CORTE di CASSAZIONE, Sezioni Unite, sentenza n. 19667 depositata il 18 settembre 2014
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La controversia origina dall’impugnazione da parte del contribuente della comunicazione di iscrizione ipotecaria, emessa a seguito di un presunto mancato pagamento del complessivo importo di euro 35.113,07, relativamente ad alcune cartelle di pagamento, iscrizione ipotecaria della quale il ricorrente chiedeva la sospensione e l’annullamento. La Commissione adita, respinta l’istanza di sospensione, rigettava il ricorso.
La decisione era confermata con la sentenza in epigrafe, avverso la quale il contribuente ricorre per cassazione con quattro motivi:
a) nullità della sentenza impugnata per omessa motivazione e per violazione e falsa applicazione dell’art. 36 d.igs. n. 546 del 1992 e artt. 132 e 276 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111, comma 6 Cost.;
b) per insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e per violazione e falsa applicazione degli artt. 50 e 77 d.P.R. 602 del 1973;
c) per insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e per eccesso di potere per sperequazione tra il carico tributario ed il valore dell’immobile;
d) per insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia e per violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 ed art. 2059 cod. civ. e 2 Cost.
Equitalia ETR s.p.a. (ora incorporata in Equitalia Sud s.p.a.) non ha notificato un controricorso, bensì ha depositato un atto di costituzione con procura notarile ai fini della partecipazione all’udienza di discussione.
La causa era chiamata innanzi alla Sesta sezione civile, sezione tributaria, di questa Corte, la quale, con ordinanza n. 18007 del 24 luglio 2013, rimetteva al Primo Presidente la valutazione circa l’opportunità di devolvere alle Sezioni Unite la seguente questione: «se il concessionario alla riscossione non sia tenuto, ove sia decorso un anno dalla notifica della cartella di pagamento, prima di procedere all’iscrizione di ipoteca a notificare al debitore un avviso che con- tenga l’intimazione ad adempiere entro cinque giorni l’obbligo risultante dal ruolo (2° comma dell’art. 50 del d. P. R. 602 del 1973), e ciò a prescindere dalla entrata in vigore del disposto del d.l. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2, lett. u-bis), convertito con modificazioni nella I. n. 106 del 2011, a norma del quale “l’agente della riscossione è tenuto a notificare al proprietario dell’immobile una comunicazione preventiva contenente l’avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà i- scritta l’ipoteca di cui al comma 1″».
Per questa ragione la causa è chiamata all’odierna udienza innanzi alle Sezioni Unite.
MOTIVAZIONE
1. La questione sottoposta all’attenzione delle Sezioni Unite impone l’esame pregiudiziale del secondo motivo di ricorso, con il quale il contribuente ha censurato l’impugnata sentenza per insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e per violazione e falsa applicazione dell’art. 50 ed art. 77 d.P.R. 602 del 1973 per aver il giudice di merito affermato, senza peraltro alcun adeguato approfondimento, che «la legittimità dell’iscrizione ipotecaria scaturisce dal mancato pagamento entro i termini previsti di cartelle esattoriali non più impugnabili, mentre la comunicazione di avvenuta iscrizione non è prevista da alcuna norma, trattandosi di misura cautelare». 1.1. Sostiene, invece, il ricorrente che la necessaria ed ineludibile lettura integrata dell’art. 50 e dell’art. 77, d.P.R. n. 602 del 1973 porterebbe a ad altre e differenti conclusioni, imponendo, ai fini del- la legittimità della dell’iscrizione ipotecaria, la comunicazione di quest’ultima al contribuente, prima che l’esattore possa procedere all’espropriazione forzata.
2. La ragione fondante dell’ordinanza di rimessione sembra manifestamente consistere nel rilievo che nella giurisprudenza della Corte si sia affermata l’idea che l’ipoteca prevista dal d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 77, rappresenti un atto preordinato all’espropriazione immobiliare e, dunque, in qualche modo, un atto della procedura esecutiva: in questa prospettiva l’iscrizione ipotecaria necessariamente dovrebbe essere soggetta a tutte le condizioni ed i limiti posti per la procedura esecutiva, e quindi anche alla comunicazione dell’avviso di cui al d.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, comma 2.
2.1. «Invero», ragiona l’ordinanza di rimessione, «la sentenza delle Sezioni Unite n. 4077/2010 ha tratto dalla qualificazione della iscrizione di ipoteca come atto “preordinato e strumentale” alla esecuzione, la conseguenza che ad essa fosse applicabile la disciplina propria degli atti di esecuzione esattoriale; in particolare l’impossibilità di procedere ad iscrizione se il debito del contribuente non superava gli ottomila Euro, e ciò prima che il limite quantitativo venisse previsto e stabilito in 20.000 Euro dal d.l. 2 marzo 2012, n. 16, art. 3, 3 ,. , comma 5, lett. d), convertito dalla 1. 26 aprile 2012, n. 44; e sembrerebbe coerente che questa assimilazione si estendesse al meno incisivo onere della comunicazione preventiva al proprietario dell’immobile. Tanto più se si considera che la sentenza n. 6594/2009 delle medesime Sezioni Unite ha esplicitamente ricompreso la iscrizione di ipoteca fra “gli atti della esecuzione forzata tributaria”».
2.2. L’ordinanza rileva, inoltre, che «la sentenza della terza sezione civile n. 4777 dei 26 febbraio 2013 ha evidenziato come “le norme in tema di esecuzione esattoriale contemplino misure che, a garanzia e a tutela dei crediti tributari, possono gravemente compromettere i diritti individuali poiché – oltre che avere introdotto misure quali il c.d. fermo amministrativo di beni mobili registrati e l’iscrizione di ipoteca sugli immobili – introducono modalità estremamente rapide e semplificate di esproprio dei beni. à essenziale pertanto che, proprio in tema di esecuzione esattoriale, siano rigorosamente rispettati sia il principio di legalità, tramite la stretta osservanza del- le procedure stabilite; sia gli adempimenti di carattere generale di- retti allo scopo di permettere all’esecutato dì far valere le sue ragioni: soprattutto ove si tratti di adempimenti di agevole esecuzione e poco costosi per l’amministrazione (quali nel caso preso in esame dalla sentenza n. 4777 quello di comunicare all’interessato – unita- mente alla comunicazione dell’avvenuta iscrizione ipotecaria – i termini e le modalità con cui può proporre opposizione e far valere le sue ragioni)»,
3. In realtà non può non rimarcarsi sul punto una contraddizione in- terna alla giurisprudenza della Corte.
3.1. Da un lato, infatti, è stato affermato, che «in tema di riscossione coattiva delle imposte, l’ipoteca prevista dall’art. 77 dei d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, rappresentando un atto preordinato all’espropriazione immobiliare, soggiace agli stessi limiti per quest’ultima stabiliti dall’art. 76 del medesimo d.P.R., e non può, quindi, essere iscritta se il debito del contribuente non supera gli ottomila euro. Né a diversa conclusione può indurre l’art. 3, comma 2-ter, del d.l. 25 marzo 2010, n. 40, convertito nella legge 22 maggio 2010, n. 73, il quale, vietando all’agente della riscossione di iscrivere ipoteca per crediti inferiori ad ottomila euro a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, ha così indicato l’autonomo presupposto per le future iscrizioni di ipoteca in un importo coincidente con quello minimo previsto per l’espropriazione, senza per ciò solo poter essere apprezzato come indiretta dimostrazione dell’inesistenza per il periodo pregresso di limiti di valore per la stessa iscrizione» (Cass. S.U. n. 5771 del 2012).
3.2. Dall’altro, è stato affermato che «in tema di riscossione coattiva delle imposte, l’ipoteca prevista dall’art. 77 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, può essere iscritta senza necessità di procedere a no- tifica dell’intimazione ad adempiere di cui all’art. 50, secondo comma, del medesimo d.P.R., prescritta per il caso che l’espropriazione forzata non sia iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, poiché l’iscrizione ipotecaria non può essere considerata quale mezzo preordinato all’espropriazione forzata, atteso quanto si evince dalla lettera dell’art. 77 citato, il quale, al secondo comma, prevede che, “prima di procedere all’esecuzione, il concessionario deve iscrivere ipoteca”, e, al primo comma, richiama esclusivamente il primo e non anche il secondo comma dell’art. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973» (Cass. n. 10234 del 2012).
4. Ancora la Corte ha affermato che: «Il d.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, comma 2, dispone che, se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, l’espropriazione stessa deve essere preceduta dalla notifica di un avviso contenente l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni. Il richiamato disposto normativo stabilisce pertanto che il previo avviso contenente l’intimazione ad adempiere deve precedere soltanto l’inizio dell’espropriazione, ma non anche l’iscrizione ipote- caria di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, che non costituisce at- to iniziale della espropriazione immobiliare, ma rappresenta un atto ad essa preordinato e strumentale» (Cass. n. 15746 del 2012, in motivazione).
5. Ribadendo il principio, la Corte ha aggiunto – ma in verità senza darne compiute ragioni – che «ha carattere innovativo e non inter- pretativo, ed è quindi privo di efficacia retroattiva, il disposto del d.l. n. 70 dei 2011, art. 7, comma 2, lett. u-bis, convertito con modificazioni nella I. n. 106 del 2011, che ha stabilito che “l’agente della riscossione è tenuto a notificare al proprietario dell’immobile una comunicazione preventiva contenente l’avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà iscritta l’ipoteca di cui al comma 1″» (Cass. n. 15746 del 2012, in motivazione).
6. Una riflessione capace di dare al quesito proposto una soluzione appagante trova fondamento nel rilievo della sostanziale equiparabilità della situazione normativa dell’iscrizione di ipoteca (art. 77, del 5 medesimo decreto), a quella del fermo amministrativo di beni mobili registrati (art. 86, d.P.R. n. 602 del 1973), che sembra costituire l’approdo conseguito dalla giurisprudenza di queste Sezioni Unite.
7. Quanto al fermo amministrativo, con l’ordinanza n. 14831 del 2008 le Sezioni Unite hanno ritenuto «che, alla luce della modifica introdotta al d.lgs. n. 546 del 1992, art. 19, dal d.l. n. 223 del 2006, art. 35, comma 26-quinquies, (convertito con modificazioni con I. n. 248 del 2006), non potesse essere mantenuta l’esegesi anteriomente proposta dalle medesime Sezioni Unite (ord. nn. 2053 e 14701 del 2006), secondo cui la giurisdizione sul fermo amministrativo spettava al giudice ordinario essendo tale atto “preordinato all’espropriazione forzata, atteso che il rimedio, regolato da norme collocate nel titolo 2° sulla riscossione coattiva delle imposte, si inserisce nel processo di espropriazione forzata esattoriale quale mezzo di realizzazione del credito”». Ciò .perché, hanno precisato le Sezioni Uni- te nella ricordata ordinanza, ci si trova di fronte «alla chiara volontà del legislatore di escludere il fermo di beni mobili registrati dalla sfera tipica dell’espropriazione forzata, rafforzando l’idea, da alcuni so- stenuta, che l’adozione dell’atto in questione si riferisca ad una pro- cedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria, che, nel d.P.R. n. 602 del 1973, trova la propria tipizzante disciplina nel capo II del titolo II (mentre la disciplina dei fermo di beni mobili registra- ti, non a caso, sarebbe dettata nel capo III, del medesimo titolo)».
7.1. Ad avviso della ricordata ordinanza è piuttosto evidente che «la modifica introdotta al d.lgs. n. 546 del 1992, art. 19, collocando il fermo tra gli atti impugnabili innanzi alla Commissioni tributarie, ab- bia di riflesso determinato una modifica dell’art. 2 del medesimo decreto, in particolare del secondo periodo del comma 1 di detta nor- ma nella parte in cui esclude dalla giurisdizione tributaria le controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata successivi alla noti- fica della cartella di pagamento. Ciò indica ancora una volta di più che la individuazione dell’area della giurisdizione tributaria, e dei relativi limiti, può essere compiuta solo mediante una lettura integrata del d.lgs. n. 546 del 1992, artt. 2 e 19, e rende testimonianza di una chiara volontà legislativa di generalizzare la giurisdizione tributaria, lasciando alla giurisdizione ordinaria solo la sfera residuale dell’espropriazione forzata vera e propria la cui disciplina ha movenze simili a quella contenuta nel codice di rito e rispetto alla quale possono ben essere funzionali gli strumenti giurisdizionali di tutela del debitore garantiti dal medesimo codice».
8. Nella successiva ordinanza n. 10672 del 2009, le Sezioni Unite – ragionando sulla «circostanza che nei caso di specie l’azione (era) stata introdotta anteriormente all’entrata in vigore della modifica apportata al d.lgs. n. 546 del 1992, art. 19, dal d.l. n. 223 del 2006, art. 35, comma 25-quinquies, che ha collocato tra gli atti impugna- bili innanzi al giudice tributario anche il fermo ex art. 86, d.P.R. n. 602 del 1973» – hanno ritenuto che le conclusioni raggiunte nell’ordinanza n. 14831 del 2008 dessero «corpo ad una valenza non solo innovativa, ma anche (e prima ancora) interpretativa delle modifiche normative disposte con il d.i. n. 223 del 2006, art. 35, comma 25- quinquies».
8.1. Per le Sezioni Unite «se il fermo amministrativo non è, come sembra invero più giusto ritenere anche in relazione alla collocazione “topografica” di tale atto nel sistema normativo, un atto dell’espropriazione forzata, ma un atto riferito ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria, allora deve escludersi la giurisdizione del giudice ordinario che, in materia tributaria, ha giurisdizione relativamente alle sole controversie attinenti alla fase dell’esecuzione forzata».
8.2. Nella fattispecie si trattava, poi, della impugnazione del “preavviso di fermo”, istituito dall’Agenzia delle Entrate con nota n. 57413 del 9 aprile 2003. La nota prevedeva che i concessionari, una volta emesso il provvedimento di fermo amministrativo dell’auto, ma pri- ma di procedere alla iscrizione del medesimo, comunicassero al con- tribuente moroso – che non avesse cioè provveduto a pagare il do- vuto entro i sessanta giorni dalla notifica della cartella – un avviso ad adempiere al debito entro venti giorni, decorsi i quali si sarebbe provveduto a rendere operativo il fermo. Il preavviso avrebbe avuto valore come comunicazione di iscrizione del fermo a decorrere dal ventesimo giorno successivo.
8.3. Le Sezioni Unite ne concludevano che il “preavviso” fosse «sostanzialmente l’unico atto mediante il quale il contribuente viene a conoscenza della esistenza nei suoi confronti di una procedura di fermo amministrativo dell’autoveicolo» e che esso si collocasse «al- l’interno di una sequela procedimentale – emanazione del provvedimento di fermo, preavviso, iscrizione del provvedimento emanato – finalizzata ad assicurare, mediante una pronta conoscibilità del provvedimento di fermo, una ampia tutela del contribuente che di quei provvedimento è il destinatario». In questa prospettiva, le Sezioni Unite non mancavano di evidenziare come il preavviso di fermo svolgesse «una funzione assolutamente analoga a quella dell’avviso di mora nel quadro della comune procedura esecutiva esattoriale, e, come tale avviso, esso non (poteva) non essere un atto impugnabile».
8.4. A siffatta conclusione – ossia la ineludibile impugnabilità del “preavviso” – le Sezioni Unite non ravvisavano potesse ostare il fatto che il preavviso di fermo amministrativo non comparisse esplicitamente nell’elenco degli atti impugnabili contenuto nell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992. Facendo riferimento ad altro principio affermato da questa Corte (Cass. nn. 21045 del 2007, 27385 del 2008) che le Sezioni Unite dichiaravano di condividere, quest’ultime affermavano che «l’elencazione degli atti impugnabili, contenuta nel d.lgs. n. 546 del 1992, art. 19 (andasse) interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della p.a. (art. 97 Cost.), che in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la l. n. 448 del 2001. Con la conseguenza che (doveva) ritenersi impugnabile ogni atto che port(asse), comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, in quanto sorge in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l’interesse, ex art. 100 cod. proc. civ., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invo- care una tutela giurisdizionale, comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori vantati dall’ente pubblico».
9. Orbene, visto che l’art. 35, comma 25-quinquies, del d.l. n. 223 del 2006 ha riformato l’elenco degli atti impugnabili innanzi al giudice tributario collocandovi, oltre al fermo amministrativo di beni mo- bili registrati di cui all’art. 86 d.P.R. n. 602 del 1973, anche l’iscrizione di ipoteca di cui all’art. 77 del medesimo decreto, non diverse a proposito di quest’ultima possono essere le considerazioni dapprima sviluppate nella ricordata posizione assunta dalla giurisprudenza del- le Sezioni Unite in ordine al “fermo amministrativo”.
9.1. Nonostante la disciplina dell’iscrizione di ipoteca, a differenza di quella relativa al fermo amministrativo, trovi nel d.P.R. n. 602 del 1973 collocazione nel capo II (e non nel Capo III) del Titolo II, situazione che potrebbe far pensare maggiormente ad una relazione strettamente funzionale della stessa con l’espropriazione forzata, devono ritenersi valide in relazione all’iscrizione ipotecaria le medesime conclusioni raggiunte da queste Sezioni Unite rispetto al fermo amministrativo. Sicché anche rispetto all’iscrizione di ipoteca ex art. 77 d.P.R. n. 602 del 1973 deve ritenersi sussistere quella «valenza non solo innovativa, ma anche (e prima ancora) interpretativa delle modifiche normative disposte con il di. n. 223 del 2006, art. 35, comma 25-quinquies», ritenuta dall’ordinanza delle Sezioni Unite n. 10672 del 2009 con riferimento ai fermo amministrativo, dalla quale discende l’ineludibile carattere di atto impugnabile tanto di quest’ultimo, quanto dell’iscrizione di ipoteca.
9.2. Anzi, a dispetto della “collocazione topografica” nel decreto di riferimento e dello stretto legame strumentale che lega iscrizione ipotecaria ex art. 77 d.P.R. n. 602 del 1973 ed espropriazione, sembra ancor più evidente che detta iscrizione” non possa definirsi un “atto dell’esecuzione”: il fatto che secondo la disciplina positiva non necessariamente l’espropriazione deve seguire all’iscrizione ipoteca- ria, autorizza a ritenere che quest’ultima sia «un atto riferito ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria».
9.3. Ed è proprio la rilevata altematività dell’iscrizione ipotecaria rispetto all’espropriazione, la ragione che ne giustifica, come accade per il fermo amministrativo, l’attribuzione alla giurisdizione del giudice tributario senza che sussista alcuna violazione dei precetto costituzionale che vieta l’istituzione di giudici speciali (v. Corte cost. n. 37 del 2010, con riferimento all’istituto del fermo amministrativo di beni mobili registrati).
10. Se l’iscrizione ipotecaria ex art. 77 d.P.R..n. 602 del 1973 deve essere esclusa, come effettivamente deve esserlo per le ragioni già esposte, dall’ambito specifico dell’espropriazione, non può ritenersi applicabile alla fattispecie la regola prescritta dall’art. 50, comma 2, d.P.R. n. 602 del 1973. Non lo consente la lettera della espressione normativa la quale chiaramente stabilisce che «se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, l’espropriazione stessa deve essere preceduta dalla notifica, da effettuarsi con le modalità previste dall’articolo 26, di un avviso che contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni». Non lo consente nemmeno la lettera della norma di cui all’art. 77, d.P.R. n. 602 del 1973, la quale, al secondo comma, prevede che, «prima di procedere all’esecuzione, il concessionario deve iscrivere ipoteca», e, al primo comma, richiama esclusivamente il primo e non anche il secondo comma dell’art. 50 del mede- 9 simo decreto (in questo senso v. anche Cass. ord. n. 10234 del 2012).
11.. Sicché può affermarsi il seguente principio di diritto: «l’ipoteca prevista dall’art. 77 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, può esse- re iscritta senza necessità di procedere a notifica dell’intimazione ad adempiere di cui all’art. 50, secondo comma, del medesimo d.P.R., prescritta per il caso che l’espropriazione forzata non sia iniziata en- tro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, poiché l’iscrizione ipotecaria non può essere considerata un atto dell’espropriazione forzata, bensì un atto riferito ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria».
12. Nella medesima prospettiva, e non a caso, questa Corte ha ritenuto che il concessionario, non essendo il “fermo amministrativo” inserito come tale nella sequenza procedirnentale dell’espropriazione forzata, «non deve provvedere alla preventiva notifica dell’avviso contenente l’intimazione ad adempiere l’obbligazione risultante dal ruolo ex art. 50, comma secondo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, disposizione, questa, applicabile solo nel circoscritto ambito dell’esecuzione forzata (Cass. ord. n. 26052 del 2011).
13. L’affermata inapplicabilità all’iscrizione ipotecaria ex art. 77, d.P.R. n. 602 del 1973 della previsione di cui all’art. SO, comma 2, del medesimo decreto non significa tuttavia che l’iscrizione ipoteca- ria possa essere eseguita per così dire insciente domino, senza che la stessa debba essere oggetto di alcuna comunicazione al contribuente
13.1. Proprio in quanto atto impugnabile innanzi al giudice tributario l’iscrizione ipotecaria presuppone una specifica comunicazione al contribuente: l’art. 21, d.lgs. n. 546 del 1992, prescrive, infatti, che gli atti impugnabili, elencati nell’art. 19 del medesimo decreto (e tra questi, come già visto, è enumerata anche l’iscrizione ipotecaria), debbano essere impugnati entro sessanta giorni dalla relativa notificazione.
13.2. Non solo. L’art. 21-bis della I. n. 241 del 1990 prevede un obbligo generalizzato di comunicazione dei provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei destinatari, e l’iscrizione ipotecaria costituisce fuor di dubbio un atto che limita fortemente la sfera giuridica del contribuente. L’art. 6 dello Statuto del contribuente, a sua volta, prevede che debba essere garantita «l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati».
13.3. Tali previsioni normative impongono che l’iscrizione di ipoteca debba essere comunicata al contribuente. Ciò sulla base di un principio generale, caratterizzante qualsiasi sistema di civiltà giuridica, che assume la doverosità della comunicazione di tutti gli atti lesivi della sfera giuridica del cittadino, comunicazione che costituisce il presupposto imprescindibile per la stessa impugnabilità dell’atto, in particolare nel processo tributario che è strutturato come processo di impugnazione di atti in tempi determinati rigidamente (e solo la “notifica” dell’atto impugnato può costituire rassicurante prova dei- l’effettivo rispetto del termine di impugnazione).
13.4. La comunicazione della quale si discute deve necessariamente precedere la concreta effettuazione dell’iscrizione ipotecaria, e ciò perché tale comunicazione è strutturalmente funzionale a consentire e a promuovere, da un lato, il reale ed effettivo esercizio del diritto di difesa del contribuente a tutela dei propri interessi e, dall’altro, l’interesse pubblico ad una corretta formazione procedimentale della pretesa tributaria e dei relativi mezzi di realizzazione.
13.5. Siffatto orientamento costituisce anche una specifica attuazione del principio generale emergente dall’art. 7 della legge n. 241 del 1990, il quale impone l’obbligo della comunicazione dell’avvio del procedimento ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti. La ricordata previsione normativa dell’obbligo di comunicazione (previa) di cui all’art. 7 della legge n. 241 del 1990, è espressione del principio costituzionale di imparzialità e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.) ed ha come ratio fondante: 1) la tutela dell’interesse – giuridicamente protetto – dei soggetti destinatari del procedimento: a) ad aver conoscenza di quest’ultimo; b) a poter controdedurre agli assunti su cui si basa l’iniziativa procedimentale dell’Amministrazione; c) ad inserire nel complesso delle valutazioni procedimentali anche quelle attinenti ai legittimi interessi del privato destinatario; 2) la tutela del- l’interesse pubblico al buon procedimento, interesse pubblico garantito da quell’apporto alla piena valutazione giuridico-fattuale che solo l’intervento procedimentale dei “soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti” può fornire; 4) altresì, la tutela dell’affidamento (anche al fine di consentire tempestive misure difensive o riparatorie) di soggetti incolpevolmente estranei alla scaturigine del procedimento lesivo, ed ignari di essa; 5) la medesima comunicazione dell’inizio del procedimento (v. TAR Lazio, Sez. I, 4 settembre 2009, n. 8373).
13.6. Non rende meno valida questa ricostruzione esegetica il fatto che l’art. 13, comma 2, della legge n. 241 del 1990 escluda i procedimenti tributari dall’applicazione degli istituti partecipativi previsti dall’art. 7 della stessa legge, in quanto non si tratta di una esclusione tout court dei predetti istituti, bensì solo di un rinvio per la con- creta regolamentazione dei medesimi alle norme speciali che disciplinano il procedimento tributario.
14. L’approdo della dottrina più moderna è l’opinione secondo la quale, essendo priva di qualsiasi ragionevolezza l’escludere dalla “partecipazione” il soggetto d’imposta (e destinatario della pretesa tributaria formatasi in esito al procedimento), si deve ritenere che in realtà la partecipazione e l’accesso sono compatibili con il procedi- mento tributario: essi tuttavia operano secondo gli schemi dello sta- tuto del contribuente e non secondo i modelli dalla legge n. 241 del 1990, coerentemente con quanto quest’ultima dispone, nel non escludere i procedimenti tributari dagli istituti partecipativi, ma rinviando in materia alle norme speciali per detti procedimenti previsti.
14.1. Orbene, laddove si rifletta sul fatto che lo statuto del contribuente è costituito da un complesso di norme la cui precipua funzione è quella di improntare l’attività dell’amministrazione finanziaria alle regole dell’efficienza e della trasparenza, nonché quella di assicurare l’effettività della tutela del contribuente nella fase dei procedimento tributario, è agevole vedere che si tratta di norme che sostanzialmente riproducono, con riferimento ad uno speciale procedimento amministrativo, alcune delle fondamentali regole dettate dalla legge n. 241 del 1990 sul procedimento in generale. E così tra le norme dello Statuto:
• l’art. 5, che obbliga l’amministrazione a promuovere la conoscenza da parte del contribuente delle disposizioni legislative in materia tributaria per l’evidente ragione del notevole numero di tali disposizioni e per la spesso imprevedibile mutevolezza delle medesime;
• l’art. 6, che obbliga l’amministrazione ad assicurare l’effettiva conoscenza degli atti da parte del destinatario, mediante la comunicazione nel luogo di effettivo domicilio e a informare il contribuente «di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il riconoscimento, seppure parziale, di un credito»; la norma obbliga altresì l’amministrazione a far sì che i modelli di dichiarazione siano messi tempestivamente a disposizione del contribuente e siano redatti in un linguaggio chiaro e comprensibile anche per chi è sfornito di conoscenze tecniche; inoltre è previsto che «prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta»;
• l’art. 7, che sancisce l’obbligo della motivazione degli atti, secondo il principio codificato dall’art. 3 della legge n. 241 del 1990;
• l’art. 10, comma 1, che fissa il fondamentale principio secondo il quale «i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede», che ribadisce in questa forma quella garanzia di decisione partecipata che costituisce la ratio della previsione normativa espressa dall’art. 7 della legge n. 241 del 1990;
• l’art. 12, comma 2, a norma del quale «quando viene iniziata la verifica, il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l’abbiano giustificata e dell’oggetto che la ri- guarda, della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, nonché dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti al contribuente in occasione delle verifiche».
15. Da questo complesso di norme emerge chiaramente che la pretesa tributaria trova legittimità nella formazione procedimentalizzata di una ‘decisione partecipata” mediante la promozione del contraddittorio (che sostanzia il principio di leale collaborazione) tra amministrazione e contribuente (anche) nella “fase precontenziosa” o “endoprocedimentale”, al cui ordinato ed efficace sviluppo è funzionale il rispetto dell’obbligo di comunicazione degli atti imponibili. Il diritto al contraddittorio, ossia il diritto dei destinatario del provvedimento ad essere sentito prima dell’emanazione di questo, realizza l’inalienabile diritto di difesa del cittadino, presidiato dall’art. 24 Cost., e il buon andamento dell’amministrazione, presidiato dall’art. 97 Cost. 13
15.1. In questa prospettiva si è mossa la giurisprudenza della Corte. Possono ricordarsi a titolo esemplificativo:
• la sentenza n. 16412 del 2007 delle Sezioni Unite, a pro- posito dell’avviso di mora non preceduto dalla notifica della cartella, la quale rileva che la mancata notificazione della cartella di pagamento comporta un vizio della sequenza proce- dimentale dettata dalla legge, che consente al contribuente di impugnare l’avviso, deducendone la nullità per omessa notifi- ca dell’atto presupposto;
• la sentenza n. 26635 del 2009, sempre delle Sezioni Uni- te, in materia di accertamento mediante standard (o studi di settore), secondo la quale il contraddittorio (endoprocedimentale) deve ritenersi un elemento essenziale e imprescindibile (anche in assenza di una espressa previsione normativa) del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa»;
• la sentenza n. 18184 del 2013, ancora delle Sezioni Uni- te, con la quale è stato affermato che «l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nello- cali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio (endo)procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi. di derivazione costituzionale. di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva»;
• la sentenza n. 15311 del 2014 della Sezione Tributaria, in ordine alla previsione di cui al comma 4 dell’art. 36-ter del d.P.R. n. 600 del 1973 – che obbliga l’amministrazione a comunicare al contribuente l’esito del controllo formale «con l’indicazione dei motivi che hanno dato luogo alla rettifica degli imponibili, delle imposte, delle ritenute alla fonte, dei contributi e dei premi dichiarate, per consentire anche la segnalazione di eventuali dati ed elementi non considerati o valutati erroneamente in sede di controllo formale entro i trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione» – la tro i trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione» – la quale afferma che dall’omessa comunicazione deriva la nullità della consequenziale cartella. E ciò in attuazione di un principio immanente nell’ordinamento e relativo alla garanzia connessa alla previsione della comunicazione quale momento di instaurazione del contraddittorio anteriore all’iscrizione a ruolo: condividendo le conclusioni raggiunte dalle Sezioni Unite nella ricordata sentenza n. 18184 del 2013, la Sezione Tributaria afferma che «la “sanzione” della invalidi- tà dell’atto conclusivo del procedimento, pur non espressamente prevista, deriva ineludibilmente dal sistema ordinamentale, comunitario e nazionale, nella quale la norma opera e, in particolare, dal rilievo che il vizio del procedimento si traduce, nella specie, in una divergenza dal modello normativo .. di particolare gravità, in considerazione della rilevanza della funzione, di diretta derivazione da principi costituzionali, cui la norma stessa assolve … e della forza impediente, rispetto al pieno svolgimento di tale funzione, che assume il fatto viziante».
15.2. Ma v’è di più. Il rispetto dei diritti della difesa e del diritto che ne deriva, per ogni persona, di essere sentita prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi, costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione, come afferma – ricordando la propria precedente sentenza del 18 dicembre 2008, in causa C-349/07 Sopropè – la Corte di Giustizia nella sua recentissima sentenza del 3 luglio 2014 in cause riunite C- 129/13 e C-130/13, Kamino International Logistics BV e Datema Hellmann Worldwide Logistics BV.
15.2.1. «Il diritto al contraddittorio in qualsiasi procedimento» afferma la Corte di Giustizia, «è attualmente sancito non solo negli ar- ticoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che garantiscono il rispetto dei diritti della difesa nonché il diritto ad un processo equo in qualsiasi procedimento giurisdizionale, bensì anche nell’articolo 41 di quest’ultima, il quale garantisce il diritto ad una buona amministrazione. Il paragrafo 2 del citato articolo 41 prevede che tale diritto a una buona amministrazione comporta, in particolare, il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale lesivo».
15.2.2. Conclude la Corte che «in forza di tale principio, che trova applicazione ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, i destinatari di 15 decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione», mediante una previa comunicazione del provvedi- mento che sarà adottato, con la fissazione di un termine per presentare eventuali difese od osservazioni. «Tale obbligo», ad avviso della Corte, «incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, quand’anche la normativa comunitaria applicabile non preveda espressamente siffatta formalità».
16. Dal complesso delle considerazioni fin qui svolte si deve concludere che l’iscrizione ipotecaria prevista dall’ad. 77, d.P.R. n. 602 del 1973, in quanto atto destinato ad incidere in modo negativo sui di- ritti e gli interessi del contribuente, deve essere a quest’ultimo comunicata prima di essere eseguita, in ragione del dovuto rispetto del diritto di difesa mediante l’attivazione dei “contraddittorio endoprocedimentale”, che costituisce un principio fondamentale immanente nell’ordinamento cui dare attuazione anche in difetto di una espressa e specifica previsione normativa. Quanto al consequenziale ter- mine da fissare al destinatario per la presentazione di eventuali osservazioni (o, dato il caso specifico, per il pagamento del dovuto) anch’esso può trarsi, in difetto di espressa previsione scritta, dal sistema e determinarlo in trenta giorni sulla base delle prescrizioni che prevedono analogo termine con l’art. 6, comma 5, dello Statuto del contribuente o l’art. 36-ter, comma 4, d.P.R. n. 600 del 1973.
17. Nel quadro delineato, il comma 2-bis dell’art. 77, d.P.R. n. 602 del 1973, introdotto con d.l. n. 70 del 2011, che obbliga l’agente della riscossione «a notificare al proprietario dell’immobile una comunicazione preventiva contenente l’avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà iscritta l’ipoteca di cui a) comma 1», non “innova” (soltanto) – se non sul piano formale – la disciplina dell’iscrizione ipotecaria, ma ha (anche e prima ancora) una reale “valenza interpretativa”, in quanto esplicita in una norma positiva il precetto imposto dal rispetto del principio fondamentale immanente nell’ordinamento tributario che prescrive la tutela del diritto di difesa dei contribuente mediante l’obbligo di attivazione da parte dell’amministrazione del “contraddittorio endoprocedimentale” ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente medesimo. Principio il cui rispetto è dovuto da parte dell’amministrazione indipendentemente dal fatto che ciò sia previsto espressamente da una norma positiva e la cui violazione determina la nul- lità dell’atto lesivo che sia stato adottato senza la preventiva comunicazione al destinatario. Tuttavia, nel caso specifico, stante la natura reale dell’ipoteca, l’iscrizione per avventura eseguita senza che sia stato rispettato dall’amministrazione l’obbligo della preventiva comunicazione al contribuente conserva la propria efficacia fino a quando il giudice non ne abbia ordinato la cancellazione, accertandone l’illegittimità, salvo in ogni caso la responsabilità dell’amministrazione ai fini dell’eventuale risarcimento del danno.
18. Sicché può affermarsi il seguente principio di diritto: «Anche nel regime antecedente l’entrata in vigore del comma 2-bis dell’art. 77, d.P.R., introdotto con d.L n. 70 del 2011, l’amministrazione prima di iscrivere ipoteca ai sensi dell’art. 77, d.P.R. n. 602 del 1973, deve comunicare al contribuente che procederà alla predetta iscrizione sui suoi beni immobili, concedendo a quest’ultimo un termine – che, per coerenza con altre analoghe previsioni normative presenti nel sistema, può essere fissato in trenta giorni – perché egli possa esercitare Il proprio diritto di difesa, presentando opportune osservazioni, o provveda al pagamento del dovuto. L’iscrizione di ipoteca non preceduta dalla comunicazione al contribuente è nulla, in ragione della violazione dell’obbligo che incombe all’amministrazione di attivare il “contraddittorio endoprocedimentale, mediante la preventiva comunicazione al contribuente della prevista adozione di un atto o provvedimento che abbia la capacità di incidere negativamente, de- terminandone una lesione, sui diritti e sugli interessi del contribuente medesimo. Tuttavia in ragione della natura reale dell’ipoteca, l’iscrizione eseguita in violazione del predetto obbligo conserva la propria efficacia fino a quando il giudice non ne abbia ordinato la cancellazione, accettandone l’illegittimità».
19. E’ possibile, quindi, passare all’esame degli altri motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, tutti risolvendosi in una denuncia di vizio di motivazione sotto diversi profili.
19.1. Fondato è il primo motivo, con il quale la parte ricorrente censura la sentenza impugnata per aver «respinto l’appello, risolvendo la motivazione in un mero rinvio alla decisione del giudice di prime cure, senza riportarne, neanche in maniera sintetica, il contenuto motivazionale».
19.1.1. Invero la sentenza impugnata argomenta la propria decisione mediante un apodittico rinvio alla sentenza del primo giudice, limitandosi ad affermare: «i motivi di impugnazione della sentenza di primo grado, addotti dall’appellante, sono gli stessi che i giudici di prime cure hanno già esaminato e rigettato con analitiche motivazioni: sotto questo aspetto, pertanto, l’appello, essendo la riproposìzione del ricorso di primo grado, risulterebbe improponibile».
19.1.2. Si tratta di una sentenza nulla alla luce del principio più volte affermato da questa Corte secondo cui: «In tema di processo tributario, è nulla, per violazione degli artt. 36 e 61 dei d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 118 disp. att. cod. proc, civ., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare per relationem alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, atteso che, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame» (v. Cass. n. 28113 del 2013).
19.2. Fondato è il terzo motivo, con il quale la parte ricorrente censura l’impugnata sentenza per aver arbitrariamente richiamati i criteri di determinazione del valore ai sensi dell’art. 79, d.P.R. n. 602 del 1973, a proposito della denuncia sperequazione tra carico tributario e valore dell’immobile oggetto dell’iscrizione ipotecaria.
19.2.1. Invero la sentenza impugnata non offre alcuna motivazione sul punto, limitandosi ad un apodittico richiamo all’art. 79, d.P.R. n. 602 del 1973, senza renderne comprensibili le ragioni ed omettendo un qualsiasi riferimento alla specifica e concreta valutazione dei beni oggetto della contestata iscrizione ipotecaria e all’eventuale rapporto tra il valore di questi e il credito ipotecario.
19.3. Fondato è infine il quarto motivo, con il quale la parte ricorrente censura la sentenza impugnata per aver omesso qualsiasi mo- tivazione in ordine ai mancato accoglimento della richiesta di danno che era stata avanzata dal contribuente.
19.3.1. Invero la sentenza impugnata si limita ad affermare che «i! danno denunciato è da provare in relazione all’esistenza, alla sua riferibilità al comportamento che si assume lesivo ed alla sua quantificazione». In buona sostanza una vera e propria petizione di principio, che esprime una regola giuridica senza dar conto delle ragioni per le quali la situazione di fatto esaminata dal giudicante non corrisponda alla fattispecie astratta disciplinata dalle norme sui caratteri cui deve rispondere la dimostrazione del danno preteso.
20. Pertanto il ricorso deve essere accolto nei sensi e nei limiti di cui alle sopra riportate considerazioni e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania che provvederà anche in ordine alle spese della presente fase del giudizio.
PQM
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Accoglie il ricorso nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 giugno 2014.
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