CORTE di CASSAZIONE Sezioni Unite sentenza n. 10800 del 26 marzo 2015

FALLIMENTO – EFFETTI SUI RAPPORTI PREESISTENTI – MANDATO CONFERITO AD ARBITRI PRIMA DEL FALLIMENTO – SCIOGLIMENTO – ESCLUSIONE – FONDAMENTO – FATTISPECIE IN TEMA DI ARBITRATO INTERNAZIONALE

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

R. Ltd. (di seguito R.) ha proposto regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio pendente innanzi al Tribunale di Rimini a seguito di opposizione da essa proposta avverso l’ingiunzione di pagamento europeo (di seguito, con l’acronimo, IPE) della somma di Euro 1.781.391,02 oltre a interessi per Euro 247.585,41 e spese, emessa dal predetto Tribunale ad istanza di A. s.p.a.. Ha dedotto di avere tempestivamente sollevato l’eccezione pregiudiziale nella comparsa di costituzione in relazione alla clausola di arbitrato estero, contenuta nell’art. 18 dell’Airport Service Agreement (ASA) intercorso con A. in data 30.01.2007 e di avere subordinatamente eccepito l’estinzione per compensazione del credito ingiunto; ha, altresi’, precisato che, dopo l’interruzione per il fallimento dell’A., il giudizio di opposizione e’ stato riassunto ad iniziativa sia della curatela del Fallimento A. (di seguito il Fallimento), sia di essa ricorrente.

Ha resistito il Fallimento, depositando controricorso. Il ricorso e’ stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 ter cod. proc. civ., sulla base delle conclusioni scritte del pubblico ministero, il quale ha richiesto di dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice italiano.

Il Fallimento ha depositato memoria di replica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La controversia ha origine nella stipulazione in data 30.01.2007 tra A. s.p.a. e la R. dell’ASA-Airport Service Agreement (di seguito brevemente ASA), in forza del quale la prima si e’ obbligata a fornire una serie di servizi aeroportuali a condizioni economiche competitive in favore della R. a fronte dell’impegno di quest’ultima di garantire il transito di un certo numero di passeggeri e l’apertura di nuove rotte internazionali presso lo scalo di Rimini.

Venuto a scadenza il rapporto contrattuale, A. ha chiesto e ottenuto dal Tribunale di Rimini ingiunzione di pagamento europea, poi opposta dalla R., per residui corrispettivi vantati per servizi vari resi in forza dell’ASA; questa, dal canto suo, ha, pregiudizialmente, eccepito con la comparsa di costituzione e di risposta nel giudizio di opposizione il difetto di giurisdizione del giudice italiano, per la considerazione che l’art. 18 dell’ASA cosi’ prevedeva: Le parti si impegnano a risolvere amichevolmente qualunque controversia nascente o connessa con il Contratto, inclusa qualsiasi questione relativa all’esistenza, validita’ o risoluzione. Qualunque controversia non amichevolmente risolta sara’ sottoposta e risolta definitivamente tramite arbitrato secondo le regole della London Court of International Arbitration Rules, essendo tali regole considerate come richiamate nel presente articolo. Il Collegio arbitrale sara’ composto da un solo arbitro. La sede dell’arbitrato sara’ Londra. La lingua che sara’ utilizzata nel procedimento arbitrale sara’ l’inglese.

2. Il ricorso per regolamento di giurisdizione supera le pregiudiziali eccezioni di inammissibilita’ sollevate da parte resistente, sotto vari profili e, segnatamente, sul presupposto dell’inosservanza del requisito dell’esposizione sommaria dei fatti e dell’inadeguata individuazione del parametro normativo di riferimento, nonche’ in considerazione delle inammissibili valutazioni di merito che sarebbero assegnate a queste Sezioni Unite per il tramite del rinvio agli atti di causa.

2.1. Innanzitutto si rammenta in base a principi assolutamente pacifici che l’istanza di regolamento di giurisdizione, non essendo un mezzo di impugnazione, ma soltanto uno strumento per risolvere in via preventiva ogni contrasto, reale o potenziale, sulla potestas iudicandi del giudice adito, puo’ anche non contenere specifici motivi di ricorso, e cioe’ l’indicazione del giudice avente giurisdizione o delle norme e delle ragioni su cui si fonda, ma deve recare, a pena di inammissibilita’, l’esposizione sommaria dei fatti di causa, in modo da consentire alla Corte di cassazione di conoscere dall’atto, senza attingerli aliunde, gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, sia pur in funzione della sola questione di giurisdizione da decidere (ex plurimis, Cass. Sez. Unite, ord. 16 maggio 2013, n. 11826; Cass. Sez. Unite, 24 aprile 2002, n. 6040). In particolare il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), cui e’ soggetto a pena d’inammissibilita’ anche il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, e’ soddisfatto quando l’atto esponga gli estremi della controversia necessari per la definizione della questione di giurisdizione, indicando le parti, l’oggetto ed il titolo della domanda, e inoltre specificando il procedimento cui si riferisce l’istanza e la fase in cui si trovi, mentre non rileva l’omessa menzione di assunti difensivi e di momenti della vicenda processuale non influenti sulla questione medesima (Cass. ord. Sez. Unite, 09 giugno 2004, n. 10980).

Orbene – contrariamente a quanto opinato dal controricorrente Fallimento – la lettura del presente ricorso contiene una piu’ che sufficiente descrizione delle vicende salienti del processo e dell’oggetto della controversia, illustrate nelle “premesse” sub 1.12. e integrate dalle ulteriori “premesse” della parte motiva dello stesso ricorso; inoltre, nello stesso atto, risultano sviluppate in maniera adeguata le ragioni in diritto, poste a fondamento della questione di giurisdizione e individuate nell’esistenza della clausola di arbitrato estero prevista dall’art. 18 dell’ASA, nel rilievo che la pretesa di pagamento, fatta valere da A. con l’IPE, e’ formulata proprio sul fondamento dell’ASA contenente la clausola compromissoria, nonche’ nell’ulteriore considerazione dell’opponibilita’ al Fallimento della clausola in oggetto.

2.2. Va, altresi’, considerato che la questione di giurisdizione va risolta avuto riguardo al petitum sostanziale, identificato non solo o non tanto in funzione della concreta statuizione richiesta al giudice, ma anche e soprattutto in relazione alla causa petendi, ossia alla effettiva natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio e individuata dal giudice con riguardo alla sostanziale protezione ad essa accordata, in astratto, dal diritto positivo.

Orbene l’applicazione del suddetto criterio implica senza dubbio l’apprezzamento di elementi che attengono anche al merito (con la conseguenza che la Corte di Cassazione e’ in materia anche giudice del fatto), senza che la statuizione sulla giurisdizione possa, comunque, confondersi con la decisione sul merito.

3. E’ infondata anche l’ulteriore questione pregiudiziale di inammissibilita’ del regolamento formulata dal Fallimento sul presupposto dell’inidoneita’ della clausola (secondo la tesi del resistente, per arbitrato irrituale) a integrare una questione di giurisdizione.

3.1. L’eccezione richiama un orientamento di questa Corte (consolidatosi dopo Sez. Unite 3 agosto 2000, n. 527) che e’ stato oggetto di rimeditazione e ormai abbandonato da queste Sezioni Unite (cfr. ord. 25 ottobre 2013, n. 24153; ord. 21 gennaio 2014, n. 1005), in ragione della natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario da attribuirsi all’arbitrato rituale in conseguenza delle disciplina complessivamente ricavabile dalla L. 5 gennaio 1994, n. 25, e dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 e della conseguente riconducibilita’ dell’eccezione di arbitrato rituale nel novero di quelle di rito. Ne deriva che lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione degli arbitri o del giudice ordinario si configura come questione di competenza, mentre il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, da luogo ad una questione di giurisdizione. Inoltre una volta affermata in via generale la natura giurisdizionale dell’arbitrato rituale, quale conseguenza delle varie novelle susseguitesi in materia, cio’ va affermato anche per l’arbitrato estero, la cui natura giurisdizionale e’ convalidata da ulteriori elementi, trovando un preciso riscontro normativo nel comb. disp. della L. n. 218 del 1995, artt. 4 e 11 che equipara la deroga convenzionale alla giustizia italiana in favore di arbitrato estero alla deroga in favore di un giudice straniero, entrambe inserendole fra i limiti alla giurisdizione italiana definiti dal Titolo 2A della legge e percio’ fra i casi di difetto di giurisdizione.

Nel rinviare alle considerazioni e argomentazioni di cui alla gia’ cit. ordinanza n. 24153 del 2013, va, dunque, ribadito che in presenza di una clausola compromissoria di arbitrato estero, l’eccezione di compromesso, attesa la natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario da attribuirsi all’arbitrato rituale in conseguenza delle disciplina complessivamente ricavabile dalla L. 5 gennaio 1994, n. 5 e dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, deve ricomprendersi, a pieno titolo, nel novero di quelle di rito, dando cosi’ luogo ad una questione di giurisdizione e rendendo ammissibile il regolamento preventivo di cui all’art. 41 cod. proc. civ., con la precisazione che, ai sensi del comb. disp. L. n. 218 del 1995, artt. 4 e 11 il difetto di giurisdizione nascente dalla presenza di una clausola compromissoria siffatta puo’ essere rilevato in qualsiasi stato e grado del processo a condizione che il convenuto non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana, e dunque solo qualora questi, nel suo primo atto difensivo, ne abbia eccepito la carenza.

3.2. Nella specie, come concordemente riportato da entrambe le parti, l’eccezione di difetto di giurisdizione (e/o di competenza) e’ stata sollevata da R. nella comparsa di costituzione nel giudizio di opposizione e, quindi, tempestivamente, trattandosi del primo atto difensivo dopo l’instaurazione del giudizio ordinario sull’opposizione all’IPE incardinato innanzi al Giudice dell’ingiunzione ad iniziativa dell’A.. Invero l’opposizione prevista dall’art. 16 del regolamento CE 12 dicembre 2006, n. 1896, per come e’ strutturata nel mod. F consegnato unitamente all’ingiunzione e nello stesso regolamento, consta di una mera dichiarazione rivolta al giudice che ha pronunciato l’IPE; essa non contiene la vocatio in ius, ma la mera contestazione del credito, senza che l’opponente sia neppure tenuto a indicarne le ragioni (art. 16 n. 3 reg.); inoltre la sua redazione non richiede la rappresentanza tecnica (al pari, del resto, della richiesta di ingiunzione, cfr. art. 24 reg.), trattandosi di atto sottoscritto dal convenuto (opponente) o, se del caso, dal suo rappresentante (art. 16, n. 5 reg.). Ove, poi, si consideri che anche il ricorso per ingiunzione ai sensi dello stesso regolamento non richiede una compiuta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda la domanda, appare evidente come nessuno degli atti all’interno del procedimento monitorio possa considerarsi equipollente alla citazione e alla comparsa di risposta di cui agli artt. 163 e 167 cod. proc. civ.; ne’, in particolare, l’atto di opposizione puo’ ritenersi equivalente a quello disciplinato dall’art. 645 cod. proc. civ., con la conseguenza che neppure e’ postulabile l’assimilazione, predicata per quest’ultimo da consolidata giurisprudenza, alla comparsa di costituzione nel giudizio di cognizione ordinaria. Soprattutto – quale che sia la soluzione del controverso problema delle modalita’ della c.d. prosecuzione del giudizio di opposizione che l’art. 17, comma 2 reg. prevede sia disciplinato secondo le forme della legge locale – e’ certo, nella specie, che l’iniziativa e’ stata assunta dalla A., per cui l’eccezione formulata dall’opponente nella comparsa di costituzione deve ritenersi tempestiva in relazione al comb. disp. della L. n. 218 del 1995, artt. 4 e 11.

3.3. Sempre con riguardo all’ammissibilita’ del regolamento, va aggiunto che la natura rituale dell’arbitrato previsto dalla clausola in oggetto discende, prima ancora che dal tenore complessivo della stessa clausola – e segnatamente: dalla previsione dell’esperimento del rimedio per il caso di mancato componimento amichevole, dal suo oggetto individuato nella globalita’ delle controversie che derivino o siano connesse al contratto, nonche’ dall’indicazione delle regole da applicarsi, rinvenute nell’ordinamento inglese – dalla stessa natura di arbitrato internazionale, in relazione al quale perde ogni rilevanza la distinzione tra arbitrato rituale ed irrituale, riferibile solo agli arbitrati domestici (Cass. 16 gennaio 2004, n. 544).

Invero la tesi del resistente Fallimento, secondo cui si verterebbe in materia di arbitrato irrituale, contrasta decisamente con l’orientamento di questa Corte, al quale si intende dare continuita’, secondo cui l’arbitrato internazionale non puo’ che essere rituale. Tale soluzione e’ aderente al sistema delineato dalla L. n. 25 del 1994 e muove dalla constatazione che la distinzione tra arbitrato rituale ed irrituale, ben conosciuta dal nostro diritto vivente, e’ invece poco praticata in ambito internazionale: le disposizioni intese a regolare un istituto che trascende i confini domestici, concepite per essere applicate ad ogni arbitrato che sia definibile come tale nella prassi internazionale, implicano, dunque, il superamento della distinzione tra arbitrato rituale ed irrituale.

4. Nel merito il ricorso per regolamento di giurisdizione e’ fondato. Invero il petitum sostanziale si individua agevolmente nell’adempimento di obbligazione derivante dall’ASA, contenente la clausola sopra indicata, posto che – come emerge dalle stesse allegazioni di parte resistente – la causa petendi dei corrispettivi pretesi dal Fallimento e’ rappresentata dall’erogazione di servizi erogati da A. in forza di detto contratto. La controversia rientra, dunque, tra quelle che, in quanto non risolte amichevolmente, devono essere risolte tramite arbitrato, in Londra, secondo le regole della London Court of International Arbitration Rules.

Assume il Fallimento che la questione di giurisdizione e’ infondata in quanto la Corte arbitrale Internazionale di Londra non avrebbe giurisdizione per essere A. in procedura di insolvenza dinanzi al Tribunale di Rimini, in Italia, Paese che ai sensi del Regolamento del Consiglio (CE) n. 1346/2000 sull’insolvenza avrebbe giurisdizione esclusiva sulla questione; invoca, in particolare, la consecuzione delle procedure, osservando che alla data della proposizione della domanda di ingiunzione l’A. era in concordato preventivo e successivamente e’ stata dichiarata fallita, inferendone l’inopponibilita’ alla procedura della clausola compromissoria; rileva, altresi’, a tali effetti che la L. Fall., art. 83 bis, che sancisce l’improseguibilita’ del procedimento arbitrale pendente alla data in cui viene dichiarata aperta la procedura allorche’ esso venga a fondarsi su una clausola di un contratto che si sciolga automaticamente, deve ritenersi applicabile anche all’ipotesi, come quella in esame, in cui i rapporti disciplinati dal contratto contenente detta clausola erano cessati al momento dell’insolvenza.

Nessuno dei suddetti argomenti coglie nel segno.

4.1. Va, innanzitutto, rimarcato che il giudizio di opposizione, gia’ incardinato dalla A. in concordato preventivo e riassunto dal Fallimento, ha per oggetto il pagamento di un residuo credito vantato per servizi erogati dalla stessa societa’ in bonis. Orbene, in casi di tal fatta, il curatore fallimentare agisce in rappresentanza del fallito e non della massa dei creditori (cfr. Cass. 22 marzo 2013, n. 7263; Cass. 27 gennaio 2011 n. 1879; Cass. 8 settembre 2004 n. 18059), facendo valere un’utilita’ derivante dall’esecuzione di un contratto, contenente una clausola arbitrale; donde la continuita’ di funzionamento del meccanismo negoziale presidiato dalla clausola compromissoria stipulata dal soggetto gia’ fallito, che risulta opponibile al curatore.

Non puo’, dunque, invocarsi la competenza inderogabile del Tribunale fallimentare, atteso che questa non si estende alle azioni che gia’ si trovino (come nella specie) nel patrimonio del fallito, all’atto del fallimento, e che quindi avrebbero potuto essere esercitate dall’imprenditore, a tutela del proprio interesse, ove non fosse fallito.

E neppure rileva la circostanza che, all’atto dell’instaurazione della lite, l’A. fosse gia’ in concordato preventivo, non comportando l’ammissione alla procedura alcuna caducazione della scelta della via arbitrale precedentemente operata dal soggetto in bonis.

4.2. La giurisprudenza di questa Corte e’ da tempo consolidata nel senso di escludere che, nel caso di convenzione contenente clausola compromissoria stipulata prima della dichiarazione di fallimento di una delle parti, il mandato conferito agli arbitri sia soggetto alla sanzione dello scioglimento prevista dalla L. Fall., art. 78, e cio’ poiche’ il compromesso per arbitrato configura un atto negoziale riconducibile all’istituto del mandato collettivo e di quello conferito nell’interesse anche di terzi – vale a dire delle altre parti richiedenti l’arbitrato (Cfr. Cass. 14 ottobre 2009, n. 21836; Cass. 08 settembre 2006, n. 19298; Cass. Cass. 17 aprile 2003, n. 6165).

Inoltre, diversamente da quanto opinato dal Fallimento, non si puo’ trarre alcuna conseguenza interpretativa di carattere sistematico – nel senso, cioe’, dell’improcedibilita’ del procedimento arbitrale – dal disposto della L. Fall., art. 83 bis, essendo, invece, legittimo il ragionamento contrario. Invero sebbene la norma cit. – prevedendo che se il contratto in cui e’ contenuta una clausola compromissoria e’ sciolto a norma delle disposizioni della presente sezione, il procedimento arbitrale pendente non puo’ essere proseguito -affermi la natura accessoria della clausola compromissoria con riferimento alla sola ipotesi presa in considerazione dalla stessa (e, cioe’, quella di un giudizio arbitrale pendente e di scioglimento del contratto su iniziativa del curatore ai sensi della L. Fall., art. 72), sulla scorta della medesima previsione si deve pervenire alla conclusione, secondo la quale, nell’ipotesi di subentro da parte del curatore nelle situazioni giuridiche attive derivanti dal contratto contenente la clausola compromissoria, questa conservi piena efficacia anche nei confronti del curatore: diversamente opinando, infatti, si consentirebbe al curatore di sciogliersi da singole clausole del contratto di cui pure chiede l’adempimento.

E appena il caso di aggiungere che non rileva che, nello specifico, il contratto fosse scaduto e non rinnovato al momento della proposizione del ricorso per ingiunzione, dal momento che l’applicabilita’ della clausola arbitrale risponde all’esigenza di regolare le situazioni gia’ insorte da quel contratto secondo la procedura ivi stabilita.

4.3. Esula, infine, dall’ambito della questione devoluta in questa sede ogni considerazione in ordine all’applicabilita’ del regolamento CE n. 1346/2000 sulle procedure d’insolvenza, non discutendosi di giurisdizione transfrontaliera relativa ad una procedura concorsuale, ma di giurisdizione relativa ad un’azione di pagamento di un credito del fallito. Come pure e’ estranea al presente regolamento la questione dell’azionabilita’ o meno in via riconvenzionale nella procedura arbitrale, nelle more intrapresa da R., del controcredito opposto in compensazione al Fallimento; invero, una volta esclusa la giurisdizione del giudice italiano, per effetto della deroga in favore di arbitrato straniero, sulla controversia avente ad oggetto il credito fatto valere dal Fallimento, le regole che tali arbitri dovranno adottare nella decisione esulano dalla questione di giurisdizione ormai conclusa con declaratoria dell’insussistenza della stessa da parte del giudice italiano, rientrando invece esclusivamente nella giurisdizione degli arbitri stranieri.

In definitiva il ricorso va accolto, dovendosi affermare il difetto di giurisdizione del giudice italiano.

Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.

P.Q.M.

La Corte dichiara il difetto di giurisdizione del giudice italiano e condanna parte resistente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 15.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre accessori come per legge e contributo spese generali.