CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 42561 depositata il 18 settembre 2017
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 13 marzo 2017, il Tribunale del Riesame di Messina annullava l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Barcellona Pozzo di Gotto con cui era stata applicata a P.P., indagato per il reato di autoriclaggio, la misura degli arresti domiciliari; P.P. era ritenuto gravemente indiziato di avere concorso con S. P., dominus del gruppo societario Ac,e con G.S. (segretaria di S. P.) nel reato di cui all’art. 648 ter 1 cod.pen. perché “…con condotte diverse, impiegavano e, comunque, trasferivano e sostituivano tramite la società A. s.r.l., A.I. s.r.l. e Borgo Musolino s.r.l., società riconducibili a S. P., in attività economiche, finanziarie e speculative, di tipo turistico e alberghiero, il denaro e le altre utilità provenienti dalla commissione di un delitto non colposo, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza illecita”; la condotta di P.P. sarebbe consistita in condotte attive ed omissive, così descritte nel capo di imputazione provvisorio: “in qualità di consulente delle scritture contabili del gruppo Ac S.p.a. teneva in modo irregolare e confuso la contabilità e non segnalava all’Ufficio Italiano cambi, avendone l’obbligo ai sensi dell’art. 41 del D.Lg.s 21 novembre 2007 n.231 le operazioni di cui sopra come operazioni sospette”; in particolare il Tribunale, dopo una disamina degli elementi circa la sussistenza del reato di autoriciclaggio in ordine all’operazione di reimpiego di denaro distratto dalle casse della società Ac S.p.a. nell’operazione commerciale Borgo Musolino da parte di S. P., aveva concluso nel senso che a carico di P.P. gli elementi raccolti non consentivano di affermare che l’indagato avesse la consapevolezza che le somme investite fossero di provenienza delittuosa.
1.1 Avverso la sentenza ricorre per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, lamentando come la circostanza che P.P. fosse una testa di legno con riferimento alla società DIC s.r.l. fosse elemento decisivo circa la sussistenza in capo all’indagato della consapevolezza dell’attività delittuosa di reimpiego di denaro: P.P. non era la classica testa di legno, ma soggetto dotato di particolari competenze in materia tributaria e contabile e che aveva le password di accesso ai conti della società, pertanto aveva un, seppur minimo, potere gestorio, per cui era interessato alla concreta realizzazione del progetto imprenditoriale della Borgo Musolino, di cui deteneva la maggioranza delle quote sociali; il Tribunale del Riesame aveva poi omesso di considerare che P.P. si occupava della redazione dei bilanci e della tenuta delle scritture contabili delle società attraverso cui i conti il denaro sporco transitava per poi confluire nell’attività Borgo Musolino (A.I. s.r.l. e A. s.r.l.) e che in capo a P.P. gravava l’obbligo di comunicare, ex art. 41 del D.Lgs. 231/07 le operazioni sospette, per cui avrebbe dovuto segnalare il doppio transito nella stessa data della somma di C 270.347,38 dal fondo Dopa al conto intestato alla A. s.r.l. prima e poi nel conto della A.I. s.r.l., così come avrebbe dovuto ritenere sospetta e idonea a frapporre un ostacolo all’identificazione della provenienza illecita del denaro la successiva parcellizzazione; non era pensabile che un consulente quale P.P., che conosceva S. P. sin dalla fase della bancarotta fraudolenta impropria, potesse tenere una contabilità irregolare delle società attraverso cui S. P. reimpiegava denaro di provenienza illecita al solo fine di permettergli di evadere le imposte; inoltre, non appariva ragionevole la conclusione cui perveniva il Tribunale del Riesame laddove riteneva che la mancata contestazione formale del credito IVA da parte della società Dic s.r.l. potesse escludere in radice la consapevolezza in capo all’indagato del segmento oggetto di contestazione e relativo al disinvestimento del fondo DGPA: tale criticità evidenziava un ulteriore elemento sintomatico che denotava la consapevolezza della provenienza illecita del denaro reinvestito in Borgo Musolino; non era poi dato comprendere come la mancata contestazione in capo a P.P. del reato presupposto potesse escludere la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in capo all’indagato del reato di auto riciclaggio: nel caso di specie si configurava un’ipotesi di concorso dell’extraneus nel reato proprio; lo stesso Tribunale ammetteva l’esistenza di opachi interessi tra i due già nella fase della bancarotta fraudolenta impropria; infine, risultava essere anche manifestamente illogica la motivazione circa lo svuotamento del contenuto accusatorio relativo al dato fattuale che P.P. e S. P. non intrattenessero rapporti diretti, ma tramite la segretaria: P.P., sentendosi più tranquillo nell’interloquire con la segretaria, si lasciava andare a confidenze e suggerimenti per aggiustare i conti che altrimenti non avrebbe fatto se l’interlocutore fosse stato S. P..
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è fondato.
2.1 Preliminarmente, si deve rilevare l’infondatezza dell’eccezione sollevata in udienza dal difensore dell’indagato sulla tardività del ricorso, posto che nel caso in esame trova applicazione l’art. 311 cod.proc.pen. con conseguente decorrenza del termine per proporre ricorso per cassazione dalla data della comunicazione o della notificazione dell’avviso di deposito del provvedimento.
2.2 Nel merito, giova anzitutto ricordare i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla libertà personale. Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame.
Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; – l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Sez. 6 n. 2146 del 25/05/1995, Rv. 201840; sez. 2 n. 56 del 7/12/2011, Rv. 251760); inoltre il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi.
Tanto precisato, sul caso di specie deve rilevarsi come vi sia stata una omessa motivazione da parte del Tribunale su diversi punti, che impongono pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
In particolare, il Tribunale, che pure dà atto dell’esistenza di opachi rapporti tra S. P. e P.P., non ha tenuto conto che P.P. è il soggetto che si occupa della redazione dei bilanci e della tenuta delle scritture contabili delle società attraverso i cui conti il denaro proveniente dalla bancarotta transitava per poi confluire nella Borgo Musolino e, soprattutto, che non ha adempiuto all’obbligo di comunicare e art. 41 del D.Lgs. n. 231/2007 le operazioni sospette consistite nel doppio transito nella stessa data della somma di € 270.347,38 dal fondo DGPA al conto corrente intestato alla A. s.r.l. prima e nella A.I. s.r.l. poi; su tale mancato adempimento, che non può essere visto se non come espressione dell’intento di P.P. di favorire S. P., il Tribunale non dà alcuna spiegazione.
Come poi correttamente rilevato dal Procuratore ricorrente, la mancata contestazione in capo a P.P. del reato presupposto (bancarotta) non può escludere la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in capo all’indagato del reato di auto riciclaggio, posto che nel caso in esame si sostiene la sussistenza di un’ipotesi di concorso dell’extraneus nel reato proprio; appare quindi necessaria una valutazione globale della gravità indiziaria, a fronte dell’analisi parcellizzata operata dal Tribunale del Riesame.
3. Per le suesposte considerazioni, il ricorso deve essere accolto.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame con integrale trasmissione degli atti al Tribunale di Messina Sezione per il Riesame delle misure coercitive.
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