CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 48939 depositata il 25 ottobre 2017
Omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali – Responsabilità penale – Esclusione della punibilità per particolare tenuità – Non sussiste – Condotte reiterate
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
1. C.G. ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale, decidendo in sede di rinvio, la Corte d’appello di Brescia ha dichiarato la penale responsabilità del ricorrente per il reato di omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali, relativamente al periodo marzo-ottobre 2007.
2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’applicazione del disposto dell’art. 131-bis c.p., norma entrata in vigore successivamente all’emissione della sentenza impugnata, che riguarda una fattispecie per la quale attualmente è richiesto il superamento della soglia di 10.000 euro, onde la gravità del fatto addebitato al ricorrente risulta assai ridimensionata. I precedenti penali dell’imputato ineriscono, d’altronde, a fattispecie abrogate.
2.1. La Corte d’appello non ha motivato in merito alla sussistenza dei fatti ascritti all’imputato e anche con riguardo al dolo ha svolto soltanto argomentazioni in diritto e non inerenti specificamente al caso in esame.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.
3. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Il tenore testuale dell’art. 131- bis cod. pen. è, infatti, assolutamente inequivoco nell’escludere la concedibilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto laddove si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte reiterate. Orbene, risulta dalla motivazione della sentenza impugnata che, nel caso di specie, ci si trova di fronte ad una condotta omissiva reiterata, poiché il mancato versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali riguarda i mesi intercorrenti tra marzo e ottobre 2007. Dunque la causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. non può essere ravvisata nel caso in esame.
4. Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, in quanto la Corte d’appello è stata investita della cognizione della regiudicanda quale giudice di rinvio. L’area del giudizio era pertanto rigidamente circoscritta ai punti individuati dalla pronuncia rescindente, che aveva annullato esclusivamente sulla tematica inerente alla sussistenza del dolo. Si collocava dunque fuori dal perimetro della cognizione del giudice d’appello la problematica relativa all’accertamento del fatto, sulla quale si era formato il giudicato, ex art. 624 cod. proc. pen.
5. La doglianza concernente la motivazione in ordine alla sussistenza del dolo si colloca al di fuori dell’area della deducibilità nel giudizio di cassazione, ricadendo sul terreno del merito. Le determinazioni adottate dal giudice a quo, in ordine al profilo in disamina, sono quindi insindacabili ove siano supportate da motivazione esente da vizi logico-giuridici. Al riguardo, il giudice a quo ha evidenziato che il Tribunale aveva annesso rilievo alla prova, fornita dall’imputato,come unico argomento difensivo, che la società da lui amministrata versava, nel periodo di riferimento, in una situazione economica in fase di progressivo e grave peggioramento, che avrebbe comportato, poco dopo, la sua dichiarazione di fallimento, onde non poteva essere ravvisato l’elemento psicologico del reato. Il giudice a quo ha adeguatamente confutato tale argomentazione, ponendo in rilievo che il dolo dell’omesso versamento è integrato dalla consapevole scelta, da parte dell’imprenditore, di non effettuare i prescritti versamenti e, prima ancora, di non accantonare le somme dovute all’Istituto, adempimento a cui egli è tenuto anche se ciò possa riflettersi negativamente sulla possibilità di pagare integralmente le retribuzioni, a nulla rilevando la sussistenza di una fase di criticità finanziaria né la destinazione di risorse economiche al pagamento di debiti ritenuti più urgenti.
L’impianto argomentativo a sostegno del decisum è dunque puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l’iter logicogiuridico esperito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità.
Esula d’altronde dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa – e, per il ricorrente, più adeguata – valutazione delle risultanze processuali (Sez. U., 30-4-1997, Dessimone, Rv. 207941).
6. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila, determinata secondo equità, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
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