CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 40480 depositata il 6 settembre 2017
RITENUTO IN FATTO
1. Propone ricorso per cassazione DB. W. avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste in data 17 settembre 2015 con la quale è stata confermata quella di primo grado, di condanna, all’esito di giudizio abbreviato, in ordine ai reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale e, altresì di bancarotta semplice per essersi astenuto, nella qualità di amministratore della società cooperativa a responsabilità limitata LF., dal richiederne fallimento così aggravando il dissesto della società.
I reati sono stati consumati il 9 dicembre 2009, data della dichiarazione dello stato di insolvenza.
All’imputato è stata contestata la recidiva infra-quinquennale che è stata anche ritenuta in sentenza.
2. Il ricorrente è stato ritenuto responsabile di avere, nonostante il conclamato stato di dissesto della società già al 31 dicembre 2004, da un lato omesso di chiedere il proprio fallimento per evitare che la condizione di crisi continuasse a generare perdite e, dall’altro, prelevato somme dalle casse della società o comunque omesso di versare crediti riscossi, per un importo complessivo di circa € 277.000.
La tesi dell’imputato, secondo cui tali somme erano state utilizzate per effettuare pagamenti urgenti per debiti della società, è stata giudicata del tutto priva di prova anche in considerazione del fatto che le somme riscosse per € 200.000, a fronte di crediti della società, non erano state nemmeno annotate nella contabilità. Questa pertanto risultava tenuta dolosamente e fraudolentemente in modo irregolare anche perché il libro giornale non era aggiornato dopo il dicembre 2005.
3. Deduce
1) il vizio della motivazione in ordine alla configurata bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale.
Sostiene il difensore che la condanna di primo e secondo grado è basata sull’analisi del tutto superficiale eseguita dal commissario liquidatore, N..
Costui aveva omesso di porre in risalto che nel biennio 2003-2005 era mancata, da parte degli organi regionali competenti, la vigilanza ispettiva che avrebbe impedito lo sfortunato epilogo della società, quantomeno sotto il profilo della verifica della irregolare contabilizzazione, gestita dal ricorrente soltanto con il fine di evitare il licenziamento dei soci lavoratori della cooperativa.
In altri termini, per tale ragione, mancherebbe l’ elemento psicologico del reato in quanto l’imputato non ha mai agito con lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, come sarebbe dimostrato dal fatto che ha venduto l’abitazione di proprietà per sanare alcune posizioni debitorie.
Mancherebbe, nell’analisi del liquidatore, anche l’indicazione della quantità e qualità dei crediti il cui incasso sarebbe stato distratto mentre il dubbio al riguardo sarebbe stato dissolto acquisendo gli estratti conto relativi ai rapporti bancari della società; in secondo luogo avrebbe dovuto essere valutato il credito di € 102.000 nei confronti del gruppo Pacorini che avrebbe dovuto essere imputato al bilancio; avrebbero dovuto essere sentiti i soci a proposito degli anticipi sugli stipendi ricevuti;
2) il vizio della motivazione con riferimento al reato di bancarotta semplice. Lamenta il difensore che lo stato di decozione della società non può essere imputato al ricorrente in quanto risaliva, come affermato dal commissario liquidatore, al biennio 2002-2004 quando si era verificato un forte decremento dei traffici marittimi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile in parte per manifesta infondatezza ed in parte perché basato su ragioni diverse da quelle che possono essere rappresentate al giudice della legittimità.
1.1 In ordine ai due fatti distrattivi, la motivazione della sentenza è completa e le censure non incidono in maniera significativa sul tessuto argomentativo. Il principio di diritto sul quale la Corte d’appello ha imperniato la propria motivazione è quello -più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità- in base al quale l’amministratore di una società che sia dichiarata fallita ovvero in stato di insolvenza, nel caso in cui non dia conto della sorte impressa a risorse economiche o finanziarie della società che risultino positivamente essere state in possesso di questa, si presume che le abbia distratte, avendo egli l’obbligo di precisa rendicontazione e contabilizzazione dei fatti rilevanti nella vita economica della persona giuridica.
Sulla distrazione di 77 mila euro, in particolare, la Corte ha attestato essere rimasto accertato che la somma era stata impiegata per pagare i soci dipendenti in misura maggiore rispetto a quanto loro spettante relazione ai rispettivi contratti, ciò che costituisce una distrazione dal momento che il distacco non giustificato della risorsa economica si rivela chiaramente idonea a porre in pericolo gli interessi dei creditori della società.
Con riferimento all’ulteriore somma, la Corte d’appello ne ha attestato il versamento a favore della società da parte dei creditori mediante bonifici e il mancato incasso da parte della società stessa, senza alcuna giustificazione ragionevole e documentata.
1.2 La bancarotta documentale non è neppure contestata per quanto concerne la materialità della condotta essendo incontroverso che il pagamento dei crediti di cui sopra non è stato contabilizzato così come l’aggiornamento delle scritture non è avvenuto ai sensi di legge.
A fronte di tali congruenti osservazioni la difesa eccepisce circostanze irrilevanti come quella dell’ omessa vigilanza da parte dell’ente proposto alla cooperativa, essendo legittimato, a richiedere la dichiarazione di insolvenza, anche lo stesso imprenditore; oppure come quella dell’avere agito, il ricorrente, con finalità diverse da quelle della volontà di frode ai creditori, considerato che una simile prospettiva integrerebbe il dolo specifico il quale non è richiesto da nessuna delle ipotesi di bancarotta fraudolenta contestate.
Oltre a ciò, il dolo della distrazione è stato comunque esattamente ritenuto sussistente alla luce del fatto che i debiti pagati dai debitori della società – identificati nel capo d’imputazione attraverso l’indicazione dell’ammontare complessivo – hanno prodotto risorse finanziarie di cui non è stata rinvenuta traccia non solo materiale ma neppure nelle scritture contabili, cosicché il lamentato uso delle stesse per finalità proprie della società è rimasta una pura affermazione, contraddetta dalla presunzione di distrazione a cui sopra si è fatto riferimento.
Versate in fatto e dunque inammissibili sono, d’altra parte, le osservazioni del ricorrente in ordine al fatto di avere venduto la propria abitazione per far fronte ai debiti oppure le prospettazioni circa possibili esiti favorevoli al medesimo, che sarebbero potuti derivare da accertamenti bancari o da escussioni testimoniali, laddove l’onere di dimostrare l’esatto destino impresso alle risorse economiche della società grava sull’imprenditore, una volta che la situazione contabile della società risulti oscura al punto da confortare la presunzione medesima.
Del tutto inconducente ‘1/4e poi la doglianza riguardante la contestazione di bancarotta semplice il cui addebito prescinde del tutto dall’accertamento del fatto che il dissesto sia stato o meno cagionato dall’amministratore della società fallita, essendo sufficiente la prova che il ritardo nella richiesta di fallimento (o equiparata) abbia aggravato la situazione di dissesto già in essere.Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 cpp, la condanna del ricorrente al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro 2000.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a versare alla cassa d delle ammende la somma di euro 2000.
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