CORTE DI CASSAZIONE – Sezioni Unite – Sentenza n. 1822 del 2 febbraio 2015
LAVORO – LAVORO AUTONOMO – AVVOCATI – SANZIONI DISCIPLINARI A CARICO DEGLI AVVOCATI – PRESCRIZIONE
FATTO E DIRITTO
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
– che con decisione in data 30 giugno 2011 il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Catanzaro irrogava all’avv. R.F. S. la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per un anno per averlo ritenuto responsabile della violazione dell’art. 5 (obbligo di probità, dignità e decoro), art. 6 (dovere di lealtà e correttezza), art. 7 (dovere di fedeltà), art. 8 (dovere di diligenza), art. 38 (inadempimento al mandato), art. 41 gestione di danaro altrui) e art. 15 (dovere di adempimento previdenziale e fiscale) del codice deontologico per aver gestito in maniera non conforme al titolo la somma di circa Euro 170.000 ricevuta dalla parte assistita, “utilizzandone solo piccola parte per assolvere ad obblighi dei propri clienti e trattenendone invece preponderante parte, senza neanche darne il rendiconto, consegnare alla cliente le note specifiche e le parcelle fiscali e restituire le somme residuali, invece indebitamente trattenute: tutto ciò senza ottemperare all’obbligo di richiedere istruzioni scritte in ordine all’utilizzo delle somme ricevute fiduciariamente in deposito”;
– che con sentenza 19 febbraio 2014, n. 6 il Consiglio nazionale forense ha respinto il ricorso dell’interessato, osservando, per quanto qui ancora interessa, che l’eccezione di prescrizione era infondata poichè nel caso di violazione deontologica protrattasi nel tempo la decorrenza del termine di prescrizione prende data dalla cessazione della condotta sanzionabile disciplinarmente, e tale data, nel caso di omissione del rendiconto, va individuata nel momento in cui esso sia stato reso o, comunque, si sia verificata una interversione nel possesso; nella specie non solo l’obbligo di rendiconto non era stato assolto e l’interversione si era verificata solo in data 24 aprile 2007, quando nel giudizio civile iniziato dai clienti l’avv. R. aveva chiesto di accertare il suo diritto a trattenere le somme in contestazione a titolo di compensi professionali, ma l’incarico professionale si era svolto sino al 26 maggio 2005 (data di una denuncia querela in relazione alla quale il professionista aveva reclamato un compenso). Pertanto, in ogni caso, si doveva escludere la prescrizione dell’azione disciplinare considerato che l’apertura del procedimento era stata deliberata in data 5 novembre 2009 e comunicata con racc.ta dell’11 maggio 2010, ricevuta il successivo 18 maggio, data nella quale era stata notificata anche la citazione a giudizio;
– che avverso detta sentenza l’avv. R. ricorre per cassazione sulla base dei seguenti due motivi: 1) violazione della L. n. 247 del 2012, art. 56 e del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 51, lamentando che il CNF, da un lato, aveva ipotizzato l’esistenza del mandato alla data di presentazione di una denuncia querela per la quale l’avv. R. aveva prestato la propria assistenza, senza considerare che la predisposizione dell’atto poteva essere avvenuta in una data anteriore e, dall’altro, non aveva individuato la cessazione della condotta sanzionabile disciplinarmente nel momento in cui era stato revocato il mandato conferito all’avv. R. e cioè il giorno 11 maggio 2005, data nella quale la cliente aveva ricevuto un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate ed aveva potuto immaginare un non corretto svolgimento del mandato professionale: con la revoca del mandato si era verificata quella interversione nel possesso che permetteva di considerare cessata la permanenza della condotta. Infine, quale atto interruttivo della prescrizione si poteva prendere in considerazione soltanto la citazione a giudizio avvenuta il 1 febbraio 2011; 2) violazione del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 56 e della L. n. 247 del 2012, art. 56, lamentando la mancata applicazione della più favorevole disposizione in tema di prescrizione dettata dalla seconda disposizione che, pur prevedendo casi di interruzione e sospensione, ha fissato un tetto massimo di sette anni e mezzo dalla commissione del fatto;
– che il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Catanzaro non ha svolto attività difensiva;
– che il primo motivo è infondato. In tema di esordio della prescrizione estintiva, nel caso di illecito permanente del professionista realizzato con l’omissione del rendiconto e con il trattenimento della somma consegnata dal cliente, il momento in cui cessa la permanenza dell’illecito coincide con quello dell’indebita appropriazione e cioè con il momento in cui il professionista nega il diritto del cliente sulla somma, affermando il proprio diritto di trattenerla. Pertanto, è irrilevante la pretesa revoca del mandato, circostanza peraltro non risultante dalla sentenza impugnata, considerato che dalla revoca discende l’obbligo di rendiconto, la cui omissione però costituisce illecito permanente, con la conseguenza che la prescrizione non può iniziare a decorrere prima della cessazione della permanenza. In tal senso ha stabilito la sentenza impugnata, esattamente individuando poi gli atti interruttivi sia nella deliberazione di apertura del procedimento disciplinare (Cass. s.u. 20 settembre 2013, n. 21591 e Cass. s.u. 2 aprile 2003, n. 5072), sia nella notificazione della citazione a giudizio;
– che il secondo motivo è infondato poichè, quanto al principio di retroattività della legge più favorevole in ambito diverso da quello penale, è stato chiarito che “in materia di sanzioni disciplinari a carico degli avvocati, la L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 65, comma 5, nel prevedere, con riferimento alla nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, che le norme contenute nel nuovo codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato, riguarda esclusivamente la successione nel tempo delle norme del previgente e del nuovo codice deontologico. Ne consegue che per l’istituto della prescrizione, la cui fonte è legale e non deontologica, resta operante il criterio generale dell’irretroattività delle norme in tema di sanzioni amministrative, sicchè è inapplicabile lo jus superveniens introdotto con la L. n. 247 cit., art. 56, comma 3” (Cass. s.u. 20 maggio 2014, n. 11025).
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
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