CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 40702 del 7 settembre 2017
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata sentenza la Corte d’Appello di Brescia, confermava la sentenza del GIP presso il Tribunale di Bergamo in data 8 ottobre 2010, appellata dagli imputati. Questi erano stati tratti a giudizio e ritenuti responsabili del reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche in danno del lavoratore C.E.. In particolare era stato loro contestato, nella loro qualità di legali rappresentanti della E. C. S.r.l. di aver cagionato la morte del predetto C.E., avvenuta il 1° settembre del 2011 in Carona, morte conseguente ad una precipitazione da un’altezza pari a circa m. 5,45 avvenuta presso la casa dei guardiani ENEL della diga Fregabolgia ove la società aveva in corso – in esecuzione di un contratto di appalto- lavori di ristrutturazione e sistemazione del tetto. Fatto commesso per colpa consistita in generica negligenza, imprudenza, imperizia, nonché nella inosservanza di norme in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, non avendo gli stessi adottato le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, erano necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori (art. 2087 c.c.) e, segnatarnente,in violazione degli artt. 112, 126, 128 e 136 del D.Igs.vo n. 81 del 2008, perché omettevano di allestire il ponteggio posto sul lato sud dell’edificio in ristrutturazione con sufficienti apprestamenti di sottoponti e scalette di accesso ai vari piani, nonché omettevano di dotare il piano di calpestio inclinato – che presentava una “luce libera” di circa un metro di ampiezza tra il piano medesimo ed il corrente superiore- del medesimo ponteggio di idoneo parapetto costituito da corrente intermedio e da tavola fermapiede; con la conseguenza che il C.E. precipitava dal ponteggio mentre tentava di salire o scendere arrampicandosi sulle strutture metalliche degli elementi del ponteggio medesimo, a causa dell’assenza di sottoponti e scalette; oppure precipitava dallo stesso ponteggio mentre percorreva il tratto di piano di calpestio inclinato, a causa dell’assenza di un corrente intermedio e di tavola fermapiede (alternativa questa che si ritiene maggiormente verosimile alla luce sia delle lesioni riportate sia della posizione in cui era rinvenuto l’infortunato).
Ricorrono per cassazione l’imputato a mezzo del comune difensore di fiducia entrambi gli imputati, denunciando violazione di legge per mancanza di motivazione in ordine alla qualifica soggettiva dei ricorrenti, con specifico riferimento alla posizione del Bonaccorsi, nonché violazione di legge per mancato corretto apprezzamento delle dichiarazioni di F.G., unico testimone oculare del fatto, nonché dei riscontri oggettivi di natura medico legale concernenti le fderite riportate dall’infortunato risultate inconciliabili con la sua mera precipitazione al suolo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. I ricorsi sono infondati. Quanto al primo motivo che sembrerebbe concernere solo la posizione del B., le proposte lagnanze, sollevate peraltro per la prima volta in questa sede, appaiono quanto mai confuse, essendo l’imputato prima (pag. 2 del ricorso) indicato quale mero socio della E. S.r.l., “totalmente estraneo ai fatti dedotti in giudizio”, successivamente – sì come contestato- quale legale rappresentante della società (pag. 4). La censura è comunque del tutto priva di pregio, in quanto il ricorrente B., quale appunto – pacificamente- legale rappresentante della S.r.l., è anche il datore di lavoro chiamato ad adempiere agli obblighi prevenzionistici. Trattasi di principio più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte. Si è infatti affermato che destinatario della normativa antinfortunistica, nell’ambito di un’impresa organizzata in forma societaria, è sempre il legale rappresentante, qualora non siano individuabili soggetti diversi obbligati a garantire la sicurezza dei lavoratori (Sez. 3, n. 24478 del 23/05/2007, Lalia, Rv. 236955). Nello stesso senso, si afferma che in tema di prevenzione infortuni, se il datore di lavoro è una persona giuridica, destinatario delle norme è il legale rappresentante dell’ente imprenditore, quale persona fisica attraverso la quale il soggetto collettivo agisce nel campo delle relazioni intersoggettive, così che la sua responsabilità penale, in assenza di valida delega, è indipendente dallo svolgimento o meno di mansioni tecniche, attesa la sua qualità di proposto alla gestione societaria (Sez. 3, n. 28358 del 04/07/2006 – dep. 08/08/2006, Bonora e altro, Rv. 234949, che ha anche ulteriormente affermato che il legale rappresentante non può esimersi da responsabilità adducendo una propria incapacità tecnica, in quanto tale condizione lo obbliga al conferimento a terzi dei compiti in materia antinfortunistica).
Del pari infondato il secondo motivo di ricorso : contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti entrambi i giudici di merito con un’ampia ed articolata motivazione, pur dando effettivamente atto che delle modalità di caduta del C.E. nessuno poteva riferire, non avendo alcuno assistito all’infortunio, (e ciò è confermato dalla originaria contestazione alternativa di cui al capo di imputazione sopra riportato) sono pervenuti ad una completa ricostruzione del sinistro (precipitazione del C.E. dalla parte alta del ponteggio) ed hanno chiaramente dato atto delle prospettazioni difensive tese ad avvalorare una diversa ricostruzione, spiegando con dovizia di argomentazioni (fra cui l’incompatibilità delle lesioni subite dal C.E. con una caduta da appena un metro di altezza) l’illogicità e la inaffidabilità di tale versione. In particolare la gravata sentenza rileva come le considerazioni a riguardo del consulente tecnico della difesa non trovino alcun riscontro nelle emergenze processuali e siano assolutamente incongrue. Con l’odierna impugnazione vengono quindi riproposte – inammissibilmente in questa sede di legittimità- le prospettazioni già disattese dai giudici di merito. In questa ottica peraltro del tutto corretta si appalesa la sentenza gravata in ordine alla valutazione di quanto riferito dal teste Galizzi. Va a riguardo osservato che in tema di valutazione della prova testimoniale, l’attendibilità dei testimoni è una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nell’insieme di una motivazione logica, che non può essere rivalutata in sede di legittimità. E’ infatti inammissibile il motivo di ricorso che sottopone al giudice di legittimità atti processuali per verificare l’adeguatezza dell’apprezzamento probatorio ad essi relativo compiuto dal giudice di merito ed ottenerne una diversa valutazione, perché lo stesso costituisce censura non riconducibile alle tipologie di vizi della motivazione tassativamente indicate dalla legge.
E’ peraltro da escludersi che il giudice nel caso di specie sia incorso in manifeste contraddizioni; la sentenza impugnata è infatti ampiamente motivata ed argomentata – sia sotto il profilo della congruità che sotto quello della logicità – su tutte le questioni devolute, anche in virtù del C.E.nuo e puntuale richiamo della motivazione che correda la corposa decisione di primo grado, sia quanto alla ricostruzione storica e logica effettuata, sia quanto alla scelta e alla valutazione degli elementi probatori utilizzati per le singole affermazioni di responsabilità.
4. I ricorsi vanno pertanto rigettati. Ne consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
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