CORTE COSTITUZIONALE – Ordinanza 21 marzo 2019, n. 64
Reati e pene – Depenalizzazione di reati puniti con la sola pena pecuniaria – Esclusione dei reati di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato. – Decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67), art. 1, comma 4
Ritenuto
che, con ordinanza del 5 dicembre 2017, il Giudice di pace di Macerata ha sollevato, in riferimento agli «artt. 2, 3, 24, 32, 76, 117 della Costituzione» (recte: in riferimento all’art. 76 Cost.), questione di legittimità costituzionale «dell’art. 139, commi 1, 3, 6» (recte: dell’art. 1, comma 4, del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8, recante «Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67»);
che la norma è censurata nella parte in cui dispone che l’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 8 del 2016 – a mente del quale «[n]on costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda» – non si applica ai reati di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), così escludendo dalla depenalizzazione anche la contravvenzione, prevista dall’art. 10-bis di quest’ultimo d.lgs., di «ingresso e soggiorno illegale dello straniero nel territorio dello Stato»;
che il giudice a quo riferisce che nel processo principale «oggetto d’esame» è il reato appena menzionato, sicché all’accoglimento della questione sollevata conseguirebbe l’assoluzione dell’imputato e, quindi, «il tasso di concretezza del controllo di costituzionalità» sarebbe «utile in funzione della soluzione della controversia pendente»;
che, al riguardo, egli ritiene che la pregiudizialità deriverebbe dalla necessità, «allo stato degli atti», di applicare la norma censurata;
che, ad avviso del rimettente, la disposizione denunciata, nell’escludere dalla depenalizzazione, mediante il richiamo all’intero d.lgs. n. 286 del 1998, anche il reato previsto dall’art. 10-bis del medesimo d.lgs., violerebbe l’art. 76 Cost.;
che, difatti, tale esclusione si porrebbe in contrasto con i principi e i criteri della delega dettati, in particolare, dalla norma di cui all’art. 2, comma 3, lettera b), della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), nella parte in cui essa prevede l’abrogazione e la trasformazione in illecito amministrativo del reato introdotto dall’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza, dal momento che la eventuale declaratoria d’illegittimità costituzionale non avrebbe «alcuna incidenza sulla vigenza dell’articolo 10 bis del d.lgs. 286 del 1998», avendo il Governo ritenuto di non esercitare la delega conferitagli;
che, comunque, osserva l’Avvocatura, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «la mancata (o parziale) attuazione di delega legislativa comporta una responsabilità politica del Governo», ma non anche, di per sé sola, «l’illegittimità del decreto legislativo per delega omissiva».
Considerato
che il Giudice di pace di Macerata solleva – in riferimento agli «artt. 2, 3, 24, 32, 76, 117 della Costituzione» – questione di legittimità costituzionale «dell’art. 139, commi 1, 3, 6»;
che, in realtà, il giudice a quo dubita, in riferimento all’art. 76 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67), come si desume dal tenore complessivo della motivazione dell’ordinanza di rimessione, il cui dispositivo è affetto da evidenti errori materiali;
che, ad avviso del giudice rimettente, la disposizione censurata, escludendo dalla depenalizzazione disposta dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 8 del 2016 anche la contravvenzione di cui all’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), contrasterebbe con l’art. 2, comma 3, lettera b), della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), nella parte in cui questa disposizione prevede, invece, l’abrogazione e la trasformazione in illecito amministrativo di tale fattispecie contravvenzionale;
che, in tal modo, sarebbe leso l’art. 76 Cost.;
che l’ordinanza di rimessione, la cui motivazione in punto di non manifesta infondatezza si limita peraltro in massima parte a riprodurre uno specifico contributo della dottrina, reca, come dianzi evidenziato, un dispositivo del tutto non pertinente rispetto all’oggetto della censura e che evoca parametri costituzionali largamente inconferenti;
che, a prescindere dalla fondatezza, o meno, dell’eccezione d’inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, la medesima ordinanza presenta, in ogni caso, evidenti lacune in punto di descrizione della fattispecie concreta e di motivazione sulla rilevanza, tali da precludere lo scrutinio nel merito della questione con essa sollevata;
che il giudice a quo si limita, infatti, a riportare il capo di imputazione, il quale è peraltro «formulato in modo alternativo, senza sciogliere il dubbio in ordine a quale delle due diverse ipotesi di reato, ingresso illegale o indebito trattenimento, sia stata posta in essere dall’imputato» (ordinanza n. 32 del 2011), e si risolve, nella sostanza, in una parafrasi del dettato della norma incriminatrice;
che mancano, per converso, adeguate indicazioni sulla concreta vicenda oggetto del giudizio a quo e sulla sua effettiva riconducibilità al paradigma punitivo considerato;
che, d’altro canto, il rimettente afferma in maniera apodittica che la pregiudizialità deriverebbe dalla necessità di applicare la norma censurata «allo stato degli atti», omettendo di precisare in quale fase si trovi il processo di cui è investito;
che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’omessa o insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo – non emendabile mediante la diretta lettura degli atti, preclusa dal principio di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione (ex plurimis, ordinanze n. 242 del 2018 e n. 185 del 2013) – determina l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, in quanto impedisce di verificare la sua effettiva rilevanza (ex plurimis, ordinanze n. 191 e n. 64 del 2018, n. 210 del 2017);
che, in particolare, questa Corte ha dichiarato manifestamente inammissibili questioni sollevate con ordinanze affette da carenze analoghe a quelle poc’anzi descritte e aventi a oggetto la medesima norma che prevede il reato per cui si procede nel processo principale (ex plurimis, ordinanze n. 84 del 2012, n. 193, n. 161, n. 149, n. 135 e n. 32 del 2011);
che la questione deve, pertanto, essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
P.Q.M.
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67), sollevata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dal Giudice di pace di Macerata con l’ordinanza indicata in epigrafe.
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