CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 5459 depositata il 6 febbraio 2018
Reati associativi e di bancarotta fraudolenta – Riciclaggio non adeguatamente provato – Sequestro equivalente – Non ammesso – Applicazione misura cautelare al reato di riciclaggio e non a quello di ricettazione
Ritenuto in fatto
Con la ordinanza impugnata il Tribunale della Libertà di Salerno, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal P.m. presso il Tribunale di Salerno, disponeva il sequestro preventivo ai fini di confisca in forma diretta di somme di denaro anche nei confronti di G.S. (quanto ad euro 1.603.597 per il profitto conseguito con le condotte di cui ai capi di imputazione 3, 4, 5, 6 e 9) ) e per equivalente nei confronti di P.L. (quanto ad euro 330.000 per il profitto conseguito con le condotte di cui al capo di imputazione 34), B.P. (quanto ad euro 983.411 per il profitto conseguito con le condotte di cui al capo di imputazione 17) ed ancora nei confronti di G.S. (quanto ad euro 298.662 per il profitto conseguito con le condotte di cui al capo di imputazione 7), e ciò in relazione alla ipotesi di delitto di cui agli artt. 416 cod. pen., a svariate ipotesi di bancarotta fraudolenta e a ulteriori ipotesi di cui agli artt. 648 bis e ter cod. pen..
Il G.i.p. del Tribunale di Salerno rigettava la originaria richiesta di sequestro avanzata dal P.m. in forma diretta in ordine ai reati associativi e di bancarotta fraudolenta ritenendo, in sintesi, non dimostrata l’esistenza di una diretta derivazione causale del denaro che si intendeva vincolare dall’attività delittuosa ipotizzata a carico degli indagati ed il rapporto di stretta connessione tra le risorse economiche per le quali si era avanzata richiesta di sequestro e la condotta illecita perseguita. Più in particolare, il G.i.p. aveva rilevato che il P.m., sul quale incombeva il relativo onere probatorio, non aveva indicato né tanto meno dimostrato che le somme distratte fossero confluite sui conti correnti degli indagati e ivi rimaste in giacenza per oltre sei anni, ovvero fossero state investite in titoli, polizze, beni immobili o mobili registrati, non essendo stati ricostruiti i flussi finanziari attraverso i quali il denaro distratto sarebbe pervenuto nella disponibilità degli indagati. Inoltre, quanto al reato associativo, il G.i.p. rigettava perché anche in questo caso il profitto non poteva dirsi ricollegato direttamente a tale o tipologia di reati, senza che fosse stata fornita alcuna indicazione specifica dell’effettivo profitto realizzato da ciascun associato.
Quanto alla richiesta di sequestro per equivalente il G.i.p. la rigettava in quanto in ordine ai reati di riciclaggio riteneva la coincidenza tra gli indagati chiamati a rispondere di concorso in bancarotta fraudolenta e quelli ai quali era stato attribuito il reato di riciclaggio o di impiego di denaro di provenienza illecita.
Quanto ai reati tributari, infine, il G.i.p. rigettava la richiesta in quanto la finalità concretamente perseguita con la emissione e utilizzazione delle fatture per operazioni inesistenti era esclusivamente quella di realizzare lo svuotamento delle casse aziendali e non si riveniva, dunque, il dolo specifico di evasione.
Avverso tale diniego interponeva, come detto, appello il P.m., appello che in parte veniva accolto con il provvedimento qui impugnato dagli indagati G.S., P.L. e B.P..
1.1 Denunziano i ricorrenti G.S. e P.L., con un unico ricorso a firma degli avv.ti P.C. e G.D.M., con un primo motivo vizio di violazione di legge in relazione all’art. 240 cod. pen. in relazione alla asserita sussistenza del rapporto di pertinenzialità tra la somma sottoposta a sequestro ai fini della confisca in forma diretta ed i reati contestati al G.S. ai capi 3, 4, 5 6 e 9 della rubrica.
Osserva la difesa che il tribunale del riesame aveva rilevato che almeno una parte delle somme distratte dal patrimonio sociale con le condotte di bancarotta era transitata sui conti correnti personali del G. e che non occorreva ai fini dell’emissione della misura cautelare reale che sussista l’ulteriore prova che tali somme siano rimaste in giacenza sino all’attualità su tali conti ovvero siano reinvestite in altri beni, e ciò in ragione della natura fungibile del denaro ed essendo sufficiente la prova dell’accrescimento numerario e degli indizi di derivazione di tale accrescimento dall’attività illecita. Il Tribunale del riesame aveva, poi, evidenziato che le rimesse di denaro sul conto personale del G. non trovavano giustificazione dal punto di vista contrattuale o formale avendo le società cd. cartiere e collaboratrici rapporti formali solo con la Fonditori società cooperativa e che, pertanto, nei limiti indicati, poteva addivenirsi al sequestro in forma diretta delle somme di denaro che si trovavano nell’attuale disponibilità dell’indagato.
Si osserva da parte della difesa che, dopo il provvedimento di diniego del G.i.p. (la cui ratio si fondava sulla mancata prova da parte del P.m. istante del rapporto di derivazione diretta dell’accrescimento numerario dall’attività illecita ipotizzata a carico dell’indagato), il Tribunale del riesame aveva semplicemente affermato che – ai fini del sequestro finalizzato alla confisca diretta – erano sufficienti i dati emergenti dalla consulenza tecnica del P.m. dove tuttavia erano stati genericamente indicati alcuni versamenti effettuati sul conto corrente del G., senza ricostruire il percorso seguito dalle somme asseritamente distratte ed omettendo ogni indagine volta ad accertare che le somme di denaro versate fossero realmente quelle riconducibili alle contestate attività distrattive.
1.2 Con un secondo motivo si declina sempre violazione di legge in relazione agli artt. 648 bis e 648 ter cod. pen. in ragione della ritenuta configurabilità dei delitti di riciclaggio e di impiego di beni di provenienza illecita come contestato al capo 34 della rubrica in relazione alla posizione di P.L., e ciò con riferimento a condotte antecedenti alla consumazione del reato presupposto di bancarotta fraudolenta e comunque vizio di mancanza assoluta di motivazione in ordine alla ipotizzata sussistenza delle condotte integranti il reato di appropriazione indebita.
Si evidenzia che il tribunale del riesame aveva superato la eccezione di inconfigurabilità dei reati di cui agli artt. 648 bis e 648 ter cod. pen. per il mancato perfezionamento del reato presupposto (e cioè il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione), realizzatosi solo successivamente con la sentenza dichiarativa di fallimento emessa in data 24 marzo 2014, richiamando l’indirizzo esegetico secondo cui sussiste il reato di riciclaggio e di ricettazione anche qualora le distrazioni fossero ab origine qualificabili come appropriazioni indebite.
Sul punto si evidenziava da parte della difesa il fatto che esisteva un orientamento esegetico espresso sempre dalla Suprema Corte contrario a quello da ultimo menzionato.
Si denunzia, comunque, il difetto assoluto di motivazione giacché il tribunale del riesame dopo aver affermato il principio di diritto sopra ricordato non aveva in alcun modo motivato in ordine alla effettiva sussistenza nel caso di specie del reato di appropriazione indebita.
1.3 Con un terzo motivo si articola vizio di violazione dell’art. 648 bis cod. pen. in relazione alle condotte contestate al G.S. per il capo 7 della rubrica, con conseguente illegittimità del sequestro per equivalente disposto ai sensi dell’art. 648 quater cod. pen. e, comunque, difetto assoluto di motivazione con riferimento all’ipotizzato reato di riciclaggio sempre contestato al capo 7.
Sul punto la difesa dell’indagato aveva già evidenziato in sede di riesame che la condotta contestata al capo 7 doveva essere riqualificata ai sensi dell’art. 648 cod. pen. giacché il Giunta si sarebbe limitato a ricevere sul conto corrente la somma di euro 298.662 senza adottare alcun espediente volto ad ostacolare l’accertamento dell’origine illecita della predetta somma di denaro.
Orbene il tribunale del riesame – richiamando sul punto una giurisprudenza espressa da questa Corte e secondo la quale il delitto di riciclaggio sarebbe integrato anche da condotte finalizzate non solo ad impedire ma anche a rendere semplicemente più difficile l’accertamento della provenienza illecita dei beni attraverso qualsiasi espediente – aveva ritenuto pertanto configurabile il delitto di riciclaggio anche nel caso di specie, atteso che il versamento sul conto personale era comunque finalizzato a creare una schermatura alla provenienza illecita del denaro.
Tale conclusione era invece da considerarsi inaccettabile ed illegittima perché fondata su una errata esegesi dell’arresto giurisprudenziale richiamato (ove il nascondimento del denaro era avvenuto con un sistema complesso di “conti di sponda”) e perché, per la configurabilità del reato di riciclaggio, occorre un quid pluris consistente nel compimento da parte dell’agente di un attività volte ad ostacolare la tracciabilità della provenienza del bene.
Ne conseguiva la non applicabilità al caso di specie del disposto normativo di cui all’art. 648 quater cod. pen. in tema di sequestro per equivalente perché applicabile alle fattispecie delittuose previste dagli artt. 648 bis e 648 ter cod. pen., e non già per il reato di ricettazione.
Si evidenzia, altresì, la non configurabilità del reato contestato anche in ragione del fatto che il Giunta non poteva ritenersi totalmente estraneo alle condotte distrattive integranti il reato presupposto, e ciò anche in considerazione della circostanza che all’indagato era stata anche addebitata la condotta di aver promosso e diretto una associazione a delinquere che avrebbe operato sino alla data del fallimento della F. al fine di commettere reati tributari e di bancarotta volti a determinare lo svuotamento del patrimonio sociale attraverso un sistema che prevedeva l’emissione di fatture oggettivamente inesistenti da parte delle imprese collegate alla famiglia V..
Ne conseguiva che l’affermata autonomia delle condotte ascrivibili al R. e al G. costituiva una mera finzione integrante gli estremi della motivazione apparente.
1.4 Con un quarto motivo si censura l’ordinanza impugnata per violazione di legge in relazione all’art. 648 ter cod. pen. per le condotte contestate alla Palanca al capo 34 con conseguente illegittimità del sequestro per equivalente disposto ai sensi dell’art. 648 quater cod. pen. e, comunque, per vizio di carenza assoluta di motivazione sul medesimo punto.
Si evidenzia che il tribunale del riesame aveva accolto la cautela per un importo pari ad euro 330.0 in ordine ai versamenti effettuati in favore della P. s.r.l., e ciò a partire dalla data di entrata in vigore dell’art. 648 quater cod. pen. (e, cioè, dal 21.11.2007) sino a quando la Palanca era rimasta socia della stessa P. (e, cioè, sino al 3.11.2009).
La prova della conoscenza da parte dell’indagata della provenienza illecita dei fondi sopra descritti discenderebbe – secondo il ragionamento del tribunale impugnato – dal fatto che l’indagata, quale socia e delegata della fiduciaria della Monte dei Paschi di Siena dell’attività di finanziamento della P., era consapevole che i fondi investiti provenivano da bonifici non solo da un conto corrente cointestato al marito, ma addirittura da un conto della quale solo lei ricorrente era intestataria, come emergerebbe dalla lettura dei verbali di assemblea dei soci.
Tale conclusione sarebbe fondata su una motivazione apparente giacché riposerebbe – secondo gli assunto della difesa – su un evidente travisamento dei fatti. Invero, osserva la difesa che l’asserita partecipazione della Palanca alle assemblee della P. s.r.l. non dimostrerebbe la consapevolezza della origine illecita delle somme fatte pervenire dal coniuge, S.G., sui conti della società ed utilizzate per l’acquisto delle quote di partecipazione che la CFI aveva in F.. E ciò perché – prosegue la difesa – il G. aveva un consistente patrimonio personale e redditi molto elevati, comunque idonei a giustificare l’entità degli investimenti sopra descritti e a far ritenere alla Palanca che tali investimenti non fossero finanziati con il giro di fatture false per operazioni inesistenti cui l’indagata era totalmente estranea.
Peraltro era da considerarsi erroneo il presupposto – invece valorizzato in motivazione – secondo cui i finanziamenti erano transitati su un conto corrente intestato solo alla Palanca.
2. Ricorre anche l’indagato B.P., con il patrocinio degli Avv.ti A.D. e G.A..
2.1 Con il primo motivo denunzia violazione di legge in relazione all’art. 2 e 648 quater, cod. pen.. Si osserva che la confisca per equivalente prevista dall’art. 648 quater cod. pen. era stata introdotta dall’art. 63, 4 comma, d.lgs. 231/2007, entrato in vigore il 29.12.2007. Stante la natura eminentemente sanzionatoria della misura richiesta del sequestro per equivalente, occorrevano applicare le guarentigie di cui all’art. 2 cod. pen.e all’art. 25 Cost.in punto di irretroattività della norma penale. E così, osserva sempre la difesa, essendo il reato contestato all’indagato un reato istantaneo ed essendo la condotta contestata al B. quella di aver effettuato, nella qualità di amministratore della P. srl, acquisti di quote della Fonditori società cooperativa detenuto dalla Compagnia Finanza Impresa, occorreva concludere, anche sulla base della documentazione allegata in questa sede, che sebbene l’operazione di acquisto di quote fosse stata contabilizzata in data 2.1.2008, la stessa era stata commessa, ai fini dell’accertamento del momento consumativo del reato, prima del 29.12.2017 e dunque occorreva restringere l’importo oggetto di tale sequestro alla somma pari ad euro 280.000, e non già estenderlo all’intera somma oggetto di contestazione.
2.2 Con un secondo motivo si articola vizio di carenza assoluta di motivazione sui presupposti applicativi del titolo cautelare.
Osserva la difesa che il tribunale del riesame avrebbe fondato il giudizio sul fumus dei delitti di cui all’art. 648 bis e ter cod. pen. sulla apodittica e non dimostrata affermazione che dai dati contabili e bancari riscontrati emergerebbe che i versamenti oltre che dai conti correnti del Barbato sarebbero intervenuti dai conti della P., quale denaro proveniente dalla emissione delle fatture per operazioni inesistenti. Si evidenzia che risulta circostanza sottolineata nella stessa ordinanza impugnata che i flussi finanziari su P. provenivano in modo tracciato attraverso normali canali bancari dai conti di S.G. e P. e mai direttamente attraverso il conto degli altri indagati.
Ciò posto, denunzia la difesa del ricorrente la erroneità giuridica della motivazione impugnata in primo luogo in relazione alla coincidenza della condotta distrattiva con quella appropriativa e la possibile configurabilità del delitto di reimpiego prima della dichiarazione di fallimento.
Sul punto la difesa evidenzia che l’ordinanza impugnata si era limitata a rilevare che la P. s.r.l. era stata finanziata attraverso i finanziamenti in un conto soci c/finanziamenti infruttiferi ma nulla era dato sapere come quest’ultimo fosse stato alimentato, da dove i soci avessero tratto le risorse per finanziare la P. s.r.l. e, dunque, se le somme impiegate in quest’ultima società provenissero da condotte qualificabili come delittuose e in particolare come frutto di appropriazione ex art. 646 cod. pen..
Si evidenzia, inoltre, la mancanza di motivazione in ordine all’inapplicabilità della clausola di riserva di cui all’art. 648 ter cod. pen.. Sul punto si deduce che il B. era indagato anche come partecipe alla associazione che era diretta anche alla commissione di reati finanziari e di bancarotta. Se così è, allora non sarebbe spiegabile – denunzia la difesa – la sua estraneità ai reati presupposto.
Si evidenzia, inoltre, che per la integrazione dei reati di cui agli artt. 648 bis e 648 ter cod. pen. occorre che le condotte siano dirette ad ostacolare l’accertamento sull’origine delittuosa del denaro.
Ciò posto risulterebbe difficile comprendere – secondo le doglianze della difesa – come il predetto effetto dissimulatorio possa configurarsi in relazione ad una operazione finanziaria avvenuto tramite canali bancari per soddisfare oltre tutto l’esigenza di un socio pubblico che aveva necessità di uscire dal capitale della Fonditori società cooperativa.
Si denunzia, infine, la mancanza di motivazione, in punto di astratta configurabilità dei reati di cui agli artt. 648 bis e ter cod. pen., relativamente all’elemento soggettivo del reato che si configura come dolo generico. Si osserva che il fumus criminis si ricaverebbe nella ordinanza impugnata dalle dichiarazioni accusatorie rese dal G. e dal L., quest’ultimo avendo rese dichiarazioni spontanee che, sulla scorta del suo decesso, renderebbero fruibili le dichiarazioni stesse.
Sul punto mancherebbe un approfondimento motivatorio in punto di consapevolezza del B. circa la provenienza illecita delle somme oggi oggetto del provvedimento cautelare.
Si denunzia, inoltre, la inconfigurabilità astratta della fattispecie delittuosa contestata all’indagato in quanto il reato di cui all’art. 648 ter 1 cod. pen. era stato introdotto con la I. n. 186 del 2014 e dunque in epoca successiva alla data di dimissioni del Dott. P. B. dalla P. s.r.l..
2.3 Con un terzo motivo si articola vizio argomentativo in ordine alla natura del profitto di reato della somma pari ad euro 13.411.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è fondato nei limiti qui di seguito precisati.
3.1 Quanto al ricorso presentato congiuntamente dagli indagati G. e P., è fondato il terzo motivo relativo al capo di imputazione 7 che attinge il G..
Nel resto il predetto ricorso è infondato.
Occorre, pertanto, esaminare prima i motivi di ricorso infondati presentati, in particolare, dal G..
Sul punto è d’obbligo evidenziare, in primo luogo, un preliminare profilo di aspecificità del primo motivo di ricorso che, in realtà, non si confronta con le corrette argomentazioni dispiegante nella motivazione impugnata, limitandosi ad operare un confronto tra la motivazione resa dal G.i.p. – ritenuta corretta – e quella resa dal Tribunale del riesame di cui, invece, viene denunziata la illegittimità.
Non è invece rintracciabile la denunziata violazione di legge.
3.1.1 Sul punto la giurisprudenza di questa Corte ha evidenziato che qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato (Sez. U, Sentenza n. 31617 del 26/06/2015 Ud., dep. 21/07/2015).
Ciò detto, la motivazione impugnata, che – peraltro – nel caso di specie è censurabile solo nei ristretti limiti di cui all’art. 325 cod. proc. pen. (e cioè, nei limiti del vizio di violazione di legge), ha comunque motivato anche in ordine al vincolo di pertinenzialità tra il denaro oggetto di sequestro ed il reato distrattivo contestato (così, come richiesto da Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16008 del 12/02/2015 Cc. (dep. 16/04/2015) Rv. 263702 ), così evidenziando il rilevato accrescimento del conto corrente e la riconducibilità di tale accrescimento alla attività delittuosa oggetto di contestazione, e ciò anche in mancanza di giustificazioni fornite sul punto dagli indagati (cfr. pagg. 12, 13 e 14 della ordinanza impugnata).
Ciò che si vuol significare è che la ordinanza impugnata è andata ben oltre i suoi obblighi motivatori, evidenziando il sopra richiamato vincolo di pertinenzialità e comunque di derivazione tra le somme oggetto di sequestro e l’attività delittuosa contestata. Ne discende che non è ipotizzabile né l’apparenza di motivazione né tanto meno la denunziata violazione di legge.
3.2 Anche il secondo motivo di doglianza è infondato.
3.2.1 Come correttamente argomentato anche nella motivazione impugnata (cfr. pagg. 11 e 12), i delitti di ricettazione e riciclaggio riguardanti il provento del reato di bancarotta fraudolenta sono configurabili anche nell’ipotesi di condotte distrattive compiute prima della dichiarazione di fallimento, in tutti i casi in cui tali condotte erano “ab origine” qualificabili come appropriazione indebita ai sensi dell’art. 646 cod. pen., per effetto del rapporto di progressione criminosa esistente fra le fattispecie che comporta l’assorbimento di tale ultimo delitto in quello di cui all’art. 216 L.F. quando il soggetto, a danno della quale l’agente ha realizzato la condotta appropriativa, venga dichiarato fallito (Sez. 5, Sentenza n. 572 del 16/11/2016 Cc. (dep. 05/01/2017) Rv. 268600; Sez. 2, n. 33725 del 19/04/2016, Dessi, Rv. 267497). Una opzione esegetica, quest’ultima, che è condivisibile, in considerazione del rapporto in cui si trovano il delitto di appropriazione indebita (aggravata ai sensi dell’art. 61 n. 11 cod. pen., in considerazione delle qualità dei soggetti agenti; e quindi anche procedibile d’ufficio) e il delitto di bancarotta patrimoniale in ragione del quale il secondo assorbe il primo (ai sensi dell’art. 84 cod. pen., divenendo l’appropriazione un elemento costitutivo della bancarotta: così Sez. 5, n. 2295 del 03/07/2015, Marafioti, Rv. 266018) quando la società, a danno della quale l’agente ha realizzato la condotta appropriativa (che diviene distrattiva), venga dichiarata fallita.
La diversa opinione (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 23052 del 23/04/2015) non tiene, infatti, conto di tale progressione criminosa e finisce per affermare l’irrilevanza penale delle indicate condotte di appropriazione indebita solo perché le stesse sono state erroneamente qualificate come condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in contrasto con il potere, ed il dovere, del giudice di attribuire al fatto storico sottoposto al suo giudizio l’esatta qualificazione giuridica. Del resto questa Corte ha anche affermato che, ai fini della configurabilità del reato di riciclaggio, non si richiedono l’esatta individuazione e l’accertamento giudiziale del delitto presupposto, essendo sufficiente che lo stesso risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti ed interpretati secondo logica, almeno astrattamente configurabile (Sez. 6, n. 28715 del 15/02/2013, Alvaro, Rv. 257206).
3.2.2 In relazione all’ulteriore profilo di carenza assoluta di motivazione denunziato in ordine al diverso reato di appropriazione indebita, va evidenziato che per legittimare la richiesta di sequestro preventivo occorre ipotizzare la ricorrenza di una ipotesi di reato (di cui peraltro il P.m. istante ha delineato la ricorrenza in relazione alla ipotesi distrattiva da considerarsi, per quanto sopra detto, assorbente) e che pertanto deve ritenersi assolto da parte della pubblica accusa e da parte del tribunale impugnato l’obbligo motivatorio in relazione alla prospettazione del fumus criminis.
4. Il terzo motivo di doglianza è invece fondato sotto due profili.
4.1 Occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. anche Sez. 2, Sentenza n. 30265 del 11/05/2017 Ud. (dep. 16/06/2017 Rv. 270302), il delitto di riciclaggio si distingue da quello di ricettazione in relazione all’elemento materiale, che si connota per l’idoneità ad ostacolare l’identificazione della provenienza del bene e all’elemento soggettivo, costituito dal dolo generico di trasformazione della cosa per impedirne l’identificazione (così, anche Sez. 2, Sentenza n. 48316 del 06/11/2015 Cc. (dep. 07/12/2015 ) Rv. 265379; Sez. 2, Sentenza n. 10746 del 21/11/2014 Ud. (dep. 13/03/2015) Rv. 263155).
Orbene, la motivazione impugnata non risponde correttamente al profilo da ultimo tratteggiato, incorrendo nella denunziata violazione di legge nella misura in cui ha configurato il reato ipotizzato nel capo 7 della imputazione provvisoria (riciclaggio a carico del Giunta) sulla base del solo profilo della ricezione delle somme oggetto delle distrazioni. Ed invero, l’elemento essenziale ai fini della qualificazione giuridica del fatto nel reato di cui all’art. 648-bis cod. pen. è la idoneità della condotta ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene, in presenza della quale, il concreto intento di lucro, può valere a rafforzare, ma non ad escludere, il dolo generico del riciclaggio.
Occorre pertanto che il Tribunale del riesame riesamini la questio facti alla luce del principio di diritto qui riaffermato.
4.2 In ordine, ancora, al vizio di carenza assoluta di motivazione ovvero di motivazione apparente per la partecipazione del Giunta al reato presupposto, occorre concordare con quanto denunziato dalle difese, atteso che la mera indicazione del Giunta come soggetto che non rivestiva cariche sociali nelle società oggetto di distrazioni rappresenta, all’evidenza, solo un simulacro di motivazione che, pertanto, non si confronta con il rilevante argomento che il Giunta viene descritto, nello stesso capo di imputazione, come l’organizzatore ed il promotore dell’associazione a delinquere volta alla commissione di svariate ed indeterminate ipotesi di bancarotta distrattiva, non potendosi conciliare, per la clausola di salvezza prevista negli artt. 648 bis e ter cod. pen., il ruolo di distrattore di beni delle società fallite con quella di riciclatore degli stessi beni.
Anche in tal caso occorre un approfondimento argomentatativo della questione prospettata dalle difese.
5. Il quarto motivo – articolato in relazione al capo di imputazione 34 ascritto alla Palanca – è invece infondato.
Si contesta la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 648 bis cod. pen. in capo alla ricorrente Palanca con argomentazioni che in realtà evidenziano, al più, un vizio argomentativo, come tale non denunziabile in questo peculiare giudizio di legittimità ove la cognizione giudiziale è astretta nei limitati vincoli del vizio di violazione di legge.
Ad ogni buon conto, la motivazione impugnata, sul punto qui da ultimo in discussione, non può ritenersi né apparente né tanto meno inesistente, atteso che emerge in modo evidente dallo scrutinio del materiale indiziario sin qui raccolto che l’indagata fosse a conoscenza della provenienza illecita dei fondi oggetto dell’illecito reinvestimento. Ed invero, dalla lettura dei verbali delle assemblee dei soci emergerebbe chiaramente che l’indagata, quale socia e delegata della fiduciaria della Monte dei Paschi di Siena nell’attività di finanziamento della P., era del tutto consapevole che i fondi investiti provenivano da bonifici effettuati non solo da un conto corrente cointestato al marito, ma addirittura da un conto della quale solo lei ricorrente era intestataria.
Del resto risulta argomento non rilevante e solo suggestivo quello secondo cui l’entità di tali investimenti poteva essere giustificato dalla circostanza che il Giunta avesse un consistente patrimonio personale e redditi molto elevati. E, comunque, si tratta di argomentazione che aggredisce eventualmente il profilo di logicità della motivazione che, come tale, non è censurabile in questa sede decisoria ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen..
6. Va ora esaminato il ricorso presentato dall’indagato B.P..
Esso è fondato limitatamente al secondo motivo che, peraltro, deve essere accolto per le medesime ragioni poste alla base dell’accoglimento del terzo motivo avanzato dal Giunta e già sopra esaminato.
6.1 Così, il primo motivo di doglianza sollevato dalle difese dell’indagato B. è infondato.
6.1.1 Sul punto è d’obbligo ricordare che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto relativo al delitto di riciclaggio ai sensi dell’art. 648 quater cod. pen. – introdotto con l’art. 63, comma quarto, D.Lgs. n. 231 del 2007 – può essere applicato anche ai beni acquistati dall’indagato in epoca antecedente all’entrata in vigore della predetta norma (29 dicembre 2007), in quanto il principio di irretroattività attiene solo al momento di commissione della condotta, e non anche al tempo di acquisizione dei beni oggetto del provvedimento (così, Sez. 2, Sentenza n. 24785 del 12/05/2015 Cc. (dep. 11/06/2015) Rv. 264281).
Ciò posto e chiarito che, pertanto, risulta rilevante stabilire il momento della commissione delle condotte e non già il momento dell’acquisito dei beni oggetto della condotta delittuosa, va osservato come, nel caso di specie, l’allegazione difensiva dell’indagato si fondi, in realtà, su documenti (peraltro, esibiti solo in questo giudizio di cassazione e non prima) dai quali non è dato evincere, in alcun modo, la commissione delle condotte di reato prima del 29.12.2007.
Ne consegue il rigetto della censura così proposta.
7. Il secondo motivo è invece fondato nei limiti qui di seguito precisati.
7.1 Sul punto occorre puntualizzare che la prima doglianza avanzata in ordine ai dati contabili e bancari e ad ai conseguenti versamenti del B. e dai conti della P. (quale denaro proveniente dalla emissione delle fatture per operazioni inesistenti) si presenta, all’evidenza, inammissibile perché non attiene ad un vizio di violazione di legge, quanto ad un
vizio che attinge l’apparato motivatorio della ordinanza impugnata che comunque, sul punto, manifesta coerenza e logicità.
7.2 Ciò che invece è censurabile è l’apparenza di motivazione e, comunque, il vizio di violazione di legge in relazione alla non applicabilità della clausola di riserva prevista dall’art. 648 ter cod. pen.. Ed invero, il B. risulta indagato come partecipe alla associazione che era diretta anche alla commissione di reati finanziari e di bancarotta.
Ne consegue che, come già statuito in riferimento alla posizione del Giunta in relazione al capo 7, occorre un approfondimento del Tribunale del riesame sulla questio facti relativa alla autonomia tra le condotte distrattive e quelle di riciclaggio e di reimpiego di risorse provenienti dalle condotte presupposto, così superando quel vulnus motivatorio che, in questo caso, configura una vera e propria apparenza di motivazione.
7.3 Ma risulta fondata anche la doglianza, declinata come vizio di violazione di legge, in riferimento alla mancata delineazione del confine tra reato di ricettazione e quello di riciclaggio.
Sul punto occorre rimandare, per evitare unitili ripetizioni, a quanto già osservato in relazione al terzo motivo di doglianza sollevato dalla difesa del Giunta che è stato invero accolto.
Anche qui, dunque, si impone l’annullamento della ordinanza impugnata per un nuovo esame.
7.4 Le ulteriori doglianze sollevate nel secondo motivo di censura in punto di contestazione dell’elemento soggettivo del reato contestato e di cui all’art. 648 bis e ter cod. pen. e di configurabilità, in questa sede, del fumus criminis, sono invece inammissibili in quanto prospettano, in buona sostanza, un vizio argomentativo, non scrutinarle, per le ragioni già più volte evidenziate, in questo ambito decisorio.
8. Il terzo motivo di doglianza è anch’esso radicalmente inammissibile in quanto articolato come denunzia di vizi argomentativi che non sono censurabili ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato nei confronti di G.S., limitatamente al capo 7 dell’imputazione e di B.P., limitatamente al capo 17, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Salerno; rigetta nel resto i ricorsi G. e B.; rigetta il ricorso di P.L. che condanna al pagamento delle spese processuali.
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