CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 57933 depositata il 29 dicembre 2017
Reati tributari – Evasione – Utilizzo di fatture per operazioni inesistenti – Condanna – Confisca e pene accessorie
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 9 novembre 2016 il Tribunale di Pesaro ha condannato D.M., nella qualità di legale rappresentante della s.n.c. I.F.D.M.D., alla pena di anni uno di reclusione, concesse le attenuanti generiche ed operata la riduzione per il rito, per il reato di cui agli artt. 81 capoverso, cod. pen., e 2 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in relazione all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto per gli anni di imposta dal 2009 al 2011.
2. Avverso la predetta decisione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Ancona ha proposto ricorso per cassazione, censurando l’omessa applicazione della confisca e l’omessa inflizione delle pene accessorie, a norma rispettivamente dell’art. 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, in relazione all’art. 322-ter, comma 2, cod. pen.; nonché dell’art. 12, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’annullamento con rinvio.
Considerato in diritto
4. Il ricorso è fondato.
4.1. Il provvedimento impugnato, che pure ha sancito la condanna dell’imputato a norma dell’art. 2 d.lgs. 74 del 2000, ha in effetti omesso di assumere le statuizioni evidenziate nel ricorso, laddove devono invero essere ricordate tanto l’obbligatorietà della misura ablatoria (cfr. Sez. 3, n. 28077 del 09/02/2017, Marcantonini e altro, Rv. 270333), quanto la natura delle pene accessorie di cui all’art. 12 cit. le quali, secondo la regola generale di cui all’art. 20 cod. pen., conseguono di diritto alla condanna come effetti penali di essa (ad es. cfr. Sez. 5, n. 8280 del 22/01/2008, Ciocci, Rv. 239474).
4.1.1. A norma anzitutto dell’art. 12-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 744 (ndr art. 12-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74), ed in relazione alla prima omissione denunciata dal ricorrente, nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal medesimo decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.
Né rileva il richiamo normativo operato dal ricorrente alla previgente disciplina, atteso che la confisca, anche per equivalente, dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo di uno dei delitti previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, deve essere sempre disposta nel caso di condanna o di sentenza di applicazione concordata della pena, stante l’identità della lettera e la piena continuità normativa tra la richiamata disposizione di cui all’art. 12-bis del predetto d.lgs. e la previgente fattispecie prevista dall’art. 322-ter cod. pen., richiamato dall’art. 1, comma 143, legge 24 dicembre 2007, n. 244, abrogata dall’art. 14 del citato decreto legislativo (Sez. 3, n. 50338 del 22/09/2016, Lombardo, Rv. 268386).
Ciò posto, il provvedimento impugnato non si è invece pronunciato al riguardo.
4.1.2. Per quanto invece riguarda la seconda omissione, l’art. 12 d.lgs. 74 cit. stabilisce (comma 1) che “La condanna per taluno dei delitti previsti dal presente decreto importa: a) l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a tre anni; b) l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni; c) l’interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a cinque anni; d) l’interdizione perpetua dall’ufficio di componente di commissione tributaria; e) la pubblicazione della sentenza a norma dell’articolo 36 del codice penale”. Oltre a ciò, la condanna, come in specie, per il delitto previsto dall’art. 2 importa altresì (comma 2) l’interdizione dai pubblici uffici per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni, salvo che ricorrano le circostanze previste dall’art. 2, comma 3.
In ogni caso, quindi, sussiste una valutazione discrezionale, non esercitabile dalla Corte sul punto in oggetto, e ciò comporta la devoluzione dell’intera operazione di determinazione delle pene accessorie al giudice di merito (Sez. 3, n. 45754 del 12/07/2017, Sangaletti, Rv. 271068), anche in relazione ai criteri da adottare al riguardo (cfr. ad es. Sez. 3, n. 4916 del 14/07/2016, dep. 2017, Bari, Rv. 269263).
5. Ne deriva quindi che la sentenza deve essere annullata limitatamente alla mancata statuizione circa la confisca e le pene accessorie, con rinvio su detti punti al Tribunale di Pesaro per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla mancata statuizione circa la confisca e le pene accessorie, con rinvio per nuovo esame sul punto al Tribunale di Pesaro.
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