CORTE D’APPELLO DI NAPOLI – Ordinanza 03 febbraio 2022
Lavoro – Contratto collettivo di lavoro – Sottoscrizione a livello aziendale o territoriale da parte di associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda – Realizzazione di specifiche intese – Previsione che estende l’efficacia dei contratti aziendali o di prossimità a tutti i lavoratori interessati, anche se non firmatari del contratto o appartenenti a un sindacato non firmatario del contratto collettivo – Decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, art. 8
Rilevato che in data 9 giugno 2020 gli appellanti indicati in epigrafe proponevano appello avverso la sentenza del Tribunale di Napoli che aveva rigettato le loro richieste di pagamento delle differenze retributive per scatti di anzianità, ferie, ed altri istituti retributivi; che l’appello è fondato sul motivo principale che le differenze retributive richieste non erano state accordate perché un accordo di prossimità, firmato da un sindacato ritenuto maggiormente rappresentativo e il datore di lavoro, aveva stabilito un peggioramento delle condizioni economiche dei lavoratori;
Che l’accordo di prossimità era relativo al triennio 2016 – 2019 sulla base dell’art. 8, decreto-legge n. 138 del 2011 convertito in legge n. 148/2011 ed aveva efficacia erga omnes nei confronti di tutti i lavoratori interessati anche degli appellanti;
Che gli appellanti avevano aderito ad altro sindacato non firmatario dell’accordo di prossimità;
Che in data 30 dicembre 2018 avevano, tramite il loro sindacato, disdettato gli accordi di prossimità del triennio 2016/2019;
Che in data 29 ottobre 2019 il sindacato Cisal firmatario del primo accordo di prossimità aveva disdettato lo stesso;
Che in data 7 febbraio 2020 il sindacato prima indicato aveva deciso di stipulare un nuovo contratto di prossimità avente lo stesso contenuto dell’accordo di prossimità prima disdettato;
Che tale proroga non era conosciuta dai lavoratori e in particolare dagli appellanti;
Che la disciplina peggiorativa delle condizioni di lavoro e di retribuzione rispetto alla Ccnl del settore era stata mantenuta nella sua interezza;
Che gli appellanti erano non firmatari dell’accordo del 7 febbraio 2020 sia individualmente che tramite il loro sindacato;
Che il giudice di prime cure aveva ritenuto che sulla base dell’art. 8, decreto-legge n. 138 del 2011 convertito in legge n. 148 del 2011, la disciplina contrattuale si estendesse anche ai ricorrenti nonostante la disdetta e la mancata firma nei termini prima esposti;
Che la controversia, anche in appello, non può essere decisa se non attraverso l’interpretazione e l’applicazione dell’art. 8 del decreto-legge n. 138 del 2011 in quanto il contratto collettivo di prossimità può derogare al Ccnl e si estende a tutti i lavoratori interessati indipendentemente dal loro consenso e di quello delle organizzazioni sindacali di appartenenza sulla base del detto articolo che recita «i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative in azienda sul piano nazionale o territoriale ovvero da loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritti sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali finalizzate alla maggiore occupazione ecc;
Che il sindacato firmario del contratto di prossimità, la Cisal Si.Nalv è un sindacato maggiormente rappresentativo come stabilisce la nota in atti della Presidenza del Consiglio;
Che detto sindacato è membro del Cnel ed ha una propria rappresentanza sindacale nell’azienda;
Che la Corte di cassazione non ha mai ritenuto tale sindacato non avente i requisiti per essere considerato maggiormente rappresentativo;
Che l’accordo di prossimità era volto ad aumentare l’occupazione e a rendere sempre più competitiva l’azienda al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e quindi era conforme ai fini della norma in esame anche se peggiorava le condizioni di lavoro ed economiche dei lavoratori;
In definitiva l’accordo era conforme all’art. 8 del decreto-legge n. 138 del 2011 convertito in legge n. 148/2011 ed era stato correttamente esteso anche agli appellanti che avevano disdettato il primo accordo e non facevano più parte, al momento del secondo accordo, del sindacato firmatario ma di un altro sindacato.
Pertanto la verifica della legittimità costituzionale della norma richiamata è rilevante e fondamentale ai fini della decisione della causa.
Circa la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, la Corte di appello osserva che la legge mentovata viola in primo luogo gli articoli 2 e 39, primo comma della Costituzione.
Il primo comma dell’art 39 della Costituzione stabilisce che «L’organizzazione sindacale è libera». L’art. 2 della Costituzione a sua volta afferma che «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.»
Quindi la libertà di organizzazione sindacale è tutelata non solo espressamente dall’art. 39, comma 1 ma anche dall’art. 2 della Costituzione laddove garantisce lo sviluppo della personalità di ogni cittadino all’interno delle formazioni sociali di cui fa parte certamente il sindacato.
Il concetto di libertà dell’organizzazione sindacale attiene non solo al divieto del monopolio dell’organizzazione sindacale attribuito per legge ad una sola di esse anche in rappresentanza legale dei non iscritti come avveniva nell’ordinamento fascista – corporativo ma anche ad altre accezioni.
In particolare la libertà di organizzazione sindacale va intesa come la libertà di costituire organizzazioni sindacali collettive e anche come libertà del singolo lavoratore sia di aderire alle varie organizzazioni sindacali sia di non aderire.
Se, invece, un accordo di prossimità si estende erga omnes a tutti i lavoratori interessati indipendentemente dalla loro adesione al sindacato firmatario, la libertà sindacale del singolo di aderire ad un altro sindacato non firmatario viene conculcata perché diviene irrilevante.
Dovrà accettare la disciplina contrattuale stabilita da un sindacato cui non appartiene ed semmai in contrasto con le sue idee e interessi.
Ma la libertà sindacale è violata anche da lato della tutela del sindacato non firmatario che vedrà esposto a delle conseguenze pregiudizievoli i propri iscritti e la propria capacità organizzativa non solo perché non è necessaria ad un accordo sindacale ma perché può essere considerata tamquam non esset anche in caso di accordi firmati a livello nazionale.
Infatti l’accordo di prossimità per legge, sempre l’art. 8, può derogare sia alle leggi che alla contrattazione collettiva.
Stabilisce il comma 2-bis dell’art. 8 che «fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro». Quindi un sindacato anche maggiormente rappresentativo di quello firmatario dell’accordo di prossimità, firmatario a sua volta di un contratto collettivo nazionale, come nel caso di specie, vedrebbe caducata la sua attività organizzativa a tutela dei suoi iscritti da accordo firmato da un sindacato in azienda.
La sua libertà organizzativa nelle accezioni diverse da quelle del controllo dello Stato sull’organizzazione sindacale stessa verrebbe meno perché si avrebbe il monopolio della disciplina contrattuale da parte di un solo sindacato con effetti anche nei confronti degli altri sindacati e lavoratori anche non iscritti.
Infine la norma in questione si pone in contrasto con l’art. 39, comma IV della Costituzione che stabilisce l’efficacia erga omnes dei contratti collettivi stipulati dai sindacati a condizione che essi si registrino e acquisiscano la personalità giuridica. Tale condizione non si è verificata in Italia per varie ragioni che non è conferente qui esaminare e ciò riguarda anche la Cisal firmataria del contratto di prossimità applicato alla fattispecie in esame davanti a questa Corte.
Con la normativa all’esame della Corte costituzionale si avrebbe tale effetto come è accaduto nel caso scrutinato da questa Corte per espressa previsione legislativa.
Va sottolineato che l’art. 39, comma IV fa riferimento «alle categorie alle quali il contratto si riferisce» mentre la contrattazione in questione è aziendale. Tuttavia non solo l’uso del plurale (categorie) ma anche la ratio della norma costituzionale vuole impedire, se non attraverso il rispetto della condizione della registrazione, che una libera organizzazione sindacale possa dettare le regole per tutte le altre con uno statuto e un regime del tutto privatistico cui non è dato a nessuno di verificare alcunché dell’organizzazione stessa.
Inoltre la Corte costituzionale ha affermato con la sentenza n. 268 del 1994 che «Così precisato il significato dell’art. 5, comma 1, gli accordi sindacali che stabiliscono i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità non appartengono alla specie dei contratti collettivi normativi, i soli contemplati dall’art. 39 Costituzione, destinati a regolare i rapporti (individuali) di lavoro di una o più categorie professionali o di una o più singole imprese».
Di conseguenza l’art. 39, comma IV della Costituzione non limita l’efficacia erga omnes ai contratti collettivi relativi ad una categoria di lavoratori ma l’estende anche a quelli di una o più imprese e quindi anche a quelli nazionali o aziendali.
Con un’altra sentenza però, la 106 del 1962, il giudice delle leggi esprime un’interpretazione dell’art. 39 Costituzione da cui non si può prescindere e che costituisce un punto di riferimento ineludibile e insuperabile per il legislatore.
Afferma la Corte costituzionale in modo chiarissimo «L’ art. 39 pone due principi, che possono intitolarsi alla libertà sindacale e alla autonomia collettiva professionale. Col primo si garantiscono la libertà dei cittadini di organizzarsi in sindacati e la libertà delle associazioni che ne derivano; con l’altro si garantisce alle associazioni sindacali di regolare i conflitti di interessi che sorgono tra le contrapposte categorie mediante il contratto, al quale poi si riconosce efficacia obbligatoria erga omnes, una volta che sia stipulato in conformità di una determinata procedura e da soggetti forniti di determinati requisiti.
Una legge, la quale cercasse di conseguire questo medesimo risultato della dilatazione ed estensione, che è una tendenza propria della natura del contratto collettivo, a tutti gli appartenenti alla categoria alla quale il contratto si riferisce, in maniera diversa da quella stabilita dal precetto costituzionale, sarebbe palesemente illegittima.
Né si può dire che la questione di costituzionalità, posta in questi termini, possa essere superata col richiamo alla norma contenuta nel primo comma dell’art. 36 della Costituzione. Al di là della intitolazione della legge e delle intenzioni che il legislatore si è attribuito, o che sono state attribuite al legislatore, vale la realtà delle norme contenute nella legge di delegazione e il modo col quale la delegazione è stata esercitata: l’una e l’altro non lasciano dubbi sul fatto che la legge abbia inteso di conferire e abbia in effetti conferito efficacia generale a contratti collettivi e ad accordi economici con forme e procedimento diversi da quelli previsti dall’art. 39 della Costituzione.
5. – Senonche, la Corte non può ignorare che le forme e il procedimento previsti dalle norme costituzionali non sono ancora applicabili. La Corte non deve ricercare i motivi di questa inadempienza costituzionale, ma non può non prendere atto della carenza legislativa che ne deriva e delle conseguenze che essa provoca nel campo dei rapporti di lavoro. In questa situazione la legge impugnata assume il significato e compie la funzione di una legge transitoria, provvisoria ed eccezionale, rivolta a regolare una situazione passata e a tutelare l’interesse pubblico della parità di trattamento dei lavoratori e dei datori di lavoro. In questo senso, e soltanto in questo senso, può ritenersi fondata l’osservazione che ricorre ripetutamente nelle difese svolte davanti alla Corte, che con la legge impugnata non si sia voluto dare attuazione al sistema previsto dall’art. 39 della Costituzione, del quale, anzi, si può aggiungere, si presuppone imminente l’attuazione. Del che pare conferma la norma contenuta nell’art. 7, secondo comma, che limita l’efficacia delle norme delegate fino al momento in cui non siano intervenuti accordi e contratti validi per tutti gli appartenenti alla categoria: sicché si può dire che la legge miri a collegare il regime dei contratti di diritto comune con l’altro dei contratti con efficacia generale, a mezzo di un regolamento transitorio: circostanza che la pone al riparo dal contrasto con l’art. 39 della Costituzione.
6. – Ma queste medesime ragioni, che inducono la Corte a dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge 14 luglio 1959, n. 741, impongono, viceversa, di dichiarare l’illegittimità costituzionale della legge 1º ottobre 1960, n. 1027: più esattamente, dell’art. 1 di questa legge, il quale conferisce al Governo il potere di emanare norme uniformi alle clausole degli accordi economici e dei contratti collettivi stipulati entro i dieci mesi successivi alla data di entrata in vigore della richiamata legge n. 741. Questa norma, infatti, estende il campo di applicazione della delega oltre la data del 3 ottobre 1959 e ne allarga l’efficacia agli accordi e ai contratti stipulati dopo questa data. Da ritenere, infatti, che anche una sola reiterazione della delega (a tale riducendosi la proroga prevista dall’art. 1 della legge impugnata), toglie alla legge i caratteri della transitorietà e dell’eccezionalità che consentono di dichiarare insussistente la pretesa violazione del precetto costituzionale e finisce col sostituire al sistema costituzionale un altro sistema arbitrariamente costruito dal legislatore e pertanto illegittimo.
La Corte mette dei precisi paletti e delimita il perimetro di intervento del legislatore in materia di efficacia erga omnes dei contratti collettivi in assenza dell’attuazione dell’art. 39, comma IV della Costituzione e cioè la transitorietà, la provvisorietà e l’eccezionalità.
Quest’ultimo requisito però non deve intendersi non solo come deroga a delle norme di legge o alla contrattazione collettiva ma anche nel senso che il legislatore una tantum può far estendere l’efficacia dei contratti collettivi a tutti i lavoratori cui si riferisce il contratto collettivo stesso.
Inoltre la Corte costituzionale legittima estensione erga omnnes perché la legge allora sospettata di incostituzionalità era rivolta a regolare una situazione passata e a tutelare l’interesse pubblico alla parità di trattamento dei lavoratori e dei datori di lavoro.
Quando una norma di legge non ha queste caratteristiche e svolge la funzione di estendere erga omnes l’efficacia dei contratti collettivi di diritto comune è chiaramente incostituzionale tanto poi lo stesso giudice delle leggi ha dichiarato incostituzionale nella stessa sentenza un’altra legge portata al suo esame che non aveva i predetti requisiti come si evince dai passi della motivazione prima riportati.
L’art. 8 del decreto-legge n. 138 del 2001 convertito nella legge n. 148 del 2011 non è affatto provvisorio né transitorio né eccezionale nel senso prima indicato ma regola e disciplina la contrattazione collettiva di prossimità attribuendole in modo permanente e ordinario efficacia erga omnes anche in violazione di norme di legge di tutela dei diritti dei lavoratori e non rivolta alla parità di trattamento né a regolare una situazione passata.
Anzi al contrario, sancisce la possibilità di disparità di trattamento, anche in pejus tra lavoratori, e non regola una situazione passata ma dispone per l’avvenire come tutte le norme di legge tranne le note eccezioni.
Né a diverse conclusioni si può giungere sulla base di altre due sentenze della Corte costituzionale la numero 309 del 1997 che riguarda il pubblico impiego privatizzato e la numero 221 del 2012 che invece era relativa ad un conflitto di attribuzione rispetto al quale la tematica dell’art. 39, comma IV era del tutto estranea e non era stato affrontato dalla Corte costituzionale in rapporto all’art. 8 della legge in esame.
Anche nella sentenza n. 309 del 1997, la Corte costituzionale ha ritenuto che le norme di legge sottoposte al suo esame, l’art. 45, commi 2,7, e 9 e art. 49, comma 2 del decreto legislativo n. 29 del 1993 non realizzassero un meccanismo di efficacia erga omnes alla contrattazione collettiva nel pubblico impiego ma si collocavano sul distinto piano delle conseguenze che ne derivavano nel rapporto tra pubblica amministrazione e dipendenti.
Tutto ciò premesso.
P.Q.M.
verificata la rilevanza della applicazione dell’art. 8 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148 nella controversia portata al suo esame
Solleva questione di legittimità costituzionale della detta norma per violazione degli articoli 2 e 39, comma primo della Costituzione nonché art. 39, comma IV della Costituzione nella parte in cui estende l’efficacia dei contratti aziendali o di prossimità a tutti i lavoratori interessati anche se non firmatari del contratto o appartenenti ad un sindacato non firmatario del contratto collettivo.
Dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il processo in corso.
Dispone la notifica della presente ordinanza alle parti costituite nonché alla Presidenza del Consiglio dei ministeri.
Dispone la comunicazione della presente ordinanza alla Presidente del Senato e al Presidente della Camera.