CORTE COSTITUZIONALE – Ordinanza 17 luglio 2013, n. 196
Straniero – Assegno per nuclei familiari con almeno tre figli – Requisito della cittadinanza italiana o comunitaria – Lamentata esclusione degli stranieri titolari di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo – Omessa descrizione della fattispecie del giudizio a quo – Questione prospettata in termini dubitativi e perplessi – Manifesta inammissibilità – Legge 23 dicembre 1998, n. 448, art. 65 – Costituzione, art. 3
Ritenuto che, con ordinanza del 9 marzo 2011, il Tribunale ordinario di Monza ha sollevato, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 65 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), “nella parte in cui subordina la concessione dell’ “assegno per nuclei familiari con almeno tre figli” al requisito della cittadinanza italiana o comunitaria o, in subordine, nella parte in cui esclude dalla concessione del beneficio gli stranieri titolari di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (per brevità “carta di soggiorno”)”;
che il giudice a quo premette di essere stato investito, in sede cautelare, del ricorso con il quale persona extracomunitaria ha presentato domanda per l’ottenimento della condanna del Comune di Desio e dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) al pagamento dell’assegno per nucleo familiare con tre o più figli minori previsto dalla disposizione denunciata, previa eventuale sua disapplicazione o rimessione alla Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale;
che l’ordinanza di rimessione, dopo una diffusa rievocazione dei rapporti esistenti tra normativa nazionale, convenzionale e comunitaria e dopo un’analisi altrettanto diffusa della varietà delle situazioni generate – relativamente al diritto interno – dalla tipologia delle diverse fonti comunitarie, esclude che la problematica posta dal ricorso possa essere affrontata e risolta attraverso un’interpretazione adeguatrice;
che, infatti, tanto il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215 (Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica) quanto il decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo) – in tema di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo -, attribuendo al legislatore poteri di deroga rispetto alla estensione agli stranieri di determinate provvidenze, consentirebbero “una interpretazione restrittiva della nozione di discriminazione” quale delineata dalla citata direttiva 2000/43/CE nonché dalla direttiva 2003/109/CE, in tema di cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo, con “apparenti antinomie” che potrebbero giustificarsi nel quadro di esigenze di bilancio e di spesa rimesse alla valutazione del legislatore;
che, dunque, “soltanto” al giudice delle leggi sarebbe consentito di “stabilire se le disposizioni in contestazione rispettino il requisito della proporzionalità necessità e adeguatezza in base a considerazioni oggettive, e se un criterio selettivo che richieda un collegamento con il territorio sia o meno conforme all’art. 3 Cost.”;
che, d’altra parte, “la affermata conformità della disciplina al principio di ragionevolezza” presenterebbe “punti di rilevanza sotto altro profilo, vale a dire per la fiscalità generale, sulla quale sostanzialmente si regge il bilancio dell’Istituto”, e porrebbe, “quindi altra questione, ossia quella di tenuta rispetto al principio di cui all’art. 3 Cost., alla luce dei continui interventi da parte del legislatore volti sia al contenimento della spesa pubblica, anche nel settore previdenziale, che ad una razionalizzazione delle risorse a fini redistributivi”;
che ha depositato memoria di costituzione la parte privata N.I., chiedendo di “rigettare la questione di costituzionalità” o in subordine di dichiarare la illegittimità costituzionale della disposizione in discorso;
che il giudice a quo non avrebbe considerato che l’istante è titolare di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo e che, ove sussistesse contrasto tra la norma interna e la direttiva 2003/109/CE, la prima dovrebbe essere disapplicata, dal momento che tale direttiva enuncia un principio di parità di trattamento derogabile dagli Stati membri solo ove non si versi in materia di prestazioni essenziali;
che l’Italia, in sede di recepimento di tale direttiva, con il d.lgs. n. 3 del 2007, non si sarebbe avvalsa di tale facoltà di deroga, posto che la riserva contenuta nell’art. 9 del testo unico sulla immigrazione – come sostituito dal d.lgs. n. 3 del 2007 – non può riguardare leggi antecedenti la direttiva, come è il caso che qui interessa;
che ogni diversa interpretazione si porrebbe in contrasto con il principio di leale cooperazione tra Stati membri e Unione europea e risulterebbe, dunque, non in linea con una interpretazione “comunitariamente conforme”;
che la norma denunciata dovrebbe, in subordine, ritenersi in contrasto con l’art. 3 Cost., alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale, da ultimo, nella sentenza n. 187 del 2010 e già nelle sentenze n. 306 e n. 11 del 2009;
che si è costituito in giudizio anche l’INPS, il quale ha chiesto dichiararsi infondata la proposta questione;
che, dopo aver ampiamente rievocato i mutamenti subiti dalla disciplina censurata, l’Istituto reputa che la limitazione ai soli cittadini italiani e comunitari della provvidenza di che trattasi appare “del tutto logica e razionale”, tenuto conto che le provvidenze di natura assistenziale vengono “introdotte con misure di finanza pubblica”, specificamente volte al sostegno delle famiglie, in linea, d’altra parte, con la riserva enunciata dall’art. 9, comma 12, lettera c), del d.lgs. n. 3 del 2007 in tema di prestazioni da riconoscere in favore dei titolari di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo;
che non sussisterebbe, poi, violazione degli obblighi comunitari, posto che la disciplina regolamentare in materia, in base al dodicesimo Considerando del Regolamento 14 maggio 2003, n. 859 (Regolamento del Consiglio che estende le disposizioni del regolamento (CEE) n. 1408/71 e del regolamento (CEE) n. 574/72 ai cittadini di paesi terzi cui tali disposizioni non siano già applicabili unicamente a causa della nazionalità), non si applicherebbe ai cittadini di paesi terzi;
che non si avrebbe violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), considerato che, per le relative disposizioni, non opererebbe il principio di adeguamento automatico, previsto dall’art. 10 Cost. per le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute e neppure “la lamentata violazione potrebbe trovare fondamento nel successivo art. 11” Cost., non potendo le limitazioni di sovranità risiedere “nel fatto stesso della stipulazione di convenzioni”;
che non si determinerebbe, dunque, alcuna illegittima discriminazione, in quanto la provvidenza in esame sarebbe “stata prevista ed istituita tenendo conto di precipue ed ineludibili ragioni di bilancio e di contenimento della spesa pubblica, ragioni a cui non può essere disconosciuta un’importanza altrettanto costituzionalmente rilevante”;
che è, infine, intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo dichiararsi “irrilevante e, comunque, manifestamente infondata” la proposta questione;
che la questione sarebbe inammissibile in quanto, da un lato, il giudice rimettente non avrebbe motivato sulla rilevanza della stessa e, dall’altro lato, avrebbe formulato un quesito orientato “a richiedere la valutazione di un adeguamento della norma”, “cui la Corte dovrebbe pervenire con una pronuncia creativa di una disposizione”, senza, tuttavia, che sia stata indicata con precisione la puntuale addizione auspicata;
che, d’altra parte, la questione sarebbe infondata, dal momento che la materia dell’assegno per nucleo familiare con più di tre figli rientrerebbe nelle possibilità di deroga consentite dalla normativa comunitaria e sarebbe dunque oggetto di discrezionalità legislativa;
che, quanto ai “profili collegati alle esigenze della fiscalità” – peraltro evidenziati con esclusivo riferimento all’art. 3 Cost. -, la stessa giurisprudenza costituzionale avrebbe più volte riconosciuto l’ammissibilità di interventi che, per esigenze di contenimento della spesa, riducano anche trattamenti pensionistici già spettanti;
che il 30 maggio 2013, oltre il termine consentito, la parte privata N.I. ha depositato una memoria illustrativa.
Considerato che il Tribunale ordinario di Monza – chiamato a pronunciarsi in sede cautelare, sul ricorso proposto da una cittadina extracomunitaria per ottenere la condanna del Comune di Desio e dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) al pagamento dell’assegno per nucleo familiare con tre o più figli – ha sollevato, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 65 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), “nella parte in cui subordina la concessione dell'”assegno per nuclei familiari con almeno tre figli” al requisito della cittadinanza italiana o comunitaria o, in subordine, nella parte in cui esclude dalla concessione del beneficio gli stranieri titolari di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (per brevità “carta di soggiorno”)”;
che la disciplina censurata si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., rilevandosi, da un lato, “come, nella fattispecie, si venga a porre la questione di un diverso trattamento ma non in ragione di diversità di razza o di origine etnica, bensì di uno status giuridico determinato da norme generali di ordine pubblico, alla stregua delle quali si pone anche una questione di gerarchia delle fonti” e, dall’altro, “che nel caso di specie non sono configurabili né una condotta né tantomeno è ravvisabile un atto discriminatorio in senso stretto sicché la questione non si pone in termini di rimozione degli effetti di una condotta discriminatoria ma di mera interpretazione di norme”;
che il medesimo parametro di costituzionalità risulterebbe violato anche sul rilievo che la disciplina in questione presenterebbe “punti di rilevanza sotto altro profilo vale a dire per la fiscalità generale, sulla quale sostanzialmente si regge il bilancio dell’Istituto, e pone, quindi, altra questione, ossia quella di tenuta rispetto al principio di cui all’art. 3 Cost., alla luce dei continui interventi da parte del legislatore volti sia al contenimento della spesa pubblica, anche nel settore previdenziale, che ad una razionalizzazione delle risorse a fini redistributivi”;
che il giudice a quo ha completamente omesso di fornire qualsiasi descrizione della fattispecie sottoposta al suo giudizio, limitandosi ad enunciare esclusivamente il contenuto della domanda, senza alcun riferimento alle condizioni soggettive della richiedente, della quale si precisa soltanto essere “nata in Pakistan”, senza ulteriori indicazioni sul relativo status e sull’eventuale possesso dei requisiti previsti per l’ottenimento del beneficio sollecitato;
che, d’altra parte, accanto alla segnalata omissione, che impedisce qualsiasi valutazione intorno alla rilevanza della questione proposta e al relativo nesso di indispensabile pregiudizialità agli effetti della decisione sul ricorso, laquestione medesima risulta proposta in termini dubitativi e perplessi, quasi per ottenere un avallo di tipo interpretativo in termini di possibile disapplicazione della norma censurata, in quanto contrastante con normativa comunitaria “autoapplicativa”;
che, difatti, malgrado la diffusa digressione sui limiti della interpretazione conforme e sugli effetti delle direttive comunitarie, il giudice rimettente si è limitato a reputare attribuita “soltanto” al “giudice delle leggi” la potestà di “stabilire se le disposizioni in contestazione rispettino il requisito della proporzionalità necessità e adeguatezza in base a considerazioni oggettive, e se un criterio selettivo che richieda un collegamento con il territorio sia o meno conforme all’art. 3 Cost.”, venendo meno alla necessità di un autonomo vaglio critico e di una conseguente motivazione in punto di rilevanza e di non manifesta infondatezza della questione ai fini della definizione del proprio giudizio;
che in termini parimenti perplessi viene prospettato anche il profilo di doglianza relativo alla compatibilità della normativa censurata con le esigenze della “fiscalità generale”, omettendosi di additare la sussistenza di un vulnus, concreto ed attuale, rispetto al parametro costituzionale evocato, di cui, pure, si profila la (soltanto possibile) compromissione;
che, infatti, secondo il giudice rimettente, “soltanto la Corte costituzionale, come in altre occasioni ha fatto, può stabilire il punto di bilanciamento tra principi di uguale rango costituzionale, ossia quello di cui all’art. 38 Cost. e quello della solidarietà sociale ex art. 3 Cost.”, essendosi considerato ammissibile anche “un intervento legislativo che riduca in maniera definitiva un trattamento pensionistico in precedenza spettante”;
che, in ragione delle riferite lacune motivazionali e dei termini nei quali la questione è stata proposta, la stessa deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.
P.Q.M.
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 65 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), “nella parte in cui subordina la concessione dell'”assegno per nuclei familiari con almeno tre figli” al requisito della cittadinanza italiana o comunitaria o, in subordine, nella parte in cui esclude dalla concessione del beneficio gli stranieri titolari di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (per brevità “carta di soggiorno”)”, sollevata, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Monza con l’ordinanza in epigrafe.
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Provvedimento pubblicato nella G.U. del 24 luglio 2013, n. 30
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