CORTE COSTITUZIONALE – Ordinanza 21 giugno 2013, n. 158
Imposte e tasse – Riscossione delle imposte – Remunerazione del servizio – Compenso di riscossione diverso a seconda dell’ambito territoriale di appartenenza dei contribuenti – Imposizione a carico del debitore, in misura parziale o integrale, a seconda che il pagamento avvenga entro o oltre il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella – Difetto di motivazione sulla rilevanza della questione – Manifesta inammissibilità. – Decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, art. 17, come modificato dall’art. 2, comma 3, lettera a), del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito nella legge 24 novembre 2006, n. 286. – Costituzione, artt. 3, 53 e 97.
Ritenuto che la Commissione tributaria provinciale di Roma – nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’annullamento di due cartelle di pagamento per tributi ILOR ed IRPEF relativi agli anni 1978 e 1979 – con ordinanza del 23 settembre 2010 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), nel testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 2, comma 3, lettera a), del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione;
– che nell’ordinanza di rimessione si riferisce che nel giudizio principale la ricorrente: – ha dedotto: a) la nullità delle cartelle per mancanza di sottoscrizione, non potendosi ritenere valida quella «a stampa»; b) il proprio difetto di «legittimazione passiva», in quanto tali atti le sarebbero stati notificati in proprio e non nella qualità di erede; c) il difetto di motivazione delle cartelle, non essendo le indicazioni in esse riportate sufficienti ad indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste alla base della pretesa fiscale (in particolare, le somme del «dettaglio addebiti» non sarebbero verificabili nel calcolo; non sarebbero indicati né le aliquote applicate, né il tasso d’interesse utilizzato, né i termini iniziali e finali per il calcolo degli intessi; sarebbero richieste sanzioni non irrogabili agli eredi e dalle modalità di calcolo non esplicitate; non sarebbe chiaro quali siano gli atti di accertamento presupposti); d) l’illegittimità del compenso di riscossione richiesto dalla Equitalia s.p.a. a titolo di remunerazione del servizio svolto, per difetto di motivazione del quantum richiesto ed in ragione della irretroattività delle norme «sanzionatorie»;
– ha osservato, quanto a tale compenso, che: a) ai sensi dell’art. 17 del decreto legislativo n. 112 del 1999, il relativo importo è pari ad una percentuale di quello iscritto a ruolo, da determinarsi, per ogni biennio, con decreto ministeriale e fissato, al momento del ricorso, nella misura del 4,65% dall’art. 1 del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 17 novembre 2006, n. 24497 (Attuazione dell’articolo 17, comma 3, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, come modificato dall’articolo 2, comma 3, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262); b) tale importo era all’inizio dovuto dal debitore solamente in caso di mancato pagamento entro i termini di scadenza della cartella, mentre a seguito delle modifiche apportate dal decreto-legge n. 262 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 286 del 2006, esso è sempre dovuto (più precisamente, se il pagamento avviene in termini, il compenso è dovuto nella misura del 4,65%; se invece avviene fuori termine, è determinato secondo percentuali fissate in misura differente a seconda dell’ambito territoriale di appartenenza del contribuente);
– ha quindi sollecitato il promovimento dell’incidente di costituzionalità delle norme censurate con riferimento al principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., in quanto il compenso di riscossione è diverso a seconda dell’ambito territoriale di appartenenza dei contribuenti e varia in base a circostanze indipendenti dalla loro condotta; nonché con riferimento all’art. 53 Cost., in quanto la previsione del compenso minimo nella misura del 4,65% non è collegata alla capacità contributiva, ed all’art. 97 Cost., in quanto l’aggio risulta dovuto pur in assenza di una qualsiasi attività dell’agente di riscossione;
che il giudice rimettente, nel sollevare le questioni di legittimità costituzionale, ne ha illustrato la rilevanza e non manifesta infondatezza facendo integralmente proprie le argomentazioni della parte ricorrente; che, con memoria depositata in cancelleria il 24 dicembre 2012, è intervenuto nel giudizio di costituzionalità il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo preliminarmente l’inammissibilità delle questioni sollevate in quanto;
– il procedimento principale si sarebbe svolto senza l’instaurazione del contraddittorio nei confronti dell’agente della riscossione, come si desumerebbe dalla lettura del frontespizio e dalla narrativa dell’ordinanza di rimessione, e ciò integrerebbe un «macroscopico vizio» del giudizio a quo (si citano, in tal senso, la sentenza di questa Corte n. 279 del 2006 e l’ordinanza n. 183 del 1999);
– la Commissione tributaria provinciale si sarebbe dichiaratamente limitata a riportare le prospettazioni della parte ricorrente, senza darsi carico di formulare un proprio giudizio sul loro fondamento; ciò escluderebbe la sussistenza di una motivazione autonoma e sufficiente (si citano, in questo senso, le sentenze n. 103 del 2007 e n. 266 del 2006, e le ordinanze n. 321 del 2010 e n. 75 del 2007);
– difetterebbe la motivazione sulla rilevanza delle questioni prospettate, stante la mancata valutazione della fondatezza degli altri motivi di ricorso spiegati nel giudizio principale ed idonei a determinare l’annullamento integrale delle cartelle impugnate;
– sarebbe carente l’esposizione della fattispecie e del quadro normativo di riferimento (si cita la sentenza n. 236 del 2011), poiché il giudice rimettente sarebbe venuto meno all’onere di fornire elementi idonei ad individuare le norme applicabili ratione temporis ai fatti di causa, onere tanto più significativo nel caso di specie, in quanto la norma impugnata ha subito numerose modifiche; in particolare, alla data in cui è stato incardinato il giudizio principale (17 luglio 2009), la versione dell’art. 17 applicabile sarebbe non quella indicata dal giudice rimettente, ma quella che – a seguito delle modifiche apportate dall’art. 32, comma 1, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 – prevede un aggio unico del 9% per tutto il territorio nazionale; che, secondo il Presidente del Consiglio, le questioni sarebbero infondate anche nel merito, in quanto;
– la violazione del principio di eguaglianza non sussisterebbe, poiché la diversità di condizioni ambientali determina una differenza di costi che inevitabilmente si riflette sulla misura del compenso dell’agente; in ogni caso, considerata la natura remunerativa dell’aggio, non sarebbe affatto irragionevole la scelta del legislatore di tenere conto, ai fini della sua misura, del rischio di inesigibilità in funzione dell’individuazione di ambiti territoriali omogenei (come, del resto, non potrebbe essere sindacata la scelta contraria, operata dalla normativa intervenuta successivamente, di ripartire i fattori di rischio, secondo parametri mutualistico-attuariali, sull’intera platea dei contribuenti nazionali);
– andrebbe esclusa la violazione del principio di capacità contributiva, poiché, come chiarito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 63 del 1982, il parametro di cui all’art. 53 Cost. attiene al momento sostanziale dell’imposizione e non può riguardare il diverso e successivo aspetto della riscossione del tributo;
– quanto all’art. 97 Cost., andrebbe considerato che il compenso di riscossione non intende remunerare le singole attività esecutive compiute dall’agente (per le quali altre disposizioni – precisamente i commi 6 e 7-ter del medesimo art. 17 – prevedono il diverso istituto del rimborso delle spese), ma ha la funzione di remunerare i costi fissi di organizzazione e mantenimento del servizio nazionale della riscossione;
che si è costituita in giudizio, con memoria depositata in cancelleria il 27 dicembre 2012, la Equitalia Sud s.p.a., parimenti eccependo in primo luogo l’inammissibilità delle questioni sollevate, in quanto il rimettente:
– non avrebbe motivato in alcun modo sulla rilevanza nel giudizio principale delle questioni prospettate, essendosi limitato a riportare fedelmente le censure sollevate dalla ricorrente;
– avrebbe omesso di scrutinare la fondatezza dei primi tre motivi di ricorso con cui la ricorrente ha lamentato l’illegittimità in toto delle cartelle di pagamento: solo successivamente ad una decisione definitiva in ordine alla eventuale infondatezza di tali doglianze, il rimettente avrebbe potuto prendere in considerazione il quarto motivo avente ad oggetto il compenso dell’agente di riscossione;
– non avrebbe individuato con esattezza le norme legislative oggetto di censura, limitandosi a fare generico riferimento alla vigente disciplina del «compenso di riscossione» di cui all’art. 17 del decreto legislativo n. 112 del 1999, come modificato dal decreto-legge n. 262 del 2006, senza indicazione dei commi e delle diverse norme in esso contenute; né sarebbe dato comprendere quale rilievo assuma, nella prospettazione del giudice rimettente, il d.m. 17 novembre 2006; tali lacune, dunque, renderebbero impossibile l’esatta ricostruzione dell’oggetto delle questioni di costituzionalità;
– infine, nella parte in cui prospetta la violazione degli artt. 3 e 53 Cost., censurerebbe, in realtà, norme contenute in atti di rango non legislativo: la presunta discriminazione su base territoriale tra i debitori iscritti a ruolo, infatti, non sarebbe ingenerata dalla norma impugnata ma dal decreto del Ministro delle finanze del 4 agosto 2000;
che, secondo la società costituita, le questioni sarebbero infondate anche nel merito, in quanto;
– non sussisterebbe, con riferimento al regime applicabile ratione temporis, alcuna discriminazione tra i contribuenti per i pagamenti effettuati entro i 60 giorni dalla notifica: in tal caso, infatti, l’aggio a carico dei debitori è fissato nella misura del 4.65% dal d.m. 17 novembre 2006 per tutto il territorio nazionale; quanto all’ipotesi del pagamento effettuato dopo tale termine, invece, la differente misura sarebbe giustificata dalle diverse condizioni ambientali che possono rendere oggettivamente più difficile la riscossione da parte dell’agente incaricato;
– non vi sarebbe violazione del principio di capacità contributiva, come sarebbe desumibile dalla sentenza della Corte costituzionale n. 480 del 1993, laddove, pur con riferimento al previgente sistema di riscossione dei tributi, ha stabilito che il parametro di cui all’art. 53 Cost. può riguardare solo il momento sostanziale dell’imposizione del tributo e non la successiva attività di riscossione;
– quanto alla violazione dell’art. 97 Cost., andrebbe considerato che il compenso dell’agente non è volto a remunerare le singole attività esecutive ma l’intera attività di riscossione coattiva (ben più complessa della sola attività di notificazione della cartella), assicurando la copertura dei costi di organizzazione del servizio.
Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), nel testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 2, comma 3, lettera a), del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, deducendo la violazione dell’art. 3 della Costituzione, in quanto il compenso dell’agente della riscossione è diverso a seconda dell’ambito territoriale di appartenenza dei contribuenti; nonché dell’art. 53 Cost., in quanto la previsione del compenso minimo nella misura del 4,65% non è collegata alla capacità contributiva, e dell’art. 97 Cost., in quanto l’aggio risulta dovuto pur in assenza di una qualsiasi attività dell’agente; che è pregiudiziale l’esame dell’eccezione di inammissibilità sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, secondo cui il giudizio principale si sarebbe svolto senza l’instaurazione del contraddittorio nei confronti dell’agente della riscossione, come si desumerebbe dalla lettura del frontespizio e dalla narrativa dell’ordinanza di rimessione, e ciò integrerebbe un «macroscopico vizio» del giudizio a quo rilevabile da questa Corte;
– che l’eccezione è infondata, dal momento che l’omessa notificazione del ricorso introduttivo del giudizio principale non emerge dalla lettura dell’ordinanza di rimessione – che sul punto tace – e risulta anzi smentita dalla stessa Equitalia Sud s.p.a., che, costituendosi nel presente giudizio di costituzionalità, ha riferito di essere stata regolarmente evocata nel giudizio principale;
– che fondata ed assorbente, per contro, risulta l’eccezione di inammissibilità, dedotta tanto dal Presidente del Consiglio dei ministri quanto dalla Equitalia Sud s.p.a., per difetto di motivazione sulla rilevanza della questione sollevata, dal momento che il giudice rimettente non ha in alcun modo illustrato, anche solo sommariamente, le ragioni di infondatezza degli altri motivi di ricorso, pure spiegati in via principale nel giudizio a quo ed aventi «priorità logica»;
– che, infatti, l’esame di tali motivi – con cui si deduce la mancanza di sottoscrizione della cartella, il difetto di titolarità passiva del rapporto tributario controverso ed il difetto di motivazione – è pregiudiziale, perché il loro eventuale accoglimento determinerebbe l’annullamento delle cartelle impugnate (ordinanza n. 73 del 2011);
– che tale carenza motivazionale dell’ordinanza comporta la manifesta inammissibilità della questione sollevata (su casi analoghi, ordinanze n. 73 del 2011, n. 96 e n. 22 del 2010). Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
P.Q.M.
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), nel testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 2, comma 3, lettera a), del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Roma, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
—
Provvedimento pubblicato nella G.U. del 26 giugno 2013, n. 26
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