Corte di Cassazione SS.UU. Sentenza del 25/10/2002 n. 15063
Imposta sui redditi – Versamento diretto – Rimborso per somme pagate sulla base di dichiarazione errata – Artt. 38 DPR n. 602 del 1973 ante riforma ex legge n. 133 del 1999, 16, commi 1 e 7 DPR n. 636 del 1972 e 19, comma 1, lett. g), legge n. 546 del 1992 – Possibilita’.
Massima:
Ai sensi degli artt. 38 del DPR 29 settembre 1973, n. 602, prima della normativa introdotta dalla legge 13 maggio 1999, n. 133, 16, commi 1 e 7 del DPR 26 ottobre 1972, n. 636 e 19, primo comma, lett. g) del DLG 31 dicembre 1992, n. 546, il contribuente che ha versato somme in regime di autotassazione in base ad una dichiarazione dei redditi inficiata da errore puo’ richiedere la ripetizione delle imposte pagate in adempimento di obblighi inesistenti.
Fatto A. M. S., con istanza prodotta ai termini dell'art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 il 2 dicembre 1994, chiese all'Ufficio dell'Amministrazione finanziaria competente al riguardo il rimborso di Irpef versata per il 1993 in, assunta, eccedenza sul dovuto a seguito della mancata indicazione, nella dichiarazione presentata per detto anno, di un onere deducibile ex art. 10 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, rappresentato da una somma pagata a titolo di perdita di avviamento. La S., quindi, impugno' ai sensi degli artt. 15 e seguenti del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 il silenzio-rifiuto opposto della P.A. suindicata all'istanza cennata dinanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, all'epoca operante, ma tale Commissione, con decisione n. 6, rigetto' il suo reclamo. Sull'appello di A. M. S., la Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano istituita con D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 545, pronunciando sulla vertenza, attribuitale a mente dell'art. 72 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, con sentenza del 10 marzo 1998, accolto il gravame e riformata la pronuncia del primo giudice, sanziono' il diritto dell'appellante di conseguire il rivendicato rimborso: motivo' la decisione, innanzi tutto, rilevando che, in linea di principio, "la dichiarazione dei redditi non costituisce la fonte dell'obbligazione tributaria, ma rappresenta solo un momento del procedimento di accertamento e riscossione dell'imposta sul reddito", sicche' "per ogni somma erroneamente dichiarata e versata il contribuente puo' richiedere all'Amministrazione finanziaria la restituzione di quanto indebitamente pagato"; traendo, in secondo luogo, da tale premessa il corollario che, avendo la S. provato di non aver tenuto conto nella dichiarazione dei redditi presentata nel 1994 - per il 1993 - della discussa perdita di avviamento, l'imposta dalla stessa realmente dovuta era da ricalcolare e ridurre con riferimento all'onere deducibile correlativo. Il Ministero delle finanze ricorre, con un motivo, per la cassazione della sentenza surrichiamata, notificatagli il 24 marzo 1998. A.M.S., cui il ricorso e' stato notificato il 23 maggio 1998, si e' astenuta da ogni attivita' difensiva nella presente sede. Il giudizio, in un primo tempo assegnato alla Sezione tributaria della Corte, a seguito di ordinanza di questa in data 30 gennaio 2001, e' stato rimesso a queste Sezioni per la soluzione della questione, risolta in senso difforme in sentenze delle sezioni semplici, concernente l'attitudine di un'istanza di rimborso a rettificare in senso favorevole al contribuente la dichiarazione dei redditi dal medesimo tempestivamente presentata. Diritto Il Ministero delle finanze, con il mezzo articolato a supporto del ricorso, deduce che la pronuncia nei sensi illustrati resa sulla fattispecie dalla Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano dovrebbe essere ravvisata passibile di cassazione siccome inficiata da "violazione e falsa applicazione dell'art. 38, D.P.R. n. 602/1973, nonche' dagli artt. 8 e 9, D.P.R. n. 600/1973, modificato dall'art. 14, L. n. 408/1990" e inoltre da "motivazione omessa e contraddittoria su un punto essenziale della controversia. La P.A. ricorrente, piu' specificamente, dopo aver evidenziato che il giudice del merito, "rilevando che la dichiarazione dei redditi non costituisce fonte dell'obbligazione tributaria, ma solo un momento del procedimento di accertamento e di riscossione, ne ha tratto la conclusione che per ogni somma erroneamente dichiarata e versata puo' essere chiesta la restituzione", assume che "la decisione e' palesemente illegittima sia perche' apertamente violativa delle norme di legge" come sopra accampate inosservate, "e sia perche' non sussiste alcun nesso logico tra la premessa e la conseguenza che se ne vorrebbe far discendere", giacche' "l'indiscussa natura procedimentale e non sostanziale della dichiarazione dei redditi non implica affatto..... la sua modificabilita' ogni qual volta emerga un errore successivamente alla sua presentazione": puntualizza, al riguardo, che "il legislatore ha sottoposto la dichiarazione dei redditi a rigorose modalita' di redazione e a vincolanti termini di presentazione (artt. 8 e 9 D.P.R. 1973/600) giustificati proprio dalla necessita' di regolare tale atto - quale prima e necessaria fase del procedimento di accertamento - sia sotto il profilo formale che temporale, sicche' alla denuncia annuale viene attribuita portata tendenzialmente completa ed esaustiva inerente a tutte le vicende rilevanti ai fini impositivi", e che "in tale sistema normativo, la possibilita' di modifica delle dichiarazioni e' contenuta dal legislatore in limiti molto rigorosi, circoscritti dalla precisa fissazione dei casi in cui e' ammessa la modifica e il conseguente rimborso di quanto erroneamente versato (art. 38, D.P.R. n. 602/1973), nonche' dei termini e modi di presentazione della dichiarazione integrativa (art. 9, ultimo comma, D.P.R. n. 600/1973, come modificato dall'art. 14, L. n. 408/1990)". La P.A. anzidetta soggiunge, quindi, che, "per quanto concerne la presente controversia......... l'errore denunciato dalla contribuente non rientra tra i casi riconosciuti rilevanti dall'art. 38, D.P.R. n. 600/1973", posto che, alla stregua della giurisprudenza di legittimita' fondata "sulla considerazione che le prescrizioni di forma e di tempo previste dagli artt. 8 e 9, D.P.R. n. 600/1973 sarebbero vanificate da un regime di emendabilita' - della dichiarazione - non ancorato al carattere materiale e alla testuale riconoscibilita' dell'errore" ed alla evincibilita' di questo "dalla stessa denuncia annuale e dai dati con essa forniti", con riguardo alle somme versate in conformita' della denuncia dei redditi, si deve negare al contribuente la possibilita' di reclamare il rimborso adducendo la detraibilita' dall'imponibile di passivita' ed esborsi non indicati nella denuncia medesima, atteso che l'errore di fatto influente per tale rimborso, ai sensi dell'art. 38, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e' soltanto quello materiale, cioe' da ascriversi a mezza svista desumibile dai dati offerti con la dichiarazione annuale, e che le prescrizioni di forma e di tempo fissate per questa dichiarazione dagli artt. 8 e 9 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 non sono compatibili con una revisione a posteriori, tramite azione di rimborso, del suo contenuto, eventualmente emendabile (esclusivamente) con apposita dichiarazione integrativa a norma dell'art. 14 della L. 29 dicembre 1990, n. 408": pone in risalto, a questo proposito, che "tali requisiti di materialita' non ricorrono nel caso di specie in quanto e' pacifico tra le parti che l'indennita' corrisposta dalla contribuente a terzi per perdita di avviamento non era stata esposta nella dichiarazione dei redditi". Il Ministero delle finanze prospetta, altresi', che "l'errore denunciato dalla contribuente neppure potrebbe rilevare sotto il profilo della ignoranza dell'esistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento previsto dall'art. 38, D.P.R. n. 602/1973 accanto all'errore materiale come presupposto di rimborso" perche' "anche il cd. errore di diritto, quale quello derivante dall'inclusione nell'imponibile di una posta esente, e' stato riconosciuto rilevante" dalla surrichiamata giurisprudenza di legittimita' solo "purche' cio' non implichi variazione dei dati a suo tempo forniti in ordine alla natura ed alla consistenza della posta medesima", "sicche' nel caso di specie la mancata esposizione della indennita' in esame nella dichiarazione dei redditi ne preclude comunque la rilevanza anche sotto il profilo" in argomento. Ai fini della pronuncia sul come sopra strutturato ricorso, occorre affrontare, e risolvere, la dibattuta questione - gia' reiteratamente decisa in senso difforme da sentenze rese in tempi diversi da questa Corte Suprema, e sulla quale, percio', a mente dell'art. 374, comma 2, del cod. proc. civ., e' stato richiamato l'intervento di queste Sezioni unite - che attiene alla rettificabilita', ed ai limiti della rettificabilita', delle dichiarazioni dei contribuenti, e, in particolare, per quanto qui rileva, delle dichiarazioni dei redditi, di cui agli artt. 1 e segg., D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nel caso in cui i dichiaranti intendano far valere errori, assunti, commessi nella redazione degli atti in discorso per sottrarsi ad una esposizione debitoria, dopo la redazione stessa, riscontrata eccedente il legalmente dovuto nel pagamento dei tributi. Sul tema, avuto riguardo ai limiti entro i quali non puo' non essere, comunque, contenuta la motivazione di ogni sentenza, anche della sentenza destinata a risolvere un contrasto manifestatosi nella giurisprudenza di legittimita' ai sensi della dianzi citata norma del codice di rito, e' da dire che, a prescindere dal richiamo a precedenti piu' remoti, basati su opinioni ormai ritenute superate e non piu' condivisibili, nel vasto, e tutt'altro che organico, panorama giurisprudenziale, allo stato, fondamentalmente, si fronteggiano due confliggenti filoni. Un primo orientamento, che sembrerebbe maggioritario, e che ha trovato sistematica e lucida espressione nella recente Cass. Sez. trib., sent. n. 10055 del 1 agosto 2000, resa in tema di Iva, e recante, pero', enunciazioni di carattere generale trasponibili alla dichiarazione dei redditi, afferma che le dichiarazioni fiscali dei contribuenti, integrando il momento di avvio di un, piu' o meno articolato, procedimento di diritto pubblico (volto all'accertamento del concreto contenuto dei rapporti tributari ai quali le dichiarazioni stesse si riferiscono) da intendersi, in quanto tale, ispirato ad esigenze di razionale svolgimento e di conseguimento, quanto piu' rapido possibile, di risultati di stabilita', comportano l'automatismo di effetti proprio degli atti giuridici in senso stretto, e, percio', devono aversi per assoggettate a vincoli di forma e di tempo rigidi, che ne implicano la sostanziale irretrattabilita': da questa discendendo che, al di fuori delle ipotesi di errori materiali o di calcolo, non richiedenti una vera e propria rettifica, essendo desumibili ab intrinseco dal testo stesso dell'atto, le dichiarazioni medesime possano essere ravvisate emendabili e ritrattabili soltanto nei termini espressamente accordati dalla legge per la presentazione di una valida dichiarazione (cfr., nello stesso senso, Cass. Sez. I civ., sent. n. 6957 del 25 luglio 1997). La rigorosa enunciazione di principio considerata, non solo nell'arresto citato, ma anche in altri costituenti espressione dello stesso orientamento, trova un temperamento nella puntualizzazione secondo cui nel caso di mancata rettifica della dichiarazione nei termini suddetti la possibilita' di addurre errori di fatto o di diritto intervenuti nella redazione dell'atto ed incidenti sull'obbligazione tributaria puo', comunque, esprimersi nei limiti nei quali la legge preveda il diritto al rimborso, ovvero in sede di opposizione a provvedimenti impositivi dell'Amministrazione finanziaria intesi a far valere una maggiore pretesa tributaria. Un secondo orientamento, minoritario, viceversa, non ha esitato ad affermare l'emendabilita' da parte del contribuente degli errori, anche non materiali e di calcolo, contenuti nella dichiarazione sul rilievo che la dichiarazione non ha valore confessorio o costitutivo del debito di imposta, ma si inserisce, come atto iniziale, nell'ambito di un procedimento amministrativo volto all'accertamento ed alla riscossione dei tributi legalmente dovuti, sempre che la rettifica, intesa ad evidenziare l'inesistenza di fatti realmente giustificativi del prelievo venga operata entro ragionevoli limiti di tempo. Il contrasto riscontrato nella giurisprudenza si ripropone, in termini analoghi, nella dottrina: in questa, peraltro, il dibattito sui confliggenti assunti, alimentato dalla frammentarieta' e dalla carenza di sistematicita' del quadro normativo, si svolge in modo piu' organico e lineare, non essendo condizionato da quell'esigenza di rapportare le norme alle singole vicende processuali sottoposte, talvolta in termini affatto peculiari, alla cognizione dei giudici che incide sulla configurazione delle enunciazioni ricavabili dalle sentenze. Anche in dottrina, dunque, nell'ormai prevalentemente, per non dire universalmente, recepito presupposto della natura non negoziale e della portata non dispositiva della dichiarazione dei redditi, nonche' della irriducibilita' di questa alla nozione, tutta civilistica, della confessione, e, quindi, sulla premessa che l'atto considerato integra una esternazione di scienza e/o di giudizio sui fatti dichiarati, si contrappongono due linee di tendenza che, prendendo le mosse da una divergenza di opinioni sulla valenza dichiarativa o costitutiva da attribuirsi alla dichiarazione - e, derivatamente, all'accertamento - rispetto alla nascita del debito di imposta, affermano e negano, rispettivamente, con sfumature diverse, la ritrattabilita', totale o parziale, della dichiarazione stessa, privilegiando l'una l'esigenza di ragguagliare il carico fiscale alla capacita' contributiva reale del singolo contribuente e di improntare i rapporti fra questo e l'erario all'osservanza dei principi della buona fede e della correttezza sostanziale dell'azione amministrativa, e ponendo l'accento l'altra sulla necessita', assunta imprescindibile, di dare stabilita', quanto piu' possibile immediata, ai rapporti tributari, sia unitariamente che complessivamente considerati, si' da consentire all'Amministrazione finanziaria la pronta acquisizione di certezze sulla entita' e sull'andamento delle entrate fiscali. E, tuttavia, non puo' non sottolinearsi come nei tempi piu' recenti sia dato cogliere il prevalere di un sempre piu' compatto orientamento dottrinale per il quale sono da intendersi senz'altro rimovibili gli effetti della dichiarazione che si appalesi frutto di errore (di fatto o di diritto, testuale o extratestuale), con il solo limite di un collegamento, almeno tendenziale, della ritenuta rimovibilita' agli istituti sostanziali e processuali presenti nell'ordinamento quanto alla possibilita' che si dia luogo ad un rimborso di imposta e alla rimozione di atti impositivi, essendo, percio', destinate a restare irretrattabili soltanto le dichiarazioni riferite a rapporti tributari che, per il trascorrere del tempo e/o per il sopravvenire di decadenze, si debbano ritenere esauriti. Queste Sezioni unite, fra le tesi in contrasto, ritengono corretta e accettabile, in particolare in relazione alla normativa applicabile alla situazione controversa ratione temporis, quella che afferma, in linea di principio, emendabile e ritrattabile ogni dichiarazione dei redditi che risulti, comunque, frutto di un errore del dichiarante nella relativa redazione, sia tale errore testuale o extratestuale, di fatto o di diritto, quando da essa possa derivare l'assoggettamento del dichiarante medesimo ad oneri contributivi diversi, e piu' gravosi, di quelli che per legge devono restare a suo carico. In proposito, giova evidenziare, innanzi tutto, che nessun limite temporale all'emendabilita' ed alla ritrattabilita' della dichiarazione dei redditi integrante, risultante di errori del genere di quelli in argomento, puo' essere desunto dal dettato delle disposizioni contenute nei commi 7 ed 8 dell'art. 9 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nel testo che e' stato vigente negli anni 1993 e 1994, nei quali si e' realizzata la fattispecie di cui e' causa. Tali disposizioni (per le quali, rispettivamente, "le dichiarazioni presentate entro un mese dalla scadenza del termine sono valide salvo il disposto del comma 6 dell'art. 46", mentre "le dichiarazioni presentate con ritardo superiore si considerano omesse a tutti gli effetti......", e "la dichiarazione....... puo' comunque essere integrata, salvo il disposto del comma 5 dell'art. 54, per correggere errori ed omissioni mediante successiva dichiarazione,........, da presentare entro il termine per la presentazione della dichiarazione per il secondo periodo di imposta successivo, sempreche' non siano iniziati accessi, ispezioni o verifiche, o la violazione non sia stata comunque contestata, ovvero non siano stati notificati gli inviti e le richieste di cui all'art. 32"), di vero, per come reso manifesto dal loro tenore letterale, hanno riguardo alla rimozione di omissioni ed alla eliminazione di errori suscettibili di importare un pregiudizio per l'erario, e non attengono alla emendabilita' ed alla ritrattabilita' di dichiarazioni idonee, perche' oggettivamente errate, di pregiudicare il contribuente dichiarante. In secondo luogo, e' da dire che, sul piano sistematico, la riscontrabilita' di una, in linea di massima generalizzata, possibilita' di rettificare o di ritirare, in tutto o in parte, la dichiarazione dei redditi non puo' non essere fatta discendere e dalla relativa natura di atto non negoziale e non dispositivo, recante una mera esternazione di scienza e di giudizio, da essere, come tale, in linea di principio modificabile nell'acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti e/o valutati, e dal fatto che essa non costituisce il titolo dell'obbligazione tributaria, ma integra un momento dell'iter procedimentale inteso all'accertamento di tale obbligazione ed al soddisfacimento delle ragioni erariali che ne sono l'oggetto, e, da ultimo, dalla considerazione che si rivelerebbe difficilmente compatibile con i principi costituzionali della capacita' contributiva (art. 53, comma 1, della Costituzione) e dell'oggettiva correttezza dell'azione amministrativa (art. 97, comma 1, della Costituzione) un sistema legislativo che, radicalmente negando la rettificabilita' della dichiarazione, si proponesse di sottoporre il contribuente dichiarante, sulla base di tale atto, ad un prelievo fiscale sostanzialmente e legalmente indebito. Con riferimento specifico alla rimovibilita' degli effetti di una dichiarazione dei redditi riscontrata, comunque erronea, vengono poi in rilievo, in particolare, per quanto in questo giudizio specificamente interessa, la norma dell'art. 38, comma 1, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nel testo, qui applicabile, previgente alla novellazione disposta con L. 13 maggio 1999, n. 133, per la quale il soggetto che ha effettuato il versamento diretto puo' presentare all'intendente di finanza nella cui circoscrizione ha sede l'esattoria presso la quale e' stato eseguito il versamento istanza di rimborso entro il termine decadenziale di diciotto mesi dalla data del versamento, nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento, nonche' le disposizioni degli artt. 16, commi 1 e 7, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 e 19, comma 1, lettera g), D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, contemplanti il ricorso ai rimedi giurisdizionali contro la reiezione, espressa o tacita, dell'istanza restitutoria cennata. Al riguardo, e' da puntualizzare che la portata della lettera della prima delle disposizioni citate appare tale da far ritenere, senza ombra di dubbio, che la domanda recuperatoria in essa prevista possa essere esperita, ovviamente nel termine dalla norma stessa stabilito, per ottenere la restituzione anche del tributo diretto versato in autotassazione, e, percio', anche delle imposte pagate in adempimento degli obblighi risultanti dalla dichiarazione sull'allegato presupposto dell'erroneita'. Per qualsiasi ragione, di tale atto, e, quindi, della rimovibilita', e della necessita' della rimozione, dei relativi effetti, denunciati, comportanti adempimento di obbligazioni tributarie da riscontrare legalmente inesistenti (non essendovi motivo per opinare che l'esperimento della domanda considerata possa essere ravvisato consentito solo in funzione della ripetizione, da parte del sostituto di imposta o del sostituito, dei soli tributi erariali versati dopo essere stati oggetto di previa ritenuta). Corollario dei postulati fin qui enunciati e' che, nel caso in esame, il ricorso, basato unicamente sull'asserzione della non rettificabilita' a posteriori della dichiarazione tramite azione di rimborso, nella, incontestata, tempestivita' dell'intervenuto esperimento di questa, non puo' non essere ravvisato destituito di fondamento e, percio', rigettato. A.M.S., intimata, non ha svolto attivita' difensiva nella presente fase del processo, e, percio', non si deve provvedere su sue spese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.
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