CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 3662 depositata il 25 gennaio 2018
Omesso versamento ritenute previdenziali – Comunicazione della contestazione dell’accertamento della violazione – Escluse formalità particolari di notifica -Verbale di contestazione o lettera raccomandata, anche per mezzo di notificazione giudiziaria – Notificazioni indirizzate nella sede legale del soggetto giuridico o presso la residenza o il domicilio del legale rappresentante – Presunzione legale di conoscenza – Versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione – Termine perentorio – Pagamenti successivi irrilevanti
1. Con sentenza del 22 settembre 2016, la Corte d’appello di Salerno, giudicando sull’appello proposto dall’odierno ricorrente, ha parzialmente confermato la condanna in primo grado inflitta ad A. S. per diversi episodi di omesso versamento delle ritenute contributive e previdenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti di imprese di cui egli era legale rappresentante, nel contempo assolvendolo da alcuni addebiti e dichiarando non doversi procedere per prescrizione del reato con riguardo ad altri, con conseguente riduzione della pena inflitta.
2. Avverso la sentenza di appello, ha proposto l’imputato a mezzo del difensore costituito procuratore speciale, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
3. Con un unico, articolato, motivo si deduce vizio di motivazione ed inosservanza di norme di diritto sul rilievo che, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 – che ha depenalizzato l’omesso versamento di ritenute di cui all’art. 2, comma 1 -bis, d.l. 12 settembre 1983, n. 463, conv., con modiff., nella legge 11 novembre 1983, n. 638 per un importo pari o inferiore €. 10.000 annui – sarebbe stato necessario verificare quale fosse l’entità del debito previdenziale al momento della notifica del decreto di citazione a giudizio (unico atto con il quale l’imputato sarebbe venuto a conoscenza della contestazione), accertamento che la Corte territoriale avrebbe rifiutato di fare erroneamente ritenendo che l’imputato avesse invece in precedenza ricevuto la notifica dei verbali di accertamento benché le ricevute degli stessi rechino delle sigle apocrife al medesimo non riconducibili. Si sarebbe in ogni caso dovuto consentire all’imputato – che nel frattempo avrebbe provveduto al pagamento dei debiti previdenziali – di dimostrare di aver regolarizzato la propria posizione, quantomeno riducendo il debito nei limiti della nuova soglia di punibilità, entro tre mesi dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 8/2016, prendendo in esame i pagamenti documentati con la memoria di motivi aggiunti d’appello depositata in data 6 settembre 2016 o disponendo la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per escutere a teste il funzionario dell’INPS Sessa sull’ammontare delle somme ancora dovute al momento dell’entrata in vigore della nuova legge.
1. Il ricorso è inammissibile perché in parte concerne questioni di fatto non suscettibili di valutazione in sede di legittimità e in parte è manifestamente infondato.
Quanto al primo profilo, respingendo la doglianza sollevata con l’atto d’appello, la Corte ha ritenuto documentalmente provato, sulla base delle cartoline di ricevimento allegate agli atti, che il verbale di accertamento della violazione – peraltro recapitato presso tutte e tre le società di cui l’imputato era legale rappresentante ed alle quali le omissioni si riferivano – venne personalmente notificato al S. o a persona incaricata della ricezione della posta e ha dato atto che nei successivi tre mesi lo stesso non aveva provveduto ad alcun pagamento senza che potesse dubitarsi del fatto che egli fosse venuto a conoscenza dell’intimazione. Non potendo questa Corte effettuare una diversa valutazione dei fatti scrutinati dal giudice di merito, deve qui darsi atto che la motivazione della sentenza impugnata è logica e aderente a principi che possono oramai dirsi consolidati nella giurisprudenza di legittimità e che il Collegio condivide.
Ed invero, è stato affermato e deve qui ribadirsi che in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, la comunicazione della contestazione dell’accertamento della violazione non necessita di formalità particolari, potendo essere effettuata, indifferentemente, mediante un verbale di contestazione o una lettera raccomandata ovvero ancora per mezzo di una notificazione giudiziaria e ad opera sia di funzionari dell’istituto previdenziale sia di ufficiali di polizia giudiziaria. Non essendo prescritte formalità particolari, debbono peraltro ritenersi idonee le notificazioni ricevute con firma illeggibile e senza indicazione della qualità del ricevente, purché correttamente indirizzate al destinatario, che, nel caso di persona giuridica, è da individuarsi nella sede legale dell’ente o presso la residenza o il domicilio del suo legale rappresentante (Sez. 3, n. 2859 del 17/10/2013, Aprea, Rv. 258373). L’effettiva conoscenza da parte del contravventore dell’accertamento previdenziale svolto nei suoi confronti e del conseguente provvedimento amministrativo, dunque, ben può presumersi qualora l’atto sia notificato in forma legale mediante raccomandata con ricevuta di ritorno (cfr., Sez. fer., n. 44542 del 05/08/2008, Varesi, Rv. 242294), anche se questa si perfezioni per “compiuta giacenza” (Sez. 3, n. 52026 del 21/10/2014, Volpe Pasini, Rv. 261287). Nella motivazione della decisione da ultimo citata – che richiama ulteriori precedenti in termini (Sez. 2, n. 20482 del 06/10/2011, Rv. 619861; Sez. L, n. 25824 del 2013, non massimata) – si osserva che detta presunzione legale di conoscenza può essere vinta solo ove il destinatario provi di essere stato, senza colpa, nell’impossibilità di avere avuto notizia dell’atto, giacché è necessaria la prova di un fatto o di una situazione che spezzi od interrompa in modo duraturo il collegamento tra il destinatario ed il luogo di destinazione della comunicazione e che tale situazione sia incolpevole, ovvero non superabile con l’uso dell’ordinaria diligenza (l’orientamento è stato successivamente confermato da Sez. 3, n. 43250 del 20/07/2016, D’Alonzo, Rv. 267938).
Non avendo in sede di merito l’imputato provato di non essere venuto a conoscenza per fatto incolpevole dell’avviso di accertamento regolarmente notificato addirittura presso tre società da lui amministrate, giustamente la Corte territoriale ha dunque considerato perfezionata la notifica individuando quel dies a quo per il decorso del termine di tre mesi stabilito dalla legge per il pagamento del dovuto onde fruire della causa di non punibilità di cui all’art. 2, comma 1 -bis, ult. parte, d.l. n. 463/1983.
2. Il termine di cui sopra è perentorio (v. Sez. 3, n. 30178 del 17/01/2017, Strazza, Rv. 270257) e – contrariamente a quanto reputa il ricorrente – non possono prendersi in considerazione pagamenti successivi nemmeno tenendo conto della modifica della fattispecie intervenuta con l’art. 3, comma 6, d.lgs. n. 8/2016, che, sostituendo la disposizione che contiene la norma incriminatrice del reato in esame, ha depenalizzato, assoggettandoli a sanzione amministrativa, gli omessi versamenti di ritenute previdenziali che non superino i 10.000 Euro annui, mantenendo la stessa sanzione penale prima prevista per quelli superiori a detta soglia e mantenendo altresì inalterata la causa di non punibilità nel caso di versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione, tanto per il reato, quanto per il nuovo illecito amministrativo. A proposito di tale modifica, la Corte di legittimità ha già precisato che trattasi di una abolitio criminis solo parziale, sussistendo piena continuità normativa con la precedente incriminazione, allorquando sia superata la soglia di punibilità (Sez. 3, n. 14475 del 07/12/2016, Mauro, Rv. 269329), con la conseguenza che la norma penale più favorevole va applicata ai sensi dell’art. 2, quarto comma, cod. pen. In mancanza di una disposizione transitoria che ciò espressamente preveda, non può invece ritenersi che la modifica normativa comporti la “rimessione in termini” per un ulteriore decorso, dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 8/2016, del periodo di tre mesi fissato per poter fruire della causa di non punibilità. Si tratta, invero, di una disposizione che il legislatore, nella sua insindacabile discrezionalità, avrebbe potuto adottare, ma che in alcun modo può discendere dall’applicazione dei principi generali: il reato era consumato e punibile secondo la previgente normativa in termini più ampi di quanto lo sia con quella oggi vigente, sicché s’impone l’applicazione retroattiva della lex mitior senza che possa tuttavia introdursi in via interpretativa un meccanismo transitorio che avrebbe l’effetto di ampliare l’area della non punibilità e che il legislatore non ha evidentemente inteso prevedere.
3. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00 per ciascun ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
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