CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, Sentenza n. 56432 depositata il 19 dicembre 2017
Crisi di impresa – Omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali – Reato penale – Esimente della “forza maggiore”- Impossibilità di effettuare una condotta diversa da quella penalmente sanzionata – Obbligazione retributiva
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del Tribunale di Milano in data 15/04/2015, E.F. era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di un mese di reclusione e di 200,00 euro di multa in quanto riconosciuto colpevole, con le attenuanti generiche, dei reati di cui agli artt. 81, cpv., cod. pen. e 2, legge 11 novembre 1983, n. 638, per avere, in qualità di legale rappresentante della ditta S. S.r.l., omesso di versare le ritenute previdenziali e assistenziali operate, come datore di lavoro, sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, relative al periodo compreso tra il dicembre 2011 e l’ottobre 2012, per un ammontare complessivo pari a 32.098 euro (fatti accertati in Milano, dal maggio 2012 al maggio 2013).
2. Con sentenza emessa in data 8/11/2016, la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, concesse all’imputato il beneficio della non menzione della condanna, confermando, nel resto, le statuizioni della precedente pronuncia.
3. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione lo stesso F., a mezzo del difensore fiduciario, avv. L.B., deducendo nove motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. B), cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli art. 45, 81 cpv. cod. pen., 2 del d.l. n. 462 del 1983 atteso che la sentenza impugnata, per un verso, avrebbe erroneamente ritenuto inapplicabile l’esimente della “forza maggiore” alla accertata impossibilità di effettuare una condotta diversa da quella penalmente sanzionata e, per altro verso, non avrebbe spiegato per quale motivo abbia ritenuto ai sussistente il dolo del delitto in contestazione.
La Corte territoriale avrebbe, poi, errato nel definire il perimetro della “forza maggiore”. Nell’ambito di tale nozione, cui tradizionalmente vengono ricondotte le situazioni, esterne alla capacità di dominio dell’agente, la cui cogenza sia tale da non consentire a quest’ultimo di resistervi e, dunque, da determinare l’evento, la Corte territoriale avrebbe, infatti, erroneamente ricompreso unicamente gli eventi “imponderabili e imprevedibili”. In realtà, secondo la difesa del ricorrente, la vis ma/or consisterebbe in una “monade causativa”, come tale incidente sulla sequenza causale, tale da impedire di ricondurre l’evento alla condotta dell’agente, idonea a riverberarsi, altresì, sull’elemento soggettivo quale causa di esclusione del dolo e della colpa. E nel caso di specie, l’indisponibilità del denaro necessario ad adempiere le obbligazioni previdenziali avrebbe impedito di configurare, proprio per la sua natura cogente e invincibile, una condotta (omissiva) colpevolmente riferibile all’imputato.
3.2. Con il secondo motivo, la difesa di F. censura, ex art. 606, comma 1, lett. B), cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 42 e 51 cod. pen., 2 del d.l. n. 463 del 1983, 36 Cost.. Sotto un primo profilo, si deduce che sarebbe infondata l’affermazione secondo la quale il datore di lavoro debba provvedere prioritariamente all’accantonamento delle somme corrispondenti alle ritenute previdenziali. Ciò sia in quanto, da un punto di vista logico-giuridico, l’obbligo di accantonare queste ultime, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello, sorgerebbe soltanto una volta che il datore di lavoro abbia proceduto a corrispondere le retribuzioni; sia in quanto, da un punto di vista sistematico, non avrebbe alcun fondamento normativo l’affermazione, riportata nella sentenza impugnata, secondo cui, nel conflitto tra i due interessi, il datore di lavoro sarebbe sempre tenuto a privilegiare quello pubblicistico al pagamento delle ritenute previdenziali. In ogni caso, continua il ricorrente, dal momento che il dolo dovrebbe essere riscontrato nel momento in cui scade il termine per il versamento delle ritenute, dovrebbe concludersi per l’affermazione, al più, di un mero rimprovero di colpa, per non avere l’agente in precedenza accantonato le somme dovute, salvo il caso in cui la situazione di illiquidità sia preordinata, per avere l’agente volontariamente precostituito una situazione di impossibilità di provvedere al pagamento. Sotto altro profilo, l’utilizzo delle risorse di impresa per pagare le retribuzioni dei lavoratori troverebbe fondamento nel diritto costituzionale del dipendente a percepire la retribuzione per l’attività svolta ai sensi dell’art. 36 Cost., sicché la condotta di omesso versamento sarebbe giuridicamente scriminata dalla scelta del datore di lavoro di destinare le somme disponibili al pagamento delle retribuzioni.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. B), cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 40, 42 e 43 cod. pen., 2 del d.l. n. 463 del 1983, 1 e ss. del d.lgs. n. 8 del 2016. Invero, la sentenza impugnata non avrebbe in alcun modo dimostrato l’esistenza del dolo, ovvero di una consapevole volontà di omissione di versamenti, attraverso la scelta deliberata di non accantonare le somme necessarie al pagamento dei debiti previdenziali una volta che l’adempimento fosse diventato penalmente rilevante. Infatti, l’imputato, ottemperando ad un onere di allegazione sullo stesso incombente, avrebbe rappresentato che il mancato pagamento nei termini fosse dovuto ad una insuperabile crisi di liquidità tale da rendere inesigibile l’adempimento, rispetto al quale la sentenza impugnata non avrebbe spiegato per quale motivo l’elemento soggettivo avrebbe dovuto essere ritenuto sussistente. Illogica, del resto, sarebbe l’affermazione secondo la quale il legale rappresentante della società avrebbe potuto sollecitare il pagamento, da parte dei committenti, attraverso alternativi canali bancari, atteso che gli istituti di credito non aprirebbero nuovi canali a soggetti che siano stati segnalati a causa di criticità manifestate in ambito bancario.
3.4. Con il quarto motivo, la difesa di F. deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. E), cod. proc. pen., la contraddittorietà della motivazione in relazione al passaggio in cui la sentenza avrebbe sottolineato l’identica origine degli obblighi previdenziali e l’obbligo di corrispondere la retribuzione rispetto all’affermazione, contenuta in altra parte della decisione, secondo cui il datore di lavoro dovrebbe privilegiare l’adempimento degli obblighi contributivi.
3.5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. E), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla affermazione dell’obbligo di versamento delle ritenute previdenziali prima del pagamento delle retribuzioni, sorgendo il primo obbligo solo dopo l’avvenuta corresponsione dello stipendio ai lavoratori.
3.6. Con il sesto motivo, la difesa di F. deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. E), cod. proc. pen., la contraddittorietà della motivazione in relazione, da un lato, all’affermazione secondo cui l’obbligo di versare i contributi previdenziali nascerebbe contemporaneamente a quello di corrispondere le retribuzioni e, dall’altro lato, al fatto che la sentenza abbia ritenuto che l’omissione contributiva relativa al mese di dicembre 2011 si fosse perfezionata il 16/01/2012.
3.7. Con il settimo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. E), cod. proc. pen., la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’affermazione secondo cui l’imputato avrebbe prima dovuto provvedere al versamento a favore dell’Inps e solo in un momento successivo al pagamento dei lavoratori, laddove l’obbligo di provvedere al versamento delle ritenute previdenziali nascerebbe il mese successivo a quello del pagamento delle retribuzioni.
3.8. Con l’ottavo motivo, la difesa di F. deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. E), cod. proc. pen., la mancanza o insufficiente motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del dolo nonostante la documentata impossibilità di reperire risorse finanziarie, illogicamente ridimensionata a mera situazione di “difficoltà finanziaria”.
3.9. Con il nono motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. E), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del dolo per non avere l’imputato richiesto pagamenti su altri canali bancari nonostante che i documenti prodotti in giudizio, di cui sarebbe stata omessa qualunque valutazione, attestassero numerose procedure esecutive e revoche dei fidi bancari, con conseguente impossibilità, per l’azienda, di accedere nuove forme di finanziamento comunque denominate.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è parzialmente fondato e, pertanto, deve essere accolto per quanto di ragione.
2. Preliminarmente, occorre ricordare che con l’instaurazione del rapporto di lavoro si genera, a carico della parte datoriale, una duplice obbligazione, sia retributiva, sia previdenziale. Quest’ultima, peraltro, è del tutto indipendente dalla effettiva corresponsione della retribuzione (v. artt. 29, d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, 1 del d.l. 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni nella legge 7 dicembre 1989, n. 389); ed essa incombe sul datore di lavoro finanche nel caso in cui questi non abbia effettivamente provveduto a versare i contributi (art. 2116, cod. civ.).
Peraltro, se dal punto di vista genetico le due obbligazioni, quella retributiva e quella previdenziale, sono coeve, viceversa il termine per il loro adempimento è differente. Mentre, infatti, l’obbligazione retributiva è in genere adempiuta entro la scadenza del mese al quale si riferisce la prestazione lavorativa, quella contributiva deve essere adempiuta, secondo la previsione dell’art. 2, comma 1, lett. b) del D.Lgs. n. 422 del 1998, entro il giorno sedici del mese successivo a quello cui si riferiscono i contributi. Peraltro, ai sensi dell’art. 44, comma 9, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, il datore di lavoro è obbligato a trasmettere all’INPS in via telematica e, oggi, con cadenza mensile, le dichiarazioni informatiche, trasmesse secondo il sistema denominato UNIEMENS (un tempo DM10/2), relative alle “retribuzioni corrisposte”.
Orbene, ai fini che qui interessano, il reato di omesso versamento delle ritenute contributive, previsto dall’art. 2, comma 1-bis, d.l. 12 settembre 1983, n. 463, conv. in legge 11 novembre 1983, n. 638, prevede espressamente, diversamente da quello stabilito dall’art. 37, legge 24 novembre 1981, n. 689, quale suo elemento costitutivo, la effettiva corresponsione delle retribuzioni e la effettiva ritenuta contributiva alla fonte (Sez. U, n. 27641 del 28/05/2003, Silvestri, Rv. 224609). Inoltre, sul piano penalistico, è necessario che ricorrano due ulteriori condizioni: la prima è che il termine previsto per il versamento della ritenuta sia infruttuosamente scaduto; mentre la seconda consiste, dopo la recente modifica introdotta dall’art. 3, comma 6, d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, nel fatto che sia superata una soglia di punibilità “annuale”, pari a 10.000 euro (secondo la nuova formulazione della norma, infatti, “l’omesso versamento delle ritenute di cui al comma 1, per un importo superiore a euro 10.000 annui, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032. Se l’importo omesso non è superiore a euro 10.000 annui, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000”).
Secondo l’opinione accolta, in altre occasioni, da questa Corte di legittimità, mentre secondo la previgente configurazione il delitto in esame si consumava alla scadenza della singola mensilità, venendo in rilievo, in caso di più omissioni, una ipotesi di continuazione tra una pluralità di violazioni, secondo l’attuale regime la fattispecie considerata configura il superamento della soglia annuale quale vero e proprio elemento caratterizzante il disvalore di offensività che viene a segnare, tra l’altro, il momento consumativo dello stesso (Sez. 3, n. 37232 del 11/05/2016, Lanzoni, Rv 268308). In altri termini, mentre in passato si era affermato che il reato in questione, da considerarsi come “omissivo proprio istantaneo”, si perfezionasse, indipendentemente dall’entità dell’importo non versato, all’atto dello scadere del termine previsto per il pagamento, allorché il soggetto attivo non avesse provveduto a corrispondere quanto avrebbe dovuto, in precedenza, accantonare, attualmente il momento consumativo si identifica in quello in cui, dopo la scadenza di una o più mensilità, sia superata, nell’arco del medesimo anno solare, la soglia prima ricordata.
Ne consegue, dunque, che dopo la recente modifica normativa, la condotta del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziale può configurarsi anche attraverso una pluralità di omissioni, compiute nel periodo annuale di riferimento, le quali, singolarmente considerate, possono di per sé anche non costituire reato; sicché la consumazione del delitto può essere istantanea o di durata e, in quest’ultimo caso, ad effetto prolungato sino al termine dell’anno in contestazione (Sez. 3, n. 35589 del 11/05/2016, dep. 29/08/2016, Di Cataldo, Rv. 268115).
Il quadro normativo si completa, infine, con la previsione di un termine di tre mesi successivi alla contestazione della violazione entro il quale il datore di lavoro può adempiere al pagamento delle somme volute avvalendosi della speciale causa di non punibilità di cui all’art. 2, comma 1-bis, del d.l. 12 settembre 1983, n. 463, con conseguente sospensione del corso della prescrizione per il tempo necessario (Sez. 3, n. 26732 del 5/03/2015, dep. 25/06/2015, P.G. in proc. Bongiorno, Rv. 264031).
3. Tanto premesso in termini generali deve ora passarsi all’analisi dei vari profili di doglianza.
3.1. Sotto un primo aspetto, rileva il Collegio che, effettivamente, secondo quanto dedotto dalla difesa di F. con il sesto motivo di ricorso, l’omissione riferibile al mese di dicembre 2011 deve essere considerata separatamente, proprio in considerazione del dato relativo alla configurazione della fattispecie per singole annualità. Questa stessa Sezione della Corte, infatti, ha recentemente affermato che in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, al fine di accertare il superamento della soglia di punibilità di euro 10.000 annui, l’ammontare delle ritenute omesse deve essere determinato in riferimento al momento in cui le obbligazioni rimaste inadempiute sono sorte, a prescindere dal termine di scadenza previsto per il versamento, che rileva esclusivamente ai fini della individuazione del momento consumativo del reato (Sez. 3, n. 22140 del 11/01/2017, dep. 8/05/2017, Mor, Rv. 269778).
Pertanto, trattandosi di importo pari a 5.291 euro, inferiore alla soglia di punibilità, va disposto, in relazione a quella mensilità, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”. Inoltre, relativamente a tale violazione, non essendo l’illecito estinto per prescrizione, va disposta, ai sensi dell’art. 9 d.lgs. n. 8 del 2016, la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa competente, individuata nell’I.N.P.S. di Milano.
3.2. Il ricorso è, invece, infondato con riguardo al residuo periodo, relativo a violazioni, commesse dal gennaio 2012 all’ottobre dello stesso anno, che superano la richiamata soglia di punibilità.
In proposito, si assume, con una pluralità di motivi di censura, variamente interrelati e ricondotti alla violazione di legge e al vizio di motivazione, che la insuperabile situazione di crisi aziendale, affermata alla stregua di copiose produzioni documentali, non abbia consentito di adempiere agli obblighi contributivi; con ciò prefigurandosi, da un lato, una situazione di forza maggiore idonea a escludere l’attribuibilità della condotta omissiva in capo all’imputato e, dall’altro lato, la mancanza del prescritto coefficiente psicologico, il quale, attesa la natura dolosa del delitto, andrebbe ricondotta alla coscienza e volontà dell’annesso versamento.
3.3. Quanto al primo profilo, giova premettere che secondo la previsione contenuta nell’art. 45 cod. pen., “non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o per forza maggiore”.
Tali categorie, che hanno ascendenze antichissime nella nostra tradizione giuridica, non ricevono alcuna definizione codicistica. E tuttavia la prevalente opinione dottrinale e giurisprudenziale, condivisa criticamente da questo Collegio, assegna al “caso fortuito” la valenza di una situazione “scusante”, come tale idonea ad escludere l’elemento soggettivo, consistente in un avvenimento “imprevisto e imprevedibile” che si sovrappone alla condotta dell’agente, la quale, conseguentemente, non può, in alcun modo e nemmeno a titolo di colpa, farsi risalire alla dimensione psichica e soggettiva dell’agente (ex plurimis Sez. 4, n. 6982 del 19/12/2012, dep. 12/02/2013, D’Amico, Rv. 254479); mentre la “forza maggiore” si configura come un evento, naturalistico o umano, che fuoriesca dalla sfera dì dominio dell’agente e che sia tale da determinarlo incoercibilmente (vis maior cui resisti non potest) verso la realizzazione di una determinata condotta, attiva od omissiva, la quale, conseguentemente, non può essergli giuridicamente attribuita (in questa direzione sembra attestarsi Sez. 5, n. 23026 del 3/04/2017, dep. 11/05/2017, Mastrolia, Rv. 270145). Secondo questa ricostruzione, dunque, la forza maggiore si colloca su un piano distinto e logicamente antecedente rispetto alla configurabilità dell’elemento soggettivo, ovvero nell’ambito delle situazioni in grado di escludere finanche la cd. suitas della condotta.
Ora, secondo la prospettazione difensiva la situazione di crisi di impresa avrebbe impedito, in termini di una assoluta impossibilità, di adempiere agli obblighi contributivi; impedimento che il giudice di merito avrebbe dovuto apprezzare con riferimento allo specifico momento della scadenza dell’obbligo contributivo. Dunque, secondo questa impostazione, si verserebbe proprio nell’ambito tipico della cd. “forza maggiore” nell’accezione prima delineata.
Rileva, sul punto, il Collegio come una siffatta situazione di impossibilità sia stata nondimeno esclusa, in fatto, dai giudici di merito, i quali hanno rilevato come l’azienda avesse continuato, alla scadenza mensile della relativa obbligazione retributiva, a corrispondere lo stipendio ai dipendenti; segno, evidentemente, che la crisi di liquidità non era affatto assoluta e che, pertanto, l’impresa non si trovava in quella situazione di impossibilità di compiere scelte alternative, ovvero nella condizione di una condotta (omissiva) irresistibilmente coartata verso un determinato risultato o effetto (il mancato versamento delle ritenute previdenziali). Ciò che, pertanto, consente di rilevare la palese insussistenza, nella specie, di una situazione di “forza maggiore”. Valgano, in proposito, due ulteriori considerazioni.
Sotto un primo profilo, deve osservarsi come la corresponsione, ogni mese, delle retribuzioni, non abbia consentito di dimostrare la dedotta situazione di impossibilità di adempimento delle obbligazioni previdenziali alla scadenza del termine mensile. Pertanto, la condizione di assoluta illiquidità, pur presente come dato sistemico nell’economia dell’azienda, non è stata dimostrata nella sua reale efficienza causale rispetto alla condotta omissiva.
Ma soprattutto, come più volte osservato dalla giurisprudenza di questa Corte, non è possibile riconoscere alcuna valenza esimente o anche semplicemente scusante a una situazione astrattamente idonea a escludere l’elemento soggettivo e finanche la suitas della condotta quando tale situazione sia stata preordinata alla realizzazione della condotta medesima (secondo lo schema tipico della cd. actio libera in causa) o anche solo prevista come certa o altamente probabile, secondo uno schema riconducibile al cd. dolo eventuale. E nel caso di specie, i giudici di merito hanno ben evidenziato come, anche a voler ritenere dimostrata l’impossibilità del versamento alla scadenza del termine per gli adempimenti contributivi, l’agente dovesse avere previsto come risultato certo che, a fronte della reiterazione, mese dopo mese, del pagamento delle retribuzioni, non avrebbe potuto adempiere agli obblighi contributivi, essendo necessario procedere all’ulteriore pagamento delle spettanze dei lavoratori; ciò che del resto lo stesso F. ha apertamente rivendicato allorché ha sottolineato l’impossibilità di decurtare le retribuzioni, già molto basse, dei dipendenti.
3.4. Quest’ultima osservazione, peraltro, introduce la questione relativa al conflitto tra l’obbligo contributivo e il diritto dei lavoratori a percepire la retribuzione agli stessi spettante; diritto avente copertura costituzionale ex art. 36 Cost.. Sul punto, la difesa opina erroneamente che la condotta di omesso versamento delle ritenute previdenziali sarebbe scriminata, sul piano della illiceità penale, dalla scelta del datore di lavoro di destinare le somme disponibili al pagamento delle retribuzioni, sicché la decisione dell’imputato sarebbe stata “giustificata” ai sensi dell’art. 51 cod. pen..
In realtà, entrambi i diritti, quello correlato all’obbligazione previdenziale e quello riferibile all’obbligo retributivo, sono considerati meritevoli di tutela e non illogicamente il giudice di merito ha ritenuto di dover accordare prevalenza, nel caso dell’eventuale conflitto tra essi, a quello che, solo, riceve, secondo la non irragionevole scelta del legislatore, una tutela penalistica attraverso la previsione della fattispecie incriminatrice qui in rilievo. Pertanto, l’imputato avrebbe dovuto, dinnanzi al contestuale sorgere delle due obbligazioni, accantonare le somme corrispondenti al debito previdenziale, onde provvedere al versamento entro il sedici del mese successivo. Dunque. anche le relative doglianze sul punto sono manifestamente infondate.
4. Alla luce delle considerazioni che precedono, ritiene conclusivamente il Collegio che la sentenza impugnata debba essere annullata, senza rinvio, limitatamente all’omissione contributiva relativa all’anno 2011 “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”, con trasmissione degli atti all’Inps di Milano per quanto di competenza.
Nel resto, il ricorso deve essere, invece, rigettato.
Per tale motivo, deve disporsi il rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano, per le determinazioni, in punto di pena, con riferimento all’omesso versamento delle ritenute previdenziali riferibili all’anno 2012.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’omissione relativa all’anno 2011 perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e dispone la trasmissione degli atti all’Inps di Milano. Rigetta nel resto il ricorso e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Milano per le determinazioni in relazione alle omissioni dell’anno 2012.
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