CORTE COSTITUZIONALE – Sentenza 08 novembre 2016, n. 280
Imposte e tasse – Imposta municipale unica (IMU) – Istituzione, anticipazione sperimentale dal 2012, disciplina della base imponibile e dell’aliquota.
Ritenuto in fatto
1.- Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, sezioni riunite, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 48, comma 1-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, in riferimento agli artt. 36 e 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, ed al principio di leale collaborazione, nonché in relazione all’art. 2 (recte: primo comma) del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria).
Il rimettente riferisce che alcuni proprietari di fabbricati rurali e terreni agricoli iscritti al catasto terreni e fabbricati del Comune di Augusta, come tali assoggettati all’imposta municipale propria (IMU) nell’anno 2012, hanno proposto ricorso straordinario al Presidente della Regione siciliana per ottenere l’annullamento della deliberazione del Consiglio comunale di Augusta 30 ottobre 2012, n. 47, con cui è stato approvato il regolamento concernente le modalità di applicazione dell’imposta. Secondo i ricorrenti, l’illegittimità del regolamento deriverebbe dall’incostituzionalità dell’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011, che ha anticipato in via sperimentale al 2012 l’applicazione dell’IMU originariamente istituita dall’art. 8 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), apportando delle modifiche al relativo regime.
1.1.- Anzitutto il rimettente censura l’art. 13 nella sua interezza in riferimento all’art. 43 dello statuto reg. Sicilia ed al principio di leale collaborazione. Al riguardo rammenta che, mentre il d.lgs. n. 23 del 2011, all’atto dell’istituzione dell’IMU, aveva previsto all’art. 14, comma 2, che “Al fine di assicurare la neutralità finanziaria del presente decreto, nei confronti delle regioni a statuto speciale il presente decreto si applica nel rispetto dei rispettivi statuti e in conformità con le procedure previste dall’articolo 27 della citata legge n. 42 del 2009”, l’art. 48, comma 1-bis, del d.l. n. 201 del 2011, pur richiamando “le norme di attuazione statutaria di cui all’articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni” per definire le modalità di applicazione e gli effetti finanziari del decreto per le Regioni a statuto speciale, mantiene ferma nei loro confronti l’applicabilità dell’art. 13, differendo sine die il ripristino del metodo consensualistico. Ciò nonostante l’art. 43 dello statuto reg. Sicilia attribuisca ad una Commissione paritetica la determinazione delle norme di attuazione statutaria e l’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), individui una pluralità di sedi (la Commissione tecnica di cui al precedente art. 4, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, il “tavolo di confronto” menzionato dall’ultimo comma del citato art. 27) in cui si declinerebbe la permanente interlocuzione nei rapporti tra Stato ed autonomie speciali. Entrambe le norme risponderebbero al principio di leale collaborazione espressamente menzionato dall’art. 120, secondo comma, della Costituzione, cardine del modello di regionalismo cooperativo che in più occasioni questa Corte avrebbe dimostrato di condividere. In particolare, il rimettente rammenta anzitutto la sentenza n. 64 del 2012 in tema di IMU, che avrebbe dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sul presupposto dell’inapplicabilità dell’imposta nel territorio regionale se non per il tramite della Commissione paritetica ed in coerenza con la clausola di salvaguardia di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009. In secondo luogo, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana richiama la sentenza n. 155 del 2015, la quale, pur dichiarando inammissibili le questioni scrutinate per l’impossibilità di adottare una pronuncia a rime obbligate, avrebbe riscontrato i vizi d’incostituzionalità denunciati, ravvisando sia la violazione dello statuto della Regione siciliana che quella del metodo pattizio configurato dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009, e formulato un forte monito al legislatore perché vi ponesse rimedio. Poiché il monito sarebbe rimasto inascoltato, in difetto dell’avvio di procedure di interlocuzione con le autonomie speciali volte ad ossequiarlo, l’illegittimità costituzionale riscontrata ma non dichiarata si sarebbe andata consolidando nel tempo, assurgendo ad “incostituzionalità di sistema”, a cui porre rimedio.
Per le stesse ragioni ed in riferimento ai medesimi parametri, il rimettente censura l’art. 48, comma 1-bis, del d.l. n. 201 del 2011, che consentirebbe l’immediata applicazione del regime dell’IMU alle autonomie speciali senza prevedere un termine stringente e certo per l’adozione delle norme di attuazione statutaria e quindi per il ripristino del metodo pattizio.
Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana solleva altresì specifica questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 11 e 17, del d.l. n. 201 del 2011 in riferimento agli artt. 36 dello statuto reg. Sicilia e 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965.
Le due disposizioni prevederebbero altrettante riserve allo Stato del provento di un tributo erariale – la prima esplicita, pari alla metà del gettito ad aliquota base, e l’altra implicita, attraverso la riduzione dei trasferimenti erariali ai Comuni – sottraendolo alla Regione senza che ricorrano le condizioni che ciò possano giustificare. In particolare, difetterebbero un idoneo vincolo di destinazione, atteso che quello indicato dall’art. 48 del d.l. n. 201 del 2011 sarebbe eccessivamente generico, e la novità dell’entrata relativamente alla porzione devoluta ai Comuni, in quanto senza la riforma del 2011 essa non sarebbe mancata ma attribuita a titolo di imposta comunale sugli immobili (ICI).
1.2.- In punto di rilevanza, il rimettente sostiene: a) di aver accertato, anche dopo l’espletamento di incombenti istruttori, la persistenza in capo ai ricorrenti dell’interesse all’impugnazione a seguito delle modifiche che hanno riguardato in più punti l’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011; b) di avere giurisdizione sulla controversia, in applicazione degli ordinari criteri di riparto, in quanto essa non riguarda singoli atti applicativi, di accertamento e liquidazione, dell’IMU, ma il regolamento del Comune di Augusta, atto generale concernente le modalità di applicazione dell’imposta, in larga misura mutuate dalla fonte primaria ed afferenti al presupposto d’imposta, alla base imponibile, al regime delle esenzioni e delle agevolazioni, alle modalità di dichiarazione e dei versamenti, alla disciplina dei rimborsi e delle compensazioni ed al sistema della riscossione coattiva; c) che la sussistenza della giurisdizione varrebbe a radicare la cognizione in sede consultiva, nell’esame del ricorso straordinario, ai sensi dell’art. 7, comma 8, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo); d) di essere legittimato a sollevare questioni di legittimità costituzionale in sede consultiva, come riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte; e) che le questioni sarebbero rilevanti, in quanto il regolamento comunale, immediatamente lesivo, dovrebbe essere annullato – con la conseguenza di impedire l’applicazione dell’IMU e la sua riscossione a spese dei ricorrenti – ove l’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011, che ne rappresenta l’imprescindibile base normativa, venisse dichiarato costituzionalmente illegittimo con effetti ex tunc.
2.- È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza nel merito delle questioni sollevate.
Queste ultime sarebbero inammissibili perché l’art. 1, comma 380, lettera h), della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), al dichiarato fine di assicurare la spettanza ai Comuni dell’IMU, ha abrogato il comma 11 dell’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011 con decorrenza dal 1° gennaio 2013 ed ha mantenuto l’applicabilità del successivo comma 17 esclusivamente con riferimento alle autonomie speciali continentali. Di qui la dimostrazione dell’intento dello Stato di “garantire per il futuro la gestione consensualistica dell’imposta” e la sopravvenuta carenza di interesse alla definizione delle questioni nel merito.
In ogni caso, l’Avvocatura generale richiama la sentenza n. 155 del 2015 di questa Corte, con cui sono state ritenute inammissibili le questioni di legittimità delle medesime norme censurate dal rimettente, negando che detta pronuncia possa essere intesa, come ritenuto dal Consiglio di giustizia amministrativa, quale implicita declaratoria di fondatezza, essendo ivi chiariti i motivi che hanno condotto alla decisione concretamente assunta.
Nel merito, la questione di legittimità dell’art. 48, comma 1-bis, del d.l. n. 201 del 2011 sarebbe infondata, in quanto la norma richiama le procedure paritetiche previste dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009.
Parimenti infondate sarebbero le censure mosse ai citati commi 11 e 17 dell’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011, atteso che, da un lato, le relative questioni non potrebbero essere semplicemente inquadrate nell’ambito del contenzioso tributario relativo alle riserve allo Stato del maggior gettito e, dall’altro, che, nel caso di abolizione di tributi erariali, ben potrebbero aversi riduzioni di risorse per la Regione senza violazione costituzionale. Di conseguenza sarebbe improprio il richiamo del rimettente all’art. 36 dello statuto reg. Sicilia.
3.- Si sono costituiti in giudizio B.R.O., G.C., C.S., C.G. e C.F., proponenti il ricorso straordinario sottoposto alla cognizione del rimettente, i quali hanno chiesto l’accoglimento delle questioni sollevate, richiamando in particolare il monito contenuto nella sentenza n. 155 del 2015 di questa Corte ed evidenziando il mancato ossequio allo stesso da parte del legislatore.
Con memoria depositata in prossimità dell’udienza le parti costituite hanno replicato agli argomenti difensivi svolti dall’Avvocatura generale dello Stato, evidenziando la marginalità delle modifiche normative apportate al censurato art. 13, contestando l’interpretazione sostenuta dal ricorrente della sentenza n. 155 del 2015 di questa Corte e sottolineando il rilievo riconosciuto al monito ivi contenuto dalla successiva sentenza n. 188 del 2016, che ha ravvisato un profilo di illegittimità della normativa nell’occasione impugnata proprio in ragione del mancato rispetto del principio dell’accordo nonostante il richiamo in tal senso.
Considerato in diritto
1.- Con l’ordinanza in epigrafe il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, sezioni riunite, in sede di parere su un ricorso straordinario al Presidente della Regione stessa, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 48, comma 1-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, in riferimento agli artt. 36 e 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, ed al principio di leale collaborazione, nonché in relazione all’art. 2 (recte: primo comma) del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria).
Il giudice rimettente riferisce che alcuni proprietari di fabbricati rurali e terreni agricoli iscritti al catasto terreni e fabbricati del Comune di Augusta, come tali assoggettati all’imposta municipale propria (IMU) nell’anno 2012, hanno proposto ricorso straordinario al Presidente della Regione siciliana per ottenere l’annullamento della deliberazione del Consiglio comunale di Augusta con cui è stato approvato il regolamento concernente le modalità di applicazione dell’imposta stessa. L’illegittimità del regolamento deriverebbe dall’incostituzionalità dell’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011, che ha anticipato in via sperimentale al 2012 l’applicazione dell’IMU originariamente istituita dall’art. 8 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), apportando delle modifiche al relativo regime.
L’art. 13 viene censurato nella sua interezza, in quanto la disciplina del tributo in considerazione, unilateralmente dettata dal legislatore statale, non risponderebbe al modello di regionalismo cooperativo quale disegnato dall’art. 43 dello statuto reg. Sicilia – che affida ad una Commissione paritetica la determinazione delle norme di attuazione statutaria – e dall’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), disposizioni riconducibili al principio di leale collaborazione in cui sarebbe declinata la permanente interlocuzione nei rapporti tra Stato e Regione. Il Consiglio di giustizia amministrativa richiama al riguardo la sentenza n. 155 del 2015 di questa Corte, la quale, pur dichiarando inammissibili analoghe questioni per l’impossibilità di adottare una pronuncia a rime obbligate, avrebbe comunque ravvisato la violazione del metodo pattizio e formulato un forte monito al legislatore statale perché vi ponesse rimedio, monito che sarebbe rimasto tuttora inascoltato. Per le stesse ragioni ed in riferimento ai medesimi parametri, il rimettente censura il successivo art. 48, comma 1-bis, in quanto consentirebbe l’immediata applicazione del regime dell’IMU alle autonomie speciali senza prevedere un termine stringente e certo per l’adozione delle norme di attuazione statutaria e quindi per il ripristino del metodo pattizio.
Il rimettente solleva altresì specifica questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 11 e 17, del d.l. n. 201 del 2011 in riferimento all’art. 36 dello statuto reg. Sicilia ed in relazione all’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, in quanto le due disposizioni riserverebbero allo Stato il maggior gettito di un tributo erariale, sottraendolo alla Regione senza che ricorrano le condizioni di novità dell’entrata e di specifica destinazione della stessa che tanto legittimino.
Il Consiglio di giustizia amministrativa, dopo aver affermato la sussistenza del proprio potere di cognizione in sede consultiva, dell’interesse dei ricorrenti all’impugnazione e della legittimazione a sollevare questioni di legittimità costituzionale in sede di ricorso straordinario al Presidente della Regione siciliana, ne sostiene la rilevanza in quanto l’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011 rappresenterebbe l’imprescindibile base normativa del regolamento comunale impugnato, il quale verrebbe annullato ove la disposizione censurata fosse dichiarata costituzionalmente illegittima.
2.- Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 11 e 17, del d.l. n. 201 del 2011 sono inammissibili, dal momento che il giudice a quo prospetta una soluzione incongrua rispetto all’obiettivo perseguito (ex plurimis, sentenza n. 301 del 2012).
Nei confronti di dette disposizioni il giudice rimettente ripropone sostanzialmente censure analoghe a quelle mosse da varie Regioni a statuto speciale attraverso ricorsi in via di azione decisi da questa Corte con la sentenza n. 155 del 2015.
Nel caso in esame risulta evidente che il rimettente effettua un ragionamento implausibile nell’ipotizzare, quale esito della rimessione, l’eventuale cancellazione delle norme impugnate, necessaria per l’accoglimento del ricorso straordinario. Per quel che si dirà più analiticamente in prosieguo, infatti, le questioni poste risultano puramente astratte: ancorché strumentalmente riproposto in via incidentale, il contenzioso sul riparto della nuova imposta tra Stato e Regioni non può sfociare in una declaratoria d’incostituzionalità del tributo stesso.
Il fatto che con la sentenza n. 155 del 2015 sia stata accertata la violazione del metodo pattizio tra Stato e Regioni a statuto speciale, finalizzato a specificare le reciproche relazioni finanziarie aventi ad oggetto il riparto delle compartecipazioni al gettito dell’IMU, non convalida affatto l’assunto del Consiglio di giustizia amministrativa secondo cui detta violazione sarebbe in grado di determinare l’illegittimità costituzionale delle norme impugnate nella parte in cui individuano i ricorrenti quali soggetti passivi dell’IMU.
Nella sentenza n. 155 del 2015 questa Corte si è limitata ad accertare il mancato rispetto del metodo pattizio tra Stato ed autonomie speciali per quel che riguarda il riparto delle compartecipazioni al tributo. Per questo motivo, l’accoglimento delle medesime questioni in questa sede non potrebbe mai influire sul giudizio a quo, dal momento che il rispetto del metodo pattizio nella determinazione delle relazioni finanziarie inerenti al riparto dell’IMU non incide sulla legittimità costituzionale dell’imposta considerata nella sua istituzione e disciplina.
Nella citata sentenza, le disposizioni indicate dal giudice rimettente, l’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e l’art. 14 del d.lgs. n. 23 del 2011, vengono in rilievo solo quali parametri per realizzare – all’interno del nuovo quadro riformato della fiscalità – la “razionalizzazione e perequazione del riparto del gettito fiscale” attraverso una nuova suddivisione che tenga conto dei dialettici criteri prescritti dalle norme evocate: “(d)alla lettura della legge n. 42 del 2009 e del decreto attuativo in tema di federalismo fiscale municipale testé richiamato si evincono elementi importanti ai fini della presente decisione: a) conferma del metodo pattizio quale strumento indefettibile, anche sotto il profilo procedurale, nella disciplina delle relazioni finanziarie tra Stato e autonomie speciali; b) principio di neutralità nella rideterminazione delle attribuzioni fiscali alle autonomie speciali da attuare secondo il canone della leale collaborazione; c) finalità di razionalizzazione e perequazione del meccanismo rideterminativo del riparto fiscale; d) criterio guida della “sostituzione” dei tributi per assicurare il nuovo riparto della fiscalità territoriale. (…) Senza una mediazione legislativa capace di assicurare un confronto idoneo a verificare l’applicazione dei criteri di neutralità, perequazione e sostituzione sanciti dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009 ai fini del bilanciamento dei rapporti finanziari sopravvenuti alla riforma, lo scrutinio di legittimità delle norme impugnate non potrebbe essere svolto in modo proficuo. Esso può essere indirizzato solo al procedimento legislativo adottato ma non alle modalità con cui avrebbero dovuto essere bilanciati i dialettici interessi della neutralità finanziaria, della sostituzione, della perequazione e del dimensionamento delle entrate fiscali di competenza delle autonomie speciali” (sentenza n. 155 del 2015).
Dalla motivazione della pronuncia risulta con chiarezza che la struttura dell’IMU costituisce un mero presupposto della necessità di un nuovo bilanciato riparto delle risorse fiscali tra Stato ed autonomie territoriali. In sostanza, la sua disciplina ed il gettito conseguente costituiscono uno degli elementi essenziali per il raggiungimento di un nuovo equilibrio della fiscalità territoriale.
Oggetto della materia del contendere nel precedente giurisprudenziale richiamato nell’ordinanza di rimessione è la suddivisione del gettito fiscale, di cui la Corte ha accertato l’incidenza “sul nucleo del sistema della fiscalità locale in ragione della sommatoria” degli effetti prodotti dalle norme in questione.
È stato, infatti, sottolineato come “il principio di neutralità finanziaria operi all’interno delle relazioni tra Stato e Regioni in due direzioni: da un lato, comporta che la riforma fiscale non modifichi gli assetti della finanza pubblica allargata e la coerenza con i limiti della pressione fiscale complessivamente stabiliti; dall’altro, impone che la rideterminazione dei tributi oggetto di compartecipazione da parte delle autonomie speciali non riduca le risorse disponibili in modo da pregiudicare assetti organizzativi ed esercizio delle funzioni consolidatisi all’interno delle autonomie stesse” (sentenza n. 155 del 2015).
Entrambi gli assunti ricavabili dall’evocata decisione appaiono ictu oculi incompatibili con il ragionamento del giudice rimettente, dal momento che l’illegittimità dell’imposizione in parola nel territorio della Regione siciliana verrebbe a pregiudicare contemporaneamente sia gli assetti della finanza statale nel suo complesso, sia gli assetti organizzativi e finanziari delle stesse autonomie territoriali siciliane.
In definitiva, non è possibile ipotizzare, come fa il giudice rimettente, esenzioni o decorrenze diacroniche del tributo nel territorio insulare quali necessarie conseguenze dell’asserita non conformità a Costituzione del procedimento normativo afferente al riparto del provento del tributo stesso.
Il motivo dell’inammissibilità dichiarata con la sentenza n. 155 del 2015 risiede nell’impossibilità di effettuare uno scrutinio delle norme impugnate in riferimento ai richiamati parametri statutari in considerazione del fatto che la stessa riforma della fiscalità territoriale prevede – all’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e all’art. 14 del d.lgs. n. 23 del 2011 – una serie di coefficienti ponderali tra loro dialettici per la redistribuzione del gettito dei tributi modificati o istituiti dalla riforma stessa, la cui concreta utilizzazione è rimessa alla discrezionalità del legislatore.
Se, da un lato, risulta obiettiva la difficoltà per questa Corte di sovrapporre le proprie decisioni all’ambito discrezionale normativo, dall’altro, l’evocata pronuncia afferma l’indefettibile necessità di evitare “uno squilibrio nell’ambito della finanza pubblica allargata in quanto lo Stato – sia pure violando lo schema legislativo presupposto – ha (già applicato al) proprio bilancio le somme in contestazione per un arco temporale che, complessivamente inteso, supera ormai il triennio” (sentenza n. 155 del 2015).
È evidente che la pretesa cancellazione del tributo per detto triennio – sulla base di ragioni che esulano dal suo presupposto, dalla sua struttura e dalla individuazione dei soggetti passivi – provocherebbe uno squilibrio postumo nei relativi bilanci dello Stato, senza peraltro rimediare alla lesione eventualmente provocata in detto arco temporale ai bilanci delle Regioni a statuto speciale: “(s)e, come di seguito meglio precisato, questa violazione del canone procedimentale non può sottrarre in modo definitivo alle autonomie speciali risorse eventualmente necessarie per assicurare l’equilibrio tra entrate fiscali e funzioni esercitate, nondimeno il rimedio a tale violazione non può consistere nel diretto accoglimento (…) poiché, tra l’altro, esso investirebbe risorse già impiegate dallo Stato per la copertura di spese afferenti ai decorsi esercizi” (sentenza n. 155 del 2015). Sotto tale profilo, l’unico rimedio per supplire all’accertata violazione del metodo pattizio può risultare l’applicazione del principio dell’equilibrio dinamico, il quale consente di “garantire nel tempo l’equilibrio economico, finanziario e patrimoniale” (sentenza n. 155 del 2015), anche attraverso appropriate rimodulazioni dei rapporti fra Stato ed autonomie speciali nei futuri esercizi.
Pertanto, le modalità di risoluzione del contenzioso sul riparto delle risorse fiscali tra Stato ed enti territoriali hanno quale indefettibile presupposto l’invarianza del gettito fiscale, in relazione al quale possono semmai ipotizzarsi rimodulazioni diacroniche del riparto stesso rispetto al momento dell’effettiva riscossione.
A dimostrazione di tale assunto, è utile ricordare come per analoga fattispecie afferente agli accantonamenti riguardanti il gettito dell’IMU nei confronti di altra Regione a statuto speciale, che ha condotto ad una declaratoria d’illegittimità costituzionale, i relativi effetti si sono interamente dispiegati sulle relazioni finanziarie tra lo Stato e gli enti territoriali interessati, in considerazione dell’inscindibile “connessione tra il principio dell’equilibrio dinamico del bilancio ed il carattere di continuità degli esercizi finanziari, il quale ne risulta naturale declinazione essendo “essenziale per garantire nel tempo l’equilibrio economico, finanziario e patrimoniale” (sentenza n. 155 del 2015), anche attraverso appropriate rimodulazioni dei rapporti fra Stato ed autonomie speciali” (sentenza n. 188 del 2016) negli esercizi successivi.
In definitiva, pur non potendosi escludere in astratto che un contribuente possa far valere un interesse al legittimo riparto delle risorse fiscali tra lo Stato e gli enti territoriali, non è al contrario configurabile la possibilità di invocare parametri costituzionali inerenti al riparto stesso al fine di contestare l’applicabilità del relativo tributo ai soggetti passivi.
Ai fini della decisione del giudizio a quo appaiono dunque del tutto irrilevanti gli effetti dell’”inerzia del legislatore statale nella ricerca di un quadro complessivo di relazioni finanziarie conforme al dettato costituzionale (dal momento che tale inerzia può essere presa in considerazione solo) nella misura in cui non assicuri la congruenza tra l’attribuzione di risorse fiscali successivamente alla riforma del 2011 e le funzioni effettivamente attribuite ed esercitate dalle stesse autonomie speciali” (sentenza n. 155 del 2015). Il pregiudizio causato da detta inerzia sarebbe del tutto amplificato laddove fosse dichiarata illegittima l’imposizione proprio in quegli ambiti regionali incisi dagli effetti di norme finanziarie non conformi a Costituzione.
3.- La questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011 nella sua interezza – esclusi i commi 11 e 17, di cui si è già chiarito – non è fondata.
Ad avviso del rimettente il citato articolo – che ha anticipato in via sperimentale l’applicazione dell’IMU, dettandone un regime parzialmente diverso da quello originariamente previsto in sede istitutiva – violerebbe il principio di leale collaborazione, declinato nell’art. 43 dello statuto reg. Sicilia e nell’art. 27 della legge n. 42 del 2009.
Occorre al riguardo evidenziare che l’IMU, in quanto istituita e disciplinata con legge dello Stato, è un tributo erariale (sentenza n. 123 del 2010; nello stesso senso, sentenze n. 40 del 2016, n. 121 del 2013 e n. 97 del 2013), seppur “derivato” in ragione della devoluzione del gettito (sentenza n. 121 del 2013).
La sua disciplina ricade dunque “nella materia “ordinamento tributario dello Stato”, che l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. riserva alla competenza legislativa statale” (sentenza n. 121 del 2013; nello stesso senso sentenze n. 26 del 2014 e n. 97 del 2013).
Questa Corte ha ripetutamente e costantemente escluso che le procedure di leale collaborazione fra Stato e Regioni “trovino applicazione nell’attività legislativa esclusiva dello Stato, per cui non vi è concorso di competenze diversamente allocate, né ricorrono i presupposti per la chiamata in sussidiarietà (sentenze n. 121 e n. 8 del 2013, n. 207 del 2011); e che l’esclusione della rilevanza di tali procedure, che è formulata in riferimento al procedimento legislativo ordinario, “vale a maggior ragione per una fonte come il decreto-legge, la cui adozione è subordinata, in forza del secondo comma dell’art. 77 Cost., alla mera occorrenza di ‘casi straordinari di necessità e d’urgenzà” (sentenze n. 79 del 2011 e n. 298 del 2009)” (sentenze n. 26 del 2014 e n. 97 del 2013).
Di qui l’infondatezza della questione dell’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011 in riferimento al principio di leale collaborazione.
4.- Infine, è inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 48, comma 1-bis, del d.l. n. 201 del 2011.
La disposizione prevede che “Ferme restando le disposizioni previste dagli articoli 13, 14 e 28, nonché quelle recate dal presente articolo, con le norme di attuazione statutaria di cui all’articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni, sono definiti le modalità di applicazione e gli effetti finanziari del presente decreto per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano”.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, l’art. 48, comma 1-bis, del d.l. n. 201 del 2011 contempla una clausola di salvaguardia (sentenza n. 82 del 2015).
Il rimettente la censura, in quanto, a suo avviso, consentendo l’immediata applicazione del regime dell’IMU di cui al precedente art. 13 alle autonomie speciali senza prevedere un termine stringente e certo per l’adozione delle norme di attuazione statutaria, violerebbe l’art. 43 dello statuto ed il principio di leale collaborazione.
Tuttavia, la riferibilità dell’art. 13 alle autonomie speciali non dipende dalla clausola di salvaguardia ma direttamente dal contenuto dell’articolo citato, che si applica in tutti i Comuni del territorio nazionale (comma 1) e menziona esplicitamente le autonomie speciali (comma 17).
L’art. 13, dunque, dà fondamento al regolamento impugnato, a prescindere dalla clausola di salvaguardia e dall’applicazione della norma che la contempla, con conseguente irrilevanza della relativa questione.
D’altra parte, come questa Corte ha affermato in fattispecie analoga oggetto di giudizio in via principale (sentenza n. 77 del 2015), la clausola di salvaguardia è priva di autonoma capacità lesiva, mentre le uniche norme suscettibili di impugnazione allo scopo di rimuovere la pretesa violazione sono quelle di cui all’art. 13, direttamente ed autonomamente applicabili. Da tanto discende l’inammissibilità della questione.
P.Q.M.
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 11 e 17, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, sollevate, in riferimento agli artt. 36 e 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, ed al principio di leale collaborazione, nonché in relazione all’art. 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, sezioni riunite, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 – esclusi i commi 11 e 17 – del d.l. n. 201 del 2011, sollevata, in riferimento all’art. 43 dello statuto reg. Sicilia ed al principio di leale collaborazione, dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, sezioni riunite, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 48, comma 1-bis, del d.l. n. 201 del 2011, sollevata, in riferimento all’art. 43 dello statuto reg. Sicilia ed al principio di leale collaborazione, dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, sezioni riunite, con l’ordinanza indicata in epigrafe.