CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 5448 depositata il 6 febbraio 2018
Reati tributari – Evasione fiscale – Dichiarazione infedele – Elementi passivi fittizi – Fatture per operazioni inesistenti – Condanna – Applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.p. – Necessario integrale pagamento debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza impugnata, il g.u.p. del tribunale di Bergamo, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, ritenuta la continuazione e operata la riduzione del il rito, applicava all’imputata, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., la pena di anni due di reclusione, condizionalmente sospesa, in relazione al reato di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen., 2 d.lgs. n. 74 del 2000 perché, in qualità di legale rappresentate della “S.F. s.r.l.”, con sede in Grassobbio, via (…), in tempi diversi ma in esecuzione del medesimo disegno criminoso, al fine di evasione fiscale, nella dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto degli anni 2009, 2010, 2011 e 2012, indicava elementi passivi fittizi, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti, puntualmente indicate nel capo di imputazione per ciascuna annualità; peraltro, il g.u.p. dichiarava non doversi procedere in relazione al reato in esame, con riguardo all’annualità del 2008, per intervenuta prescrizione.
2. Avverso l’indicata sentenza propone ricorso per cassazione il P.G. territoriale, affidato a un unico motivo, incentrato sulla violazione dell’art. 13-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000.
Osserva il ricorrente che l’ammissione all’applicazione della pena su richiesta della parti, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., è subordinata, per tutti i reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, o all’integrale estinzione del debito tributario, compresi oneri e accessori, ovvero all’ipotesi di ravvedimento operoso. Nel caso di specie, dalla sentenza impugnata non emergerebbe la sussistenza delle due situazioni, alternativamente previste dall’art. 13-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, sicché l’accesso al rito speciale era da considerarsi precluso.
Infine, nota il ricorrente che l’art. 13-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, sebbene introdotto dall’art. 12, comma 1, d.lgs. 24 settembre 2015, n, 158, troverebbe applicazione nel caso in esame, in forza del principio tempus regit actum, trattandosi di una disposizione processuale, la quale, in assenza di norme transitorie derogatorie, opera indistintamente in relazione a tutti i processi in corso, senza che abbia rilievo la data del commesso reato.
3. Con memoria depositata in data 19 dicembre 2017, il difensore dell’imputata ha dedotto questione di illegittimità costituzionale dell’art. 13 bis d.lgs. n. 74 del 2000, in relazione agli artt. 3, 24, 111 e 113 Cost. e 6 e 14 CEDU. Assume il difensore che la norma impugnata si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 Cost. e 14 CEDU, perché determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento fra imputati di reati tributari, in relazione alla loro capacità economica, potendo accedere al rito alternativo solo gli imputati più abbienti, e al loro ruolo all’interno della società rappresentata, non potendo parimenti accedere al rito in esame chi è stato legale rappresentante della società, ma non lo è più, sicché a costoro è preclusa la possibilità di provvedere al pagamento del debito tributario tramite le risorse della società. La norma si porrebbe poi in contrasto sia con gli artt. 24 Cost. e 6, par. 3, lett. b) CEDU, in ragione dell’impedimento all’esercizio di scelte processuali idonee a risultati più vantaggiosi sulla base della situazione economica dell’imputato, sia con l’art. 113 Cost., stante l’impossibilità di sindacare il debito tributario, una volta che il soggetto abbia pagato il debito medesimo al solo scopo di accedere al rito speciale.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato.
2. L’art. 13-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, nella formulazione introdotta dall’art. 12, comma 1, d.lgs. n. 158 del 2015. stabilisce espressamente che, per i delitti di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, l’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. può essere chiesta dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1, ossia l’integrale pagamento, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, dei debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi – e sempre che non si tratti dei reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000 in relazione ai quali l’integrale pagamento del debito tributario configura una causa di non punibilità – ovvero in presenza di ravvedimento operoso – ad accezione, in tal caso, dei reati di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. n. 74 del 2000, in relazione ai quali il ravvedimento operoso integra parimenti una causa di non punibilità.
La norma, peraltro, in relazione alle condizioni di accesso al “patteggiamento” non ha una portata innovativa, perché l’art. 13, comma 2-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, nella formulazione introdotta dall’art. 9 I. 25 giugno 1999, n. 205, aggiunto dall’art. 2, comma 36-vicies semel, lett. m), d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, in I. 14 settembre 2011, n. 148, stabiliva già che, per i delitti di cui al d.lgs. 10 marzo 2000, le parti possono accedere al “patteggiamento” solo ove ricorra l’attenuante prevista dai commi 1 e 2 dello stesso art. 13, e, cioè, solo se i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei predetti delitti – comprensivi delle sanzioni amministrative – siano stati estinti, mediante pagamento, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.
In ogni caso, trattandosi di una disposizione processuale, in quanto il legislatore ha introdotto un’esclusione oggettiva dal “patteggiamento”, riferita alla generalità dei delitti in materia tributaria previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000 (cfr. Corte cost., sent. n. 95 del 2015), l’art. 13-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000 trova applicazione in relazione a tutti i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore dalla norma, indipendentemente dalla data di commissione del reato.
3. Nel caso in esame, né dall’istanza ex art. 444 cod. proc. pen. sottoscritta dalla Cavalieri in data 27 aprile 2017, né dalla sentenza impugnata risulta che l’imputata abbia soddisfatto una delle condizioni alternativamente previste per l’accesso al rito speciale; la sentenza deve perciò essere annullata senza rinvio e gli atti trasmessi al g.u.p. del tribunale di Bergamo per l’ulteriore corso.
4. Infine, va osservato che la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 13-bis d.lgs. n. 74 del 2000, ventilata dalla difesa, è priva di rilevanza nel giudizio davanti alla Corte di cassazione.
Secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale (ex plurimis, cfr. ordinanze n. 184 del 2017, n. 259 del 2016, n. 161 del 2015), non è, infatti, rilevante la questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto un contenuto normativo che attiene al compimento di un atto processuale inserito in una fase successiva a quella in cui versa il giudizio a quo.
Questa Corte, infatti, non deve fare applicazione della norma censurata, la quale verrà in rilievo nella successiva fase del giudizio di rinvio davanti al giudice di merito, alla cui cognizione è rimessa la verifica, in concreto, dei presupposti applicativi della norma medesima, presupposti che, peraltro, questa Corte non è nemmeno nelle condizioni di poter apprezzare.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al tribunale di Bergamo.
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