CORTE di CASSAZIONE a SEZIONI UNITE sentenza n. 12191 del 14 giugno 2016
CONSORZIO – ATTIVITA’ MUTUALISTICA E DI LUCRO – COESISTENZA – SUSSISTE
Svolgimento del processo
1. Con ricorso del 4.4.2006 P.F. , titolare della ditta omonima, impugnò l’atto n. (omissis) con cui gli era stata contestata l’omessa regolarizzazione di fatture iva per l’anno 2002. Il rilievo aveva a suo fondamento l'”anomala” modalità di contabilizzazione dei costi e ricavi, ai fini IVA, posta in essere dal consorzio (…) e dalle imprese consorziate, tra cui la ditta individuale P.F. ; il Consorzio e le consorziate avrebbero provveduto alla fatturazione reciproca di sole quote di costi e quote di proventi. Eccepì il contribuente la violazione dell’art. 12 della legge 212 del 2000, per asserita assenza del preventivo contraddittorio (in quanto al contribuente non era stata data la possibilità di contraddittorio sul verbale di constatazione, ma lo stesso era stato notificato insieme all’atto impugnato) e, nel merito, l’infondatezza della pretesa impositiva.
2. La Commissione Tributaria Provinciale di Torino, con sentenza 73/11/2006 del 23.11.2006, accolse il ricorso, ritenendo sussistente sia la violazione dell’art. 12 della legge 212 del 2000, sia, nel merito, la correttezza della modalità di contabilizzazione dei costi.
3. L’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate venne rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte con sentenza 69/29/08 del 27.11.2008. La CTR ritenne la nullità dell’atto di contestazione in quanto non preceduto dalla consegna al contribuente del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza nei confronti del consorzio (…), almeno 60 gg. prima dell’atto di contestazione medesimo. Nel merito, il giudice d’appello rilevò che il Consorzio (…), in virtù della sua rilevanza esterna, agiva autonomamente, stipulando in proprio contratti di appalto con le imprese committenti e poi selezionando le imprese consorziate affidatarie sulla base delle “rispettive esperienze professionali”, ai sensi dell’art. 3 dello Statuto; sicché legittimamente l’importo della fattura emessa dal consorziato poteva essere inferiore a quello della fattura emessa dal Consorzio: la differenza rappresentava il corrispettivo per i servizi prestati, necessario a coprire le spese per lo svolgimento delle proprie funzioni istituzionali; ciò in conformità al disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, comma 2, lett. b), – con riguardo alla provvigione spettante al mandatario senza rappresentanza – ed alle ulteriori risoluzioni ministeriali emanate in materia.
4. Con atto del 11-14.1.2010 l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza articolato in quattro motivi. Resiste con controricorso il P. .
5. La sezione Quinta, con ordinanza n. 946 del 21/1/2015, rilevata la sussistenza di un contrasto in alcune pronunce della Corte in tema di “ribaltamento” di costi ed utili, ha rimesso gli atti al Primo Presidente che ha disposto l’assegnazione della causa alle SS.UU..
L’Agenzia ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Col il primo motivo la ricorrente assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 12 comma 7 della Legge n. 212/2000, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., laddove la CTR ha ritenuto la nullità dell’atto di contestazione in quanto notificato prima della scadenza del termine di giorni sessanta dal rilascio del PVC al contribuente.
2. Con il secondo motivo la ricorrente svolge analoga censura nella parte in cui il giudice d’appello collega la sanzione della nullità al mancato rispetto del termine dilatorio di cui alla norma citata.
3. Con il terzo motivo la ricorrente assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 2602 e ss. c.c., dell’art. 21 dpr 633/1972, degli artt. 1241 e ss. c.c., nonché del principio generale del divieto dell’abuso del diritto, desumibile dall’art. 37 bis dpr 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., laddove la CTR, a dispetto della natura mutualistica del consorzio, ha escluso che lo stesso dovesse ribaltare sulle consorziate i costi generali di gestione, i costi specifici relativi alle singole commesse e gli utili, con i conseguenti obblighi di fatturazione ed autofatturazione.
4. Con il quarto motivo, la ricorrente assume la violazione e falsa applicazione degli artt. 1241, 1706, 1709 e 1719 c.c., degli artt. 3 comma 3, 6 comma 3, 13 comma 2, 15 DPR 633/1972, art. 37 bis, comma 1 dpr 600/73, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., laddove la CTR ha qualificato come provvigione per l’espletamento del mandato, disciplinata dall’art. 13 del dpr 633/1972, art. 13, l’importo trattenuto dal consorzio, a seguito del mancato ribaltamento sulle singole società, tenuto conto del fatto che il rapporto tra consorzio e consorziati non può che essere a titolo gratuito.
5. Fondato è il primo motivo di ricorso. Secondo quanto risulta dalla sentenza della CTR (pagg. 1 e 2), nonché dalle dichiarazioni delle parti (pagg. 1, 3, 38, 39 del ricorso e pagg.1, 7 del controricorso), il provvedimento impugnato dal P. è costituito da un atto di contestazione emesso ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. 18/12/1997, n. 472, per omessa autofatturazione iva.
6. Sul punto è sufficiente richiamare l’orientamento di questa Corte per cui l’art. 12, comma 7, della L. 212/2000, non si applica agli atti di contestazione irrogativi di sanzioni, che trovano disciplina speciale nell’art. 16 del D.Lgs. n. 472 del 1997, anche con riguardo alle modalità del contraddittorio procedimentale (Cass. nn. 25515 e 22000 del 2013, n. 20479 del 2012).
7. Ed invero il procedimento in esame ha inizio con la notifica, da parte dell’ufficio competente, di un atto di contestazione all’autore della violazione, in esito al quale il contribuente, entro 60 giorni, può addivenire ad una “definizione agevolata” (art. 16 comma terzo), o presentare “deduzioni difensive” (art. 16 quarto comma), o, infine, impugnare immediatamente l’atto presso l'”organo” indicato nell’atto di contestazione (ultima parte del comma 6 dell’art. 17). La presentazione delle deduzioni difensive instaura un peculiare procedimento che può concludersi con l’emissione di un provvedimento di irrogazione di sanzioni (impugnabile davanti alla CTP) o nel venir meno dell’efficacia dell’atto di contestazione.
8. La facoltà riconosciuta al contribuente di presentare deduzioni difensive e, pertanto, l’instaurazione di un contraddittorio endoprocedimentale anteriormente all’emissione di un atto pregiudizievole nei suoi confronti da parte dell’Ufficio porta ad escludere l’applicabilità alla fattispecie in esame del disposto dell’art. 12, comma 7, anche alla luce del recente intervento di queste SSS.UU. (sent. n. 9/12/2015, n. 24823).
9. Quanto sopra ha effetto assorbente sul secondo motivo di ricorso.
10. Il terzo e quarto motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono fondati nei limiti che seguono.
11. È già stato evidenziato che la questione sottoposta all’esame di queste Sezioni Unite è costituita dalla disciplina fiscale applicabile alle società consortili con particolare riferimento al “ribaltamento” di costi e ricavi, derivanti dalla esecuzione delle commesse, sulle consorziate.
12. L’ordinanza di rimessione rileva come con una serie di pronunce (Cass., nn. 16410 e 25944 del 2008, n. 22790 del 2009, nn. 13293, 13294, 13295 nonché 14780, 14781, e 14782 del 2011) – tutte fondate sul rilievo per cui una società consortile funge da struttura operativa al servizio delle imprese consorziate, sicché, sotto il profilo tributario, le sue operazioni ed i costi correlati sono direttamente riferibili alle società consociate – si è affermato che le spese affrontate per mezzo del consorzio costituiscono costi propri delle imprese consorziate, alle quali vanno riaddebitate secondo il principio del ribaltamento dei costi; specularmente, alle medesime imprese consorziate resterebbero imputabili, fra i ricavi, i corrispettivi dovuti dal committente, mentre alla società consortile andrebbero riferite (nella voce costi) le spese sostenute per l’esecuzione unitaria dei lavori, nonché (tra i ricavi) i contributi versati pro-quota dai consorziati, a copertura di tali spese.
13.Tale orientamento, ribadito da questa Corte, con la sentenza 11/9/2013 n. 20778, secondo il collegio remittente, sarebbe in contrasto da una pressoché coeva pronuncia di questa Corte – sentenza 23 ottobre 2013 n. 24014 – che, richiamando anche principi già in precedenza espressi, ha invece ritenuto che la pacifica natura di ente non a fini di lucro, rivestita dal Consorzio XXXXXXX, non esclude che il medesimo possa svolgere un’attività intrinsecamente commerciale, pur senza perseguire la realizzazione di profitti in proprio, limitandosi la specifica organizzazione consortile a garantire alle imprese aderenti il procacciamento di commesse alle migliori condizioni di mercato.
14. L’ordinanza di rimessione, nel richiamare i precedenti di questa corte n. 15330/2014, n. 1636/2014, n. 24014/2013, n. 1480/2011, n. 13293/2011, sulla natura dei consorzi con attività esterna, sulla rilevanza della causa consortile, sulla legittimazione passiva e responsabilità nei confronti dei terzi, nonché sul rapporto di mandato, rileva, in punto di fatto, che il Consorzio XXXXXXX è un consorzio operativo con attività esterna, costituito in forma di s.p.a., il quale agisce acquisendo commesse che vengono poi alternativamente eseguite, talvolta, direttamente con la propria organizzazione e struttura imprenditoriale; talaltra per il tramite delle imprese consorziate, ciascuna delle quali provvede direttamente ad effettuare una specifica attività lavorativa; talaltra ancora, in parte, direttamente, e, in parte, dalle imprese consorziate (secondo l’art. 3 dello Statuto: “Il Consorzio, che non ha fini di lucro, ha per oggetto: 1) la valutazione, la progettazione, la costruzione e la direzione lavori, la manutenzione, il restauro e la riqualificazione di immobili (…) può tra l’altro (…) e) organizzare, coordinare, disciplinare il flusso delle commesse, l’esecuzione dei lavori, dei servizi ed in genere l’attività d’impresa dei consorziati, curare i rapporti con le committenti, le altre amministrazioni o enti interessati ed assegnare le prestazioni oggetto dei lavori ai consorziati”; v. anche art. 7 Statuto, per cui esso si impegna “all’acquisizione di commesse di lavoro per tutti gli associati o per alcuni od uno solo di loro; a favorire l’acquisizione diretta di commesse da parte di un consorziato o di alcuni consorziati riuniti (…) fornendo tutta l’assistenza e la consulenza amministrativa e tecnica”). Statutariamente, “I consorziati, in ragione delle singole quote di partecipazione sottoscritte, saranno chiamati e dovranno provvedere al versamento del Fondo Consortile nei modi e nei tempi stabiliti dal Presidente. Egli potrà in successivi momenti deliberare le reintegrazioni e gli incrementi che si rendessero necessari previa delibera dell’Assemblea all’uopo appositamente convocata” (art. 6 Statuto) e che “sono inoltre tenuti alla corresponsione dei contributi prescritti per la formazione del fondo consortile ed ai versamenti previsti per la partecipazione alle spese per il funzionamento del consorzio e per il conseguimento dei fini consortili nella misura che sarà stabilita” (art. 7 Statuto).
15. Il Collegio remittente ritiene che la struttura del Consorzio (…), la natura commerciale dell’attività da esso svolta, le modalità statutarie di formazione ed integrazione del fondo consortile comune, lo schema contrattuale utilizzato per l’assegnazione delle commesse ai consorziati ed infine il fatto che, nell’anno in contestazione, il contribuente consorziato non avesse eseguito alcuna opera, “sembrerebbero compatibili con la condotta fiscale degli interessati”. E ciò anche non essendo chiaro, a fronte delle modalità di fatturazione seguite dalle parti, “quale sia stata, in concreto, la finalità di evasione genericamente contestata dall’amministrazione finanziaria dal momento che l’omesso ribaltamento di costi e ricavi non sembra incidere oggettivamente sull’Iva che viene semplicemente liquidata dalla società consortile in luogo dell’impresa consorziata”.
16. Delineato il quadro giurisprudenziale di riferimento, la disciplina civilistica del fenomeno consortile in esame va rinvenuta nell’art. 2615 ter c.c., articolo introdotto dalla L. 10/5/1976, n. 377, secondo cui le società previste nei capi 3 e seguenti del titolo 5 possono assumere come oggetto sociale gli scopi indicati nell’art. 2602.
17. Il mero richiamo a tali ultimi scopi e la mancata indicazione della disciplina applicabile a tali società ha determinato una pluralità di orientamenti dottrinari, alcuni inclini a conferire prevalenza alla causa del contratto di consorzio sulla forma societaria (le norme sui consorzi sarebbero direttamente applicabili alle società consortili), altri dando rilevanza alla disciplina tipica della forma societaria adottata, altri ancora favorevoli ad una disciplina mista (quella della società atterrebbe al solo funzionamento dell’organizzazione associativa), altri infine affermanti l’intangibilità delle norme societarie dettate a tutela degli interessi di terzi o di interessi necessari.
18. Questa Corte, in materia di responsabilità civile dei soci verso terzi per obbligazioni assunte dalla società consortile, ha da tempo affermato l’autonomia della società consortile rispetto alle società consorziate e la sua specificità anche rispetto ai consorzi non in forma societaria, precisando che la causa consortile può comportare la deroga delle norme che disciplinano il tipo adottato, qualora la loro applicazione sia incompatibile con profili essenziali del fenomeno consortile, fermo restando che siffatta deroga non può giustificare lo stravolgimento dei principi fondamentali che regolano il tipo di società di capitali scelto, al punto da renderlo non più riconoscibile rispetto al corrispondente modello legale (Cass. Sez. 1, sent. 27/11/2003, n. 18113). Con riferimento all’assoggettabilità al fallimento di una società cooperativa per azioni è stato di recente ribadito che lo scopo mutualistico non esclude la natura commerciale dell’impresa, e che anche tale società ove svolga attività commerciale può, in caso di insolvenza, può essere assoggettata a fallimento in applicazione dell’art. 2545 terdecies cod. civ. (Cass. Sez.1, Sent. 24/03/2014 n.6835). Ciò peraltro conformemente ai precedenti di questa Corte (Sez. 1, Sent. 14/7/2010 n. 16558) secondo cui “il consorzio esterno è ora un autonomo centro di imputazione che può assumere, ex art. 2615 ter c.c. forma di società di capitali…. con personalità giuridica, restando soggetto a fallimento ed alla disciplina antitrust in tema di intese“; nonché alla sentenza della Sez. 1, 8/9/1999 n. 9513, secondo cui “lo scopo mutualistico proprio delle cooperative può avere gradazioni diverse, che vanno dalla cosiddetta mutualità pura, caratterizzata dall’assenza di qualsiasi scopo di lucro, alla cosiddetta mutualità spuria che, con l’attenuazione del fine mutualistico, consente una maggiore dinamicità operativa anche nei confronti di terzi non soci, conciliando così il fine mutualistico con un’attività commerciale e con la conseguente possibilità per la cooperativa di cedere beni o servizi a terzi a fini di lucro”.
19. Alla luce di quanto sopra va pertanto riaffermato che l’esercizio di un’impresa commerciale ed il relativo intento di lucro non sono inconciliabili con lo scopo mutualistico proprio della cooperativa, essendosi ormai “superata l’immedesimazione tra società e scopo di lucro da un lato e cooperativa ed interesse mutualistico dall’altro. Dopo aver ammesso che vi sono società senza scopo di lucro e consorzi in forma societaria (art. 2615 ter come modificato dalla L. 10 maggio 1976, n. 377), occorre rilevare come la società cooperativa può ben avere anche uno scopo di lucro” (Cass. n. 6835/2014).
20. E che tale compatibilità vada confermata anche ai fini fiscali trova conforto indiretto nel dettato normativo di cui all’art. 4 della L. 240/1981, laddove si subordina la possibilità per i consorzi e le società consortili di fruire di una determinata agevolazione fiscale alla previsione statutaria di un divieto di distribuzione di utili alle consorziate; divieto altresì disposto dall’art. 18 della L. 5/10/1991, n. 317, e che non avrebbe ragion d’essere qualora si escluda la possibilità per le società consortili di conseguire utili.
21.Tale coincidenza, unitamente alla distinta soggettività fiscale ed all’autonoma responsabilità delle obbligazioni tributarie connesse alle operazioni poste in essere da ciascuna consorziata, nonché dalla società consortile, comporta la necessaria distinzione tra le operazioni poste in essere dalla società consortile in esecuzione del patto mutualistico, da quelle costituenti esercizio di un’autonoma attività commerciale della società consortile.
22. I contrapposti suesposti indirizzi giurisprudenziali, che essenzialmente non colgono il fenomeno nella sua complessità, in particolare, vanno disattesi nella parte in cui, rispettivamente, negano rilevanza alcuna allo scopo lucrativo o, per converso, alla causa mutualistica, la cui presenza è a fondamento della distinzione tra le società di cui all’art. 2615 ter c.c. e quelle del capo 3 e seguenti del titolo 5 -libro 5-.
23. Alla riconosciuta possibile coesistenza della causa mutualistica con lo scopo lucrativo peraltro non consegue tuttavia “ex se” il riconoscimento della effettiva sussistenza di entrambi, in pari misura, in una società consortile; bensì postula, in primo luogo, la necessità di un accertamento, alla luce dei patti consortili e dell’attività in concreto esercitata, teso a valutare se il ricorso all’organizzazione consortile sia finalizzato unicamente a conseguire un indebito risparmio fiscale (v. Cass. 23/12/2008, nn. 30055, 30056, 30057), intento ben presumibile laddove lo scopo mutualistico risulti di carattere del tutto residuale.
24. Le diverse modalità attraverso le quali viene svolta l’attività della società consortile, nonché la correlazione delle stesse con gli scopi di volta in volta perseguiti, impongono la necessità di un ulteriore accertamento circa i rapporti intercorsi tra la società consortile e la consorziata nella fase di assegnazione dei lavori o dei servizi ai singoli consorziati, rapporti che, in assenza di specifica disposizione normativa, possono anche essere in concreto ricondotti ad istituti diversi dal mandato con o senza rappresentanza.
25. L’accertamento in ordine alla natura delle operazioni o servizi rispettivamente espletati dalla società consortile o dalle consorziate, ed al rapporto sottostante all’assegnazione dei servizi alle consorziate, costituiscono poi presupposti imprescindibili per stabilire se sia o meno necessario il “ribaltamento” integrale o parziale di costi e ricavi.
26. Ed invero nell’ipotesi in cui il consorzio acquisisca una commessa e proceda ad un autonomo adempimento della stessa, indipendentemente dalla partecipazione delle consorziate, va esclusa la legittimità di un ribaltamento dei costi tra tutti i consorziati;
si dovrà di contro procedere al “ribaltamento” di costi e ricavi nel caso in cui il consorzio, pur avvalendosi di proprie strutture, svolga servizi complementari, comunque connessi al criterio mutualistico di utilizzo del servizio consortile.
27. Con riferimento all’eventuale differenza tra quanto fatturato dal consorzio al terzo committente e quanto fatturato dal consorziato al consorzio, possono enuclearsi le seguenti evenienze: a) differenza costituita dal costo delle spese di gestione generali ripartito tra i singoli consorziati e addebitato al consorziato in occasione della commissione dei lavori; b) differenza costituita dal costo di specifici servizi forniti dal consorzio al consorziato in relazione ai lavori che questo è deputato a svolgere; c) differenza costituita dalle provvigioni dovute dal consorziato (mandante) al consorzio (mandatario senza rappresentanza), escluse dall’imponibile IVA (art. 13 D.P.R. 633/1972; d) differenza costituita dal costo e dagli utili per ulteriori servizi forniti solo dal consorzio, quale soggetto imprenditoriale, in favore del terzo committente, in relazione ai lavori posti in essere dal consorziato a seguito della commessa in suo favore.
28. È evidente che l’individuazione dell’evenienza nel concreto realizzatasi costituisce un problema di prova e di onere della prova. Nelle prime due ipotesi la differenza del ” quantum ” fatturato, nel caso di compensazione tra consorziato e società consortile, in assenza di dettaglio di costi e ricavi, si risolve in un occultamento dei ricavi del consorziato. Costituirà onere del consorziato fornire la prova che tale differenza non sia costituita da ricavi, nel rispetto dei principi di certezza, effettività, inerenza e competenza. Egualmente sarà onere del consorziato, nelle ulteriori ipotesi, provare che la differenza suddetta sia costituita da provvigioni o da servizi resi dal consorzio al terzo.
29. Analogamente in correlazione tra attività esercitata dalla società consortile o dalla consorziata in relazione ai diversi scopi (consortile- lucrativo) andrà riconosciuto il diritto alla detrazione dei costi ai fini iva; e ciò conformemente alla direttiva comunitaria (art. 17, par. 2 della 6 direttiva).
30. Tale ricostruzione dei rapporti intercorrenti tra la società consortile e le consorziate conferisce opportuno rilievo, anche ai fini fiscali, all’organizzazione societaria adottata dagli imprenditori, risolvendo altresì i dubbi espressi nell’ordinanza di rimessione circa la rilevanza fiscale della mancata corrispondenza tra gli importi fatturati ai terzi e quelli fatturati alla società consortile, le modalità ed i limiti entro i quali ammettere il ribaltamento totale dei costi.
31. Vanno conseguente affermati i seguenti principi di diritto: La causa consortile non è ostativa allo svolgimento, da parte della società consortile, di una distinta attività commerciale con scopo di lucro. Costituisce questione di merito l’accertamento in ordine ai rapporti intercorsi tra la società consortile e la consorziata nell’assegnazione dei lavori o servizi ai singoli consorziati e nella esecuzione delle commesse. Nel caso di differenza tra quanto fatturato dalla società consortile al terzo committente e quanto alla prima fatturato dal consorziato, nel rispetto dei principi certezza, effettività, inerenza e competenza, costituisce onere del consorziato fornire la prova che tale differenza non sia costituita da ricavi, o che la stessa corrisponda a provvigioni o servizi resi dal consorzio al terzo.
32. Nel caso in esame, non è controversa tra le parti la circostanza che il Consorzio XXXXXXX abbia operato sulle commesse in virtù di un mandato senza rappresentanza (come affermato dalla CTR (pag. 5 della sentenza), dalla ricorrente (pag. 15, 16, 63 del ricorso) nonché dalla controricorrente (pag. 4 del controricorso).
33. Vertendosi in materia di iva, ne consegue, ai sensi dell’art. 3 comma terzo e 13 comma 2 lett. b) del dpr 633/72, l’inammissibilità di alcuna differenza tra importo fatturato dal mandatario al terzo e dal mandante al mandatario, e quindi, nella specie, dalla singola impresa al consorzio e quello fatturato dal consorzio al terzo, salva la rilevanza fiscale della provvigione laddove pattuita e formalizzata.
34. Ai principi sovraesposti non è conforme la decisione impugnata laddove, senza esplicitare alcuna argomentazione in ordine alla natura delle commesse, con riferimento allo scopo consortile, né alle prove eventualmente fornite dal P. , anche in ordine alla pattuizione ed alla corresponsione di una provvigione, ha rigettato l’appello dell’Ufficio ritenendo conforme all’art. 13 secondo comma, lett. b) d.p.r. 633/72, la modalità di gestione contabile adottata.
35. Va conseguentemente cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Ctr del Piemonte, che, in diversa composizione, alla luce dei principi sovraesposti e del materiale probatorio precedentemente acquisito, valuterà i limiti della pretesa impositiva, nonché determinerà le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, il terzo ed il quarto, nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla CTR del Piemonte.
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