CORTE DI CASSAZIONE – Sezioni Unite – Sentenza n. 2359 del 9 febbraio 2015
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – ASSOCIAZIONE SINDACALE – CORPO DI POLIZIA PENITENZIARIA – NULLA OSTA SINDACALE PER IL TRASFERIMENTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La UGL-FNP di Pescara propose ricorso ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 28, nei confronti del Ministero della Giustizia, lamentando l’antisindacalità del trasferimento disposto dal Direttore della Casa Circondariale di Pescara nei confronti di P.D., Vice Segretario Provinciale dell’organizzazione sindacale ricorrente, dal “nucleo traduzioni e piantonamento detenuti” al “servizio a turno di istituto” senza il nulla osta dell’organizzazione sindacale di appartenenza.
L’adito Tribunale di Pescara accolse il ricorso, ordinando la cessazione della condotta censurata e la reintegrazione del sindacalista nelle mansioni precedentemente assegnategli.
Il medesimo Tribunale di Pescara rigettò l’opposizione del Ministero della Giustizia e la Corte d’Appello dell’Aquila, con sentenza del 29.5-24.6.2008, rigettò il gravame del medesimo Ministero.
Con l’anzidetta sentenza la Corte territoriale ritenne che:
– era infondata l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal Ministero appellante, non contemplando il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 3, che attribuisce al giudice ordinario la tutela giurisdizionale dei diritti sindacali nel lavoro pubblico, una distinzione a seconda che gli effetti del provvedimento vengano ad interessare dipendenti soggetti al regime privatistico ovvero pubblicistico;
– in base a quanto previsto dall’art. 6 dell’Accordo Nazionale Quadro di Amministrazione per il Personale appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria, era necessario il nulla osta sindacale per il trasferimento in un ufficio o servizio diverso, come avvenuto nel caso di specie.
Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi.
L’intimata UGL-FNP di Pescara ha resistito con controricorso.
La causa è stata assegnata a queste Sezioni Unite essendo stata sollevata, con il primo motivo di ricorso, questione di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 3, comma 1, e art. 63, commi 3 e 4, della L. n. 83 del 2000, art. 4, e della L. n. 300 del 1970, art. 28, eccepisce il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, in favore di quello amministrativo, laddove, come nella specie, il dipendente pubblico interessato dalla condotta asseritamente antisindacale appartenga ad una categoria di personale sottratta alla cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego.
Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione della L. n. 300 del 1970, art. 22, e dall’art. 6 dell’Accordo Nazionale Quadro di Amministrazione per il Personale appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria, deduce che, da una corretta esegesi di quest’ultima disposizione, deve ritenersi che il nulla osta sia richiesto soltanto in ipotesi di mobilità nell’ambito dello stesso Comune e non già in ipotesi di mutamento di mansioni nell’ambito della medesima struttura.
2. In ordine al primo motivo deve rilevarsi che la giurisprudenza di queste Sezioni Unite ha già avuto modo di esaminare la questione giuridica sollevata dal Ministero ricorrente, osservando, all’esito di attenta disamina dell’evoluzione del quadro legislativo interessante le materia, che sono assoggettate alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie promosse dalle associazioni sindacali ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori, anche quando la condotta antisindacale afferisca ad un rapporto di pubblico impiego non contrattualizzato e che incida non solo sulle prerogative sindacali dell’associazione ricorrente, ma anche sulle situazioni soggettive individuali dei pubblici dipendenti (cfr, Cass., SU, n. 20161/2010).
Al riguardo, in particolare, è stato evidenziato che l’intervenuta abrogazione, ad opera della L. n. 83 del 2000, art. 4, della L. n. 300 del 1970, art. 28, commi 6 e 7, esprime la volontà del legislatore che la regola della giurisdizione in materia di controversie promosse da sindacati ed aventi ad oggetto condotte antisindacali di pubbliche amministrazioni sia solo quella dettata, in termini inequivoci, dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 3, che devolve al giudice ordinario le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 28, senza più l’interferenza data dalla particolare ipotesi in cui l’associazione sindacale richieda anche la rimozione di un provvedimento incidente su posizioni individuali di dipendenti pubblici regolate ancora con atti amministrativi e non già con atti di gestione di diritto privato; ossia senza più quell’eccezione, in favore della giurisdizione del giudice amministrativo, che residuava proprio in forza della L. n. 300 del 1970, abrogato art. 28, comma 7, (secondo il quale “Qualora il comportamento antisindacale sia lesivo anche di situazioni soggettive inerenti al rapporto di impiego, le organizzazioni sindacali di cui al comma 1, ove intendano ottenere anche la rimozione dei provvedimenti lesivi delle predette situazioni, propongono il ricorso davanti al tribunale amministrativo regionale competente per territorio, che provvede in via di urgenza con le modalità di cui al comma 1. Contro il decreto che decide sul ricorso è ammessa, entro quindici giorni dalla comunicazione del decreto alle parti, opposizione davanti allo stesso tribunale, che decide con sentenza immediatamente esecutiva”).
A ciò deve aggiungersi che, in relazione alla possibilità della coesistenza di due controversie in qualche misura connesse (Cuna, promossa innanzi al giudice ordinario, L. n. 300 del 1970, ex art. 28, dal sindacato, per la repressione del comportamento antisindacale dell’amministrazione pubblica; l’altra, promossa innanzi al giudice amministrativo, dal dipendente ancora in regime di lavoro pubblico, per contestare la legittimità di un provvedimento, incidente sul suo rapporto di impiego, affetto da un motivo di discriminazione sindacale), con conseguente ipotizzata violazione, sul piano costituzionale, del principio di ragionevolezza (oltre che dell’art. 25 Cost.), la Corte costituzionale, con ordinanza n. 143/2003, avallando la surriferita opzione ermeneutica, ha rilevato che tale soluzione interpretativa “implica o b1) una prevenzione del paventato conflitto di giudicati, attraverso il coordinamento, ex art. 295 c.p.c., dell’azione individuale con quella promossa dal sindacato, ovvero b2) la radicale negazione di ogni possibilità di conflitto pratico di giudicati, riconoscendo la totale autonomia delle due azioni in quanto volte a tutelare distinte situazioni sostanziali”, concludendo quindi nel senso che “del tutto insussistente è la violazione dell’art. 25 Cost., così come insussistente è la lamentata irragionevolezza della disciplina (ex art. 3 Cost.)”.
Queste Sezioni Unite intendono qui dare continuità al sopra ricordato orientamento, con conseguente rigetto del motivo, non ravvisando nelle argomentazioni svolte dal ricorrente ragioni che già non siano state oggetto di disamina.
3. Quanto al secondo motivo giova ricordare che l’art. 6 dell’Accordo Nazionale Quadro di Amministrazione per il Personale appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria prevede che “Nell’ambito della stessa sede di servizio, da intendersi quale località ove è ubicata la struttura o la singola direzione, il trasferimento dei dirigenti sindacali – che ricoprono cariche in seno agli organismi direttivi previsti dalle 00. SS. rappresentative sul piano nazionale del Corpo di polizia penitenziaria – in un Ufficio o Servizio diverso da quello di assegnazione può essere disposto solo previo N.O. delle OO.SS. di appartenenza”.
Tale previsione contrattuale va letta in correlazione con quanto previsto dal D.P.R. n. 395 del 1995, art. 32, comma 1, (Recepimento dell’accordo sindacale del 20 luglio 1995 riguardante il personale delle forze di polizia ad ordinamento civile (polizia di stato, corpo di polizia penitenziaria e corpo forestale dello stato) e del provvedimento di concertazione del 20 luglio 1995 riguardante le forze di polizia ad ordinamento militare (arma dei carabinieri e corpo della guardia di finanza)), secondo cui “i trasferimenti ad ufficio con sede in un comune diverso di appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria ed al Corpo forestale dello Stato, che ricoprono cariche di dirigenti sindacali in seno agli organismi direttivi previsti dagli statuti delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, possono essere effettuati previo nulla osta delle organizzazioni sindacali di appartenenza” e dal D.P.R. n. 254 del 1999, art. 34, comma 1, (Recepimento dell’accordo sindacale perle Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 1998-2001 ed al biennio economico 1998-1999), secondo cui, “Nell’ambito della stessa sede di servizio, i trasferimenti in uffici diversi da quelli di appartenenza del segretario nazionale, regionale e provinciale delle organizzazioni sindacali delle Forze di Polizia ad ordinamento civile rappresentative sul piano nazionale, possono essere effettuati previo nulla osta dell’organizzazione sindacale di appartenenza”, fatte salve, come disposto dal comma 5 del medesimo articolo, le previsioni del D.P.R. n. 395 del 1995, art. 32.
Se ne ricava che il ridetto art. 6 dell’Accordo Nazionale Quadro di Amministrazione per il Personale appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria, con carattere di specialità, prevede che il nulla osta delle organizzazioni sindacali di appartenenza per il trasferimento dei dirigenti sindacali non è limitato all’ipotesi che il trasferimento stesso implichi la destinazione ad un ufficio con sede in un comune diverso, nè che, per i trasferimenti nell’ambito della stessa sede di servizio, gli stessi debbano riguardare soltanto il segretario nazionale, regionale e provinciale delle organizzazioni sindacali.
La questione che si pone è dunque limitata all’accertamento degli (eventuali) limiti che condizionino, a mente del medesimo art. 6 dell’Accordo Nazionale Quadro di Amministrazione per il Personale appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria, la necessità che i trasferimenti dei dirigenti sindacali contemplati dalla norma siano preceduti dal nullaosta dell’organizzazione sindacale di appartenenza e, più in particolare, in relazione a quanto sostanzialmente prospetta la parte ricorrente, se detto nulla osta sia richiesto soltanto ove il trasferimento avvenga, seppur nell’ambito dello stesso comune, in una struttura di destinazione distinta da quella di origine.
Osserva al riguardo il Collegio che il riferimento fatto dalla previsione contrattuale all’esame alla “località ove è ubicata la struttura o la singola direzione” trova la sua ragion d’essere proprio in relazione al ricordato disposto del D.P.R. n. 395 del 1995, art. 32, comma 1, in base al quale il previo nulla osta delle organizzazioni sindacali di appartenenza era richiesto soltanto per i trasferimenti ad un ufficio con sede in un comune diverso, ed ha quindi la specifica finalità (derogatoria rispetto a quella generale testè indicata) di escludere tale limitazione territoriale e non già quella, priva di riscontro testuale, di contemplare la necessità del previo nulla osta soltanto nelle ipotesi di trasferimenti presso strutture diverse site nel medesimo ambito territoriale.
La norma contrattuale è invece al contrario inequivoca nello statuire che il suddetto previo nulla osta è comunque richiesto, (anche) nell’ambito della medesima località sede di servizio, ogni qual volta venga disposto il trasferimento di un dirigente sindacale in un Ufficio o Servizio diverso da quello di assegnazione.
Poichè la Corte territoriale ha sostanzialmente seguito la suddetta interpretazione, anche il motivo all’esame va disatteso.
4. In definitiva il ricorso va quindi rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 4.200,00 (quattromiladuecento), di cui Euro 200,00 (duecento) per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.
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