CORTE COSTITUZIONALE sentenza n. 81 del 7 aprile 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – INFORTUNIO – EQUO INDENNIZZO – COMITATO PER LE PENSIONI PRIVILEGIATE ORDINARIE – LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE
FATTO e DIRITTO
Ritenuto che, con ordinanza del 13 gennaio 2009, pervenuta a questa Corte il 4 maggio 2015 e iscritta al n. 185 del registro ordinanze 2015, il Tribunale ordinario di Chieti, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2001, n. 461 (Regolamento recante semplificazione dei procedimenti per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio, per la concessione della pensione privilegiata ordinaria e dell’equo indennizzo, nonché per il funzionamento e la composizione del comitato per le pensioni privilegiate ordinarie), nella parte in cui stabilisce che, nell’ipotesi di aggravamento della menomazione dell’integrità fisica, psichica o sensoriale, si può richiedere la revisione dell’equo indennizzo entro un termine di decadenza di cinque anni, che decorre dalla data di comunicazione dell’originario provvedimento di concessione dell’equo indennizzo;
che il giudice rimettente espone di dover decidere il ricorso depositato da P.O. il 20 settembre 2004, allo scopo di far dichiarare l’illegittimità del diniego che il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha opposto alla richiesta di revisione dell’equo indennizzo, presentata oltre il termine di decadenza quinquennale;
che il giudice a quo, pertanto, a fronte dell’eccezione di tardività della domanda, afferma di dover applicare la norma censurata che, per la richiesta di revisione dell’equo indennizzo, statuisce un termine di decadenza quinquennale, con un dies a quo ancorato all’originario provvedimento di concessione di tale provvidenza;
che il giudice rimettente assume che tale normativa contrasti con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), in quanto, con riguardo all’aggravamento delle condizioni di salute, discrimina senza alcuna ragione apprezzabile il dipendente in servizio, vincolato al rispetto di un termine di decadenza per la richiesta di revisione dell’equo indennizzo, e il dipendente in pensione, che può reclamare in ogni tempo, senza soggiacere a termini di decadenza, la revisione del trattamento pensionistico privilegiato;
che, ad avviso del giudice rimettente, la disciplina è lesiva del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.), in quanto priva della tutela indennitaria il dipendente che abbia subìto un aggravamento dell’infermità quando il termine quinquennale di decadenza sia già decorso;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto di dichiarare inammissibile, improcedibile o comunque infondata la questione di legittimità costituzionale;
che la difesa dello Stato, in via preliminare, ritiene le censure inammissibili, in quanto si indirizzano contro un atto (un regolamento delegato), sprovvisto di forza di legge;
che la questione, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, è comunque infondata nel merito, in quanto la normativa regolamentare individua un termine di decadenza congruo e ragionevole e mira a contemperare la tutela dei diritti dei dipendenti con le esigenze di certezza del diritto e di contenimento della spesa pubblica.
Considerato che il Tribunale ordinario di Chieti, in funzione di giudice del lavoro, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 14 del d.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461 (Regolamento recante semplificazione dei procedimenti per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio, per la concessione della pensione privilegiata ordinaria e dell’equo indennizzo, nonché per il funzionamento e la composizione del comitato per le pensioni privilegiate ordinarie), in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione;
che la norma censurata confliggerebbe, in pari tempo, con il principio di eguaglianza e con la tutela del diritto alla salute;
che la previsione di un termine quinquennale di decadenza per la sola ipotesi di revisione dell’equo indennizzo determinerebbe un’arbitraria disparità di trattamento tra il dipendente in servizio, assoggettato a tale termine, e il dipendente in pensione, legittimato a richiedere in ogni tempo la revisione del trattamento pensionistico privilegiato;
che l’assetto normativo pregiudicherebbe, per altro verso, la tutela indennitaria che compete al dipendente, in attuazione dell’art. 32 Cost.;
che è fondata l’eccezione di inammissibilità, formulata dalla difesa dello Stato;
che il giudice rimettente impugna una disposizione, che si prefigge di disciplinare in maniera organica la procedura di revisione dell’equo indennizzo e ricalca l’art. 56 del d.P.R. 3 maggio 1957, n. 686 (Norme di esecuzione del testo unico delle disposizioni sullo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3), atto di normazione secondaria che questa Corte ha già escluso di poter sindacare direttamente (ordinanza n. 208 del 1997);
che le censure del giudice rimettente si appuntano in via esclusiva contro questa disciplina di rango regolamentare, inserita nel testo finale sulla scorta delle osservazioni della sezione consultiva del Consiglio di Stato ed emanata ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), nel rispetto dei princípi, dei criteri e delle procedure enunciati dall’art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa);
che il giudice a quo denuncia un vizio del regolamento in quanto tale, e non già della legge di autorizzazione (per tale distinzione, sentenza n. 427 del 2000);
che la questione, incentrata su un atto sprovvisto di forza di legge, è sottratta al sindacato incidentale di questa Corte, limitato alle fonti primarie (ordinanze n. 389 del 2004 e n. 43 del 1998): è demandato ai giudici comuni il sindacato delle fonti di normazione secondaria (sentenza n. 94 del 1964, ordinanza n. 484 del 1993);
che, dalle considerazioni svolte, discende la manifesta inammissibilità della questione sollevata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2001, n. 461 (Regolamento recante semplificazione dei procedimenti per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio, per la concessione della pensione privilegiata ordinaria e dell’equo indennizzo, nonché per il funzionamento e la composizione del comitato per le pensioni privilegiate ordinarie), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Chieti, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
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