CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 43816 depositata il 22 settembre 2017
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Pescara, sezione per il riesame dei provvedimenti di sequestro, con ordinanza del 16 maggio 2016, confermava l’ordinanza sequestro preventivo, finalizzato alla confisca nei confronti di DB, del Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Pescara del 14 marzo 2016 (sequestro per equivalente per la somma di € 216.750,00, per reati di cui all’art. 2, l. n. 74 del 2000, commessi nella qualità di legale rappresentante ed amministratore unico della società SP s.r.l.
2. Ricorre per Cassazione MM, tramite il suo difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., c.p.p. 2. 1. Violazione di legge, art. 1, comma 143, I. 244/2007 e 12 bis, d. Igs. 74/2000. Mancanza o apparenza della motivazione.
Il Tribunale ha confermato il sequestro preventivo nei confronti del ricorrente in presenza della prova della «capienza patrimoniale» della società.
In sede di riesame si era fornita la prova della capienza del patrimonio della società per l’entità della richiesta cautelare; infatti era stata allegata la perizia del geom. D. sui beni immobiliari della società. Inoltre i beni sequestrati al ricorrente sono beni personali acquistati in epoca antecedente alla commissione dei fatti di reato per i quali si procede.
Il Tribunale di Pescara ha altresì omesso di «esaminare adeguatamente la documentazione la documentazione allegata alla memoria difensiva del 12 maggio 2016, determinando un’evidente violazione di legge alla luce della motivazione meramente apparente e non congrua rispetto alle deduzioni difensive».
Ha chiesto pertanto l’annullamento del provvedimento impugnato.
3. La Procura Generale della cassazione, Sostituto Procuratore Generale PF, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. il ricorso è infondato e deve rigettarsi. Il ricorrente ripropone gli stessi motivi del riesame, senza adeguate critiche alla decisione del Tribunale del riesame. L’ordinanza impugnata, con motivazione adeguata e immune da contraddizioni o vizi logici manifesti, ritiene sussistenti sia il fumus del reato (del resto non contestato) e sia i presupposti normativi per il sequestro preventivo a carico del ricorrente.
Per i beni personali del ricorrente è legittimo il sequestro, come ritenuto da questa Corte di Cassazione: «Quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, è legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato sul presupposto dell’impossibilità di reperire il profitto del reato nel caso in cui dallo stesso soggetto non sia stata fornita la prova della concreta esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta» (Sez. 3, n. 42966 del 10/06/2015 – dep. 26/10/2015, Klein, Rv. 265158).
Nel nostro caso nessuna prova della concreta esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica è stata fornita dal ricorrente, sia davanti ai giudici di merito e sia (sotto il profilo dell’allegazione di elementi contenuti negli atti e non valutati dai giudici della cautela) nel ricorso per Cassazione; nel ricorso ci si limita a richiamare la giurisprudenza della Corte, richiamando le tesi sostenute davanti al Tribunale del riesame. Infatti nell’ipotesi di sequestro preventivo finalizzato alla confisca con riferimento ai reati fiscali, il sequestro (a carico del rappresentante della persona giuridica, indagato) è legittimo se l’indagato non fornisce prova della concreta esistenza dei beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta e, in sede di legittimità è necessario indicare specificamente gli atti processuali dai quali risultava reperibile presso la persona giuridica il profitto del reato (vedi espressamente Cass., 3 sez. n. 2242/2017).
Cosa diversa, e del resto irrilevante, è la disponibilità patrimoniale della società. Infatti i beni della società devono riguardare la confisca diretta, non essendo possibile relativamente al patrimonio della società il sequestro per equivalente. Su quest’aspetto la decisione impugnata con motivazione adeguata, immune da contraddizioni e da manifeste illogicità, e con applicazione corretta delle decisioni di questa Corte di Cassazione rileva, come: «Le doglianze espresse sulla necessità di aggredire previamente beni della società contrastano con la considerazione che non viene dedotta la sussistenza di ipotesi di Ente che costituisca lo schermo fittizio delle attività e delle disponibilità dell’amministratore, né la ricorrenza del caso di rinvenibilità presso la società del denaro o di altri beni fungibili o altri beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dal legale rappresentante».
Nel ricorso per Cassazione nulla si contesta su questi punti, limitandosi il ricorrente a ribadire la capienza del patrimonio della società, senza indicare però specificamente la rinvenibilità presso la società del denaro o di altri beni fungibili o altri beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario in accertamento (confisca diretta e non per equivalente).
4. 1. Infatti nei confronti della società solo la confisca diretta risulta possibile: «Quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, è legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato sul presupposto dell’impossibilità di reperire il profitto del reato nel caso in cui dallo stesso soggetto non sia stata fornita la prova della concreta esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta» (Sez. 3, n. 42966 del 10/06/2015 – dep. 26/10/2015, Klein, Rv. 26515801; nello stesso senso vedi anche Sez. 3, n. 40362 del 06/07/2016 – dep. 28/09/2016, D’Agostino, Rv. 26858701. In senso parzialmente diverso vedi Sez. 3, n. 35330 del 21/06/2016 – dep. 23/08/2016, Nardelli, Rv. 26764901).
Ciò in quanto l’art. 322er cod. pen., richiamato dall’art. 1, comma 143, legge n. 244 del 2007, stabilisce che, per procedere, nel corso del procedimento penale, al sequestro finalizzato alla confisca di altri beni di cui il reo abbia la disponibilità per un valore corrispondente a quello del profitto del reato, è necessario l’accertamento del presupposto costituito dalla impossibilità di sequestrare in via diretta i beni che costituiscono il profitto del reato stesso, quindi si può procedere a porre il vincolo preventivo, su beni diversi per un valore corrispondente, solo ove sia impossibile sottoporre a sequestro i beni che si identificano con il prezzo o il profitto del reato. In proposito, va ricordato come la Corte, a sezioni Unite, abbia ribadito che il profitto del reato si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264436) e che, qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, il sequestro delle somme, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificato come sequestro cd. diretto e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto del vincolo preventivo e il reato. Le Sezioni Unite della Corte hanno in precedenza anche affermato come sia consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia rimasto nella disponibilità della persona giuridica. In siffatto caso, ossia solo quando sia possibile nei confronti della società il sequestro cd. diretto del profitto di reato tributario, non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi a vantaggio della società, che non può considerarsi, in questo caso, terza estranea al reato (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258647). Ne deriva che, quando il sequestro cd. diretto del profitto del , reato tributario non è possibile nei confronti della società, non è di conseguenza consentito nei confronti dell’ente collettivo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, salvo che la persona giuridica costituisca uno schermo fittizio (sempre Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258646). La ragione di ciò scaturisce dal fatto che i reati tributari non sono ricompresi (ai sensi del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231) nella lista di quelli che consentono il sequestro per equivalente nei confronti di una persona giuridica. Tuttavia l’impossibilità del sequestro del profitto del reato (sequestro cd. diretto o in forma specifica) può essere anche solo transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato. E’ stato anche sottolineato che la fase della ricerca del profitto cd. diretto si esaurisce inevitabilmente nel periodo coincidente con la fase genetica della cautela reale ed immediatamente dopo la sua applicazione, perché il sequestro per equivalente nei confronti dell’autore del reato, e soprattutto il suo mantenimento, supera la questione della reperibilità del profitto diretto da parte della persona giuridica in quanto l’aggressione dei beni per equivalente postula l’impossibilità genetica o funzionale, quantunque in ipotesi transitoria, di ricorrere al sequestro diretto.
4. 2. Può conseguentemente affermarsi il seguente principio di diritto: «Quando si procede per reati tributari, commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, non risulta possibile il sequestro per equivalente sui beni della società, ma nei confronti della società, solo il sequestro dei beni su cui disporre la confisca diretta; invece è legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato sul presupposto dell’impossibilità di reperire il profitto del reato nel caso in cui dallo stesso soggetto non sia stata fornita la prova della concreta esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta. Conseguentemente la capienza del patrimonio della società, relativamente al credito tributario, risulta irrilevante e non consente di escludere il sequestro per equivalente nei confronti dell’imputato».
Nel nostro caso, come sopra visto, il ricorrente non indica la presenza nel patrimonio della società di denaro o di altri beni fungibili o c,(-1 altri beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario, ma solo la capienza del patrimonio sociale, che non risulta sufficiente per l’esclusione del sequestro per equivalente dei suoi beni. Il ricorso deve pertanto rigettarsi con la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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