CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 43843 depositata il 22 settembre 2017
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’appello di Trento, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Rovereto, appellata da FS e GO, condannati per il reato di cui agli artt. 113, 40 cpv. 590, co. 3 cod. pen. ai danni del lavoratore BIASIOLLI Francesco, ha concesso al primo il beneficio della non menzione, confermando nel resto. Si è contestato ai predetti di avere cagionato, nella qualità di presidente del consiglio di amministrazione, il primo, e di dirigente, il secondo, della P. s.r.I., alla p.o., lavoratore dipendente della predetta società, lesioni consistite nello schiacciamento dell’avambraccio e della mano destra, con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni, per colpa consistita in imprudenza, negligenza e imperizia, nonché nella violazione degli artt. 71 co. 1 e 71 co. 2 lett. c) d.lgs. 81/2008, avendo il FS messo a disposizione dei lavoratori una macchina vaglio rotativo priva della prevista protezione atta ad impedire il rischio di contatto degli operatori, il GO omesso di prendere in considerazione, a fronte della mancata protezione, i rischi derivanti dall’impiego del macchinario, facendo sì che il BIASIOLLI, intervenuto con la mano destra nel tentativo di rimuovere la terra accumulatasi in prossimità del cuscinetto del rullo di trasmissione del nastro trasportatore, fosse trascinato e schiacciato tra il rullo di trasmissione ed il primo cuscinetto guida del nastro superiore (in Dro il 04/05/2012).
2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorsi gli imputati a mezzo dello stesso difensore e con separati atti, dal contenuto in buona parte identico. In particolare, la difesa ha formulato quattro separati motivi per il FS e cinque motivi per il GO. I primi tre motivi sono di analogo contenuto per entrambi. Con il primo, la difesa ha dedotto violazione di legge in relazione alla valutazione di non abnormità del comportamento del lavoratore, rilevando che il macchinario era stato predisposto all’uso così come fornito dalla casa produttrice e che i dipendenti avevano ricevuto specifica formazione, anche grazie alla collaborazione di un tecnico della casa produttrice. Con il secondo, ha dedotto vizio della motivazione, sempre con riferimento alla valutazione dell’incidenza della condotta imprudente del lavoratore sulla produzione dell’evento, trattandosi di condotta neppure necessitata dall’impostazione del macchinario e dal processo di lavorazione. Con il terzo, ha dedotto violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante del risarcimento del danno, avuto riguardo alla stipula di apposita posizione assicurativa finalizzata a coprire i danni da attività pericolosa, evidenziando che il mancato tempestivo risarcimento era da imputarsi al comportamento del terzo, compagnia assicuratrice, che aveva osteggiato il risarcimento in assenza di sentenza di condanna.Sotto altro profilo, il deducente ha rilevato che, nel giudizio d’appello, erano stati versati complessivi euro 50.000,00, pari all’importo liquidato a titolo di provvisionale, quanto agli ulteriori danni dovendosi tener conto di quelli versati e versandi da parte dell’INAIL. Con il quarto motivo (quinto per il GO), la difesa ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla quantificazione dell’importo liquidato a titolo di provvisionale, non essendosi la Corte pronunciata sul concorso di colpa del danneggiato. Infine, quanto all’imputato GO, la difesa ha dedotto, con il quarto motivo, violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, alla luce dell’integrale versamento dell’importo liquidato a titolo di provvisionale.
3. La parte civile ha depositato memoria in data 17 giugno 2017, con la quale ha replicato alle argomentazioni difensive esposte nei motivi dei ricorsi, chiedendo la conferma della impugnata sentenza e producendo documentazione.
Considerato in diritto
1. I ricorsi vanno rigettati.
2. La Corte di merito ha respinto il gravame, affermando che gli appellanti avevano sostanzialmente contestato la valutazione dei fatti operata dal Tribunale, assumendo che, al momento della messa in funzione del macchinario, questo non presentava alcun carter di protezione, che era comunque impossibile pulire il rullo a mani nude, che l’infortunato aveva partecipato ai corsi di formazione e che, in occasione dell’infortunio, egli aveva effettuato una manovra non necessaria. A fronte di tali contestazioni, il giudice d’appello ha rilevato che gli Ispettori del Lavoro, intervenuti subito dopo l’incidente, avevano descritto il macchinario in questione (un impianto meccanizzato per il lavaggio e recupero delle sabbie derivanti dalla pulitura delle strade, composto da un nastro trasportatore, con nastro dosatore del vaglio a tamburo, dal trasportatore a nastro per scarico del materiale vagliato, dai nastri per il cumulo dei materiali vagliati e da un quadro di comando), precisando che l’infortunio era avvenuto sul nastro trasportatore che porta il materiale al vaglio, allorché il BIASIOLLI, notato un accumulo di terra in prossimità del rullo di trasmissione del nastro trasportatore, aveva tentato di rimuoverla, rimanendo la sua mano schiacciata tra il rullo di trasmissione e il primo cuscinetto guida del nastro superiore, evento reso possibile dalla mancanza di un carter di protezione del nastro e del rullo di trasmissione del moto. Secondo la ricostruzione recepita dai giudici di merito, inoltre, il carter avrebbe impedito la pulizia del macchinario con il getto d’acqua, come indicato dalla casa costruttrice nel periodo di formazione, avendo quest’ultima segnalato, nella documentazione tecnica di sicurezza consegnata all’acquirente, la necessità che la protezione non fosse mai rimossa per evitare il contatto con le parti in movimento e che ogni intervento fosse effettuato previa verifica della esclusione al 100% di un avvio accidentale del macchinario. L’originaria presenza della protezione in dotazione al macchinario impiegato nel processo lavorativo era stata poi confermata da una riproduzione fotografica, oltre che dalla presenza di fori dislocati sulla tramoggia con evidenza di usura, indicativi dell’originaria presenza del carter di protezione. Peraltro, la Corte territoriale ha svalutato l’importanza della presenza originaria del carter, osservando come sarebbe stato in ogni caso dovere specifico del datore di lavoro e del responsabile della sicurezza non adibire all’uso un macchinario privo di un elementare dispositivo di sicurezza di facile installazione, non mancando di sottolineare l’evidenza dell’omissione a fronte di una specifica previsione contenuta nel documento di valutazione dei rischi, predisposto sia dalla casa costruttrice che dalla P. s.r.l. Quanto alla dedotta abnormità del comportamento del lavoratore, la Corte trentina ha operato un rinvio alla giurisprudenza costante di questa Corte per escludere qualsivoglia incidenza di esso sul decorso causale, nonostante nell’occorso il lavoratore avesse compiuto un gesto imprudente, rimasto tuttavia nell’ambito del rischio tipico della lavorazione, specificamente considerato dal documento predisposto. Infine, il giudice d’appello ha negato l’invocata attenuante del risarcimento del danno, individuando una voce di danno differenziale e un danno da riduzione della capacità lavorativa (quale danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di chance), quantificandoli in misura nettamente superiore alla liquidata provvisionale e concludendo che questa, non esaurendo il danno liquidabile dal giudice civile competente, non poteva dare titolo al riconoscimento dell’attenuante invocata. Ha, infine, escluso una mitigazione della pena in ragione della ritenuta obiettiva gravità del fatto (dando atto che il Tribunale aveva fondato la valutazione della offensività della condotta alla luce della circostanza che il dispositivo di sicurezza era stato predisposto dalla casa costruttrice e rimosso solo dopo, a seguito di una modifica dell’impianto, con aggiunta di una tramoggia di carico esterna, modifica che era stata fatta senza chiedere l’intervento della casa produttrice e “alla buona”, senza procedere ad un nuovo collaudo e senza fornire ai lavoratori una nuova formazione sul funzionamento del macchinario).
3. I primi due motivi di ricorso, formulati nell’interesse di entrambi gli imputati, sono infondati e possono unitariamente trattarsi, attenendo entrambi al tema della valutazione del comportamento del lavoratore e della sua incidenza sul decorso causale. La motivazione rinvenibile nella sentenza impugnata è del tutto congrua, logica e non contraddittoria e rispetto ad essa i motivi si pongono in chiave di mera contestazione della valutazione svolta, sulla scorta di una diversa lettura degli elementi di fatto, preclusa in questa sede di legittimità. La decisione è, peraltro, del tutto conforme alla giurisprudenza costante di questa stessa sezione, che ha più volte affermato che, “In tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale” (cfr. Sez. 4 n. 22249 del 14/03/2014, Rv. 259127). Sempre con riferimento al concetto di “atto abnorme”, si è pure precisato che tale non può considerarsi il compimento da parte del lavoratore di un’operazione che, pure inutile e imprudente, non sia però eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell’ambito del ciclo produttivo (cfr. Sez. 4 n. 7955 del 10/10/2013 Ud. (dep. 19/02/2014), Rv. 259313). L’abnormità del comportamento del lavoratore, dunque, può apprezzarsi solo in presenza della imprevedibilità della sua condotta e, quindi, della sua ingovernabilità da parte di chi riveste una posizione di garanzia. Sul punto, si è peraltro efficacemente sottolineato che tale imprevedibilità non può mai essere ravvisata in una condotta che, per quanto imperita, imprudente o negligente, rientri comunque nelle mansioni assegnate, poiché la prevedibilità di uno scostamento del lavoratore dagli standards di piena prudenza, diligenza e perizia costituisce evenienza immanente nella stessa organizzazione del lavoro. Il che, lungi dall’avallare forme di automatismo che svuotano di reale incidenza la categoria del “comportamento abnorme”, serve piuttosto ad evidenziare la necessità che siano portate alla luce circostanze peculiari – interne o esterne al processo di lavoro – che connotano la condotta dell’infortunato in modo che essa si collochi al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso (cfr. in motivazione Sez. 4 n. 7955/2013 richiamata). Tale comportamento “…è “interruttivo” (per restare al lessico tradizionale) non perché “eccezionale” ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare” (Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Rv. 254094).
4. Anche il terzo motivo, comune ad entrambi gli imputati, è infondato, avendo i ricorrenti, ancora una volta, omesso un confronto con le ragioni del diniego dell’attenuante invocata, con le quali il giudice non ha censurato la circostanza che il risarcimento fosse stato eventualmente eseguito dal terzo, compagnia di assicurazione, ma sottolineato come la somma versata non potesse considerarsi satisfattiva. Ancora una volta, la sentenza risulta del tutto allineata ai principi affermati da questa Corte, secondo cui, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 6 cod. pen., il risarcimento del danno deve essere integrale, comprensivo, quindi, della totale riparazione di ogni effetto dannoso, e la valutazione in ordine alla corrispondenza fra transazione e danno spetta al giudice, che può anche disattendere, con adeguata motivazione, finanche ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa [cfr. sez. 4 n. 34380 del 14/07/2011, Rv. 251508 (in cui la Corte ha precisato che la circostanza attenuante in oggetto ha natura soggettiva, perché la sua “ratio” fonda sulla rilevanza che l’avvenuto risarcimento del danno anteriormente al giudizio assume quale prova tangibile dell’avvenuto ravvedimento del reo e, quindi, della sua minore pericolosità sociale); sez. 6 n. 6405 del 12/11/2015 Ud. (dep. 17/02/2016), Rv. 265831; sez. 2 n. 53023 del 23/11/2016, Rv. 268714], altresì rilevandosi la legittimità dell’assegnazione di una provvisionale in favore della vittima di un infortunio sul lavoro nei cui confronti sia stata già disposta rendita I.N.A.I.L., la quale non risarcisce tutti i danni morali conseguenti al reato (cfr. sez. 4 n. 43387 del 28/09/2007, Rv. 237908 (in cui, in motivazione, la Corte ha altresì precisato che la rendita I.N.A.I.L. si fonda su presupposti solidaristici differenti da quelli propri del risarcimento del danno)].
5. Il quarto motivo formulato nell’interesse del FS e il quinto formulato nell’interesse del GO sono parimenti infondati, rilevandosi come le statuizioni del giudice in ordine alla quantificazione delle percentuali di concorso delle colpe del reo e della vittima nella determinazione causale dell’evento costituiscano apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità [cfr. sez. 4 n. 43159 del 20/06/2013, Rv. 258083; n. 4537 del 21/12/2012 Ud. 8dep. 29/01/2013), Rv. 255099] e che, nel caso di specie, il giudice di merito ha ritenuto che il gesto, pur imprudente, del lavoratore era stato da questi automaticamente compiuto, ponendosi all’interno dell’area di rischio oggetto delle regole di salvaguardia violate.
6. Infine, è infondato anche il quarto motivo formulato nell’interesse dell’imputato GO, avendo la Corte ancorato alla obiettiva gravità del fatto la decisione di non addivenire ad alcuna riduzione della pena irrogata ed essendo le doglianze in merito alla mancata sospensione condizionale della pena connotate da estrema genericità, non avendo la parte tenuto conto della ritenuta non satisfattività dell’importo versato a titolo di provvisionale e del giudizio formulato dal giudice di merito in ordine alla gravità della condotta. Peraltro, deve pure rilevarsi che, già nella sentenza di primo grado, la posizione dei due imputati, sul versante della dosimetria della pena, era stata differenziata in maniera tutt’altro che irragionevole, avuto riguardo alla positiva valutazione della personalità dell’uno (FS), siccome soggetto incensurato, giudicato meritevole del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e del beneficio della sospensione condizionale, laddove dal certificato del casellario giudiziale del GO emerge che costui annovera prceedenti penali anche specifici.
7. Al rigetto segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e alla rifusione in solido delle spese sostenute dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché – in solido – al rimborso delle spese di giudizio in favore della parte civile, liquidate in Euro 2.500,00 oltre ad accessori di legge.
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