamentando che la Corte di appello ha disposto senz’altro la confisca di valore dei propri beni senza accertare la possibilità di una confisca diretta ai danni della società, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o comunque l’erronea applicazione dell’art. 322-ter, cod. pen.
2. Con memoria del 26/06/2017 la ricorrente ha ulteriormente illustrato le ragioni a sostegno delle proprie richieste.
Considerato in diritto
3.Il ricorso è fondato limitatamente all’ultimo motivo; è inammissibile nel resto.
4.Occorre preliminarmente dichiarare l’inammissibilità della documentazione prodotta dai difensori a sostegno delle ragioni illustrate nel corso della odierna discussione.
4.1.Si tratta, in particolare, non tanto della sentenza assolutoria del 01/10/2014 della Corte di appello di Milano, richiamata nel primo motivo di ricorso e della quale viene eccepito l’omesso esame, quanto della notizia di reato trasmessa dall’Agenzia delle Entrate alla Procura della Repubblica di Milano il 24/10/2012^dalla quale si dovrebbe evincere che la ricorrente non era legale rappresentante della CESED nell’anno di imposta 2009.
4.2.Orbene, nel giudizio di legittimità possono essere prodotti esclusivamente i documenti che l’interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio, sempre che essi non costituiscano nuova prova e non comportino un’attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giudici di merito (Sez. 3, n. 5722 del 07/01/2016, Sanvitale, Rv. 266390; Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, Platamone, Rv. 254302; Sez. 3, n. 8996 del 10/02/2011, Rv. 249614; cfr., nello stesso senso, anche Sez. 5, n. 45139 del 23/04/2013, Casamonica, Rv. 257541, che ha precisato che nel giudizio di legittimità non è consentita – non essendo riprodotto nel vigente codice di rito il previgente art. 533 – la produzione di nuovi documenti, salvo il caso in cui essa non sia stata possibile nei precedenti gradi di giudizio e concerna documenti non attinenti al merito e dai quali possa derivare l’applicazione dello “ius superveniens”, di cause estintive o di disposizioni più favorevoli; Sez. 3, n. 41127 del 23/05/2013, Rv. 256852, ne ha tratto l’ulteriore conseguenza che nemmeno l’art. 327-bis, cod. proc. pen., che attribuisce al difensore la facoltà di svolgere In ogni stato e grado del processo investigazioni in favore del proprio assistito, può essere interpretato come una deroga ai principi generali del procedimento e del giudizio avanti la Corte di Cassazione, nel senso, cioè di consentire la produzione di nuovi documenti, anche diversi ed ulteriori da quelli che la parte non sia stata in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio).
4.3. E’ sufficiente pertanto prendere atto che la notizia di reato prodotta è ovviamente anteriore alla pronuncia impugnata ed è volta a sollecitare una inammissibile (oltre che irrilevante) rivalutazione del fatto oggetto di giudizio, benché non oggetto di specifica eccezione di travisamento della prova.
5.11 primo motivo è inammissibile perché generico e manifestamente infondato.
5.1. La ricorrente imputa all’inadempimento di numerosi debitori (specialmente enti pubblici) la causa di forza maggiore in virtù della quale è stata costretta, pur non volendolo, a non versare le ritenute operate sulle retribuzioni corrisposte nell’anno 2009 e denunzia la contraddittorietà della decisione oggetto di impugnazione con quella, di segno opposto, adottata dalla medesima Corte di appello che, dando rilevanza proprio a tale inadempimento, l’aveva assolta dal reato di cui all’art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000.
5.2. L’argomento non ha pregio e di ciò sembra rendersi conto la ricorrente allorquando, nella memoria difensiva, prende in considerazione la diversità strutturale delle due fattispecie di reato traendone conseguenze a sé favorevoli.
5.3.11 punto, infatti, è proprio questo; pur trattandosi di reati omissivi propri, i delitti di cui all’art. 10-bis e 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000 differiscono per l’oggetto: le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti (o dalla dichiarazione, nella versione oggi vigente) nel primo caso; l’imposta sul valore aggiunto nel secondo. Nel primo caso le somme ritenute costituiscono parte integrante della retribuzione lorda o del compenso dovuto al sostituito e, in quanto retribuzione/compenso, voce di costo per l’impresa deducibile, come spesa o componente negativo di reddito, ai sensi degli artt. 95 e 109, d.P.R. n. 917 del 1986); si tratta di somme che sono nella piena disponibilità del sostituto di imposta che la destina ad altri scopi. Nel secondo, le somme potrebbero non essere nella disponibilità del soggetto passivo di imposta a causa dell’insolvenza del debitore nei cui confronti è stata emessa la fattura. Tuttavia, per quanto riguarda l’imposta sul valore aggiunto, non sempre e non necessariamente la fattura deve essere emessa anteriormente al pagamento del corrispettivo; le prestazioni di servizio, per esempio, si considerano normalmente effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo stesso (art. 6, comma terzo, d.P.R. n. 633 del 1972). Nel caso in cui beneficiario delle cessioni di beni o delle prestazioni di servizio sia lo Stato o altro ente pubblico o altro ente indicato dall’art. 6, comma quinto, d.P.R. n. 633 del 1972, la costituzione del rapporto obbligatorio tributario è sempre subordinata al pagamento del corrispettivo, per cui se la fattura viene emessa anticipatamente l’immediata esigibilità dell’imposta, a prescindere dal pagamento del dovuto, deriva da una libera scelta dell’autore della cessione/prestazione (art. 6, commi quarto e quinto, d.P.R. n. 633 del 1972).
5.4. Ne consegue che: a) nel caso di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, l’impossibilità di adempiere potrebbe astrattamente derivare anche dall’inadempimento altrui (ferma la necessità di dover spiegare in modo rigoroso la ragione per la quale la fattura è stata emessa prima del pagamento del corrispettivo); b) nel caso di omesso versamento delle ritenute l’impossibilità di adempiere è difficilmente giustificabile, ai sensi dell’art. 45, cod. pen., con la decisione di distrarre ad altri scopi il denaro che è di pertinenza del sostituito e che tuttavia resta nelle mani del sostituito proprio perché si tratta di somme dovute all’Erario. Il meccanismo della sostituzione di imposta è strumentale all’esigenza di garantire allo Stato il pagamento di quanto gli è dovuto; quando il sostituto “tradisce” la sua funzione di garanzia appropriandosi di fatto del denaro liquido di pertinenza del sostituito utilizzandolo ad altri fini, la sua scelta esclude la causa di forza maggiore che per esser tale, come più avanti si dirà, agendo dall’esterno, deve essere subita dall’autore del reato che da “dominus” dell’azione si trasforma in inanimata causa fisica dell’evento ineluttabile (e ciò, come detto, senza considerare che la retribuzione lorda costituisce elemento negativo di reddito che concorre a determinare l’imponibile diminuendolo). La diversità dell’oggetto, in buona sintesi, determina il diverso modo di atteggiarsi della crisi di liquidità di impresa addotta come causa di forza maggiore dell’inadempimento, nel senso che, almeno nel reato di cui all’art. 10-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, la somme ritenute sono, in linea di principio, sempre nella disponibilità del sostituto d’imposta che le distrae ad altri fini.
5.5. Non è perciò possibile utilizzare la diversa sentenza di assoluzione della medesima Corte di appello quale prova della contraddittorietà della motivazione di quella impugnata: i termini di paragone non sono omogenei.
5.6. Proprio per questo, la giustificazione addotta sin dal primo grado dalla ricorrente (la crisi di liquidità che aveva comportato la necessità di privilegiare il pagamento delle retribuzioni) se può essere astrattamente coerente con le ragioni dell’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, non lo è più se viene dedotta a giustificazione anche della distrazione ad altri fini (a questo punto non noti) delle somme che, pur dovute all’Erario, costituiscono quota- parte proprio di quella retribuzione/corrispettivo dovuto al sostituito il cui pagamento era stato giustificato con l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto.
5.7. Quanto alla causa di forza maggiore occorre considerare che la sentenza impugnata, pur prendendo in considerazione i fatti posti a fondamento delle odierne eccezioni difensive, afferma, facendo buon governo dei principi espressi da questa Corte di cassazione (cfr., da ultimo, Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015, Mondini, Rv. 265262), che le prove addotte non sono sufficienti a dimostrare l’esistenza della causa di forza maggiore. Sul punto l’imputata non prende una posizione specifica; soprattutto non pone in correlazione i denunciati vizi di motivazione con i motivi di appello privilegiando piuttosto, come detto, come metro di paragone la sentenza di assoluzione.
5.8.Occorre ulteriormente puntualizzare quanto segue.
5.9. La forza maggiore, come detto, esclude la suitas della condotta. Secondo l’impostazione tradizionale, è la <<vis cui resisti non potest>>, a causa della quale l’uomo <<non agit sed agitur>> (Sez. 1, n. 900 del 26/10/1965, Sacca, Rv. 100042; Sez. 2, n. 3205 del 20/1271972, Pilla, Rv. 123904; Sez. 4, n. 8826 del 21/0471980, Ruggieri, Rv. 145855). Per questa ragione, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la forza maggiore rileva come causa esclusiva dell’evento, mai quale causa concorrente di esso (Sez. 4, n. 1492 del 23/11/1982, Chessa, Rv. 157495; Sez. 4, n. 1966 del 06/12/1966, Incerti, Rv. 104018; Sez. 4 n. 2138 del 05/12/1980, Biagini, Rv. 148018); essa sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione dell’evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando, mai quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità (Sez 4, n. 8089 del 13/0571982, Galasso, Rv. 155131; Sez. 5, n. 5313 del 26/03/1979, Geiser, Rv. 142213; Sez. 4, n. 1621 del 19/01/1981, Sodano, Rv. 147858; Sez. 4 n. 284 del 18/02/1964, Acchiardi, Rv. 099191).
5.10. Poiché la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed Imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente, questa Suprema Corte ha sempre escluso, quando la specifica questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante. (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986; Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880; Sez 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805; Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232; Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984, Bottura, Rv. 167495; Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderl, Rv. 165822). Costituisce corollario di queste affermazioni il fatto che nei reati omissivi integra la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso (Sez. 6, n. 10116 del 23/03/1990, Iannone, Rv. 184856).
5.11. Ne consegue che: a) il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perché non esclude la suitas della condotta; b) la mancanza di provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante non può pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta/politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità; c) non si può invocare la forza maggiore quando l’inadempimento penalmente sanzionato sia stato concausato dal mancato pagamento alle singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimità; d) l’inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a causa di forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico.
5.12. Nel caso di reati omissivi propri unisussistenti, come quello in esame, la causa di forza maggiore in grado di escludere il dolo deve essere valutata al momento della consumazione del reato, non può essere retroagita, né può essere identificata con fattori che incidono solo sull’intima dissociazione dell’autore della condotta, pur volontaria, dalle conseguenze che ne derivano. Dedurre la crisi della liquidità dell’impresa quale fattore che esclude l’intenzione di non adempiere, ma non la “suitas” dell’omissione, è operazione dogmaticamente errata che presuppone l’esistenza, a fini di integrazione della fattispecie, di momenti di valorizzazione dello scopo della condotta del tutto esclusi dalla natura generica del dolo.
5.13. Quando il legislatore ha voluto attribuire all’elemento soggettivo del reato il compito di concorrere a tipizzare la condotta e/o quello di individuare il bene/valore/interesse con essa leso o messo in pericolo, lo ha fatto in modo espresso, escludendo, per esempio, dall’area della penale rilevanza le condotte solo eventualmente (e dunque non intenzionalmente) volte a cagionare l’evento (art. 323, cod. pen., artt. 2621, 2622, 2634, cod. civ., art. 27, comma 1, d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39), incriminando, invece, quelle ispirate da un’intenzione che va oltre la condotta tipizzata (i reati a dolo specifico), attribuendo rilevanza allo scopo immediatamente soddisfatto con la condotta incriminata (per es., art. 424 cod. pen.), assegnando al momento finalistico della condotta stessa il compito di individuare il bene offeso (artt. 393 e 629 cod. pen., 416, 270, 270- bis, 305, cod. pen., 289-bis, 630, 605, cod. pen.).
5.14.11 dolo del reato in questione è integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, non richiedendo la norma, quale ulteriore requisito, un atteggiamento antidoveroso di volontario contrasto con il precetto violato. Ne consegue che anche per questa via il motivo è manifestamente infondato poiché presuppone una lettura della norma sganciata dal suo tenore letterale.
6. Il secondo motivo è inammissibile perché proposto per la prima volta in sede di legittimità.
6.1. L’imputata non ha mai contestato, né in primo grado, né in appello la sussistenza materiale del reato così come contestato dalla rubrica (l’omesso versamento delle ritenute risultanti dai certificati rilasciati ai sostituiti). Dedurre in questa sede la mancanza di prova del rilascio delle certificazioni equivale a introdurre questioni di fatto mai devolute nella competente sede di merito, non giustificate nemmeno dal dedotto mutamento di indirizzo giurisprudenziale.
6.2.In conclusione, la mancata devoluzione dello specifico motivo di appello non impegnava la Corte territoriale a fornire una risposta sul punto.
7. E’ fondato l’ultimo motivo di ricorso.
7.1. La Corte di appello, aderendo alle conclusioni rassegnate dal PG di udienza, ha disposto senz’altro <<la confisca per equivalente dei beni dell’imputata per un importo equivalente a quello delle ritenute non versate indicato in imputazione>> senza indicare la ragione per cui non è stato possibile confiscare il profitto del reato direttamente in danno della società, come sarebbe stato necessario fare secondo la giurisprudenza di questa Corte ed in particolare secondo l’insegnamento di Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, richiamata dalla ricorrente, secondo cui «non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o dì altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato».
7.2. La confisca per equivalente costituisce pur sempre, anche nella formulazione dell’attuale art. 12-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, una misura residuale dei cui presupposti applicativi (tra questi l’impossibilità di procedere alla confisca dei beni che costituiscono il profitto del reato) il giudice deve dar conto.
7.3. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata sul punto con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.
7.4.Il ricorso nel resto deve essere dichiarato inammissibile con conseguente irrevocabilità dell’accertamento della responsabilità dell’imputata.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni sulla confisca con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.
Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
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