CORTE di CASSAZIONE a SEZIONI UNITE sentenza n. 23894 del 24 novembre 2015
FALLIMENTO – AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA – RICORSO PER ATTI E PROVVEDIMENTI LESIVI DI DIRITTI SOGGETTIVI – CONDIZIONI – NORME PROCEDURALI IN TEMA DI LIQUIDAZIONE – NATURA E VALENZA – NON ASSIMILABILITA’ AI CONTRATTI AD EVIDENZA PUBBLICA – RAGIONI – GIURISDIZIONE – GIUDICE ORDINARIO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La spa M.P.S. Gestione Crediti, in nome e per conto della S.p.A. Banca Monte dei Paschi di Siena, anche quale incorporante la cessata S.p.A. Banca Toscana, chiedeva all’adito Tribunale di Ancona che fosse dichiarata, rilevata la violazione del D.Lgs. n. 270 del 1999, artt. 62, 63 e 55, la nullità, ai sensi dell’art. 1418 c.c., ovvero l’annullabilità e la conseguente inefficacia nei confronti della banca istante delle operazioni di cessione del complesso aziendale, effettuate in pregiudizio dei creditori ammessi allo stato passivo nella categoria “ipotecari”, nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria della S.p.A. A.M., oltre che di ogni ulteriore atto conseguente e successivo, con disapplicazione, ai sensi della L. n. 2248 del 1865, art. 5, all. E, delle autorizzazioni amministrative rilasciate dal Ministero per lo sviluppo economico, le quali, stante l’accertata violazione di diritti soggettivi, potevano essere legittimamente sindacate dal giudice ordinario incidenter tantum.
Con successivo ricorso depositato il 15 febbraio 2012,la S.p.A. Unicredit Credit Management Bank, quale mandataria della S.p.A. Unicredit, la S.p.A. Banca delle Marche, la S.p.A. Banca Popolare di Ancona, la S.p.A. Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana, la S.p.A. Banca CR Firenze e la S.p.A. Banca dell’Adriatico formulavano le medesime richieste già avanzate dalla S.p.A. M.P.S. Gestione Crediti.
Instaurato il contraddittorio, la S.p.A. A. M. in amministrazione straordinaria, nel costituirsi, avanzava eccezioni attinenti al difetto di giurisdizione del Tribunale adito e di interesse delle banche ricorrenti, sostenendo, comunque, nel merito, la perfetta osservanza da parte degli organi preposti alla procedura delle norme dettate in materia di vendita di beni immobili facenti parte del patrimonio di un’impresa sottoposta ad amministrazione straordinaria.
Si costituivano in entrambi i procedimenti la S.p.A. QS Group e la S.p.A. J.P. Industries, quali cessionarie del complesso aziendale de quo (cessione avvenuta in data 27 dicembre 2011), che invocavano, in via preliminare, inammissibilità e l’improcedibilità dei ricorsi per difetto di giurisdizione del Giudice ordinario in favore di quello amministrativo, in quanto proposti a tutela di interessi legittimi e non di diritti soggettivi. Nel merito contestavano le richieste delle ricorrenti in ordine alla prospettata violazione del D.Lgs. n. 270 del 1999, artt. 62 e 63, con riferimento alle modalità di vendita dell’azienda, alla asserita illegittimità della scelta dell’acquirente, all’ipotizzata erronea valutazione del complesso aziendale oggetto di cessione ed alla presunta incongruità del relativo prezzo, nonché all’inosservanza degli obblighi delle società acquirenti riguardanti la prosecuzione delle attività imprenditoriali, la salvaguardia dell’unità operativa aziendale ed il mantenimento dei livelli occupazionali.
Con comparsa in data 9 maggio 2012, il Ministero dello sviluppo economico si costituiva instando per il rigetto dei ricorsi, dopo aver eccepito preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice adito e la propria carenza di legittimazione passiva, deducendo la sostanziale assenza di altri potenziali acquirenti e la conseguente irrealizzabilità di un maggior prezzo di cessione e, comunque, la mancanza di obiettivi riscontri circa la possibilità di un miglior realizzo. Contestava tutte le censure mosse dagli istituti di credito ricorrenti in ordine all’intera operazione effettuata dai Commissari straordinari nel rispetto delle vigenti disposizioni di legge. Si costituivano in giudizio, altresì, il Comitato Operai Metalmeccanici Umbri nonché T.G., + altri omessi già dipendenti della S.p.A. A. M., che spiegavano intervento adesivo riportandosi a tutte le conclusioni rassegnate dai ricorrenti istituti.
Disposta la riunione dei procedimenti per ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva, il Tribunale, con ordinanza del 19-24 luglio 2012, disponeva l’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio.
Con memoria del 27 luglio 2012 la Fiom Cgil della provincia di Ancona interveniva in giudizio, così pure intervenivano, in data 6 agosto 2012, la Firn Cisl di Ancona, B.C., + altri omessi in adesione delle ragioni della S.p.A. A. M. in amm. straordinaria.
In data 22 maggio 2013 interveniva pure P.S. che deduceva l’invalidità delle operazioni di cessione. Esaurita l’attività istruttoria, il Tribunale di Ancona, con provvedimento del 20 settembre 2013, dichiarava la nullità, ai sensi dell’art. 1418 c.c., della cessione del complesso aziendale in questione, effettuata con atto del 27 dicembre 2011 a rogito notaio M. ed intercorsa tra i Commissari straordinari della S.p.A. A. M. in a. s. e la S.p.A. J.P. Industries nonché la S.p.A. QS Group, oltre che la nullità del precedente contratto preliminare stipulato tra le stesse parti, di ogni ulteriore atto conseguente e successivo, disapplicando, ai sensi della L. n. 2248 del 1865, art. 5, all. E, le autorizzazioni amministrative rilasciate, su richiesta dei medesimi Commissari, dal Ministero dello sviluppo economico; compensava tra le parti le spese di lite ponendo definitivamente quelle di c.t.u. a carico della S.p.A. A. M. in amministrazione straordinaria, del Ministero dello sviluppo economico e delle società acquirenti.
A tali statuizioni il Tribunale era pervenuto, previo riconoscimento della giurisdizione del giudice ordinario sul presupposto che la pretesa di cui si invocava la tutela e fatta valere dalle banche istanti integrasse una posizione di diritto soggettivo e non già di mero interesse legittimo, essendo configurabile, nel caso in esame, un diritto di credito, oltre che un vero e proprio diritto a vedere conservata la garanzia patrimoniale del debitore, affermando a) l’intervenuta violazione del diritto azionato, risultato sacrificato a causa di una errata valutazione dei beni oggetto di cessione; b) l’inderogabilità del criterio in base al quale, nella determinazione del valore dell’azienda ai fini della alienazione, secondo la disciplina stabilita dal D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 63, la redditività negativa poteva essere calcolata solo con riferimento al biennio successivo alla stima; c) la conseguente nullità del contratto di cessione per calcolo della redditività negativa con riferimento ad un arco temporale superiore al biennio stabilito dalla legge; d) la disapplicazione del provvedimento autorizzativo emesso dal Ministero dello sviluppo economico derivante dalla invalidità di una stima calcolata in relazione all’anzidetto parametro travalicante i due anni; e) la correttezza della valutazione compiuta dal nominato consulente tecnico d’ufficio; f) la mancanza di congruità del prezzo su cui era intervenuto l’accordo dei contraenti rispetto al valore stabilito dal c.t.u..
Avverso tale decisione, con ricorso ai sensi del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 65, comma 2, e art. 739 c.p.c., la S.p.A. A. M. proponeva reclamo chiedendone l’annullamento, la revoca o la riforma, invocando la declaratoria di inammissibilità ovvero il rigetto, in quanto infondate in fatto e in diritto, di tutte le domande e le eccezioni proposte dalle banche ricorrenti nonché quelle delle altre parti intervenute in giudizio che avevano condiviso la posizione processuale assunta dagli istituti medesimi.
Avverso lo stesso decreto del Tribunale di Ancona del 20 settembre 2013 veniva proposto analogo reclamo da parte della S.p.A. QS Group e della S.p.A. J.P. Industries le quali concludevano, in via pregiudiziale, affinché fosse dichiarata la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, con conseguente rimessione alla Consulta e sospensione del giudizio L. n. 87 del 1953, ex art. 23, del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 63, comma 1, che, ove fosse ritenuto norma imperativa, avrebbe contenuto una vera e propria fonte eteronoma contrattuale che avrebbe imposto la fissazione di clausole prescindendo completamente dalla volontà delle parti (costrette a proporre e ad accettare un prezzo non determinato in ragione delle concrete condizioni di mercato) con conseguente evidente ingiustificata compromissione dell’autonomia privata e violazione degli artt. 1, 2, 3 e 41 Cost..
Nel merito instavano per l’accoglimento del reclamo e, in riforma del decreto impugnato, per la reiezione dei ricorsi proposti; in subordine invocavano una diversa regolamentazione in ordine alle spese di consulenza tecnica d’ufficio, nel senso che le stesse fossero poste a carico delle ricorrenti in primo grado ovvero del Ministero dello sviluppo economico e della S.p.A. A. M. in amministrazione straordinaria.
Si costituivano, con unica memoria, la S.p.A. Unicredit, la S.p.A. Banca delle Marche, la S.p.A. Banca popolare di Ancona, la S.p.A. Veneto Banca, in qualità di soggetto incorporante la Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana, la S.p.A. Banca CR Firenze e la S.p.A. Banca dell’Adriatico che contestavano il fondamento del gravame riportandosi, in sostanza, alle argomentazioni, svolte dai primi giudici.
Svolgevano inoltre reclamo incidentale subordinato in relazione alla normativa applicabile alla cessione aziendale nell’ambito della disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, che non era quella ex art. 63, del più volte menzionato D.Lgs. n. 270, bensì quella di cui all’art. 62 della medesima normativa, dovendosi ritenere intervenuta, nel caso in esame, plurima violazione di legge posta, in modo inderogabile, a tutela di interessi sociali e non dei soli creditori. In tale contesto riproponevano la domanda alternativa formulata nel ricorso ex art. 65 del citato Decreto Legislativo, chiedendo, rilevata la violazione degli artt. 55, 62 e 63, che fosse accertata e dichiarata, se non la nullità ai sensi dell’art. 1418 c.c., l’annullabilità e la conseguente inefficacia nei confronti delle banche deducenti, della cessione del complesso aziendale in questione in quanto in evidente pregiudizio dei creditori ammessi allo stato passivo nella categoria ipotecari, con disapplicazione delle autorizzazioni amministrative rilasciate che, stante l’accertata violazione di diritti soggettivi, ben potevano essere sindacate dal giudice ordinario incidenter tantum. Veniva, infine, chiesta la riforma del capo relativo alla disposta regolamentazione delle spese di lite in termini di integrale compensazione nel senso che tali oneri gravassero su controparte.
La S.p.A. Banca Monte dei Paschi di Siena, nel costituirsi a sua volta, domandava la conferma del provvedimento impugnato rifacendosi alle argomentazioni poste dal Tribunale a sostegno della pronunciata nullità.
Si costituivano, altresì a) il Ministero dello sviluppo economico che tornava ad eccepire il difetto di giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria e la propria carenza di legittimazione passiva ed a dedurre l’infondatezza dei ricorsi proposti dagli istituti di credito istanti con accoglimento del reclamo della S.p.A. A. M. in amministrazione straordinaria; b) la Fiom Cgil della provincia di Ancona che concludeva per la declaratoria di difetto di giurisdizione del Tribunale ordinario a favore del Giudice amministrativo e, nel merito, per “l’annullamento, la revoca o la riforma” del provvedimento impugnato; c) la Firn Cisl di Ancona che instava per l’accoglimento dei proposti reclami ed il rigetto di quello incidentale condizionato avanzato dagli istituti bancari; d) T.G., + altri omessi che, per contro, domandavano il rigetto dei gravami.
La Corte d’appello di Bologna, con sentenza depositata il 28.4.14, confermava il decreto impugnato ad eccezione delle spese relative alla consulenza d’ufficio che poneva a carico in pari quota alla M. spa, al Ministero sviluppo economico, alla QS group spa, alla J.P Industries ed agli istituti bancari ricorrenti.
Avverso la detta sentenza ricorre per Cassazione la M. spa in amm. str.. Resistono con controricorso Unicredit unitamente ad altri istituti bancari, il Ministero dello Sviluppo, QS Group e il Monte dei Paschi di Siena.
La QS Group ha altresì proposto ricorso incidentale cui resistono con separati controricorsi Unicredit e Monte paschi.
La M. spa, Unicredit più altri istituti bancari ed il Monte dei Paschi di Siena hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso l’Amministrazione straordinaria censura la sentenza impugnata per avere ritenuto la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario.
Sostiene,in particolare, la ricorrente che il D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 65, non può essere considerato attributivo della giurisdizione del giudice ordinario per il solo fatto che esso prevede la lesione di un diritto soggettivo poiché ciò che occorre valutare è se l’atto posto in essere dai commissari nell’abito del potere loro conferito di conservazione dell’azienda sia giustificato o meno da un interesse pubblico, non essendo accettabile l’idea che nella fase di liquidazione non vi sia spazio per l’esercizio del potere discrezionale proprio della PA. Sostiene poi che non conferente sarebbe il richiamo alla sentenza n. 12247/09 di queste Sezioni Unite che avrebbe deciso su una diversa fattispecie costituita dalla erronea applicazione dell’art. 63, anziché del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 62, ad una azienda non in esercizio. Argomenta, quindi,che nel caso di cui all’art. 63 citato di vendita di un azienda in esercizio vi è l’esistenza di un potere della PA consistente nel contemperare l’interesse generale alla conservazione del patrimonio produttivo unitamente a quello del mantenimento dell’occupazione con quello dei credito al miglior soddisfacimento dei loro crediti.
Inoltre lamenta che la Corte d’appello abbia non correttamente interpretato la L. n. 9 del 2014, art. 11, comma 3 quinquies, recante interpretazione autentica dell’art. 63 in esame. Osserva infine che il D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 65, laddove fa riferimento alla liquidazione dei beni delle imprese in amm. str., riguarda il solo art. 62, in cui le vendite rivestono una finalità puramente liquidatoria e non già l’art. 63, che si riferisce alla vendita di aziende in esercizio la cui finalità non è il miglior realizzo ma il contemperamento di interessi pubblici con interessi privati.
Con il secondo motivo contesta l’attribuito valore assorbente alla rilevata illegittimità della perizia estimativa eseguita dall’esperto nominato dal Commissari Straordinari ai sensi del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 62, e correlatamente che la Corte d’appello non abbia conferito il dovuto rilievo al disposto interpretativo, di nuova introduzione, della L. 21 febbraio 2014, n. 9, art. 11, comma 3 quinquies, in forza del quale il valore del compendio aziendale stimato dall’esperto non costituisce “un limite inderogabile ai fini della legittimità della vendita”.
La QS group propone anch’essa due articolati motivi di ricorso incidentale che sono sostanzialmente adesivi rispetto ai motivi proposti dalla M. spa in amm. str..
Con il primo contesta infatti la riconosciuta giurisdizione del giudice ordinario.
Con il secondo deduce l’errata interpretazione della L. n. 9 del 2014, art. 11, comma 3 quinquies, e la violazione del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 63. Lamenta inoltre che un vizio del procedimento preparatorio comporti la nullità dell’atto negoziale e comunque la normativa in tema di amministrazione straordinaria non potrebbe nel suo complesso essere considerata come una norma imperativa.
Prospetta altresì una questione di costituzionalità dell’art. 63 in questione.
Il primo motivo del ricorso principale può essere esaminato congiuntamente al primo motivo di quello incidentale ponendo la medesima questione di giurisdizione.
Entrambi i motivi sono infondati.
Il D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 65, stabilisce che “contro gli atti e i provvedimenti lesivi di diritti soggettivi, relativi alla liquidazione dei beni di imprese in amministrazione straordinaria, è ammesso ricorso al Tribunale”:
Tale norma attribuisce in modo inequivocabile al giudice ordinario le controversie riguardanti la lesione di diritti soggettivi in ordine alla fase liquidatoria procedimentale.
Va peraltro chiarito che nel corso della liquidazione non necessariamente i diritti soggettivi restano tali in ogni fase della stessa.
La procedura di amministrazione straordinaria coinvolge infatti interessi pubblici e diritti soggettivi tra loro connessi ed interdipendenti, per cui ci sono momenti in cui i diritti soggettivi dei creditori, accertati in sede di verifica dello stato passivo, permangono come tali ed altri, invece, in cui appaiono soggetti a degradare in interessi legittimi a fronte di valutazioni discrezionali delle Autorità competenti che normalmente dovrebbero individuarsi nella decisione di vendere i beni e nell’individuazione dell’acquirente. Al di fuori del momento in cui intervengono i detti poteri i diritti soggettivi restano di regola come tali.
In particolare, deve osservarsi che, salvo quanto ulteriormente si dirà in occasione dell’esame del secondo motivo di ricorso principale e di quello incidentale, sono poste a tutela dei diritti soggettivi dei creditori le norme di carattere procedimentale che disciplinano la liquidazione dei beni dell’impresa in amministrazione straordinaria.
È infatti indubbio che la fase liquidatoria ha la finalità precipua di esitare i beni dell’impresa insolvente per distribuirne il ricavato ai creditori che sono stati riconosciuti come tali in sede di verifica dello stato passivo.
La fase in questione deve pertanto svolgersi sotto il profilo procedimentale in modo tale da garantire il miglior soddisfacimento possibile dei diritti in questione e di riflesso anche degli interessi pubblici sottesi alla procedura. In tale fase non opera di regola il potere discrezionale della Amministrazione che interviene successivamente al momento della scelta del contraente. Alle predette finalità sono proprio preposte le norme di cui al D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 62 e art. 63, comma 1, che contengono regole di carattere procedimentale volte a garantire che l’alienazione dei beni dell’impresa insolvente sia effettuata con forme adeguate alla natura dei beni e finalizzate al migliore realizzo e che, a tal fine, occorre che il valore dei beni sia preventivamente determinato da un perito e che in certe condizioni si effettuino adeguate forme di pubblicità per la vendita al fine di ottenere la maggior partecipazione possibile di soggetti interessati all’acquisto.
Non è pertanto dubbio che il mancato rispetto di norme in questione nella fase liquidatoria, come lamentato nel caso di specie, comporti la violazione di situazioni giuridiche di diritto soggettivo con conseguenze ai fini della validità della procedura di liquidazione e del suo atto conclusivo che saranno oggetto di valutazione in relazione all’esame del secondo motivo di ricorso, ma che, per quanto rileva in relazione ai motivi in esame, consentono di affermare che nel caso di specie la prospettazione della lesione di tali norme da luogo alla giurisdizione del giudice ordinario secondo quanto prescritto dal citato D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 65.
La detta giurisdizione sussiste anche sotto un diverso profilo.
Come si è già detto, l’amministrazione straordinaria è in ogni caso una procedura liquidatoria che riguarda imprese private e che si attua secondo i principi, ed in parte le regole delle procedure concorsuali.
L’intervento e la gestione da parte della pubblica amministrazione è giustificato esclusivamente dal fatto che,in ragione delle dimensioni della impresa sottoposta alla procedura in esame, la sua liquidazione possa produrre effetti rilevanti nell’ambito del settore produttivo nazionale così come riguardo ai livelli occupazionali.
Sta di fatto, tuttavia, che detti interessi pubblici non investono direttamente la pubblica amministrazione in quanto tale.
Si vuole dire che la liquidazione riguarda beni che appartengono alla impresa privata sottoposta alla amministrazione e non già alla pubblica amministrazione e che i contratti che portano alla cessione di detti beni sono dei contratti a tutti gli effetti di diritto privato stipulati dai commissari per conto della impresa, ancorché a seguito di una fase procedimentalizzata in cui interviene la pubblica amministrazione che deve dare il suo consenso all’atto liquidatorio.
Ciò conseguentemente comporta che i contratti in questione non sono suscettibili di essere equiparati e tanto meno assimilati ai contratti ad evidenza pubblica.
Ne consegue che per essi valgono le regole di nullità e di annullabilità previste dal codice civile ex art. 1418 e ss., nonché ex art. 1427 c.c. e ss..
Ciò posto,va rammentato che la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente ripetuto che, ai fini del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non tanto la prospettazione compiuta dalle parti, quanto il “petitum” sostanziale, che va identificato soprattutto in funzione della “causa petendi”, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio (Cass. 11229/14; Cass. 20902/11; Cass. 15323/10).
Nel caso di specie non è dubbio che il petitum sostanziale sia costituito dalla dichiarazione di nullità ex art. 1418 c.c., o di annullabilità del contratto di vendita dell’azienda e, cioè, di un contratto di diritto civile, con la conseguenza che esso non concerne in alcun modo provvedimenti di diritto amministrativo per i quali, laddove costituenti presupposti per la vendita, è stata correttamente richiesta la disapplicazione.
Sussiste dunque la giurisdizione del giudice ordinario nella presente controversia.
Venendo all’esame del secondo motivo del ricorso principale nonché di quello incidentale che investono la questione della nullità del contratto in relazione alle situazioni soggettive coinvolte nella fase di liquidazione è pacifico che queste ultime riguardano i creditori ammessi allo stato passivo (Cass. sez. un. 11848/92 in tema di liquidazione coatta amm.) ed i conseguenti fondamentali interessi affinché dalla vendita dei beni del debitore insolvente venga ricavato un prezzo quanto più possibile vicino a quello di mercato e che l’attivo ricavato venga ripartito nel rispetto del principio della par condicio creditorum. (Cass. sez. un. 12247/09).
Per quanto concerne poi, in particolare, le modalità della vendita queste, come più volte rilevato, sono disciplinate dal citato D.Lgs. n. 270 del 1999, artt. 62 e 63.
L’art. 62 stabilisce che:
1. “L’alienazione dei beni dell’impresa insolvente, in conformità delle previsioni del programma autorizzato, è effettuata con forme adeguate alla natura dei beni e finalizzate al migliore realizzo, in conformità dei criteri generali stabiliti dal Ministro dell’industria.
2. La vendita di beni immobili, aziende e rami d’azienda di valore superiore a lire cento milioni è effettuata previo espletamento di idonee forme di pubblicità.
3. Il valore dei beni è preventivamente determinato da uno o più esperti nominati dal commissario straordinario”.
A sua volta l’art. 63 stabilisce che:
“1. Per le aziende e i rami di azienda in esercizio la valutazione effettuata a norma dell’art. 62, comma 3, tiene conto della redditività, anche se negativa, all’epoca della stima e nel biennio successivo.
2. Ai fini della vendita di aziende o di rami di azienda in esercizio, l’acquirente deve obbligarsi a proseguire per almeno un biennio le attività imprenditoriali e a mantenere per il medesimo periodo i livelli occupazionali stabiliti all’atto della vendita.
3. La scelta dell’acquirente è effettuata tenendo conto, oltre che dell’ammontare del prezzo offerto, dell’affidabilità dell’offerente e del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali da questi presentato, anche con riguardo alla garanzia di mantenimento dei livelli occupazionali”.
L’art. 62, del D.Lgs. in esame costituisce norma di carattere generale che trova applicazione sia che venga posta in vendita una azienda non più in esercizio, sia che venga posta in vendita un’azienda in esercizio (Cass. sez. un. 12247/09). Ciò si evince con chiarezza dall’espresso richiamo che l’art. 63, comma 1, fa all’art. 62, comma 3, in ordine alla determinazione del valore dell’azienda, che sta inequivocabilmente a significare che quest’ultimo articolo si applica anche nel caso di vendita di aziende in esercizio mentre l’art. 63, trova applicazione solo in quest’ultima ipotesi.
A proposito di siffatte norme questa Sezioni Unite hanno già avuto occasione di affermare quanto segue.
“Com’è agevole constatare con gli artt. 62 e 63, il legislatore ha posto una serie di vincoli (osservanza dei criteri generali dettati dal Ministero dell’industria, accertamento preventivo del valore dei beni da liquidare, adozione di sistemi di pubblicità idonei per i beni immobili, le aziende ed i rami di azienda di valore superiore a cento milioni ecc.) diretti a salvaguardare una pluralità di interessi: quello dei creditori; quello dei lavoratori, nonché l’interesse generale alla conservazione del patrimonio produttivo salvaguardando l’unità operativa dei complessi aziendali. Dette disposizioni, essendo poste a tutela di interessi generali, dell’economia e di categorie di persone, che vengono in considerazione, intrecciandosi tra loro, in una medesima vicenda, non ammettono una difforme regolamentazione e, pertanto, costituiscono sicuramente un limite inderogabile al potere discrezionale sia del commissario straordinario che del Ministero dell’industria nello espletamento delle attività richieste per pervenire all’alienazione dei beni dell’imprenditore insolvente. Si può, pertanto, fondatamente ritenere che tali disposizioni, in quanto inderogabili per i su esposti motivi, hanno il carattere di norme imperative, alla cui violazione deve essere ricollegata la nullità dell’attività negoziale conclusiva della procedura di vendita (nel caso di specie il finale contratto di compravendita del complesso aziendale), ai sensi dell’art. 1418 c.c., e la illegittimità degli atti prodromici (programma di cessione del complesso aziendale e autorizzazioni ministeriali alla esecuzione del programma ed alla vendita di detto complesso).
La violazione delle disposizioni in parola, infatti, non consente di realizzare l’assetto degli interessi in gioco voluto dal legislatore, e la lesione di detti superiori interessi, frustrando le finalità della procedura di amministrazione straordinaria, non può non ritenersi sanzionata, traducendosi come detto nella violazione di norme imperative, se non con la sanzione di nullità (trattasi di una ipotesi di nullità virtuale)”. (Cass. 12247/09).
Tali principi non possono che essere condivisi da queste Sezioni Unite.
Nel caso di specie peraltro sussiste un fatto sopravvenuto costituito dalla intervenuta entrata in vigore nelle more del giudizio della L. 21 febbraio 2014, n. 9, art. 11, comma 3 quinquies, di conversione del D.L. 23 dicembre 2013, n. 145, norma di interpretazione autentica del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 63, a tenore della quale “il D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, art. 63, si interpreta nel senso che, fermi restando gli obblighi di cui al comma 2 e di valutazione discrezionale di cui al comma 3, il valore determinato ai sensi del comma 1 non costituisce un limite inderogabile ai fini della legittimità della vendita”.
La norma interpretativa in questione non risulta a sua volta di semplice interpretazione.
Se essa infatti si limitasse a confermare il principio pacifico nelle procedure concorsuali in ragione del quale il prezzo base fissato dall’autorità competente per la vendita di un bene acquisito alla procedura è suscettibile di maggiorazione in caso pervengano offerte maggiori in base al procedimento di vendita stabilito (asta, licitazione privata, trattativa privata etc.) sia di riduzione in caso di mancanza di offerte e della impossibilità di reperire una offerta migliore (per il fallimento ribassi del prezzo base a seguito di aste deserte), la norma stessa sarebbe del tutto superflua in quanto il suo contenuto precettivo sarebbe del tutto corrispondente a quanto previsto dal sistema concorsuale nelle sue procedure.
È fuori discussione infatti che anche nell’amministrazione straordinaria i Commissari possano discostarsi dal prezzo di stima stabilita da un consulente ai sensi del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 63, in caso di mancanza di offerte o della riscontrata impossibilità di ottenere una offerta migliore di quelle pervenute anche se per un prezzo minore.
La portata interpretativa della norma è dunque, quanto meno in parte, diversa da quella fin qui descritta.
Invero la stessa sembra introdurre una eccezione al principio del carattere inderogabile delle disposizioni di cui agli artt. 62 e 63, in relazione combinato disposto di cui al D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 62, comma 3, e art. 63, comma 1, in correlazione con l’art. 63, comma 3, del medesimo decreto legislativo.
È a tale proposito evidente che il legislatore ha tenuto presente la sentenza di questa Sezioni Unite del 2009 più volte citata laddove questa ha affermato il carattere inderogabile delle norme di cui al D.Lgs. n. 270 del 1999, artt. 62 e 63, come si evince dal riferimento espresso al carattere non inderogabile del valore dell’azienda determinato ai sensi dell’art. 63, comma 1.
Invero la norma interpretativa in esame,che, in quanto tale, è immediatamente applicabile, quale ius superveniens alle controversie in corso (Cass. 8123/93), appare cogliere la effettiva sostanziale diversità tra le norme di cui agli artt. 62 e 63, più volte citati.
I tre commi dell’art. 62 contengono infatti delle previsioni di carattere procedimentale volte ad assicurare: a) che l’alienazione dei beni dell’impresa insolvente sia effettuata conforme adeguate alla natura dei beni e finalizzate al migliore realizzo; b) che vi siano adeguate forme di pubblicità per la vendita di beni immobili, aziende e rami d’azienda di valore superiore a lire cento milioni; c) che il valore dei beni sia preventivamente determinato da un perito.
È di tutta evidenza che tali norme – come già osservato – sono poste a tutela di tutte le situazioni giuridiche soggettive e degli interessi pubblici in gioco per garantire che la vendita avvenga alle migliori condizioni possibili e, in tal senso,le stesse non possono che essere inderogabili.
La norma di cui all’art. 63, comma 1, come interpretato dalla L. 21 febbraio 2014, n. 9, art. 11, comma 3 quinquies, ha peraltro rispetto a quelle fin qui citate una diversa portata.
Il legislatore ha inteso chiarire che il prezzo a cui l’azienda viene ceduta non deriva dal valore a cui lo stesso è stato stimato, bensì dal valore di mercato quale viene a determinarsi in ragione dell’interesse manifestato dai potenziali acquirenti e dalle offerte di prezzo da questi avanzate.
In tale contesto l’eventuale errore di stima in cui è incorso il perito riveste una carattere marginale o comunque non determinante.
Nel caso infatti in cui il bene sia stato sottovalutato, ciò attirerà potenzialmente l’interesse degli acquirenti determinando una maggiore concorrenza tra le offerte che presumibilmente farà pervenire ad un prezzo di aggiudicazione superiore a quello di stima.
Mentre avverrà presumibilmente il contrario nel caso di una sopravvalutazione della stima dell’immobile.
Di ciò discende che l’erronea determinazione del valore dell’azienda da parte dell’esperto nominato nel corso della procedura non determina nella fattispecie in esame alcuna nullità, sotto il profilo della violazione di una norma inderogabile posta a tutela dei creditori,del negozio di cessione successivamente stipulato dai commissari con l’autorizzazione del Ministero dello Sviluppo economico in quanto non appare idonea a pregiudicare la finalità dell’ottenimento del miglior prezzo di mercato. I motivi in esame appaiono pertanto meritevoli di accoglimento. Resta da dire che la prospettata questione di legittimità costituzionale della L. 21 febbraio 2014, n. 9, art. 11, comma 3 quinquies, appare manifestamente infondata. Invero il legislatore ha ritenuto di intervenire in una situazione di obiettiva incertezza, in relazione alla portata inderogabile del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 63, comma 1, chiarendo, come già in precedenza rilevato, che in realtà l’erronea determinazione del valore dell’azienda da parte del perito non è idonea di per sé a determinare la nullità del procedimento di vendita poiché il prezzo di quest’ultima deriva comunque da quello che è il valore che il mercato attribuisce al bene.
In conclusione dunque, va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario. Vanno accolti per quanto di ragione il secondo motivo del ricorso principale e il secondo motivo di quello incidentale. La sentenza impugnata va cassata con rinvio anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione che valuterà se la mancata osservanza del criterio di cui al D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 63, comma 1, comporti effetti relativamente alla validità del negozio di cessione dell’azienda di natura diversa rispetto alla nullità.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo del ricorso principale e di quello incidentale e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario.
Accoglie nei termini di cui in motivazione il secondo motivo del ricorso principale e il secondo motivo di quello incidentale. Cassa la sentenza impugnata con rinvio anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione.
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