CORTE di CASSAZIONE,sezione penale, sentenza n. 39766 depositata il 31 agosto 2017
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 31/3/2016 la Corte di appello di Milano, ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 20/11/2012, appellata dall’imputato AC, che lo aveva ritenuto responsabile del reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui agli artt. 216 e 223 legge fall. e lo aveva condannato alla pena di anni 3 di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge, per avere, quale amministratore unico della s.r.l. C, dichiarata fallita il 20/4/2006, sottratto e distrutto i libri e le altre scritture contabili, così da non render possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.
2. Ha proposto ricorso nell’interesse dell’imputato il difensore di fiducia, avv. Attilio Villa, del Foro di Monza, svolgendo due motivi.
2.1. Con il primo motivo, proposto ex art.606, comma 1, lett. b) ed e), cod.proc.pen. il ricorrente denuncia violazione della legge penale, nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Secondo il ricorrente, la Corte di appello aveva omesso di rispondere alle precise censure sollevate con l’atto di appello, limitandosi a recepire il convincimento del Tribunale, specie in ordine alla sussistenza della penale responsabilità del AC.
2.1.1. In particolare, la Corte di appello aveva ritenuto decisivo il verbale assembleare del 12/9/2014 (rectius:2004) per ritenere sussistente la documentazione contabile, fondando l’addebito di sottrazione rivolto all’imputato su considerazioni meramente deduttive, senza tener conto, inoltre, delle dichiarazioni del commercialista della fallita, rag.S., circa la mancanza di attività sociali nel periodo 2005-2006 e i problemi di salute del AC.
2.1.2. Inoltre non era stato tenuto conto del motivo di appello circa la restituzione delle raccomandate inviate dal curatore all’imputato, recanti l’invito a consegnare le scritture contabili, con la dizione «trasferito».
2.1.3. Gli indizi utilizzati dal Tribunale, prima, e dalla Corte, poi, non rispettavano le prescrizioni dell’art.192 cod.proc.pen. non possedendo i requisiti di gravità, precisione e concordanza.
2.1.4. La conferma del trattamento sanzionatorio disposta dalla Corte di appello non aveva considerato le censure sollevate con riferimento alla determinazione della pena base, alla mancata derubricazione in bancarotta semplice al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art.219 legge fall.re e al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche (ancorato illegittimamente alla sussistenza di precedenti penali in capo all’imputato e dimentico del positivo comportamento processuale dell’imputato che si era adoperato per riversare in atti la documentazione a mani del commercialista S.).
2.1.5. Mancava infine alcun cenno alla richiesta applicazione dell’indulto pur richiesta dall’imputato all’udienza del 31/3/2016 per condotte contestate sino al 20/4/2006.
2.2. Con il secondo motivo, proposto ex art.606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen. il ricorrente denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla pretesa impossibilità di ricostruire patrimonio e movimenti degli affari della società fallita, basata esclusivamente sulla dichiarazione del curatore, non sottoposta a verifiche e indagini.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione della legge penale e vizi motivazionali in ragione della mancata risposta da parte della Corte di appello milanese ad alcune censure sollevate dalla difesa con l’atto di appello, in ordine alla sussistenza della penale responsabilità del AC.
1.1. Innanzitutto il ricorrente sostiene che la Corte di appello aveva ritenuto decisivo il verbale assembleare del 12/9/2014 (rectius:2004) per ritenere sussistente la documentazione contabile, fondando l’addebito di sottrazione rivolto all’imputato su considerazioni meramente deduttive. I Giudici del merito sono partiti dall’assunto, non confutato efficacemente dal ricorrente, che non nega neppure la veridicità della circostanza, che il verbale assembleare del 10/9/2004 costituiva prova inoppugnabile che esistevano i libri e la documentazione contabile della società e che gli stessi erano stati regolarmente trasmessi dal precedente amministratore Lonati al AC. Del tutto coerentemente, la Corte territoriale ha osservato che era del tutto ininfluente ai fini dell’accusa mossa al AC la pretesa attitudine di tale circostanza a dimostrare la regolare tenuta dei libri e delle scritture, almeno sino a quel momento, come sostenuto dal ricorrente in atto di appello: per vero tale implicazione non era così rigorosamente necessaria, visto che la prova della trasmissione non involge anche la prova della regolarità di quanto trasmesso. Infatti la Corte ha evidenziato, decisivamente, che al AC non era stata contestata la mancata tenuta, ma invece la sottrazione delle scritture contabili.
1.2. Il ricorrente sottolinea poi che la Corte non avrebbe tenuto conto delle dichiarazioni del commercialista della fallita, rag. S., circa la mancanza di attività sociali nel periodo 2005-2006 e i problemi di salute del AC. La deposizione del rag. S. è stata considerata e valutata dalla Corte, ma ritenuta generica e inattendibile ed appare in ogni caso ininfluente, ancora una volta alla luce della natura dell’addebito, inerente la sottrazione e non già la mancata tenuta delle scritture, che, a quanto riferito dal teste, si trovavano in uno scantinato di via Voghera. Del pari ininfluente è la pretesa inattività societaria negli anni 2005-2006, che certo non esimeva dalla tenuta dei libri e delle scritture e che comunque risulta smentita dal preciso spunto contenuto a pagina 4 della sentenza di primo grado circa l’entità dei ricavi desumibili dalla situazione economica al 31/12/2005 e circa la situazione patrimoniale ulteriormente aggiornata al 31/7/2006 che registrava una perdita di esercizio di C 96.594,09=. Le precarie condizioni di salute del AC sono state poi prospettate in modo del tutto generico e comunque nulla hanno a che vedere con la mancata consegna della documentazione contabile.
1.3. Lamenta poi il ricorrente che non fosse stato tenuto conto del motivo di appello circa la restituzione delle raccomandate inviate dal curatore all’imputato, recanti l’invito a consegnare le scritture contabili, con la dizione «trasferito». Mentre la deposizione del rag.S. circa i motivi di salute affliggenti il AC che avrebbero determinato il trasferimento in Brianza è apparsa del tutto generica ai giudici del merito, è inoppugnabile il fatto che il AC, amministratore di società fallita, non si è attivato per consegnare la documentazione contabile al curatore. Del resto, la richiesta era stata trasmessa dal curatore per lettere raccomandate con avviso di ricevimento alla sede sociale della CEA e alla residenza dell’amministratore AC, entrambe restituite con generica indicazione di trasferimento. Del pari infruttuoso era stato l’accesso personale del curatore presso la sede sociale. I Giudici del merito hanno anche posto in rilievo la violazione da parte del AC degli specifici e precisi obblighi che lo gravavano come amministratore di società fallita ai sensi degli artt.16 e 49 legge fall., fra cui quelli di depositare entro tre giorni dalla comunicazione della sentenza di fallimento bilanci, scritture ed elenco creditori e quello di comunicare prontamente ogni cambiamento di residenza e domicilio al curatore. Giustamente i Giudici del merito ne hanno desunto che il AC si fosse reso volutamente irreperibile, trasferendosi senza segnalare la circostanza agli uffici anagrafici e lasciando la sede sociale in luogo ormai non più frequentato.
1.4. La doglianza secondo la quale gli indizi utilizzati dal Tribunale prima e dalla Corte non avrebbero rispettato le prescrizioni dell’art.192 cod.proc.pen. non possedendo i requisiti di gravità, precisione e concordanza, è del tutto generica. In ogni caso secondo la giurisprudenza di questa Corte è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che censura l’erronea applicazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. se è fondato su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici, tassativamente previsti dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., riguardanti la motivazione della sentenza di merito in ordine alla ricostruzione del fatto. (Sez. 6, n. 13442 del 08/03/2016, De Angelis e altro, Rv. 266924). Le vaghe e indeterminate argomentazioni del ricorrente trascurano poi i due fondamentali pilastri fattuali su cui i giudici del merito hanno costruito la penale responsabilità del AC: ossia la mancata tempestiva consegna al curatore della documentazione contabile della società fallita, esistente e consegnata tardivamente, seppur incompleta, e l’aver reso irreperibili la società e sé stesso.
1.5. Il ricorrente recrimina poi sul fatto che la conferma del trattamento sanzionatorio disposta dalla Corte di appello non aveva considerato alcune censure sollevate. Con riferimento alla determinazione della pena la doglianza non tiene conto della comminatoria della sanzione minima prevista dall’ambito di escursione edittale (anni 3 di reclusione). In ordine alla mancata derubricazione in bancarotta semplice, la Corte ha puntualmente motivato sulla ravvisata sussistenza del dolo specifico richiesto dalla norma, cogliendo l’intenzione del AC di sottrarre intenzionalmente la documentazione contabile al fine di impedire la ricostruzione della movimentazione degli affari della società fallita nel fatto rivelatore di essersi reso irreperibile. Nella fattispecie il reato di bancarotta fraudolenta documentale, contestato e accertato in capo al AC, non è già quello di cui all’art.216, comma 1, n.2, seconda parte (irregolare tenuta delle scritture contabili pregiudicante la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari) bensì quello di cui all’art.216, comma 1, n.2, prima parte (ossia la vera e propria sottrazione e distruzione dei libri e altre scritture contabili al fine di trarne profitto o di arrecare pregiudizio ai creditori). L’elemento soggettivo del reato fallimentare di sottrazione, distruzione o falsificazione delle scritture o dei libri contabili è il dolo specifico, consistente nell’intento di arrecare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, che può venir in luce anche solo con riferimento alla sussistenza del rischio consapevolmente accettato (Sez. 5, n. 17084 del 09/12/2014 – dep. 2015, Caprara e altri, Rv. 263242; Sez. 5, n. 1137 del 17/12/2008 – dep. 2009, Vianello e altri, Rv. 242550; Sez. 3, n. 46972 del 03/11/2004, Francalacci, Rv. 230482; Sez. 5, n. 5905 del 06/12/1999 – dep. 2000, Amata, Rv. 216267; Sez. 5, n. 11329 del 13/10/1993, Trombetta, Rv. 195896).
1.6. Il ricorrente argomenta criticamente in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art.219 legge fall.re , peraltro motivatamente esclusa in presenza di un passivo di significativa consistenza per € 110.295,06=.
1.7. Quanto al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, il ricorrente si duole del fatto che la decisione della Corte si fosse ancorata illegittimamente alla sussistenza di precedenti penali e avesse dimenticato il positivo comportamento processuale dell’imputato che si era adoperato per riversare in atti la documentazione a mani del commercialista S.. E’ ben noto il principio consolidato nella giurisprudenza della Corte che la concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato; ne consegue che, quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio. (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015 – dep. 2016, Piliero, Rv. 266460). Il diniego delle attenuanti generiche ai sensi dell’art.62 bis cod.pen. può essere legittimamente giustificato con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell’art. 62 bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non è più sufficiente lo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini e altri, Rv. 260610). I precedenti penali, per giunta specifici, del AC sono stati valutati del tutto legittimamente come circostanze ostative, mentre la consegna della documentazione contabile è stata effettuata tardivamente, solo a giudizio in corso e comunque in modo incompleto (cfr sentenza 10 grado, pag. 8)
1.8. Non può essere accolta neppure la censura circa la richiesta applicazione dell’indulto, avanzata dalla difesa dell’imputato all’udienza del 31/3/2016 per condotte contestate sino al 20/4/2006. A prescindere dai condoni per indulto, precedentemente fruiti dal AC in relazione a precedenti condanne e risultanti dal certificato penale in atti, che intaccherebbero significativamente la possibilità di godere ulteriormente del beneficio, la censura è inammissibile per difetto di interesse. Infatti, in caso di omessa pronuncia da parte del giudice d’appello, in ordine all’applicabilità o meno del condono di cui all’art. 1 legge 31 luglio 2006, n. 241, l’imputato non ha interesse a ricorrere per cassazione, potendo ottenere l’applicazione del beneficio in sede esecutiva, a meno che il giudice d’appello non abbia negato espressamente l’applicazione. (Sez. 2, n. 11186 del 09/02/2016, Dama, Rv. 266353; Sez. 1, n. 2261 del 14/05/2014 – dep. 2015, Acconciaioco Pasquale Antonio, Rv. 261894; Sez. 4, n. 7944 del 27/06/2013 – dep. 2014, Broccio e altri, Rv. 259312).
2. Con il secondo motivo, proposto ex art.606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen. il ricorrente denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla pretesa impossibilità di ricostruire patrimonio e movimenti degli affari della società fallita, basata esclusivamente sulla dichiarazione del curatore, non sottoposta a verifiche e indagini.La censura è gravemente generica, non tiene conto delle puntuali e contrastanti dichiarazioni rese dal curatore rag.Canova, e comunque appare del tutto ininfluente, visto che il reato contestato ed accertato attiene alla sottrazione della documentazione contabile (art.216, comma 1, n.2, prima parte) e non già la sua irregolare tenuta in guisa tale da ostacolare la ricostruzione del patrimonio e il movimento degli affari (art.216, comma 1, n.2, seconda parte)
3. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile. Ne consegue la condanna del ricorrente ai sensi dell’art.616 cod.proc.pen. al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte ricorrente in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. 13/6/2000 n.186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di € 2.000,00= a favore della Cassa delle ammende.
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