CORTE COSTITUZIONALE – Sentenza 13 giugno 2018, n. 120

Ordinamento militare – Limitazioni all’esercizio del diritto di associazione e divieto di sciopero – Divieto per i militari di costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali. – Decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), art. 1475, comma 2.

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza del 4 maggio 2017 (reg. ord. n. 111 del 2017), il Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1475, comma 2, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), per contrasto con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione sia agli artt. 11 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e alle sentenze emesse in data 2 ottobre 2014 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, quinta sezione, Matelly contro Francia e Association de Defense des Droits des Militaires (ADefDroMil) contro Francia; sia all’art. 5, paragrafo unico, terzo periodo, della Carta sociale europea, riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30.

2.- Premette il giudice a quo che, con ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, F. S., brigadiere della Guardia di finanza, e l’Associazione solidarietà diritto e progresso (AS.SO.DI.PRO.) avevano impugnato la nota con cui il Comando generale della Guardia di finanza aveva rigettato l’istanza volta ad ottenere «l’autorizzazione a costituire un’associazione a carattere sindacale fra il personale dipendente del Ministero della difesa e/o del Ministero dell’economia e delle finanze o, in ogni caso, ad aderire ad altre associazioni sindacali già esistenti», in ragione del divieto sancito dal comma 2 dell’art. 1475 del d.lgs. n. 66 del 2010, a tenore del quale «i militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali».

I ricorrenti avevano lamentato la contrarietà di tale disposizione con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 11 e 14 della CEDU.

Il giudice amministrativo di primo grado aveva escluso la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata dai ricorrenti in relazione al citato art. 1475, comma 2, cod. ordinamento militare, e aveva rigettato il ricorso richiamando la sentenza n. 449 del 1999 della Corte costituzionale.

La decisione del TAR veniva appellata davanti al Consiglio di Stato, chiedendosene la riforma anche in ragione di due sopravvenute pronunce della Corte EDU, Matelly contro Francia e ADefDroMil contro Francia, nonché della decisione del Comitato europeo dei diritti sociali, in data 4 luglio 2016, emessa su un reclamo collettivo proposto da un sindacato francese di appartenenti alla Gendarmerie nationale (reclamo n. 101/2013, Conseil Europeen des Syndicats de Police – CESP – contro Francia).

3.- Il Consiglio di Stato ha ritenuto la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1475, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010 rilevante e non manifestamente infondata.

4.- Affermata la rilevanza in re ipsa della questione, il rimettente ha osservato quanto segue a sostegno della non manifesta infondatezza.

L’art. 1475, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010 vieta in radice ai militari di «costituire associazioni professionali a carattere sindacale», nonché di «aderire ad altre associazioni sindacali».

Il principio di diritto chiaramente affermato dalle due pronunce della Corte EDU richiamate dai ricorrenti è, invece, di segno opposto: la restrizione dell’esercizio del diritto di associazione sindacale dei militari non può spingersi sino alla negazione della titolarità stessa di tale diritto, pena la violazione degli artt. 11 e 14 della CEDU.

In relazione al suddetto parametro interposto il ricorrente ricorda la sentenza n. 348 del 2007, ove la Corte costituzionale ha affermato che «tra gli obblighi internazionali assunti dall’Italia con la sottoscrizione e la ratifica della CEDU vi è quello di adeguare la propria legislazione alle norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione». Il giudice a quo soggiunge che le norme della CEDU vivono nell’interpretazione che delle stesse viene data dalla Corte EDU; pertanto, la verifica di compatibilità costituzionale deve riguardare la norma come prodotto dell’interpretazione, non la disposizione in sé e per sé considerata.

Il rimettente osserva che la norma denunciata ha il fine di assicurare la coesione interna, la neutralità e la prontezza delle Forze armate, presupposti strumentali necessari ed imprescindibili per assicurare l’efficacia della relativa azione, posta a tutela di un valore dell’ordinamento di carattere supremo e per così dire primario, quale è la difesa militare dello Stato. Tuttavia – ad avviso dello stesso rimettente – tali finalità non possono determinare l’esclusione del diritto di associazione sindacale; né la predisposizione legislativa di un articolato sistema istituzionale di organismi di rappresentanza militare (artt. 1476-1482 del d.lgs. n. 66 del 2010) può comunque soddisfare le esigenze indicate dalla Corte EDU, giacché la libertà sindacale presuppone ontologicamente la facoltà di dare vita a forme autonome di rappresentanza anche al di fuori di eventuali strutture create ex lege.

5.- Il Consiglio di Stato dubita della legittimità costituzionale della norma in esame in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., anche in relazione all’art. 5, paragrafo unico, terzo periodo, della Carta sociale europea.

Ricorda che la Carta sociale prevede un organo denominato Comitato europeo dei diritti sociali, nominato dagli Stati contraenti, cui è rimessa, tra l’altro, la decisione dei reclami collettivi circa un’attuazione insoddisfacente della Carta che possono essere proposti da associazioni, nazionali od internazionali, di lavoratori e datori di lavoro. La decisione su tali reclami, tuttavia, non solo è priva di efficacia diretta negli ordinamenti degli Stati membri, ma, prima ancora, non è idonea a costituire obblighi di carattere internazionale a carico dello Stato interessato. La Carta sociale europea, inoltre, non assegna al Comitato europeo dei diritti sociali la competenza esclusiva ad interpretare la Carta stessa.

Il Consiglio di Stato, quindi, interpretando la disposizione, ritiene che l’art. 5, paragrafo unico, terzo periodo, della Carta, laddove rimette alla legislazione nazionale di determinare il «principio dell’applicazione» delle garanzie sindacali ai militari nonché la «misura» di tale applicazione, intende evocare un nucleo essenziale – sia pure ristretto, limitato e circoscritto – di libertà sindacali che non può non essere riconosciuto anche a favore dei militari.

Ne consegue, per il rimettente, che la norma denunciata, in quanto priva in radice i militari del diritto di «costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali», si pone in contrasto con tale disposizione.

Del resto, la stessa Carta, nel consentire in via di eccezione, all’art. G della Parte V, restrizioni ai diritti ed ai principi enunciati nella Parte I, fra cui quello afferente alle libertà sindacali, nelle ipotesi «stabilite dalla legge e che sono necessarie, in una società democratica, per garantire il rispetto dei diritti e delle libertà altrui o per proteggere l’ordine pubblico, la sicurezza nazionale, la salute pubblica o il buon costume», sembra negare la liceità di radicali esclusioni del diritto.

6.- E’ intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o non fondata.

6.1.- Preliminarmente, la difesa dell’interveniente ha rilevato che il Consiglio di Stato non ha trattato la questione pregiudiziale afferente all’integrità del contraddittorio, con conseguente inammissibilità della sollevata questione per vizio dell’ordinanza di rimessione.

6.2.- Nel merito, l’Avvocatura dello Stato richiama i principi affermati nella sentenza n. 449 del 1999, che ha ritenuto conforme a Costituzione l’art. 8, primo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382 (Norme di principio sulla disciplina militare), norma analoga a quella denunciata.

Osserva la stessa Avvocatura dello Stato che il singolo diritto, nella specie libertà di associazione e libertà sindacale, in quanto avente natura sostanzialmente individualistica, può incontrare determinati limiti, e determinate restrizioni possono giustificarsi in ragione di quanto stabilito nella Costituzione.

Nella specie, per l’interveniente, rilevano come limite i principi di cui all’art. 52 Cost., laddove la locuzione «sacro dovere» sta a significare che il fine della norma è quello di qualificare più fortemente, rispetto a tutti gli altri doveri, quello di difesa della Patria e delle istituzioni. Il dovere di difesa della Patria sarebbe specificazione del più generico dovere di fedeltà alla Repubblica e di obbedienza alla Costituzione e alle leggi e contemplerebbe il dovere militare, organizzato nelle Forze armate, presidio dell’indipendenza e libertà della Nazione (è richiamata la sentenza n. 16 del 1973).

Il legislatore ordinario – sempre secondo l’interveniente – ben può non consentire ai militari l’esercizio indiscriminato di determinati diritti, ancorché trovino riconoscimento e garanzia costituzionale, ove ciò pregiudichi la disciplina, che nell’ordinamento militare rappresenta un bene giuridico degno di tutela, atteso che su di essa si fonda l’efficienza delle Forze armate e quindi, in ultima ratio, il perseguimento di quei fini che la Costituzione solennemente tutela.

6.3.- E’ richiamata, quindi, la giurisprudenza costituzionale sul ruolo delle norme della CEDU, mettendo in evidenza come lo stesso art. 53 della CEDU stabilisce che dette norme non possono essere interpretate in modo da pregiudicare i livelli di tutela dei valori essenziali per la collettività riconosciuti dalle fonti nazionali.

Si assume che la restrizione imposta dalle norme denunciate persegua uno scopo legittimo, avuto riguardo ai compiti e alle finalità delle Forze armate, che si fondano su coesione interna e sull’ordinamento gerarchico, che rischierebbero, diversamente, di essere compromessi da contrapposizioni interne.

Si afferma anche che sarebbe garantita la proporzionalità della suddetta restrizione in ragione degli organismi della rappresentanza militare, che salvaguardano gli interessi collettivi delle Forze armate.

6.4.- L’Avvocatura dello Stato osserva, quindi, che l’ordinanza del Consiglio di Stato riconosce la finalità della norma censurata di coesione interna, neutralità e prontezza delle Forze armate, ma ha omesso di considerare il più ampio quadro normativo e non ha attribuito adeguato rilievo alla rappresentanza militare e al procedimento di concertazione di cui all’art. 2 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195 (Attuazione dell’art. 2 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di procedure per disciplinare i contenuti del rapporto di impiego del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate).

Inoltre, la difesa dell’interveniente rileva che il Consiglio di Stato non ha tenuto conto che le sentenze della Corte EDU hanno ad oggetto situazioni diverse da quella nazionale e non escludono misure alternative all’adesione ad associazioni sindacali.

Né è ravvisabile, peraltro, disparità di trattamento.

7.- A sostegno della declaratoria di illegittimità costituzionale, si sono costituiti, in data 20 settembre 2017, l’Associazione solidarietà diritto e progresso (AS.SO.DI.PRO.) ed F. S., parti del giudizio a quo.

Gli stessi invocano, come ulteriore parametro, l’art. 6 della Carta sociale europea, relativo al diritto alla contrattazione collettiva, e richiamano altre fonti internazionali e sopranazionali che hanno affermato il diritto alla liberta di associazione sindacale.

8.- A sostegno della declaratoria di illegittimità costituzionale, sono intervenuti, in data 10 agosto 2017, con distinti atti, P. D.N. e altri; la SILP CGIL – Sindacato Italiano Lavoratori Polizia CGIL, la FICIESSE – Associazione Finanzieri, Cittadini e Solidarietà, la F.P. CGIL – Federazione Lavoratori della Funzione Pubblica CGIL, CGIL – Confederazione generale italiana del lavoro; in data 25 settembre 2017, S. D. e altri; in data 26 settembre 2017, P. C. e altri.

Dopo aver ripercorso la disciplina e la missione della Guardia di finanza, gli interventori assumono l’illegittimità costituzionale della norma denunciata, anche in relazione all’art. 6 della Carta sociale europea.

9.- Sempre a sostegno della declaratoria di illegittimità costituzionale, sono intervenuti, in data 26 settembre 2017, A. B. e altri.

Gli stessi espongono di essere membri del Corpo forestale dello Stato, per i quali a seguito della soppressione del Corpo medesimo, si è disposto il passaggio nell’Arma dei carabinieri e la conseguente applicazione della relativa disciplina ivi compresa la disposizione di cui all’art. 1475 del d.lgs. n. 66 del 2010.

Assumono, quanto alla legittimazione ad intervenire, che l’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale avrebbe sulla loro posizione lo stesso effetto che essa produrrebbe sul rapporto oggetto del giudizio a quo.

Nel merito insistono per la pronuncia di accoglimento della questione, anche in riferimento all’art. 14 della CEDU.

10.- Con ordinanza del 3 novembre 2017 (reg. ord. n. 198 del 2017), anche il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, adito in sede di impugnazione del provvedimento di irrogazione di una sanzione disciplinare, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1475, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010, in relazione agli stessi parametri già invocati dal Consiglio di Stato con l’ordinanza di cui al reg. ord. n. 111 del 2017.

11.- Quanto alla rilevanza, il TAR osserva che il giudizio non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale, essendo stata, nel caso di specie, irrogata una sanzione disciplinare di stato, in ragione della violazione del divieto di cui all’art. 1475, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010.

A sostegno della non manifesta infondatezza il TAR deduce argomentazioni del tutto analoghe a quelle prospettate dal Consiglio di Stato.

12.- E’ intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, prospettando difese analoghe a quelle esposte in relazione alla questione sollevata dal Consiglio di Stato.

13.- Il Presidente del Consiglio dei ministri in data 20 marzo 2018 ha depositato, nel giudizio di cui al reg. ord. n. 111 del 2017, una memoria, nonché una nota per la discussione, con le quali, nel ripercorrere la giurisprudenza europea e la disciplina nazionale, deduce l’inammissibilità degli altri interventi e insiste per l’inammissibilità e l’infondatezza della questione, ricordando che la Guardia di finanza è Forza di polizia ad ordinamento militare, facente parte delle Forze armate.

Nella medesima data, lo stesso Presidente del Consiglio ha depositato memoria nel giudizio di cui al reg. ord. n. 198 del 2017, con la quale assume la mancanza di rilevanza della questione sollevata dal TAR Veneto, atteso che l’addebito disciplinare contestato all’appartenente all’Arma dei carabinieri andava ricondotto all’art. 1470, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010.

14.- Sempre in data 20 marzo 2018, l’AS.SO.DI.PRO. e F. S., ricorrenti nel giudizio a quo di cui all’ordinanza n. 111 reg. ord. del 2017, hanno depositato memoria con la quale insistono nell’accoglimento della questione e richiamano la decisione del 12 settembre 2017 del Comitato europeo dei diritti sociali, Organisation europeenne des associations militaires («EUROMIL») contro Irlanda (reclamo n. 112/2014), relativa agli artt. 5 e 6 della Carta sociale.

Prospettano che gli organi della rappresentanza militare, che si presentano caratterizzati da una struttura gerarchica, non costituiscono espressione del diritto di associazione, e che tali organi sono stati prorogati nel tempo arbitrariamente.

15.- Anche gli altri interventori hanno depositato memorie con le quali hanno prospettato la sussistenza dell’interesse all’intervento pur non essendo parti nel giudizio a quo, in quanto appartenenti all’Arma dei carabinieri o alla Guardia di finanza, in parte già membri del Corpo delle Guardie forestali, o quali associazioni sindacali. A sostegno della fondatezza della questione hanno richiamato, altresì, la giurisprudenza della Corte EDU e le decisioni del Comitato europeo dei diritti sociali.

Considerato in diritto

1.- Con ordinanza del 4 maggio 2017 (reg. ord. n. 111 del 2017), il Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1475, comma 2, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), per contrasto con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione sia agli artt. 11 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e alle sentenze emesse in data 2 ottobre 2014 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, quinta sezione, Matelly contro Francia e Association de Defense des Droits des Militaires (ADefDroMil) contro Francia; sia all’art. 5, paragrafo unico, terzo periodo, della Carta sociale europea, riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30.

2.- Analoga questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto con ordinanza del 3 novembre 2017 (reg. ord. n. 198 del 2017).

3.- I giudizi vanno riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia, data l’identità delle questioni.

4.- Con ordinanza dibattimentale del 10 aprile 2018, che si allega, sono stati dichiarati inammissibili gli interventi spiegati nel giudizio promosso dal Consiglio di Stato da F. P. CGIL – Federazione Lavoratori della Funzione Pubblica CGIL, CGIL – Confederazione Generale Italiana del Lavoro, SILP CGIL – Sindacato Italiano Lavoratori Polizia CGIL, FICIESSE – Associazione Finanzieri Cittadini e Solidarietà, P. D.N. e altri, S. D. e altri, A. B. e altri, P. C. e altri, in quanto soggetti estranei al giudizio principale e privi di un interesse qualificato, inerente in modo diretto ed immediato al rapporto sostanziale dedotto in giudizio.

5.- La questione di legittimità costituzionale prospettata dall’Associazione solidarietà diritto e progresso (AS.SO.DI.PRO.) e da F. S., con riguardo all’art. 6 della Carta sociale europea, è inammissibile in quanto amplia il thema decidendum delimitato dall’ordinanza di rimessione (ex multis, sentenze n. 276 e n. 203 del 2016, n. 56 del 2015 e n. 271 del 2011).

6.- L’eccezione d’inammissibilità della questione, prospettata dall’Avvocatura generale dello Stato in relazione alla asserita mancanza di integrità del contraddittorio nel giudizio principale pendente davanti al Consiglio di Stato, non può trovare accoglimento attesa l’autonomia del procedimento incidentale dinanzi alla Corte costituzionale.

Non è implausibile la valutazione della rilevanza della questione effettuata dal TAR Veneto (ordinanza di rimessione n. 198 del 2017). Va perciò respinta l’eccezione di inammissibilità prospettata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, secondo cui nel giudizio principale l’addebito disciplinare andava ricondotto all’art. 1470, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010.

7.- Entrambi i rimettenti ricordano che la sentenza n. 449 del 1999 di questa Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’analogo art. 8, primo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382 (Norme di principio sulla disciplina militare), sollevata in riferimento agli artt. 3, 39 e 52, terzo comma, Cost., ma ritengono che i parametri interposti ora invocati evidenzino nuovi profili di illegittimità, in quanto le fonti internazionali che concorrono a integrare l’art. 117, primo comma, Cost. riconoscono il diritto di associazione sindacale anche ai militari ed escludono per ciò stesso la possibilità per gli ordinamenti nazionali di negarlo o di prevedere restrizioni al suo esercizio tali da comportarne la sostanziale soppressione; né ritengono che possano costituire adeguate misure compensative organismi come quelli della rappresentanza militare previsti attualmente dall’ordinamento italiano.

8.- Il primo parametro interposto è costituito dall’art. 11 della CEDU, la cui rubrica reca «Libertà di riunione e di associazione». Esso riconosce al paragrafo 1 il diritto di associazione sindacale, diritto il cui esercizio, ai sensi del paragrafo 2, non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscano in una società democratica misure necessarie alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale e alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. Lo stesso art. 11 precisa, inoltre, che la norma non osta a che «restrizioni legittime» siano imposte all’esercizio di tali diritti da parte dei membri delle Forze armate, della polizia o dell’amministrazione dello Stato (paragrafo 2, secondo periodo).

L’art. 14 della CEDU, a sua volta, sancisce che il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione.

8.1.- Come si ricorda nelle ordinanze di rimessione, l’art. 11 è stato oggetto delle recenti sentenze della Corte di Strasburgo (Corte europea dei diritti dell’uomo), casi Metelly e ADefDroMil, in cui veniva in rilievo la costituzione di un’associazione professionale a carattere sindacale fra militari, associazione dichiarata incompatibile dalle autorità francesi con l’allora vigente articolo L.4121-4 del code de la Defense.

La Corte EDU in tali decisioni illustra i principi generali della propria giurisprudenza in materia, ricordando che l’art. 11, paragrafo 1, delinea la libertà di associazione sindacale come una forma o un aspetto speciale della libertà di associazione (paragrafo 55 della sentenza Matelly, paragrafo 41 della sentenza ADefDroMil);

prosegue, quindi, ricordando che il successivo paragrafo 2 dello stesso articolo non esclude alcuna categoria professionale dal proprio ambito di applicazione e che, rispetto ai membri delle Forze armate, della polizia o dell’amministrazione dello Stato, gli Stati possono, al più, introdurre «restrizioni legittime», ma senza mettere in discussione il diritto alla libertà di associazione dei loro membri, né possono imporre restrizioni che riguardano gli elementi essenziali della libertà di associazione («l’essence même du droit»), senza i quali verrebbe meno il contenuto di tale libertà, quale è il diritto di costituire un sindacato e di aderirvi, dato che «le droit de former un syndicat et de s’y affilier fait partie de ces elements essentiels».

Le sentenze sono espressione di un approdo giurisprudenziale stabile, che riafferma i principi già enunciati nella sentenza della grande camera 12 novembre 2008, Demir e Baykara contro Turchia (in relazione ad un sindacato costituito da funzionari municipali), e poi richiamati nella successiva pronunzia Junta Rectora Del Ertzainen Nazional Elkartasuna (ER.N.E.) contro Spagna, resa il 21 aprile 2015 dalla terza sezione della Corte EDU (con riguardo ad un sindacato costituito da funzionari di polizia).

E’ significativo che in adempimento delle sentenze Matelly ed ADefDroMil il legislatore francese, con la legge n. 2015-917 del 28 luglio 2015, abbia modificato la previsione incompatibile con la CEDU, riconoscendo il diritto di associazione professionale secondo quanto stabilito con una specifica disciplina.

9.- La norma convenzionale, nel significato attribuitole dalla Corte EDU, cui – come è noto – l’art. 32 della Convenzione riserva il potere interpretativo, porta ad escludere che la facoltà riconosciuta agli Stati contraenti, di introdurre restrizioni all’esercizio dei diritti sindacali dei militari, possa spingersi fino a negare in radice il diritto di costituire associazioni a carattere sindacale.

Pertanto, il divieto di costituire tali associazioni, contenuto nella disposizione censurata, è incompatibile con l’art. 11 della CEDU.

10.- Nell’ordinanza di rimessione si deduce anche la violazione della Carta sociale europea, oggetto di revisione nel 1996, che riunisce in un solo trattato i diritti riconosciuti dalla versione originaria del 1961 e quelli che sono stati aggiunti attraverso il Protocollo addizionale del 5 maggio 1988, entrato in vigore il 4 settembre 1992.

10.1.- Ai fini dell’ammissibilità dell’evocazione di tale parametro interposto, va rilevato che esso presenta spiccati elementi di specialità rispetto ai normali accordi internazionali, elementi che la collegano alla CEDU. Se quest’ultima, infatti, ha inteso costituire un «sistema di tutela uniforme» dei diritti fondamentali civili e politici (sentenza n. 349 del 2007), la Carta ne costituisce il naturale completamento sul piano sociale poiché, come si legge nel preambolo, gli Stati membri del Consiglio d’Europa hanno voluto estendere la tutela anche ai diritti sociali, ricordando il carattere indivisibile di tutti i diritti dell’uomo.

Per queste sue caratteristiche la Carta, dunque, deve qualificarsi fonte internazionale, ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost. Essa è priva di effetto diretto e la sua applicazione non può avvenire immediatamente ad opera del giudice comune ma richiede l’intervento di questa Corte, cui va prospettata la questione di legittimità costituzionale, per violazione del citato primo comma dell’art. 117 Cost., della norma nazionale ritenuta in contrasto con la Carta. Ciò tanto più in considerazione del fatto che la sua struttura si caratterizza prevalentemente come affermazione di principi ad attuazione progressiva, imponendo in tal modo una particolare attenzione nella verifica dei tempi e dei modi della loro attuazione.

10.2.- Peraltro l’art. 5 della Carta sociale ha un contenuto puntuale. La sua rubrica reca «Diritti sindacali», e prevede che:

«Per garantire o promuovere la libertà dei lavoratori e dei datori di lavoro di costituire organizzazioni locali, nazionali o internazionali per la protezione dei loro interessi economici e sociali ed aderire a queste organizzazioni, le Parti s’impegnano affinché la legislazione nazionale non pregiudichi questa libertà né sia applicata in modo da pregiudicarla. La misura in cui le garanzie previste nel presente articolo si applicheranno alla polizia sarà determinata dalla legislazione o dalla regolamentazione nazionale. Il principio dell’applicazione di queste garanzie ai membri delle forze armate e la misura in cui sarebbero applicate a questa categoria di persone è parimenti determinata dalla legislazione o dalla regolamentazione nazionale».

La norma ha, dunque, un contenuto simile a quello corrispondente della CEDU e, conseguentemente, si deve egualmente concludere che sia incompatibile con essa l’esclusione nei confronti dei militari del diritto di associazione sindacale da parte degli Stati sottoscrittori.

11.- Alla stregua di entrambi i parametri, vincolanti ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost., va riconosciuto ai militari il diritto di costituire associazioni professionali a carattere sindacale.

12.- La portata e l’ambito di tale diritto vanno, tuttavia, precisati alla luce dell’intero contenuto delle norme internazionali evocate.

Come si è anticipato, esse fanno entrambe seguire all’affermazione di principio della libertà sindacale il riconoscimento della possibilità che siano adottate dalla legge restrizioni nei confronti di determinate categorie di pubblici dipendenti. Va dunque verificato se e in quale misura tale facoltà possa o debba essere esercitata, e ciò anche alla stregua dei principi costituzionali che presiedono all’ordinamento militare.

13.- E’ in relazione a questo duplice profilo che viene anzitutto in rilievo la parte dell’art. 1475, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010 – complessivamente censurato – che vieta ai militari di «aderire ad altre associazioni sindacali».

13.1.- Quanto alla CEDU, la questione non è stata oggetto di esplicita pronuncia della Corte di Strasburgo, che riguarda il caso specifico della libertà di costituire associazioni tra militari, e di aderirvi. D’altro canto, il divieto non appare incompatibile con il testo della disposizione di riferimento, come interpretato in via generale dalla giurisprudenza, non comportando il venir meno di un elemento essenziale della libertà di associazione.

13.2.- Ciò, del resto, è coerente con i nostri principi costituzionali, principi oggetto di approfondite ricostruzioni ed analisi da parte della giurisprudenza di questa Corte.

Già con la sentenza n. 126 del 1985 si è affermato che la legge n. 382 del 1978, prevedendo che spettano ai militari i diritti dei cittadini e stabilendo che, ex lege, possono essere imposte ai militari limitazioni nell’esercizio di tali diritti e l’osservanza di particolari doveri al (solo) fine di garantire l’assolvimento dei compiti propri delle Forze armate, «rispecchia l’esigenza, la quale promana dalla Costituzione, che la democraticità dell’ordinamento delle Forze armate sia attuata nella massima misura compatibile col perseguimento da parte di queste dei propri fini istituzionali».

Con la pronuncia n. 278 del 1987, questa Corte ha poi chiarito che la Costituzione repubblicana ha superato radicalmente la logica istituzionalistica dell’ordinamento militare e ha ricondotto anche quest’ultimo nell’ambito del generale ordinamento statale, particolarmente rispettoso e garante dei diritti sostanziali e processuali di tutti i cittadini, militari oppure no.

Di particolare rilevanza, infine, i principi richiamati nella sentenza n. 449 del 1999. Questa Corte era chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 8, primo comma, della legge n. 382 del 1978, in relazione all’art. 39, letto in sistema con l’art. 52, terzo comma, Cost. La disposizione, abrogata a seguito dell’adozione del d.lgs. n. 66 del 2010, era sostanzialmente identica a quella attuale, prevedendo che «I militari non possono esercitare il diritto di sciopero, costituire associazioni professionali a carattere sindacale, aderire ad altre associazioni sindacali», e questa Corte, nel dichiarare non fondata la questione, ha affermato la sussistenza di peculiari esigenze di «coesione interna e neutralità», che distinguono le Forze armate dalle altre strutture statali; ha rilevato in particolare che l’art. 52, terzo comma, Cost. «parla di “ordinamento delle Forze armate”, non per indicare una sua (inammissibile) estraneità all’ordinamento generale dello Stato, ma per riassumere in tale formula l’assoluta specialità della funzione».

13.3.- Le specificità dell’ordinamento militare giustificano, pertanto, la esclusione di forme associative ritenute non rispondenti alle conseguenti esigenze di compattezza ed unità degli organismi che tale ordinamento compongono.

13.4.- Analogamente, l’inammissibilità di tale limite non può desumersi dalla disposizione della Carta sociale europea, la cui formulazione – come si è visto – non si discosta da quella convenzionale.

Né in senso contrario può essere addotta la decisione assunta dal Comitato europeo dei diritti sociali il 27 gennaio 2016 e pubblicata il 4 luglio 2016, Conseil Europeen des Syndicats de Police (CESP) contro Francia (reclamo n. 101/2013).

A differenza della CEDU, la Carta sociale europea non contiene una disposizione di effetto equivalente all’art. 32, paragrafo 1, secondo cui «La competenza della Corte si estende a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli che siano sottoposte a essa […]».

A sua volta, il Protocollo addizionale alla Carta sociale europea, che istituisce e disciplina il sistema dei reclami collettivi, non contiene una disposizione di contenuto analogo all’art. 46 della CEDU, ove si afferma che «Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti», disposizione che fonda l’autorità di res iudicata delle sentenze rese dalla Corte EDU relativamente allo/agli Stato/Stati in causa ed alla controversia decisa dalla Corte stessa.

Pertanto, rispetto alle decisioni del Comitato europeo dei diritti sociali, non può trovare applicazione quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 348 del 2007: «Poiché […] le norme della CEDU vivono nell’interpretazione che delle stesse viene data dalla Corte europea, la verifica di compatibilità costituzionale deve riguardare la norma come prodotto dell’interpretazione, non la disposizione in sé e per sé considerata».

Nel contesto dei rapporti così delineati fra la Carta sociale europea e gli Stati sottoscrittori, le pronunce del Comitato, pur nella loro autorevolezza, non vincolano i giudici nazionali nella interpretazione della Carta, tanto più se – come nel caso in questione – l’interpretazione estensiva proposta non trova conferma nei nostri principi costituzionali.

14.- Non è pertanto fondata la questione di legittimità costituzionale nella parte che investe il divieto di «aderire ad altre associazioni sindacali», divieto dal quale consegue la necessità che le associazioni in questione siano composte solo da militari e che esse non possano aderire ad associazioni diverse.

15.- La corretta attuazione della disciplina costituzionale della materia impone a questa Corte un’ulteriore verifica; difatti i valori che essa sottende sono di tale rilevanza da rendere incompatibile con la disciplina stessa un riconoscimento non specificamente regolamentato del diritto di associazione sindacale. La previsione di condizioni e limiti all’esercizio di tale diritto, se è infatti facoltativa per i parametri internazionali, è invece doverosa nella prospettiva nazionale, al punto da escludere la possibilità di un vuoto normativo, vuoto che sarebbe di impedimento allo stesso riconoscimento del diritto di associazione sindacale.

Occorre dunque accertare se tale evenienza nella specie si verifica, ovvero se sono rinvenibili nell’ordinamento disposizioni che, in attesa dell’intervento del legislatore, siano idonee a tutelare questi valori.

16.- Quanto alla costituzione delle associazioni sindacali, trova allo stato applicazione la non censurata disposizione dell’art. 1475, comma 1, del d.lgs. n. 66 del 2010, secondo cui «La costituzione di associazioni o circoli fra militari è subordinata al preventivo assenso del Ministro della difesa». Si tratta di una condizione di carattere generale valida a fortiori per quelle a carattere sindacale, sia perché species del genere considerato dalla norma, sia per la loro particolare rilevanza.

In ogni caso gli statuti delle associazioni vanno sottoposti agli organi competenti, e il loro vaglio va condotto alla stregua di criteri che senza dubbio è opportuno puntualizzare in sede legislativa, ma che sono già desumibili dall’assetto costituzionale della materia.

A tal fine fondamentale è il principio di democraticità dell’ordinamento delle Forze armate, evocato in via generale dell’art. 52 Cost., che non può non coinvolgere anche le associazioni fra militari.

Sotto altro profilo tale principio viene in evidenza nella prospettiva del personale interessato, quale titolare della libertà di associazione sindacale sancita dal primo comma dell’art. 39 Cost.:

l’esercizio di tale libertà è infatti possibile solo in un contesto democratico.

Altresì rilevante è il principio di neutralità previsto dagli artt. 97 e 98 Cost. per tutto l’apparato pubblico, e valore vitale per i Corpi deputati alla “difesa della Patria”; anch’esso ha come necessario presupposto il rigoroso rispetto della democrazia interna all’associazione.

16.1.- La verifica dell’esistenza di questi requisiti comporta in particolare l’esame dell’apparato organizzativo, delle sue modalità di costituzione e di funzionamento; ed è inutile sottolineare che tra tali modalità spiccano per la loro rilevanza il sistema di finanziamento e la sua assoluta trasparenza.

17.- Quanto ai limiti dell’azione sindacale, va anzitutto ricordato il divieto di esercizio del diritto di sciopero. Si tratta indubbiamente di una incisione profonda su di un diritto fondamentale, affermato con immediata attuazione dall’art. 40 Cost. e sempre riconosciuto e tutelato da questa Corte, ma giustificata dalla necessità di garantire l’esercizio di altre libertà non meno fondamentali e la tutela di interessi costituzionalmente rilevanti (sentenza n. 31 del 1969).

18.- Con riguardo agli ulteriori limiti, invece, è indispensabile una specifica disciplina legislativa. Tuttavia, per non rinviare il riconoscimento del diritto di associazione, nonché l’adeguamento agli obblighi convenzionali, questa Corte ritiene che, in attesa dell’intervento del legislatore, il vuoto normativo possa essere colmato con la disciplina dettata per i diversi organismi della rappresentanza militare e in particolare con quelle disposizioni (art. 1478, comma 7, del d.lgs. n. 66 del 2010) che escludono dalla loro competenza «le materie concernenti l’ordinamento, l’addestramento, le operazioni, il settore logistico-operativo, il rapporto gerarchico-funzionale e l’impiego del personale». Tali disposizioni infatti costituiscono, allo stato, adeguata garanzia dei valori e degli interessi prima richiamati.

19.- Conclusivamente, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1475, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010, in quanto prevede che «I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali» invece di prevedere che «I militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; non possono aderire ad altre associazioni sindacali».

20.- Restano assorbiti i profili di censura relativi all’art. 14 della CEDU.

P.Q.M.

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1475, comma 2, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), in quanto prevede che «I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali» invece di prevedere che «I militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; non possono aderire ad altre associazioni sindacali».