CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 9365 depositata il 1° marzo 2018
Tributi – Impresa individuale – Violazioni – Reati penali – Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti – Occultamento o distruzione di documenti contabili
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 24 settembre 2013 il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Ancona, in esito a giudizio abbreviato, aveva condannato M.P. alla pena di anni uno e mesi due di reclusione, in relazione ai reati di cui agli artt. 8 d.lgs. 74/2000 e 10 d.lgs. 74/2000 (ascrittogli per avere, quale titolare dell’impresa individuale omonima e al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, distrutto od occultato, omesso di conservare o tenuto irregolarmente la documentazione contabile obbligatoria).
La Corte d’appello di Ancona, provvedendo sulla impugnazione dell’imputato, ha dichiarato non doversi procedere in relazione al reato di cui all’art. 8 d.lgs. 74/2000, in quanto estinto per prescrizione, e ha rideterminato la pena per il reato residuo di cui all’art. 10 d.lgs. 74/2000 in mesi otto di reclusione, confermando nel resto la sentenza impugnata.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, mediante il difensore di fiducia, che lo ha affidato a quattro motivi, qui enunciati nei limiti strettamente necessari ai fini della motivazione.
2.1. Con un primo motivo ha denunciato violazione di legge penale e vizio della motivazione, ribadendo la doglianza già formulata con i motivi d’appello in ordine alla mancata sospensione del processo da parte del Giudice dell’udienza preliminare, a proposito della quale la Corte d’appello si era limitata a dare atto della correttezza di tale decisione, senza illustrare le ragioni della condivisione della decisione di diniego della sospensione e neppure quelle della infondatezza della censura sollevata al riguardo con l’atto d’appello, con la conseguente insufficienza della motivazione sul punto.
2.2. Con un secondo motivo ha prospettato ulteriore vizio della motivazione, per avere la Corte d’appello fatto esclusivo riferimento alla sentenza di primo grado, senza spiegare in alcun modo le ragioni del proprio convincimento, né ricostruire i fatti, pur trattandosi di un processo indiziario, con la conseguente violazione del principio del ragionevole dubbio.
In particolare, l’affermazione della Corte territoriale, a proposito della effettiva produzione di reddito imponibile da parte dell’imputato, era fondata esclusivamente su una presunzione, e cioè sul fatto che lo stesso svolgeva attività commerciale, senza tenere conto della modestia del volume d’affari e del regime contabile semplificato adottato.
Non era, inoltre, stato tenuto conto della ignoranza da parte dell’imputato della persistenza dell’obbligo di conservare i documenti contabili anche successivamente alla sua assunzione come lavoratore dipendente da parte della E.S., e neppure dell’evento alluvionale che aveva colpito la zona nella quale aveva sede l’impresa di cui l’imputato era titolare.
2.3. Mediante un terzo motivo ha prospettato violazione dell’art. 10 d.lgs. 74/2000, per non essere stata raggiunta la prova della effettiva istituzione delle scritture contabili di cui era stato contestato l’occultamento o la distruzione, con la conseguente erroneità della affermazione di responsabilità in ordine a tale reato, non essendone stato accertato il presupposto di fatto, costituito dall’esistenza delle scritture contabili di cui erano stati addebitati all’imputato l’occultamento o la distruzione, con la conseguente erroneità anche sotto tale profilo della propria affermazione di responsabilità.
2.4. Con un quarto motivo ha lamentato violazione dell’art. 62 bis cod. pen., per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, nonostante l’incensuratezza e la condotta collaborativa dallo stesso tenuta, che avrebbe anche dovuto comportare la determinazione della pena base nel minimo edittale e il riconoscimento di tale beneficio.
1. Il ricorso, peraltro riproduttivo dei motivi d’appello, è inammissibile.
2. Il primo motivo, mediante il quale il ricorrente ha nuovamente lamentato la mancata sospensione del processo, è inammissibile a causa della sua genericità, essendo privo di autentico confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata, in quanto consiste nella mera reiterazione della doglianza relativa alla mancata sospensione del processo, disgiunta dalla indicazione delle ragioni per le quali tale sospensione avrebbe dovuto essere disposta e di rilievi alla decisione di diniego della Corte d’appello.
Nella motivazione della sentenza impugnata è stata, infatti, correttamente rilevata l’inapplicabilità della causa di non punibilità contemplata dall’art. 13 d.lgs. 74/2000 (peraltro applicabile solamente in relazione ai reati di cui agli artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater d.lgs. 74/2000 e, alle condizioni di cui al secondo comma, ai reati di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. 74/2000, dunque non anche alle ipotesi di cui all’art. 10 d.lgs. 74/2000 quale quella in esame), allorquando, come nel caso in esame, vi sia stata solamente l’adesione all’accertamento tributario o la rateizzazione del debito d’imposta, essendo necessaria, per poter beneficiare di tale causa di non punibilità, l’estinzione dei debiti tributari mediante integrale pagamento degli importi dovuti prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, nella specie mancante.
A fronte di tali rilievi, pienamente corretti, il ricorrente si è limitato a lamentare il mancato esame della propria istanza e delle doglianze formulate sul punto con i motivi d’appello, omettendo di considerare quanto correttamente esposto nella motivazione della sentenza impugnata, anche riguardo alla insussistenza dei presupposti richiesti dalla disposizione citata per poter disporre la sospensione del processo per tre mesi per pagare il debito residuo (e cioè che anteriormente alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione), con la conseguente inammissibilità della censura, a causa della sua genericità, e anche per la sua manifesta infondatezza.
3. Il secondo e il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente, riguardando entrambi la ricostruzione della vicenda sul piano del merito, che sarebbe ad avviso del ricorrente lacunosa e congetturale, in quanto fondata sulle presunzioni di produzione di reddito da parte dell’impresa di cui l’imputato era titolare e di istituzione delle scritture contabili (di cui non sarebbe stata accertata l’effettiva esistenza), disgiunte dalla considerazione delle modeste dimensioni di tale attività, del regime contabile semplificato adottato, delle scarse conoscenze tecniche dell’imputato, dell’evento alluvionale che aveva colpito la Città di Ancona.
Anche tali censure risultano generiche, essendo prive di autentico confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata, e volte a conseguire una non consentita rivisitazione degli accertamenti di fatto compiuti dai giudici di merito.
La Corte d’appello, in accordo con il primo giudice, ha, infatti, evidenziato con chiarezza gli elementi sulla base dei quali è stata tratta, in modo logico, la prova sia della istituzione delle scritture contabili poi non rinvenute (costituiti dalla emissione di fatture negli anni 2006 e 2007 da parte dell’impresa del ricorrente, per prestazioni eseguite a favore della E., presso la cui sede tali fatture erano poi state rinvenute); sia della produzione di reddito da parte dell’impresa del P. (desunta dallo svolgimento di attività a favore della S.r.l. T. e della S.n.c. G&M Edilizia e dalla emissione di fatture nei confronti di tali soggetti); sia del dolo di evasione (ricavato, in modo logico, dalla mancata esibizione di fatture pacificamente emesse e di qualsiasi documento contabile): si tratta di motivazione idonea e immune da vizi logici, non sindacabile sul piano del merito nel giudizio di legittimità, che il ricorrente ha criticato in modo del tutto generico, anche quanto al non meglio precisato evento alluvionale, di cui non è stata chiarita la rilevanza, con la conseguente inammissibilità delle censure formulate con il secondo e il terzo motivo, a causa della loro genericità e del loro contenuto non consentito nel giudizio di legittimità.
4. Altrettanto generico risulta il quarto motivo, mediante il quale sono state lamentate la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e la misura della pena.
La Corte d’appello ha adeguatamente giustificato il diniego di dette circostanze e la misura della pena, evidenziando la mancanza di elementi di positiva considerazione al riguardo e sottolineando la negativa personalità dell’imputato, gravato da plurimi precedenti penali: si tratta di motivazione idonea, attraverso la quale la Corte territoriale ha dato conto in maniera sufficiente degli elementi ritenuti preponderanti tra quelli di cui all’art. 133 cod. pen. per addivenire al diniego di dette circostanze e alla determinazione della pena, non sindacabile sul piano del merito nel giudizio di legittimità (cfr. Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 4, n. 23679 del 23/04/2013, Viale, Rv. 256201; Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, Dell’Anna, Rv. 227142; Sez. 6, n. 10273 del 20.5.1989, Rv 181825).
L’obbligo della motivazione non è, infatti, disatteso quando non siano state prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive, a condizione però che in una valutazione complessiva il giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior rilievo, disattendendo implicitamente le altre. E la motivazione, fondata sulle sole ragioni preponderanti della decisione non può, purché congrua e non contraddittoria, essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato. Essa, inoltre, può, come nel caso di specie, essere contenuta, implicitamente, nel giudizio di gravità del fatto e nella valutazione negativa della personalità dell’imputato, essendo compresa in tale giudizio l’indicazione delle ragioni ritenute preponderanti per escludere la riconoscibilità di dette attenuanti.
5. Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile, stante la genericità e manifesta infondatezza di tutte le censure cui è stato affidato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. sentenza 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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