CORTE DEI CONTI – Ordinanza 06 dicembre 2018
Previdenza – Dipendenti pubblici – Personale cessato dal servizio dopo il 3 novembre 1997 ed entro il 31 dicembre 1997 – Differimento al 1° aprile 1998 per l’accesso al pensionamento di anzianità. – Legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), art. 59, commi 54 e 55; decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 30 marzo 1998, emanato di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e con il Ministro per la funzione pubblica e gli affari regionali (Programmazione dell’accesso al pensionamento di anzianità dei pubblici dipendenti, ai sensi dell’art. 59, comma 55, della L. 27 dicembre 1997, n. 449), art. 1.
Considerato in fatto
Con atto di ricorso ritualmente depositato e notificato, il sig. S.A. ha chiesto che sia accertato il proprio diritto a pensione, con decorrenza dal giorno della cessazione dal servizio (30 novembre 1997) e conseguente diritto ad ottenere il pagamento dei ratei previdenziali arretrati e non riscossi – relativi ai mesi di dicembre 1997, gennaio 1998, febbraio 1998 e marzo 1998 – oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, previa dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 59, commi 54 e 55, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e dell’art. 1 del D.I. del 30 marzo 1998, per violazione degli articoli 3, 36 e 38 Cost. Espone il ricorrente che, in accoglimento della domanda presentata il 19 maggio 1997, la Prefettura della Provincia di Lecce – con decreto emesso in data 12 giugno 1997 – disponeva la cessazione dal servizio dell’interessato con decorrenza dal 30 novembre 1997.
Senonché, a seguito della entrata in vigore dell’art. 1 decreto-legge n. 375 del 3 novembre 1997, il quale stabiliva la sospensione della applicazione di ogni disposizione di legge, di regolamento e di accordi collettivi che prevedevano il diritto a trattamenti pensionistici di anzianità anticipati rispetto all’età pensionabile o all’età prevista per la cessazione dal servizio in base ai singoli trattamenti fino alla entrata in vigore della legge finanziaria per il 1998, si procedeva da parte della D.P.T. di Lecce alla sospensione dell’ammissione a pagamento della partita di pensione intestata al ricorrente.
Successivamente, era promulgata la legge 27 dicembre 1997, n. 449 (legge finanziaria per il 1998), il cui art. 59, comma 54, confermava quanto disposto dal decreto-legge n 375/1997. Il successivo comma 55 rinviava ad un decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale (di concerto con il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica) la determinazione dei termini di accesso al trattamento pensionistico di anzianità, che, per il personale delle Forze armate – compresa l’Arma dei carabinieri, del Corpo della guardia di finanza, delle Forze di polizia ad ordinamento civile e del Corpo nazionale dei vigili – che aveva presentato in data anteriore al 3 novembre 1998 domanda accettata dall’amministrazione di appartenenza per accedere al pensionamento entro il 1998 l’art. 1 del D.I. 30 marzo 1998 stabiliva, a decorrere dal 1° aprile 1998 per i casi di definitiva estinzione del rapporto di lavoro entro il 31 dicembre 1997. Con nota dell’8 aprile 1998, quindi, la Prefettura della Provincia di Lecce trasmetteva alla Direzione provinciale del tesoro di Lecce i provvedimenti di attribuzione del trattamento provvisorio di pensione a decorrere dal 1° aprile 1998.
Nei motivi di ricorso, si richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 347/97, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5, lettera b), legge 23 dicembre 1994, n. 724, nella parte in cui è differito al 1° gennaio 1996 il trattamento pensionistico del personale della scuola collocato a riposo dal 1° settembre 1995, anche se il comma 8 riconosceva ai dipendenti del comparto scuola la facoltà di revocare la domanda di pensionamento, pure accettata, allo scopo di evidenziare la irrazionalità, illogicità ed incongruenza intrinseca dell’art. 59 della legge n. 449/1997.
All’odierna udienza, l’avv. L. ha insistito sulla questione di costituzionalità posta.
Diritto
Oggetto del presente giudizio è il riconoscimento del diritto alla pensione di anzianità, a far data dal 30 novembre 1997, con i ratei arretrati e non riscossi limitatamente alle mensilità di dicembre 1977 e gennaio, febbraio, marzo 1998.
La questione di legittimità costituzionale degli articoli 59, commi 54 e 55, legge 27 dicembre 1997, n. 449 e 1 D.I. 30 marzo 1998 sollevata dal ricorrente si appalesa come rilevante, in quanto il presente giudizio non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione della presente eccezione, siccome reso evidente dalla ricostruzione dei termini della res controversa. Si ripropone, infatti, in termini analoghi la problematica esaminata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 347/1997 del vuoto di quattro mesi della pensione e della retribuzione.
Il dubbio di legittimità costituzionale ricollegabile alla violazione dell’art. 3 Cost. – di cui si dirà a breve – non è superabile, altresì, mediante interpretazione adeguatrice ovvero secundum constitutionem, che, come è noto, rappresenta, da almeno due decenni, a partire dalla sentenza n. 456 del 1989, una delle condizioni di ammissibilità dell’incidente di costituzionalità, in quanto la normativa censurata non ha carattere polisenso, operando in maniera chiara e tassativa l’art. 59, comma 54 e 55, legge n. 449/1997 con riferimento ai lavoratori che hanno presentato domanda di accesso alla pensione di anzianità in data anteriore al 3 novembre 1997 e per i quali la domanda sia stata accettata dall’amministrazione di appartenenza, ove previsto.
Deve ricordarsi, infatti, che l’art. 59, comma 54, conferma relativamente al periodo dal 3 novembre 1997, sino alla data di entrata in vigore della legge finanziaria per il 1998, la sospensione delle previgenti norme di legge, regolamento o di accordo collettivo attributive del diritto, con decorrenza nel periodo suindicato, a trattamenti pensionistici di anzianità rispetto all’età pensionabile o all’età prevista per la cessazione dal servizio dai singoli ordinamenti. In tal modo si rendeva definitiva la sospensione già sancita dall’art. 1 del decreto-legge 3 novembre 1997, n. 375, decaduto per mancata conversione e specificamente abrogato, conservando validità agli atti ed ai provvedimenti adottati ed ai provvedimenti adottati e facendo salvi gli effetti prodottisi, dall’art. 63 della legge n. 449/1997.
La questione di legittimità costituzionale, oltre che rilevante, non è manifestamente infondata, in quanto le norme censurate si pongono innanzitutto in irrimediabile contrasto con l’art. 3, comma 1, Cost., inteso quale canone di «ragionevolezza».
Va ricordato che la lettura che la giurisprudenza della Corte costituzionale offre del principio di eguaglianza porta ad enucleare anche un generale principio di «ragionevolezza», rispetto al quale l’affidamento rappresenta una delle possibili figure sintomatiche, come si è scritto in dottrina, sotto il profilo delle conseguenze prodotte dalla sua violazione, rilevando la ragionevolezza allorquando l’affidamento legittimo sia stato frustrato dal legislatore.
La Corte costituzionale ha utilizzato il concetto di legittimo affidamento fin dalla sentenza n. 349 del 1985, che ha riconosciuto la possibilità di variare con legge i trattamenti pensionistici in corso, anche se si tratta di diritti soggettivi perfetti, ma ha chiarito che: «dette disposizioni, però, al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un regolamento irrazionale ed arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando cosi anche l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondamentale ed indispensabile dello Stato di diritto» (cfr. sentenza n 573/1990 e sentenza n. 822/1988). Anche recentemente la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare che «la tutela dell’affidamento non comporta che, nel nostro sistema costituzionale, sia assolutamente interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata» con l’unico limite che esse non trasmodino in «un regolamento irrazionale», così arbitrariamente incidendo sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti (sentenza n. 16/2017).
Si può, peraltro, rinvenire nella giurisprudenza costituzionale la tendenza ad affermare un rapporto di proporzionalità diretta tra il passare del tempo e il rafforzamento dell’affidamento: maggiore è il primo, minore sarà la possibilità per il legislatore di incidere «ragionevolmente» sulla posizione giuridica acquisita (cfr. sentenze n. 56/2015 e n. 216/2015).
Nel caso in esame, il lasso temporale intercorso fra la disciplina previgente – rappresentata dalla legge n. 335/1995 – e la normativa rappresentata dalla legge, n. 449/1997 e, in rapida successione, dal D.I. 30 marzo 1998, sul «blocco» delle pensioni di anzianità, già anticipato in via provvisoria dall’art. l del decreto-legge n. 375/1997, è un sicuro indice del consolidamento della posizione soggettiva vantata dal lavoratore, il quale confidava sulla perdurante validità delle vecchie regole del pensionamento di anzianità.
Ma vi è di più: e cioè, l’assenza di disposizioni transitorie volte a regolare il passaggio tra la vecchia e la nuova normativa, che, invece, caratterizzava la legge n. 335/1995. I nuovi parametri, sintetizzati nella tab. D allegata alla legge n. 449 del 1997 precludono, infatti, ai dipendenti (pubblici e privati) di accedere alla pensione di anzianità secondo il regime transitorio contemplato dalla legge n. 335/1995.
Il legislatore ha, dunque, mancato di predisporre una adeguata tutela a favore di quei soggetti le cui aspettative maturate durante l’iter di formazione progressiva del diritto al trattamento pensionistico avevano raggiunto un elevato livello di consolidamento, tale da dover essere posto al riparo dalla sostituzione dei requisiti previsti dalla legge n. 335/1995. Pur in mancanza di un obbligo generalizzato di motivazione della legge, in ragione del silenzio serbato in proposito dalla Costituzione, ai fini del sindacato sulla ragionevolezza è importante verificare la ratio legis soprattutto dopo la sentenza n. 70 del 2015, seguita a stretto giro dalla sentenza n. 108 del 2016.
In entrambe le occasioni, infatti, la Corte costituzionale ha accolto le questioni sollevate dai giudici a quibus, rimproverando al legislatore la mancanza di una qualunque «relazione tecnica» circa i supposti risparmi di spesa derivanti dalla normativa censurata. Qui interessa il seguente passaggio argomentativo: i risparmi di spesa non possono essere solo affermati, dovendo altresì essere allegati e giustificati in funzione e in proporzione al sacrificio imposto agli interessi economici lesi dalla norma censurata.
Ed è significativo osservare che il giudice delle leggi riconosca nella sentenza n. 108 del 2016 che tale previsione tecnica, considerate le peculiarità della disciplina presa in esame, sarebbe stata difficilmente configurabile, ma che ciò nonostante la mancanza di qualunque riferimento sul punto non gli impedisca di valutare la proporzione tra i sacrifici imposti all’affidamento del singolo e il beneficio tratto dalle casse pubbliche, rafforzando la censura di incostituzionalità.
Anche nel caso in esame manca una stima dei risparmi di spesa derivanti dalla norma censurata e non sembri una forzatura, quindi, ripetere quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 108 del 2016, secondo cui: «Occorre ricordare che la norma non appare corredata da alcuna relazione tecnica circa i risparmi da conseguire e tale stima sarebbe obiettivamente difficile(…)» (v. 4. del Considerato in diritto, in fine).
Ad avviso di questo giudice, quindi, il diritto alla pensione di anzianità, nei casi di cui sopra, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio.
Il giudizio va, quindi, sospeso e gli atti trasmessi alla Corte costituzionale per la conseguente pronunzia.
P.Q.M.
Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
Dispone la sospensione del giudizio in corso e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la pronuncia sulla questione di legittimità costituzionale di cui in premessa;
Ordina che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
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