CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 39423 depositata il 24 agosto 2017
RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto del 1 febbraio 2017 la Corte d’appello di Salerno ha rigettato gli appelli proposti da C.D. e dalla moglie A.M., quale terza interessata, avverso il decreto del Tribunale di Salerno del 2 gennaio 2015, che applicava la misura di prevenzione patrimoniale della confisca, previo sequestro, di un fabbricato-villa intestato alla A.M. e del relativo terreno, entrambi ubicati in Angri.
2. Nell’interesse del C.D.ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, deducendo violazioni di legge in relazione a due profili: a) alla insussistenza delle condizioni che legittimano l’adozione della confisca, ossia la ritenuta illecita provenienza dei beni e la loro fittizia intestazione a A.M.; b) all’applicazione delle regole probatorie concernenti la esatta delimitazione del periodo di manifestazione della pericolosità generica del ricorrente, su cui far leva per determinare il requisito della sproporzione reddituale ed accertare la fittizia intestazione dei beni alla moglie (tenuto conto del fatto che, all’epoca degli acquisti, quest’ultima disponeva di redditi propri e di ingenti risorse familiari e che la consulenza tecnica della difesa, dai Giudici di merito non considerata, aveva analizzato i flussi economici dimostrando la concreta proporzione dell’investimento rispetto al reddito prodotto).
Nel ricorso si sottolinea, in particolare, che nel caso di specie le manifestazioni di pericolosità del proposto si arrestano intorno all’anno 2004, avendo egli documentalmente comprovato nel periodo successivo l’esistenza di una propria attività lavorativa produttiva di reddito, e che la costruzione dell’immobile in questione è avvenuta nel corso di dieci anni, con la sua parte più consistente realizzata successivamente all’anno 2004, con un maggiore esborso di denaro. Il valore indicato dal tecnico, peraltro, è ampiamente coperto dalle possibilità economiche riferibili allaA.M. nel periodo della costruzione.
3. Con ulteriore ricorso proposto nell’interesse del C.D.il difensore ha dedotto sei profili di doglianza attinenti: alla nullità del provvedimento impugnato per la violazione del contraddittorio conseguente al mutamento della tipologia di pericolosità accertata (ossia quella generica) rispetto a quella originariamente contestata (specifica), in difetto di idonea proposta da parte del titolare dell’azione di prevenzione; alla mancanza di correlazione temporale tra l’acquisizione del terreno (nell’anno 2007) e la manifestazione di pericolosità sociale del proposto (cessata nel 2004); alla mancanza di motivazione circa i rilievi difensivi inerenti le allegazioni (ivi compresa una consulenza tecnica di (,/ parte) finalizzate a comprovare l’esistenza di lecite disponibilità economiche, idonee in quanto tali a giustificare sia l’acquisto del terreno che la successiva costruzione del cespite fatto oggetto di confisca; alla omessa motivazione circa la documentata appartenenza a terzi (ossia al sig. PDR ) di una parte del fabbricato e del giardino retrostante l’abitazione, oltre che del piano rialzato, con la conseguente necessità di scomputare tali porzioni del bene dalla valutazione complessiva dei costi necessari all’acquisto.
3.1. Con memoria pervenuta in data 30 giugno 2017 è stata sollevata questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge n. 1423/56 e delle disposizioni della legge n. 125/2008 che hanno esteso la misura di prevenzione patrimoniale anche a coloro che sono individuati come genericamente pericolosi, per contrasto con l’art. 117 Cost. e con l’art. 1 del Protocollo addizionale CEDU, per mancanza di determinatezza e tassatività lì dove non vengono definite specificamente le categorie cui deve applicarsi la misura, nonché per la inosservanza del principio che prevede l’attualità e concretezza della pericolosità anche in relazione alle misure di prevenzione patrimoniali.
4. Nell’interesse di A.M. ha proposto ricorso per cassazione il suo difensore e procuratore speciale, deducendo sostanzialmente gli stessi motivi di doglianza già formulati a sostegno del ricorso del C.D., con particolare riferimento alla contestazione della ritenuta sproporzione reddituale e della interposizione fittizia nella intestazione dei beni oggetto di confisca, pur in assenza di specifici dati indiziari in tal senso individuati.
4.1. Con motivi aggiunti depositati nella Cancelleria di questa Suprema Corte in data 4 maggio 2017 il difensore ha sviluppato ulteriori argomenti a sostegno del ricorso principale, ribadendo l’inesistenza dei presupposti indicati nel provvedimento impugnato per ritenere l’illecita provenienza dei beni e della provvista necessaria alla realizzazione del fabbricato e all’acquisto del terreno oggetto della misura ablativa, avuto riguardo alle consistenti provvidenze economiche della A.M. e alla loro concreta riconducibilità alle spese nel tempo (ossia nell’arco di circa dieci anni) affrontate per la realizzazione dell’abitazione.
5. Il difensore e procuratore speciale del terzo interessato PDR ha proposto ricorso deducendo violazione di legge per la mancata instaurazione del contraddittorio sia nel primo che nel secondo giudizio, sul rilievo che, pur risultando egli titolare della proprietà del terreno e del piano rialzato, oltre che di una parte del fabbricato insistente su una particella altrui, non era stata disposta la sua citazione in giudizio.
6. Con requisitoria pervenuta nella Cancelleria di questa Suprema Corte il 3 luglio 2017 il P.G. ha chiesto la declaratoria di inammissibilità di tutti i ricorsi.
7. Con memoria pervenuta in data 7 luglio 2017 il difensore di C.D.ha svolto brevi osservazioni in replica alle argomentazioni sviluppate dal P.G. nella sua requisitoria, insistendo sull’accoglimento del ricorso principale e dei motivi aggiunti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso proposto dal PDR è inammissibile, in quanto nel procedimento di prevenzione per l’applicazione di misure patrimoniali l’omessa citazione del terzo interessato, al quale siano intestati i beni ritenuti nella disponibilità del proposto, non determina la nullità del procedimento, ma una semplice irregolarità che non inficia il procedimento medesimo, e quindi l’applicazione della misura, ferma restando la facoltà dell'”extraneus” di esplicare successivamente le sue difese, provocando un incidente di esecuzione (Sez. 1, n. 28032 del 22/06/2007, Scala, Rv. 236930; Sez. 1, n. 16806 del 21/04/2010, Monachino, Rv. 247072).
2. Parimenti inammissibile deve ritenersi il ricorso proposto dal C.D., dovendosi al riguardo richiamare la pacifica linea interpretativa di questa Suprema Corte (Sez. 5, n. 8922 del 26/10/2015, dep. 2016, Poli, Rv. 266141; Sez. 6, n. 48274 del 01/12/2015, Vicario, Rv. 265767; Sez. 2, n. 17935 del 10/04/2014, Tassone, Rv. 259258) secondo cui, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, è inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione del proposto avverso il decreto di confisca di un bene ritenuto fittiziamente intestato a terzi, quando lo stesso abbia assunto, come verificatosi nel caso in esame, una posizione processuale meramente adesiva a quella di chi è stato giudicato formalmente interposto, dovendosi in tal caso riconoscere la legittimazione al solo apparente intestatario, che è l’unico soggetto avente diritto all’eventuale restituzione del bene.
Il proposto, dunque, è legittimato ad impugnare il provvedimento di confisca di beni formalmente intestati a terzi solo se esplicita le specifiche ragioni che lo giustificano a contraddire in luogo dei titolari formali dei beni, ad esempio deducendo un sovraccarico di acquisizioni a lui riferite, idoneo ad incidere sulla valutazione della proporzione tra la sua capacità patrimoniale e le utilità acquisite (Sez. 6, n. 35240 del 27/06/2013, Cardone, Rv. 256265), laddove egli ha dedotto, nel caso di specie, l’insussistenza del requisito della fittizia intestazione dei beni alla moglie sul rilievo che la stessa disponeva di redditi propri all’epoca degli acquisti e che tutte le risorse economiche oggetto di prova erano di esclusiva pertinenza del terzo intestatario.
3. Alla declaratoria di inammissibilità dei su indicati ricorsi consegue la condanna di entrambi i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di euro millecinquecento.
4. Fondato, di contro, deve ritenersi il ricorso proposto – unitamente al proprio difensore e procuratore speciale – dalla terza interessata A.M., che ha specificamente dedotto l’esistenza – nell’intero arco temporale di riferimento – di una autonoma e consistente base reddituale nella sua personale disponibilità, contestando altresì le implicazioni sottese al profilo attinente alla – pur riconosciuta – delimitazione temporale della pericolosità sociale del coniuge sino al 2004, sul duplice rilievo della progressiva, ma prevalente, attività di completamento dell’opera di costruzione nel periodo successivo (sino al 2010) e della rilevante valenza indiziaria delle allegazioni documentali fornite a supporto della prospettata valutazione di proporzionalità dell’investimento al riguardo effettuato, rispetto all’entità delle risorse personali e familiari nella sua diretta disponibilità.
In relazione ai su indicati profili deve anzitutto richiamarsi il principio stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262605), secondo cui la pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche “misura temporale” del suo ambito applicativo, con la conseguenza che, con riferimento alla c.d. pericolosità generica, sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale.
Posta tale ineludibile premessa, non risulta adeguatamente chiarita la ragione per la quale il provvedimento impugnato, pur dando atto che l’immobile sottoposto a misura ablativa – i cui lavori comunque risultano iniziati molto tempo prima – è stato rifinito nel 2010, al tempo stesso richiama un passaggio della motivazione del decreto del Tribunale di Salerno del 2 gennaio 2015 ove si afferma che le manifestazioni di pericolosità del proposto si sono arrestate al 2004, poiché nel periodo successivo egli “risultava aver stabilizzato una propria attività lavorativa, produttiva di reddito”: non vengono precisati, in tal modo, rispetto alle risultanze delle allegazioni difensive a sostegno del valore di costruzione stimato dal consulente tecnico di parte e della complessiva entità delle fonti lecite delle risorse disponibili in capo allaA.M., quali siano i termini della valutazione di proporzionalità delle spese di realizzazione del fabbricato effettuate nel periodo successivo (2005 – 2010), né, sotto altro profilo, risultano indicate con chiarezza le basi indiziarie a sostegno della ritenuta provenienza illecita delle somme di denaro utilizzate per l’edificazione dell’intero fabbricato, con riferimento alle prospettate accumulazioni di proventi illeciti acquisiti dal proposto per effetto dei reati commessi nel periodo 2001-2004 e alle conseguenze di non meglio precisate operazioni di reimpiego negli anni immediatamente successivi, per i quali, tuttavia, lo stesso provvedimento impugnato ha escluso, come si è visto, la presenza di qualsiasi manifestazione di pericolosità.
Il provvedimento impugnato, inoltre, non ha fatto buon governo del quadro di principii delineato da questa Suprema Corte (Sez. 1, n. 17743 del 07/03/2014, Rienzi, Rv. 259608), secondo cui, in materia di misure di prevenzione patrimoniali, il rapporto esistente tra il proposto ed il coniuge, i figli e gli altri conviventi costituisce, pur al di fuori dei casi delle specifiche presunzioni di cui all’art. 2-ter, comma 13, della legge n. 575 del 1965 (ora art. 26, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011), una circostanza di fatto significativa della fittizietà dell’intestazione di beni dei quali il proposto non può dimostrare la lecita provenienza, purchè il terzo familiare convivente, che risulta formalmente titolare dei cespiti, sia sprovvisto di una effettiva capacità economica.
V’è un limite, dunque, all’operatività di siffatta presunzione, il cui meccanismo applicativo fa comunque salva la possibilità, per il terzo intestatario di beni, di allegare fatti, situazioni o eventi che, ove riscontrabili, siano idonei a dimostrare la propria capacità economica in relazione ai beni di cui risulta titolare.
Nel caso in esame, per quanto su esposto, l’acquisto dei beni intestati alla ricorrente sembra essere avvenuto in un arco temporale non propriamente sovrapponibile con la ritenuta manifestazione di pericolosità del proposto, mentre dagli elementi documentali dedotti sembrano emergere autonome e consistenti disponibilità finanziarie riconducibili alle attività della terza interessata, maturate finanche in epoca anteriore alla cessazione del periodo di pericolosità: elementi, quelli ora indicati, che non hanno costituito oggetto di una compiuta e specifica valutazione sulla congruità delle risorse personali in relazione, anche, alla precisa collocazione temporale dell’acquisizione delle relative disponibilità e delle conseguenti forme di investimento operate nella / realizzazione dell’abitazione confiscata, ma sono indistintamente confluiti all’interno di un giudizio incentrato su una sproporzione finanziaria cumulativamente attribuita all’intero nucleo familiare.
5. Sulla base delle su esposte considerazioni s’impone, con riferimento al ricorso proposto da A.M., l’annullamento con rinvio del decreto impugnato, affinchè la Corte d’appello in dispositivo indicata provveda ad eliminare i vizi sopra rilevati, uniformandosi al quadro dei principii in questa Sede stabiliti.
P.Q.M.
Annulla il decreto impugnato nei confronti di A.M. e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli. Dichiara inammissibili i ricorsi di C.D.e PDR che condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
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