Corte Costituzionale Sentenza n. 186 del 12 luglio 2013
Giudizio
Presidente GALLO – Redattore NAPOLITANO
Udienza Pubblica del 27/03/2013 Decisione del 03/07/2013
Deposito del 12/07/2013 Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Art. 1, c. 51°, della legge 13/12/2010, n. 220, come modificato dall’art. 17, c. 4°, lett. e), del decreto legge
06/07/2011, n. 98, convertito con modificazioni in legge 15/07/2011, n. 111.
Massime:
Atti decisi: ordd. 16, 17, 18, 50, 58, 137 e 189/2012
SENTENZA N. 186
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Franco GALLO; Giudici : Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI,
Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro
CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio
MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 51, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2011), come modificato dall’articolo 17, comma 4, lettera e), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, promossi dal Tribunale amministrativo regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, con due ordinanze del 7 settembre 2011 e con una ordinanza dell’11 ottobre 2011, dal Tribunale amministrativo regionale della Campania, sede di Napoli, con ordinanza del 14 dicembre 2011, dal Tribunale ordinario di Napoli con ordinanza del 21 novembre 2011, dal Tribunale ordinario di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, con due ordinanze del 12 dicembre 2011 e del 24 maggio 2012, ciascuna rispettivamente iscritta ai nn. 16, 17, 18, 50, 58, 137 e 189 del registro ordinanze 2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, n. 14, n. 16, n. 28 e n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visti gli atti di costituzione di A. M. ed altri, della Azienda Sanitaria Locale Salerno di Salerno (già Asl 111 – Salerno 1), di B. R., del Centro Antidiabete Emotest S.r.l. ed altra, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 27 marzo 2013 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;
uditi l’avvocato Alfonso Celotto per A. M. ed altri, Maria D’Elia per l’Azienda Sanitaria Locale Salerno di Salerno (già Asl 111 – Salerno 1), Roberto Buonanno per R. B. e per il Centro Antidiabete Emotest S.r.l. ed altra e l’avvocato dello Stato Francesco Sclafani per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. Con quattro ordinanze di contenuto sostanzialmente identico, delle quali due depositate in data 7 settembre 2011, una in data 11 ottobre 2011 e l’ultima in data 14 dicembre 2011 (recanti rispettivamente i nn. 16, 17, 18 e 50 del registro ordinanze 2012), il Tribunale amministrativo regionale della Campania, sede staccata di Salerno e, quanto all’ultima ordinanza, sede di Napoli, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, comma primo, 24, commi primo e secondo, 41 e 111, comma secondo, della Costituzione, dell’art. 1, comma 51, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2011), nella parte in cui, nella sua originaria formulazione, prevede che, nelle Regioni già commissariate in quanto sottoposte a piano di rientro dei disavanzi sanitari, sottoscritto ai sensi della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2005), non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali o ospedaliere sino al 31 dicembre 2011.
Il rimettente riferisce di essere chiamato a giudicare in ordine a quattro distinti giudizi di ottemperanza fondati su numerosi decreti ingiuntivi, emessi nei confronti di aziende sanitarie, ospedaliere e locali, aventi sede nella Regione Campania, divenuti esecutivi per mancata opposizione.
Il rimettente, pur riscontrata la astratta azionabilità in sede di ottemperanza amministrativa dei titoli costituiti dai ricordati provvedimenti monitori, rileva che, in concreto, osta alla procedibilità della azione per l’esecuzione del giudicato il dettato dell’art. 1, comma 51, della legge n. 220 del 2010.
1.1. Infatti, dato atto che la Regione Campania, con deliberazione del 20 marzo 2007, ha approvato, onde riequilibrare la condizione di dissesto finanziario in cui si trovavano gli enti del Servizio sanitario regionale, un piano di rientro, oggetto di accordo con lo Stato, e che il Governo nazionale, con deliberazione del 24 luglio 2009, ha nominato il Presidente della Giunta regionale campana commissario ad acta per l’attuazione del detto piano, il rimettente rileva che, date le descritte premesse, dovendosi applicare il citato art. 1, comma 51, della legge n. 220 del 2010, le azioni esecutive introdotte dovrebbero essere dichiarate improcedibili.
Tale conclusione, però, appare al rimettente tale da far ipotizzare, in maniera non manifestamente infondata, la violazione degli artt. 3, comma primo, 24, commi primo e secondo, 41 e 111, comma secondo, Cost.
Al fine di dimostrare tale assunto, il TAR rimettente rammenta che, già con la legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2010), il legislatore nazionale aveva escluso la possibilità di intraprendere o proseguire le azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere situate nelle Regioni che avevano sottoscritto piani di rientro del disavanzo sanitario. Oltre a tale blocco, previsto per la durata di un anno dalla entrata in vigore della legge, era, altresì, previsto che i pignoramenti eventualmente già eseguiti non avessero efficacia nei confronti dei debitori né dei loro tesorieri, potendo costoro disporredei beni eventualmente vincolati.
Prosegue il rimettente osservando che, a brevissima distanza dalla sua entrata in vigore, la predetta disposizione fu modificata in occasione della conversione in legge del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), intervenuta con la legge 26 febbraio 2010, n. 25 nel senso che, fermo il resto, la impossibilità di procedere ad azioni esecutive era stata ridotta da 12 a soli 2 mesi.
Pertanto, a decorrere dal 1° marzo 2010 era stato ripristinato il diritto dei creditori di agire in executivis per la soddisfazione dei loro diritti; tuttavia, la situazione di grave disagio finanziario regionale ha presto indotto il legislatore statale ad intervenire nuovamente: infatti, con l’art. 11, comma el decreto-legge 25 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, è stata reintrodotta, al fine di agevolare il raggiungimento dei risultati indicati nel piano di rientro, la inibitoria delle azioni esecutive nei confronti delle aziende del comparto sanitario sino al 31 dicembre 2010.
La nuova disposizione peraltro differiva sostanzialmente rispetto alle precedenti in quanto, diversamente da queste, non prevedeva lo svincolo dei beni già sottoposti a pignoramento.
In un momento ancora successivo, continua il rimettente, il legislatore è intervenuto con la disposizione ora censurata che non solo reitera il blocco delle azioni esecutive sino al 31 dicembre 2011 data questa, osserva lo stesso rimettente, ulteriormente differita al 31 dicembre 2012 per effetto del sopravvenuto art. 17, comma 4, lettera e), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 ma reintroduce anche lo svincolo delle somme già staggite.
1.2. Passando ad esaminare i profili di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale proposta, il rimettente rileva che la disposizione censurata introducendo una disciplina che nega al creditore la soddisfazione concreta ed effettiva dei propri diritti si pone in contrasto con gli artt. 24, commi primo e secondo, e 111, comma secondo, Cost.
Precisa il rimettente che, per effetto del citato art. 1, comma 51, della legge n. 220 del 2010, è stata resa «inutile la possibilità riconosciuta ai creditori di agire in giudizio al fine di ottenere il soddisfacimento delle obbligazioni dagli stessi vantate nei confronti delle aziende sanitarie e ospedaliere delle Regioni soggette a commissariamento». Ciò tanto più ove si consideri che la predetta disposizione, rendendo inefficaci i pignoramenti già eseguiti, consente ai debitori, in aperto contrasto con l’art. 24 Cost., di rientrare nella piena disponibilità dei beni sino a quel momento vincolati alla soddisfazione dei creditori esecutanti.
1.2.1. La medesima disposizione sarebbe, d’altro canto, in contrasto con l’art. 111 Cost. poiché altererebbe le condizioni di parità fra i litiganti, ponendo la parte pubblica in una posizione di ingiustificato privilegio, incidendo, altresì, sulla ragionevole durata del processo.
Né varrebbe a smentire l’assunto il fatto che si tratta di disposizione avente una limitata efficacia nel tempo; infatti, per un verso, il legislatore ha provveduto già a reiterare la disposizione prolungandone nel tempo gli effetti e, per altro verso, anche la «mera sospensione del diritto di azione a tutela del proprio credito» può avere effetti pregiudizievoli sulla situazione giuridica e patrimoniale del creditore.
Egualmente irrilevante sarebbe la circostanza che l’eventuale pronunzia che dichiari inammissibile l’azione esecutiva non ne pregiudicherebbe la riproposizione una volta venuta meno la disciplina inibitoria, posto che lo scrutinio sulla ragionevole durata del processo va svolto in funzione del tempo necessario per il soddisfacimento della pretesa sostanziale, essendo necessario «considerare la durata complessiva della vicenda giudiziaria».
In tal senso il rimettente richiama anche i principi formatisi un seno alla Unione europea e consacrati sia nel Trattato di Lisbona che nella cosiddetta Carta di Nizza.
1.2.2. Con riferimento alla violazione dell’art. 3 Cost. il rimettente rileva che l’improcedibilità delle azioni esecutive è stabilita dalla disposizione censurata in considerazione della adozione di atti amministrativi «aventi natura previsionale e programmatica» e, pertanto, a contenuto generico.
La posizione di chi operi nella Regione Campania è, di conseguenza, del tutto sperequata rispetto a quella di chi, invece, operi in Regioni ove il divieto di esperimento delle azioni esecutive non è previsto; né, osserva il rimettente, siffatto divieto è caratterizzato da «ragionevolezza ed adeguatezza» rispetto allo scopo dichiarato di riequilibrare la situazione finanziaria degli enti debitori: infatti i debiti in questione rimangono, comunque, in carico all’ente, costituendo la massa passiva del suo bilancio.
Nel bilanciamento degli interessi, quello del privato di ricevere quanto a lui dovuto e quello pubblico teso al ristabilimento finanziario della azienda sanitaria, il primo viene sacrificato senza «una reale contropartita, in favore del secondo».
1.2.3. Infine il rimettente, quanto al dedotto contrasto con l’art. 41 Cost., osserva che il soggetto imprenditore che intrattenga rapporti economici con le amministrazioni del comparto sanità, non potendo fare affidamento sulla puntualità del suo debitore nell’adempimento delle sue obbligazioni, non può programmare la sua attività d’impresa ed è costretto, onde far fronte alle proprie scadenze, a ricorrere ad onerosi finanziamenti bancari.
A tal riguardo il rimettente richiama ampiamente la disciplina, di ispirazione comunitaria, volta a contrastare i ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali.
1.3. Con riferimento alla rilevanza della questione il TAR della Campania rileva che, sulla sola base della censurata disciplina, i giudizi a quibus dovrebbero essere tutti dichiarati inammissibili.
2. In ciascuno dei giudizi è intervenuto, con comparsa di identico contenuto, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza della questione.
La difesa pubblica, ricostruite le ragioni che hanno indotto il legislatore ad introdurre misure volte a garantire l’effettiva responsabilità regionale in materia di spesa sanitaria, fra le quali vi è l’esistenza di un piano di rientro dai disavanzi, e illustrata brevemente la disciplina ed il contenuto di quest’ultimo, volto, fra l’altro, a conseguire una attendibile certezza della situazione relativa all’esposizione debitoria regionale in ambito sanitario, precisa che la disposizione della cui legittimità costituzionale si dubita ha l’obbiettivo di «garantire una temporanea quiete del contenzioso», sì da permettere la ricostruzione delle posizioni debitorie da ristorare integralmente per poter, quindi, raggiungere il fine strutturale di razionalizzare la spesa e regolarizzare i pagamenti.
2.1. Con riferimento alle singole censure, la difesa erariale esclude la violazione dell’art. 3 Cost. contestando che la disposizione censurata abbia la natura di legge provvedimento, essendo, invece, caratterizzata, «per quanto in misura ridotta», dai requisiti della generalità ed astrattezza. Peraltro, aggiunge l’Avvocatura dello Stato, non sussistendo alcun divieto di emanare leggi aventi un contenuto provvedimentale, lo scrutinio sulla loro ragionevolezza va svolto in termini concreti e non in astratto.
Nella specie, tale scrutinio conduce ad un risultato positivo in quanto la norma si è resa necessaria per consentire, a fronte dell’eccezionale gravità del dissesto finanziario regionale, il risanamento del disavanzo attraverso l’adozione di specifici piani di rientro.
La procedura, finalizzata alla soddisfazione di tutti i creditori, è incompatibile con l’esperimento di azioni esecutive individuali, in quanto sarebbe impossibile garantire la par condicio creditorum se si consentisse a ciascun creditore di agire per soddisfare il proprio credito.
La disposizione impugnata, eccezionale e temporanea, persegue, perciò, il duplice fine di consentire il risanamento dell’ente garantendone i compiti istituzionali e di assicurare il pagamento dei debiti nel rispetto della par condicio fra i creditori.
Segnala l’interveniente difesa l’analogia con la disciplina fallimentare, chiarendo come lo scopo della norma sia di «deviare» la soddisfazione del credito vantato nei confronti delle aziende sanitarie dalla procedura esecutiva individuale alla speciale procedura di risanamento. In tale modo, lungi dal violare il principio di eguaglianza, lo verrebbe ad attuare, come già affermato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.
Neppure sarebbero violati gli artt. 24, commi primo e secondo, e 111, comma secondo, Cost. poiché, per un verso, l’art. 1, comma 51, della legge n. 220 del 2010 consentirebbe la soddisfazione di tutti i creditori e non solo di quelli che per primi hanno agito in executivis, e, per altro verso, come detto, la sospensione delle azioni esecutive da essa prevista ha durata limitata nel tempo. A tale riguardo viene ricordata la giurisprudenza della Corte costituzionale con la quale è stata riconosciuta la legittimità della normativa che ha disposto la sospensione «per un periodo transitorio ed essenzialmente limitato» della esecuzione degli sfratti.
Quanto, infine, alla lamentata violazione dell’art. 41 Cost., la difesa pubblica ne esclude la sussistenza, osservando che la disciplina censurata si limita a regolamentare l’ipotesi, riconducibile al normale rischio di impresa, della insolvenza del debitore, indirizzandosi verso l’instaurazione di un regime di spesa che consenta il risanamento della condizione di quest’ultimo.
In tal modo, precisa, non pregiudica ma, anzi, garantisce l’esercizio del diritto di impresa, che, invece, verrebbe pregiudicato proprio dal protrarsi della situazione di dissesto.
3. Si sono costituite in giudizio, limitatamente alla ordinanza rubricata al n. 18 del registro ordinanze 2012, le numerose parti ricorrenti nel giudizio a quo, che, riportandosi, spesso in maniera assolutamente testuale, al contenuto dell’ordinanza di rimessione, ne sollecitano l’accoglimento delle conclusioni. In via subordinata sollecitano una pronunzia a carattere interpretativo nella quale sia precisato che, essendo il blocco delle azioni esecutive finalizzato a consentire la regolare attuazione del piano di rientro predisposto dalla Regione, esso dovrebbe essere limitato ai debiti contratti sino alla data del 31 dicembre 2009, data in riferimento alla quale deve essere compiuta la ricognizione della situazione debitoria onde predisporre il piano di rientro. Sarebbe, infatti, ad avviso delle costituite parti private, del tutto irragionevole consentire alle aziende sanitarie campane di contrarre ulteriori debiti, il cui pagamento potrebbe avvenire solo dopo il 1° gennaio 2013. Il bilanciamento degli interessi si avrebbe, invece, tenendo separati i debiti maturati sino al dissesto, il cui pagamento rimane sospeso, da quelli, quali i crediti vantati dalle concludenti parti private, successivi alla dichiarazione di dissesto.
3.1. In relazione al giudizio scaturito dalla medesima ordinanza di rimessione si è costituita in giudizio anche la Azienda sanitaria locale Salerno di Salerno, chiedendo che sia dichiarata la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale della disposizione censurata.
La difesa della Azienda, svolta una ampia ricostruzione della normativa pertinente ed illustrate le operazioni intraprese sia, in generale, nella Regione Campania sia, in particolare, da essa Azienda onde ripianare la situazione di dissesto, provvedendo alla soddisfazione delle posizioni creditorie, osserva, con specifico riferimento alla questione di legittimità costituzionale in esame, che è del tutto compatibile coi principi costituzionali la previsione, temporanea ed eccezionale, da parte del legislatore della sospensione delle procedure esecutive nei confronti delle aziende sanitarie delle Regioni già commissariate, al fine di permettere la soddisfazione dei debiti su di esse gravanti secondo modalità tali da non pregiudicare lo svolgimento delle loro essenziali funzioni. Ciò in quanto deve ritenersi prevalente l’interesse allo svolgimento del piano di rientro, finalizzato all’ordinato pagamento dei debiti gravanti sugli enti sanitari, che, invece, potrebbe essere turbato dall’esperimento delle singole azioni esecutive.
4. Con ordinanza depositata il 21 novembre 2011 (recante il n. 58 del registro ordinanze 2012), anche il Tribunale ordinario di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 111 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 51, della legge n. 220 del 2010.
Adito in sede di opposizione ai sensi dell’art. 617 del codice di procedura civile avverso l’ordinanza con la quale è stata dichiarata la improcedibilità di una esecuzione intrapresa nei confronti di una azienda sanitaria locale di Napoli, il giudice rimettente ricorda, innanzitutto, le disposizioni normative precedenti a quella ora censurata ed aventi analogo contenuto, fra le quali in particolare l’art. 25, comma 2, della legge della Regione Campania 19 gennaio 2009, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annulale e pluriennale della Regione Campania – Legge finanziaria per l’anno 2009), oggetto di pronunzia di illegittimità costituzionale con sentenza della Corte costituzionale n. 123 del 2010, ed illustra il contesto normativo che le riguarda, con particolare attenzione alla normativa in materia di ripiano dal disavanzo finanziario del servizio sanitario. Individua, quindi, nella esigenza di assicurare la realizzazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario con salvezza delle funzioni istituzionali svolte dalla azienda sanitaria la ratio della disposizione censurata. Ciò, aggiunge il rimettente, è possibile solo impedendo l’attivazione di procedure esecutive singolari che, invece, se intraprese, sottrarrebbero risorse destinate ai compiti sanitari.
4.1. Passando a scrutinare il modo col quale tale intento è stato perseguito dal legislatore, il Tribunale di Napoli osserva che l’effetto della disciplina in esame sulle procedure esecutive in corso non è quello di una mera sospensione di esse ma è tale da determinarne una chiusura anticipata in assenza di soddisfazione per il creditore. Le dette procedure, infatti, o sono chiuse con pronunzia di inammissibilità, se introdotte successivamente alla entrata in vigore della legge n. 220 del 2010, ovvero lo sono con pronunzia di improcedibilità, se a tale data già pendenti.
Riprova di quanto sopra è data dal fatto che la legge prevede anche la inefficacia dei pignoramenti già eseguiti, circostanza questa che impedirebbe in radice la prosecuzione della azione esecutiva allo scadere del termine indicato dalla disposizione censurata, essendo venuto meno il vincolo sul bene asservito alla procedura.
4.2. Ritiene il rimettente che, pertanto, la detta disposizione violi l’art. 24 Cost. Ricordato che le garanzie poste da tale norma costituzionale riguardano anche il processo di esecuzione, il rimettente osserva che il divieto di azioni esecutive previsto dall’art. 1, comma 51, della legge n. 220 del 2010 contrasta con la stessa sia nella parte in cui «dispensa dalla aggressione esecutiva» l’intero patrimonio del debitore e non specifici beni aventi una destinazione funzionale al perseguimento di interessi primari, sia nella parte in cui esso, stante la reiterazione dei provvedimenti legislativi che lo prevedono, ha una considerevole estensione temporale, tale da escluderne la natura meramente transitoria, sia nella parte in cui è soggetto alla sola condizione che l’esecuzione sia rivolta in danno di un’azienda sanitaria avente sede in una delle Regioni commissariate ai sensi della legge n. 311 del 2004.
A tal proposito, il rimettente rileva come in passato disposizioni di contenuto analogo prevedevano non solo che il vincolo di impignorabilità riguardasse determinati beni necessari per lo svolgimento di funzioni definite di primaria importanza e che esso fosse preceduto da uno specifico provvedimento amministrativo col quale erano quantificati i beni necessari per la soddisfazione delle predette funzioni, ma anche che esso fosse assoggettato alla condizione del riscontro dell’effettivo utilizzo dei beni per gli scopi prestabiliti, venendo meno ove i beni fossero stati utilizzati per finalità diverse da quelle salvaguardate dalla legge.
La mancanza di meccanismi di verifica e controllo analoghi a quelli ora indicati rende arbitrario il sacrificio attualmente imposto al creditore della azienda sanitaria, potendo questa, senza incorrere in sanzioni, destinare le sue risorse finanziarie ad impieghi diversi dalla estinzione dei debiti secondo il piano di rientro.
Ancora più evidente sarebbe la violazione dell’art. 24 Cost. nell’ipotesi di pignoramenti già eseguiti prima della vigenza della legge n. 220 del 2010, dato che in tale ipotesi il creditore, a seguito della, per lui infruttuosa, chiusura della procedura, subirebbe anche il danno patrimoniale connesso alle spese processuali inutilmente anticipate.
4.3. Riguardo alla violazione dell’art. 3 Cost., il rimettente segnala, per un verso, la discriminazione consistente nel diverso trattamento normativo gravante sui creditori delle aziende sanitarie ubicate in Regioni commissariate rispetto a quello applicabile ai creditori delle analoghe aziende ubicate in altre Regioni e, per altro verso, la più favorevole condizione in cui si trovano, rispetto alla generalità delle aziende sanitarie, quelle ubicate nelle Regioni commissariate, godendo di «una sorta di immunità totale dall’espropriazione forzata correlata ad un mero status soggettivo», non potendosi, peraltro, escludere che, sebbene compresa in una Regione commissariata, la singola azienda sanitaria, pur beneficiaria del blocco dei pignoramenti, non sia in difficoltà finanziarie.
Siffatto privilegio, prosegue il rimettente, appare ancor più ingiustificato ove si consideri che le aziende sanitarie già beneficiano del più favorevole regime di pignorabilità limitata dei loro beni stabilito dall’art. 1, comma 5, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9 (Disposizioni urgenti in materia sanitaria e socio-assistenziale), convertito, con modificazioni, dalla legge 18 marzo 1993, n. 67.
4.4. Quanto alla violazione dell’art. 111 Cost., essa sarebbe ravvisabile nella rottura del principio di «parità delle armi», che è resa palese dall’ingiustificato privilegio a favore dell’ente esecutato, e del principio di «ragionevole durata del processo», posto che l’effetto della norma censurata è di differire la concreta realizzazione dell’interesse sostanziale dedotto in giudizio.
4.5. Infine, con riferimento alla violazione dell’art. 41 Cost., il Tribunale rimettente osserva che la incertezza sulla effettività, sostanziale e temporale, della soddisfazione dei propri diritti, derivante dall’applicazione della disposizione censurata, priva il soggetto imprenditore, e tale è per lo più il creditore delle aziende sanitarie, della possibilità di pianificare la propria attività commerciale e di esercitare correttamente, in un sistema concorrenziale, la libera iniziativa economica.
A tal riguardo il rimettente richiama la normativa, di fonte comunitaria, tesa a contrastare i ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali, in quanto elemento distorsivo del mercato concorrenziale.
4.6. Ciò detto riguardo alla non manifesta infondatezza della questione, in relazione alla sua rilevanza nel giudizio a quo, il rimettente rileva che solo in caso di accoglimento della questione di legittimità costituzionale sollevata la opposizione agli atti esecutivi, oggetto del giudizio medesimo, potrà essere accolta, dovendo, in caso contrario, essere rigettata.
5. Il Presidente del Consiglio dei ministri è intervenuto, col patrocinio della Avvocatura generale dello Stato, anche in questo giudizio, ribadendo le difese già svolte in relazione agli incidenti di costituzionalità sollevati in sede di giudizio di ottemperanza dal TAR della Campania, sede staccata di Salerno.
6. Il Tribunale ordinario di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, con ordinanza depositata in data 12 dicembre 2011 (recante il n. 137 del registro ordinanze 2012), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, comma primo, 111 e 117, comma primo, Cost., dell’art. 1, comma 51, della legge n. 220 del 2010, così come modificato ed integrato a seguito della entrata in vigore dell’art. 17 del decreto-legge n. 98 del 2011, nella parte in cui prevede che, nelle Regioni già commissariate in quanto sottoposte a piano di rientro dal disavanzo sanitario, sottoscritto ai sensi della legge n. 311 del 2004, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali o ospedaliere sino al 31 dicembre 2012.
Il rimettente riferisce di essere chiamato a decidere in ordine ad una procedura esecutiva avente ad oggetto un’espropriazione presso terzi, in danno di una Azienda sanitaria locale della Campania.
Precisa il rimettente che, pur avendo il terzo pignorato reso positivamente la propria dichiarazione, egli non aveva potuto procedere alla assegnazione della somma al creditore in quanto, nelle more del giudizio, era entrata in vigore la disposizione legislativa censurata, la quale prevedeva la perdita degli effetti, sino al 31 dicembre 2012, dei pignoramenti eseguiti in danno delle aziende sanitarie ed ospedaliere aventi sede in una delle Regioni sottoposte ai piani di rientro per il disavanzo sanitario e commissariate.
6.1. Tale disposizione, ad avviso del rimettente, rilevante ai fini della decisione che egli deve assumere nel giudizio a quo, si caratterizza per essere in contrasto con diversi parametri costituzionali.
Rileva, infatti, il rimettente che attraverso il divieto delle azioni esecutive in tal modo introdotto, il legislatore avrebbe violato gli artt. 2 e 111 Cost., secondo la letture che di essi è stata data dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 23726 del 2007.
Osserva il giudice a quo che, sebbene il legislatore abbia formalmente inserito solamente un divieto ad tempus di intraprendere e proseguire azioni esecutive, in realtà egli, in considerazione della rilevante durata di tale divieto e della dipendenza economica dei creditori dalla soddisfazione del loro diritto, ha determinato una soppressione del medesimo diritto sostanziale, secondo il principio, ricavabile dalla ricordata sentenza della Corte di cassazione n. 23726 del 2007, in base al quale la negazione del diritto di agire in giudizio per la soddisfazione della propria posizione soggettiva si identifica necessariamente con la negazione del diritto sostanziale.
Poiché l’art. 1, comma 51, della legge n. 220 del 2010 reprime il diritto sostanziale del creditore al soddisfacimento della sua pretesa e compromette l’effettività della tutela giuridica che l’ordinamento è tenuto ad apprestare, esso si pone in contrato con gli artt. 2 e 111 Cost.
Parimenti evidente sarebbe, secondo il Tribunale rimettente, la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., realizzata attraverso il contrasto con l’art. 6, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e del protocollo addizionale alla convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), il quale garantisce il giusto processo con tutte le sue articolazioni.
Rileva, infatti, il giudice a quo che la violazione dell’art. 6 della CEDU non si ha solo in quanto siano irragionevoli le modalità tecniche di esercizio dei poteri processuali, ma anche allorchè «la configurazione stessa delle posizioni giuridiche sostanziali sia tale da pregiudicarne la tutela».
Poiché l’art. 1, comma 51, della legge n. 220 del 2010, disposizione non suscettibile di essere interpretata in senso conforme alla citata norma internazionale, determina, come detto, l’annullamento del diritto sostanziale vantato, minando l’effettività della sua tutela giuridica, esso, confliggendo con la ricordata disposizione della CEDU, sarebbe in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost.
La disposizione censurata sarebbe, altresì, in contrasto con l’art. 3 Cost., espressivo del principio di eguaglianza, prevedendo un regime normativo differenziato in favore delle Aziende sanitarie quanto al procedimento esecutivo, laddove la Corte costituzionale, con le sentenze n. 211 del 2003, n. 69 del 1998 e n. 285 del 1995, ha affermato e ribadito che «le posizioni giuridiche delle unità sanitarie locali e degli enti locali sono del tutto omogenee», e che «qualsiasi diversità di disciplina […] è senza dubbio lesiva dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza».
Sarebbe, poi, «di palmare evidenza» la violazione dell’art. 24 Cost. derivante dalla previsione, contenuta nella disposizione censurata, secondo la quale non possono essere proseguite la azioni esecutive già intraprese. Infatti, per effetto della norma in questione, la azione esecutiva già intrapresa sarebbe destinata a concludersi traumaticamente in ragione di «fatti, attività e comportamenti niente affatto riconducibili al creditore».
Infine, sarebbe violato l’art. 111 Cost., anche alla luce dei principi di cui all’art. 6 della CEDU, in quanto, venendo modificate le regole del processo durante il suo svolgimento, sarebbero alterate le condizioni di parità delle parti, con conseguenze irragionevoli sulle posizioni di queste, quali l’attribuzione del costo del processo esecutivo a carico del creditore procedente.
7. È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza della questione.
La difesa pubblica, ricostruite le ragioni che hanno indotto il legislatore ad introdurre misure volte a garantire l’effettiva responsabilità regionale in materia di spesa sanitaria, fra le quali vi è l’istituto del piano di rientro dai disavanzi, e illustrata brevemente la disciplina ed il contenuto di quest’ultimo, volto, fra l’altro, a conseguire una attendibile certezza dello stato della esposizione debitoria regionale in ambito sanitario, precisa che la disposizione della cui legittimità costituzionale si dubita si inscrive in un ordito normativo caratterizzato da aspetti di assoluta specialità e straordinarietà (individuati nei profili di fiscalità aggiuntiva destinata al finanziamento del servizio sanitario regionale in dissesto, nel blocco del turn over del personale regionale, nel divieto di effettuare spese non obbligatorie ed altro ancora) finalizzati al risanamento strutturale della finanza regionale nel rispetto dei vincoli finanziari di fonte comunitaria.
7.1. Con riferimento alle singole censure, la difesa erariale esclude la violazione dell’art. 2 Cost. in quanto la disposizione censurata si limita a differire il soddisfacimento delle pretese creditorie tramite il meccanismo della sospensione delle azioni esecutive, onde consentire la predisposizione di un piano che individui tempi e modalità di pagamento ma non ha l’effetto di precluderlo. Non vi è poi alcuna violazione del principio di buona fede in quanto la Corte costituzionale già ha affermato che la esperibilità delle singole azioni esecutive può cedere il passo ad una procedura di tipo concorsuale.
La temporaneità dell’accesso alla tutela esecutiva, derivante da una ponderazione fra la tutela del credito e quella della salute, esclude anche la violazione dell’art. 111 Cost.
Quanto alla violazione dell’art. 3 Cost., essa può escludersi in ragione dei motivi eccezionali che hanno condotto alla adozione della norma censurata. Trattandosi, infatti, di una procedura finalizzata a soddisfare tutti i creditori delle aziende sanitarie, essa, come tutte le procedure concorsuali, non è compatibile con lo svolgimento delle procedure individuali.
Analoga normativa, aggiunge la Avvocatura pubblica, finalizzata al risanamento economico dell’Ente Ordine Mauriziano, è stata ritenuta dalla Corte costituzionale compatibile con la Costituzione con la sentenza n. 355 del 2006.
Neppure sarebbero violati gli artt. 24, commi primo e secondo, e 111, comma secondo, Cost., poiché, per un verso, l’art. 1, comma 51, della legge n. 220 del 2010 consentirebbe la soddisfazione di tutti i creditori e non solo di quelli che per primi hanno agito in executivis, e, per altro verso, come detto, la sospensione delle azioni esecutive da esso prevista ha durata limitata nel tempo. A tal riguardo è ricordata la giurisprudenza della Corte costituzionale con la quale è stata riconosciuta la legittimità della normativa che ha disposto la sospensione «per un periodo transitorio ed essenzialmente limitato» della esecuzione degli sfratti.
8. Si è, altresì, costituito in giudizio il creditore procedente nel giudizio a quo, R. B., il quale, dopo aver ampiamente argomentato, ha concluso per l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale.
9. Con altra ordinanza, sempre emessa dal Tribunale ordinario di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, ma redatta da altro giudice di quell’Ufficio, e depositata in data 24 maggio 2012 (recante il n. 189 del registro ordinanze 2012), è stata sollevata, nel corso di un giudizio di opposizione avverso l’ordinanza con la quale era stata dichiarata la improcedibilità di un’esecuzione mobiliare presso terzi, questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 1, comma 51, della legge n. 220 del 2010, in riferimento agli artt. 3, 24, 41 e 111 Cost.
Il rimettente, illustrati i precedenti interventi normativi aventi contenuto analogo alla disposizione censurata, rileva che la ratio di questa è il blocco delle azioni esecutive quale misura che dovrebbe consentire la realizzazione dei piani di rientro dai disavanzi sanitari predisposti dalle Regioni commissariate al fine non solo di ottenere il riequilibrio finanziario del settore sanitario, ma anche di assicurare la riorganizzazione dei relativi servizi nel rispetto della tutela della salute e delle modalità di erogazione delle prestazioni sanitarie.
Ritiene, tuttavia, il rimettente che le modalità attuative di tali intenti confliggano con diversi principi costituzionali.
9.1. In primo luogo il rimettente dubita della ragionevolezza dell’intervento nella parte in cui esso prevede che «l’esonero dall’aggressione esecutiva» riguardi le aziende sanitarie ed ospedaliere per il solo fatto che esse appartengono a Regioni in situazione di dissesto sanitario, senza che esso sia subordinato alla verifica dell’inizio della procedura prevista dalla legge per il ripianamento dei disavanzi, ovvero alla adozione di un piano di ricognizione dei debiti. Di tal che l’esenzione permarrebbe anche nell’ipotesi in cui l’azienda destinasse il proprio patrimonio, non più oggetto di vincolo pignoratizio, a fini diversi dal soddisfacimento dei crediti pregressi.
Per altro verso il rimettente dubita della compatibilità della disposizione censurata con l’art. 24 Cost. in quanto essa prevede la sanzione della inammissibilità o della improcedibilità della procedure esecutive, con conseguente loro chiusura con provvedimento definitivo non satisfattivo delle ragioni del creditore, e non la sola sospensione di esse. Sempre con riguardo al medesimo parametro il rimettente osserva che contrasta col diritto di azione, tutelato dall’art. 24 Cost., sia il fatto che la dispensa dalla azione esecutiva non riguardi singoli beni, ma l’intero patrimonio delle aziende sanitarie debitrici, sia il fatto che essa si protragga per un considerevole periodo di tempo, sia che essa abbia come presupposto soggettivo la mera appartenenza della azienda sanitaria ad una delle Regioni commissariate.
Rileva ancora il rimettente che la chiusura «per edictum principis» della procedura esecutiva comporta l’inutile assoggettamento definitivo del creditore procedente agli esborsi già affrontati per il compimento degli atti processuali eseguiti.
Con riguardo alla violazione del principio di uguaglianza, il Tribunale rimettente osserva che la disposizione censurata crea una ingiustificata discriminazione rispetto al trattamento riservato ai creditori di aziende sanitarie ubicate in Regioni non commissariate. Peraltro essa determina anche uno status privilegiato in favore delle aziende sanitarie aventi sede in Regioni commissariate, senza che sia eseguita una verifica sul fatto che esse stesse si trovino in difficoltà finanziaria. Ciò appare tanto più ingiustificato in quanto tale trattamento si cumula col particolare regime di impignorabilità di cui le aziende sanitarie godono per effetto dell’art. 1, comma 5, del decreto-legge n. 9 del 1993.
In relazione alla prospettata violazione dell’art. 111 Cost., il Tribunale di Napoli osserva che la disposizione censurata, vietando le azioni esecutive, viola sia il principio di parità delle armi fra i contraddittori, attribuendo un ingiustificato privilegio alla pubblica amministrazione esecutata, sia quello di ragionevole durata del processo, tenuto conto che questa va valutata in funzione del tempo occorrente per la realizzazione del bene per il quale si è invocata la tutela giurisdizionale.
Infine, con riferimento alla rilevanza della questione, il rimettente osserva che, vertendosi nel giudizio a quo sulla correttezza della ordinanza con cui è stata dichiarata la improcedibilità di un’azione esecutiva ai sensi della disposizione censurata, all’accoglimento della questione di legittimità costituzionale conseguirebbe l’annullamento della detta ordinanza che, viceversa, resterebbe integra nel caso in cui la questione fosse dichiarata infondata.
10. È intervenuto in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l’infondatezza della questione sulla base delle argomentazioni già svolte nelle precedenti comparse di costituzione.
11. Si sono, infine, costituiti in giudizio due creditori procedenti, la Centro Diabete Emotest s.r.l. e la Micron s.a.s., concludendo per la fondatezza della questione di legittimità costituzionale conformemente a quanto argomentato dalla parte privata nel precedente giudizio (ordinanza n. 137 del registro ordinanze 2012).
12. Il Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione a tutti i giudizi nei quali è intervenuto, ha depositato, in prossimità della udienza di discussione della questione, altrettante memorie illustrative, aventi il medesimo contenuto.
In esse l’Avvocatura dello Stato, ribadendo quanto già riportato nei singoli atti di intervento in giudizio, rivendica la ragionevolezza della disposizione censurata funzionale al superamento dello stato di dissesto finanziario in cui, relativamente al sistema sanitario, versano le Regioni nelle quali la disposizione medesima è applicabile, e strumentale all’ordinata verifica dei crediti vantati nei confronti delle Regioni stesse – nonché la sua conformità ai principi di cui agli artt. 24 e 111 Cost. Afferma, in particolare con riferimento al principio di ragionevole durata del processo, che questo deve ritenersi violato allorché la dilatazione dei tempi processuali non è sorretta da alcuna logica giustificazione, circostanza che in questo caso non ricorre, posto che la particolare disciplina di cui alla norma censurata trova fondamento nella ricordata esigenza di riordino della gestione della sanità regionale nelle Regioni commissariate.
Infine, neppure può riscontrarsi la violazione dell’art. 41 Cost., atteso che, per espresso disposto costituzionale, la libertà di iniziativa economica incontra il limite di non potere essere svolta in contrasto con l’utilità sociale, utilità che, invece, col risanamento della sanità regionale, costituisce il fine della disposizione censurata.
12.1. In prossimità della data di discussione della questione hanno presentato una memoria illustrativa anche le parti private costituitesi nel giudizio di legittimità costituzionale (recante il n. 16 del registro ordinanze 2012) scaturito da una delle ordinanze di rimessione depositate dalla sezione staccata di Salerno del TAR della Campania.
In essa dette parti, richiamando i contenuti dei loro precedenti scritti difensivi, insistono per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata, evidenziandone, in particolare, i profili di irragionevolezza e di contrasto sia col principio di uguaglianza sia con l’art. 24 Cost. In via subordinata sollecitano una pronunzia della Corte costituzionale che chiarisca che la sospensione delle azioni esecutive concerne i soli debiti anteriori al 31 dicembre 2009.
12.2. Hanno altresì depositato memorie illustrative le due parti private rispettivamente costituitesi nei due giudizi di legittimità costituzionale introdotti con le due ordinanze di rimessione adottate dalla sezione distaccata di Pozzuoli del Tribunale ordinario di Napoli (recanti, rispettivamente, il n. 137 e il n. 189 del registro ordinanze 2012).
Nella prima di esse viene, in particolare, messa in luce la circostanza che la norma censurata è stata, ulteriormente, modificata a seguito della entrata in vigore dell’art. 6-bis del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189.
Tale evenienza viene sottolineata dalla parte privata onde porre in luce l’avvenuto aggravamento della condizione di illegittimità costituzionale in cui, sulla base dei medesimi parametri originariamente evocati, versa la disposizione censurata.
Nelle seconda di dette memorie illustrative, oltre a richiamare la nuova subentrata modifica normativa e a segnalarne la inidoneità a rimuovere i già sussistenti vizi di legittimità costituzionale che, anzi, sono da questa aggravati, si segnala il rischio di dovere corrispondere ingenti indennità in cui la amministrazione pubblica si trova a causa della ingiustificata durata dei processi esecutivi, il cui svolgimento è bloccato per effetto della norma censurata.
Considerato in diritto
1. Nel corso di numerosi giudizi, aventi ad oggetto la esecuzione di provvedimenti giurisdizionali divenuti definitivi, in fase di svolgimento sia di fronte ad organi della giurisdizione amministrativa nelle forme del giudizio di ottemperanza sia di fronte ad organi della giurisdizione ordinaria nelle forme del processo di esecuzione – il Tribunale amministrativo regionale della Campania, sia sede di Napoli che sede staccata di Salerno, e il Tribunale ordinario di Napoli, sia nella sua sede metropolitana sia nella sezione distaccata di Pozzuoli, hanno sollevato, con sette ordinanze, aventi, peraltro, in sostanza contenuto largamente coincidente, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 51, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2011).
1.1. In particolare: sia il TAR della Campania (con quattro ordinanze, recanti rispettivamente i nn. 16, 17, 18 e 50 del registro ordinanze 2012) che il Tribunale ordinario di Napoli (con una ordinanza recante il n. 58 del registro ordinanze 2012) dubitano della legittimità costituzionale della disposizione sopra ricordata, nella parte in cui prevede che, nelle Regioni già commissariate in quanto sottoposte a piano di rientro dai disavanzi sanitari, sottoscritto ai sensi della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2005), non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali o ospedaliere sino al 31 dicembre 2012 ed i pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle Regioni alle aziende sanitarie di cui sopra, effettuati prima della data di entrata in vigore del decreto-legge 25 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, non producono effetti sino al 31 dicembre 2012 e non vincolano gli enti del servizio sanitario regionale.
1.2. Ad avviso del predetti organi giudiziari la disposizione in questione sarebbe in contrasto con:
a) l’art. 3 della Costituzione, in quanto determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento fra i soggetti che vantano crediti nei confronti delle aziende sanitarie ubicate nelle Regioni commissariate ed i soggetti che, invece, vantano crediti nei confronti delle aziende sanitarie ubicate altrove, ed in quanto sacrificherebbe irragionevolmente, essendo lo strumento da essa previsto non idoneo al risanamento del dissesto finanziario del sistema sanitario regionale, l’interesse del creditore a ricevere la propria pretesa finanziaria rispetto a quello pubblico, volto a ristabilire l’ordine nei conti dell’azienda sanitaria;
b) l’art. 24 Cost., poiché «elide la possibilità della soddisfazione concreta ed effettiva dei diritti del creditore» (ordinanza n. 58 del registro ordinanze 2012) secondo le norme del diritto comune, prevedendo, altresì, l’inefficacia dei pignoramenti già eseguiti alla data della sua entrata in vigore;
c) l’art. 41 Cost., in quanto, attraverso il meccanismo di blocco delle azioni esecutive, non consentirebbe al creditore dell’azienda sanitaria, trattandosi in prevalenza di imprenditori commerciali, di programmare la propria attività di impresa, rispettando le scadenze dei pagamenti cui è tenuto, senza dovere ricorrere ad onerosi prestiti e finanziamenti bancari;
d) l’art. 111 Cost., in quanto, da un lato altererebbe la condizione di parità fra le parti, ponendo l’amministrazione in una posizione di ingiustificato privilegio, e dall’altro, inciderebbe sulla ragionevole durata del processo.
1.3. Il Tribunale ordinario di Napoli, questa volta, però, nella sezione distaccata di Pozzuoli, con due ordinanze (aventi rispettivamente il n. 137 e il n. 189 del registro ordinanze 2012), redatte dalla stessa sezione, ma in diversa composizione, dubita della legittimità costituzionale della medesima norma di legge poiché sarebbe in contrasto, secondo la prima delle due ordinanze con:
e) l’art. 2 Cost., in quanto, reprimendo il diritto sostanziale del creditore al soddisfacimento della sua pretesa, comprometterebbe l’effettività della tutela giuridica che l’ordinamento è tenuto ad apprestare;
f) l’art. 24 Cost., poiché, per effetto della norma in questione, la azione esecutiva già intrapresa sarebbe destinata a concludersi traumaticamente in ragione di «fatti, attività e comportamenti niente affatto riconducibili al creditore»;
g) l’art. 111 Cost., in quanto, essendo modificate le regole del processo nel corso di esso, sarebbero alterate le condizioni di parità delle parti, con conseguenze irragionevoli sulle posizioni delle medesime, quali l’attribuzione del costo del processo esecutivo a carico del creditore procedente;
h) l’art. 117, primo comma, Cost., in quanto sarebbe violato l’art. 6, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e del protocollo addizionale alla convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), il quale garantisce il giusto processo in tutte le sue articolazioni;
secondo l’altra ordinanza:
i) l’art. 3 Cost. per gli stessi motivi già illustrati sub a);
l) l’art. 24 Cost., sia in quanto prevede la sanzione della inammissibilità o della improcedibilità della procedure esecutive, con conseguente loro chiusura con provvedimento definitivo non satisfattivo delle ragioni del creditore che non si limita alla sola sospensione di esse, sia in quanto la dispensa dalla azione esecutiva non riguarda singoli beni, ma l’intero patrimonio delle aziende sanitarie debitrici, sia in quanto detta sospensione si protrae per un considerevole periodo di tempo, avendo come presupposto soggettivo la mera appartenenza della azienda sanitaria ad una delle Regioni commissariate, sia, infine, poiché la chiusura «per edictum principis» della procedura esecutiva comporta l’inutile definitiva perdita da parte del creditore procedente degli esborsi già affrontati per il compimento degli atti processuali eseguiti;
m) l’art. 111 Cost. per gli stessi motivi già illustrati sub d);
2. Attesa l’identità dell’oggetto dei diversi incidenti di legittimità costituzionale, i relativi giudizi debbono essere riuniti per essere congiuntamente decisi con un unico provvedimento.
3. Prima di esaminare la fondatezza o meno dei diversi dubbi formulati dai giudici a quibus, questa Corte deve dare conto della circostanza già evidenziata in talune delle memorie illustrative prodotte in prossimità della udienza di trattazione da alcune delle costituite parti private e, comunque, dibattuta nel corso della udienza medesima – che la norma oggetto del quesito di costituzionalità, già modificata nel corso dei giudizi a quibus, come segnalato dagli stessi rimettenti, è stata ulteriormente modificata successivamente alla proposizione della quaestio ora in discussione.
È, infatti, in particolare, intervenuto l’art. 6-bis del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, il quale, rispettivamente, alle lettere a) e b) del comma 2, ha modificato il censurato art. 1, comma 51, della legge 220 del 2010.
3.1. Mentre le modificazioni apportate al primo periodo della disposizione censurata hanno una finalità meramente chiarificatrice del suo contenuto normativo – si è, infatti, precisato che non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive «anche ai sensi dell’art. 112 del codice del processo amministrativo», con ciò chiarendosi definitivamente che nel novero delle azioni esecutive oggetto di blocco vi sono anche i giudizi di ottemperanza di fronte al giudice amministrativo – ovvero di mera proroga – sino al «31 dicembre 2013» – del medesimo contenuto normativo, il secondo periodo è stato integralmente sostituito dalla disposizione sopravvenuta.
Infatti, laddove, nel testo della disposizione censurata vigente al momento della proposizione degli incidenti di legittimità costituzionale, si leggeva: «I pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni di cui al presente comma alle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime, effettuati prima della entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, non producono effetti dalla suddetta data fino al 31 dicembre 2012 e non vincolano gli enti del servizio sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre, per le finalità istituzionali dei predetti enti, delle somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo», ora, a seguito della modifica normativa introdotta, si legge: «I pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni di cui al presente comma alle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime, effettuati prima della entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, sono estinti di diritto dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Dalla medesima data cessano i doveri di custodia sulle predette somme, con obbligo per i tesorieri di renderle immediatamente disponibili, senza previa pronuncia giurisdizionale, per garantire l’espletamento delle finalità indicate nel primo periodo».
Si tratta, a questo punto, di valutare, da parte di questa Corte, se le introdotte modificazioni normative siano tali da giustificare, così come in molteplici occasioni disposto allorché siano intervenute variazioni nel testo normativo oggetto di dubbio (ex multis, ordinanza n. 281 del 2012), la restituzione degli atti ai giudici rimettenti affinché questi valutino la perdurante rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione, ovvero se si debba provvedere, come anche in talune circostanze deciso da questa Corte (sentenze n. 167 del 2013, n. 326 e n. 40 del 2010, ordinanza n. 270 del 2012), a trasferire la questione, originariamente proposta riguardo ad una determinata formulazione della norma, anche sulla formulazione successiva.
3.2. Per ciò che concerne le due modifiche apportate al primo periodo dell’art. 1, comma 51, della legge 220 del 2010 trattandosi, come sopra accennato, in un caso di una integrazione volta solo a chiarire il contenuto della norma (cioè ad annoverare, così come peraltro generalmente riconosciuto, il giudizio amministrativo di ottemperanza fra le azioni esecutive) e, nell’altro, di un differimento del termine della sua efficacia – essendo il contenuto previgente della norma integralmente ricompreso in quello ora vigente non vi sono dubbi in ordine alla estensione anche su quest’ultimo della questione sollevata dai giudici a quibus.
Per ciò che attiene alla integrale sostituzione del secondo periodo dell’art. 1, comma 51, della legge n. 220 del 2010 ritiene questa Corte che la possibilità di estensione anche alla nuova formulazione della norma l’incidente di costituzionalità riposa nel fatto che lo ius novum inserito in questa, lungi dal modificare sostanzialmente il contenuto precettivo della norma oggetto di dubbio, nel senso di andare ad elidere od attenuare i punti di criticità segnalati dai rimettenti salva ed impregiudicata allo stato la fondatezza o meno delle doglianze provenienti dai giudici a quibus rende, viceversa, ancor più stridenti i punti di contrasto ipotizzati dai rimettenti.
Invero premessa la indiscussa applicabilità ai giudizi a quibus della versione attualmente vigente della norma censurata, trattandosi di innovazione riferibile ai processi esecutivi già in corso per i quali, in entrambe le formulazioni, essa impone la cessazione del giudizio, elemento questo che rende sicuramente tuttora rilevante il dubbio di costituzionalità avanzato dai giudici a quibus rileva questa Corte che, in sostanza, i rimettenti lamentano che, per effetto dell’art. 1, comma 51, della legge n. 220 del 2010, non sia possibile porre in esecuzione i titoli esecutivi ottenuti, anche a seguito del passaggio in giudicato di provvedimenti giurisdizionali, nei confronti delle aziende sanitarie ed ospedaliere in quanto «non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive» nei confronti di tali enti e in quanto i pignoramenti e le prenotazioni e debito già operate nei confronti di tali soggetti sono inefficaci e non comportano vincoli a carico di tali enti.
3.3. Risulta, quindi, di chiara evidenza che la innovazione legislativa introdotta, comportando non, come nella precedente versione, la sola inefficacia dei pignoramenti e delle prenotazioni a debito operate nel corso delle procedure esecutive in questione e la assenza di vincoli sui beni bloccati, ma direttamente la loro estinzione di diritto e l’obbligo dei tesorieri degli enti sanitari di porre a disposizione «senza previa pronuncia giurisdizionale» le somme già oggetto di pignoramento, onde realizzare le finalità del risanamento finanziario, non apre nuovi profili valutativi rispetto alla normativa precedente, prevedendo, semmai, contenuti normativi che, sia pur nel medesimo senso orientati, estremizzano le soluzioni già presenti nella previgente disciplina.
La mancanza, pertanto, di una anche minima discontinuità fra la norma censurata e quella sopravvenuta, che, anzi, come detto, costituisce una, in sé coerente, evoluzione dei principi contenuti in quella precedente, consente, ove non si voglia vanificare di fatto il principio di effettività della tutela giurisdizionale in sede costituzionale, il trasferimento della questione di legittimità costituzionale sulla versione ora vigente della disposizione impugnata, fermo restando che il giudizio riguarda anche la precedente versione.
D’altra parte, non può trascurarsi che un’eventuale restituzione degli atti al giudice rimettente, ove questa non sia giustificata dalla necessità che sia nuovamente valutata la perdurante rilevanza nel giudizio a quo e la non manifesta infondatezza della quaestio a suo tempo sollevata, potrebbe condurre, proprio in aperto contrasto col principio di effettività della tutela giurisdizionale che non può essere disgiunta dalla sua tempestività, ad un inutile dilatamento dei tempi dei giudizi a quibus, soggetti per due volte alla sospensione conseguente al promovimento dell’incidente di legittimità costituzionale, e ad una duplicazione dello stesso giudizio di costituzionalità, con il rischio di vulnerare il canone di ragionevole durata del processo sancito dall’art. 111 Cost.
4. La questione è fondata.
4.1. Questa Corte ha più volte affermato che un intervento legislativo che di fatto svuoti di contenuto i titoli esecutivi giudiziali conseguiti nei confronti di un soggetto debitore può ritenersi giustificato da particolari esigenze transitorie qualora, per un verso, siffatto svuotamento sia limitato ad un ristretto periodo temporale (sentenze n. 155 del 2004 e n. 310 del 2003) e, per altro verso, le disposizioni di carattere processuale che incidono sui giudizi pendenti, determinandone l’estinzione, siano controbilanciate da disposizioni di carattere sostanziale che, a loro volta, garantiscano, anche per altra via che non sia quella della esecuzione giudiziale, la sostanziale realizzazione dei diritti oggetto delle procedure estinte (sentenze n. 277 del 2012 e n. 364 del 2007).
Viceversa, la disposizione ora censurata, la cui durata nel tempo, inizialmente prevista per un anno, già è stata, con due provvedimenti di proroga adottati dal legislatore, differita di ulteriori due anni sino al 31 dicembre 2013, oltre a prevedere, nella attuale versione, la estinzione delle procedure esecutive iniziate e la contestuale cessazione del vincolo pignoratizio gravante sui beni bloccati ad istanza dei creditori delle aziende sanitarie ubicate nelle Regioni commissariate, con derivante e definitivo accollo, a carico degli esecutanti, della spese di esecuzione già affrontate, non prevede alcun meccanismo certo, quantomeno sotto il profilo di ordinate procedure concorsuali garantite da adeguata copertura finanziaria, in ordine alla soddisfazione delle posizioni sostanziali sottostanti ai titoli esecutivi inutilmente azionati.
4.2. Essa, pertanto, si pone, in entrambe le sue versioni, in contrasto con l’art. 24 Cost. in quanto, in conseguenza della norma censurata, vengono vanificati gli effetti della tutela giurisdizionale già conseguita dai numerosi creditori delle aziende sanitarie procedenti nei giudizi esecutivi.
Costoro non soltanto si trovano, in alcuni casi da più di un triennio, nella impossibilità di trarre dal titolo da loro conseguito l’utilità ad esso ordinariamente connessa, ma debbono, altresì, sopportare, in considerazione della automatica estinzione (o, nella versione precedente, della inefficacia) delle procedure esecutive già intraprese e della liberazione dal vincolo pignoratizio dei beni già asserviti alla procedura, i costi da loro anticipati per l’avvio della procedura stessa.
4.3. Né, nel caso che interessa, si verifica la condizione che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, rende legittimo il blocco delle azioni esecutive, cioè la previsione di un meccanismo di risanamento che, come detto, canalizzi in una unica procedura concorsuale le singole azioni esecutive, con meccanismi di tutela dei diritti dei creditori che non si rinvengono nei piani di rientro cui la disposizione fa riferimento, sicché la posizione sostanziale dei creditori trovi una modalità sostitutiva di soddisfazione.
La disposizione in esame, infatti, non contiene la disciplina di tale tipo di procedura né identifica le risorse finanziarie da cui attingere per il suo eventuale svolgimento.
Va, altresì, considerata la circostanza che, con la disposizione censurata, il legislatore statale ha creato una fattispecie di ius singulare che determina lo sbilanciamento fra le due posizioni in gioco, esentando quella pubblica, di cui lo Stato risponde economicamente, dagli effetti pregiudizievoli della condanna giudiziaria, con violazione del principio della parità delle parti di cui all’art. 111 Cost.
4.4. Non può, infine, valere a giustificare l’intervento legislativo censurato il fatto che questo possa essere ritenuto strumentale ad assicurare la continuità della erogazione delle funzioni essenziali connesse al servizio sanitario: infatti, a presidio di tale essenziale esigenza già risulta da tempo essere posta la previsione di cui all’art. 1, comma 5, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9 (Disposizioni urgenti in materia sanitaria e socio assistenziale), convertito, con modificazioni, dalla legge 18 marzo 1993, n. 67, in base alla quale è assicurata la impignorabilità dei fondi a destinazione vincolata essenziali ai fini della erogazione dei servizi sanitari.
Gli ulteriori profili di illegittimità costituzionale dedotti dai rimettenti restano assorbiti.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 51, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2011), sia nel testo risultante a seguito delle modificazioni già introdotte dall’art. 17, comma 4, lettera e), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, sia nel testo, attualmente vigente, risultante a seguito delle modificazioni introdotte dall’art. 6-bis, comma 2, lettere a) e b), del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2013.