CORTE DEI CONTI – Ordinanza 07 maggio 2020
Pensioni – Regime dei cumuli – Previsione che gli importi dei trattamenti pensionistici ai superstiti sono cumulabili con i redditi del beneficiario, nei limiti indicati – Trattamento derivante dal cumulo che non può essere inferiore a quello che spetterebbe allo stesso soggetto qualora il reddito risultasse pari al limite massimo delle fasce immediatamente precedenti quella nella quale il reddito posseduto si colloca – Decurtazione della pensione di reversibilità – Legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), art. 1, comma 41, terzo e quarto periodo, e allegata tabella F.
Fatto
1. Con sentenza non definitiva, depositata contestualmente alla presente ordinanza e da intendersi qui integralmente richiamata, sono stati parzialmente rigettati i capi di domanda mediante cui A.P., la quale dal 1° febbraio 2015 era titolare di una pensione di reversibilità che da quello stesso anno era stata assoggettata a decurtazioni ex art. 1, comma 41 della legge n. 335/1995, aveva censurato la legittimità di queste ultime sul piano sia procedimentale che sostanziale.
A quest’ultimo proposito la predetta ricorrente aveva sostenuto, tra l’altro, che almeno per l’annualità 2015 quelle decurtazioni eccedevano i redditi aggiuntivi rispettivamente rilevanti: i quali, esattamente, erano quelli da lei conseguiti nel 2014.
Nella resistenza dell’INPS questo giudice ha accertato, innanzitutto, che le decurtazioni oggetto del contendere risultavano riferite non soltanto al 2015, ma anche al 2016; e, quantunque non rilevanti rispetto alla presente ordinanza, pure agli anni successivi. Inoltre è stato chiarito che i redditi aggiuntivi della P., in relazione ai quali via via commisurare quelle decurtazioni, erano stati pari a:
– 30.106 euro nel 2014, con conseguenti decurtazioni non inferiori a 43.174,43 euro sulla pensione di reversibilità a lei spettante per il 2015;
– 30.646 euro nel 2015, con correlative decurtazioni per 47.638,02 euro sulla pensione di reversibilità dovuta alla ricorrente stessa per il 2016.
Quindi, anche alla luce di tali circostanze in facto, questa sezione, da un lato, ha disatteso le doglianze attoree fino a rispettiva concorrenza dei redditi aggiuntivi testè indicati; e, per altro verso, ha dato ulteriore corso all’odierno giudizio onde vagliare se le decurtazioni, riguardo al cui calcolo era stato sostanzialmente avallato l’operato dell’INPS in sé, risultassero legittime anche nella misura in cui, per ambo quelle annualità, esse travalicavano i redditi aggiuntivi della P. stessa.
Diritto
2. In argomento il già menzionato comma 41, dell’art. 1 della legge n. 335/1995 detta, al terzo periodo, il principio generale secondo cui «gli importi dei trattamenti pensionistici ai superstiti sono cumulabili con i redditi del beneficiario, nei limiti di cui all’allegata tabella F». Mentre, al quarto periodo di quel medesimo comma, viene posta una clausola di salvaguardia: a mente della quale «il trattamento derivante dal cumulo dei redditi di cui al presente comma con la pensione ai superstiti ridotta non può essere comunque inferiore a quello che spetterebbe allo stesso soggetto qualora il reddito risultasse pari al limite massimo delle fasce immediatamente precedenti quella nella quale il reddito posseduto si colloca».
Inoltre nella tabella F, a cui rinvia il terzo periodo, vengono stabilite tre fasce in cui passano alternativamente rientrare i redditi che il titolare di una pensione di reversibilità possieda in aggiunta alla pensione stessa. A partire dalla più modesta quelle fasce hanno, come rispettivo limite inferiore: il triplo, il quadruplo ed il quintuplo del trattamento minimo annuo previsto dal Fondo pensioni lavoratori dipendenti; mentre, per la fascia bassa e per quella intermedia, la rispettiva soglia massima coincide con la soglia minima della fascia immediatamente superiore.
3. Invero nella sentenza non definitiva è stato limpidamente accertato come la clausola di salvaguardia sia stata costantemente applicata dall’INPS, in favore della P.: talché appare superfluo descrivere nuovamente nella presente ordinanza il concreto funzionamento di detta clausola. D’altronde il calcolo operato dall’ente pensionistico, oltre a non esser stato intrinsecamente contestato dalla ricorrente, si è rivelato pressochè corretto sul piano aritmetico; e, soprattutto, conforme alla normativa testè richiamata.
Quel che qui rileva, allora, è la circostanza secondo cui tale normativa comporta, sulla pensione di reversibilità spettante alla P. tanto per l’annualità 2015 quanto per quella 2016, decurtazioni quantitativamente superiori rispetto ai redditi aggiuntivi il cui possesso, nell’anno rispettivamente precedente ciascuna di quelle medesime annualità, costituisce la causa efficiente delle decurtazioni stesse. Mentre per la concreta misura di quelle eccedenze è sufficiente rinviare al confronto, di cui alla pregressa narrativa in fatto, tra le decurtazioni applicate per ognuna di quelle due annualità ed i rispettivi redditi aggiuntivi: si tratta di circa 13.000 euro per il 2015 e di circa 17.000 euro per l’anno successivo. E’ altresì appena il caso di evidenziare come a ciascun’annualità della pensione di reversibilità corrispondano decurtazioni totalmente autonome, rispetto a quelle operate per gli anni precedenti ovvero applicabili per quelli successivi: ragion per cui l’eccedenza quantitativa in argomento non è suscettibile di alcuna forma di compensazione o recupero negli anni a venire. Perciò risulta totalmente irrilevante la conclusione alla quale si è pure giunti nella sentenza non definitiva: ossia quella secondo cui, per il 2017, le decurtazioni oggetto del contendere sono state pari «soltanto» a 4.250,29 euro: a fronte di redditi aggiuntivi che, rispetto a quest’ultima cifra, nel 2016 erano stati maggiori di quasi ventimila euro.
4. Orbene, ad avviso di questo giudice, l’esorbitanza quantitativa delle decurtazioni applicabili per il 2015 e per il 2016, in paragone ai redditi aggiuntivi rispettivamente rilevanti per tali anni, trae con sé un contrasto del combinato disposto del terzo e quarto periodo del comma 41 della legge n. 335/1995 e della connessa tabella F, in riferimento al principio di ragionevolezza a cui è informato il secondo comma dell’art. 3 della Costituzione.
La rilevanza di tale questione è già stata sufficientemente sottolineata. Invero, pur applicando la clausola di salvaguardia di cui al quarto periodo del comma 41 ed alla tabella F richiamata dal terzo periodo, nel caso di specie si perviene a quantificare le decurtazioni in misura (largamente) superiore rispetto a quella dei correlativi redditi aggiuntivi posseduti dalla P.: con conseguente inevitabile rigetto totale della domanda attorea concernente la correttezza di quelle decurtazioni, ossia anche in riferimento a tale eccedenza.
All’inverso la fondatezza della questione di legittimità costituzionale delle predette norme comporterebbe, tanto per l’annualità 2015 quanto per quella 2016, che le decurtazioni già calcolate dall’INPS debbano venir ricondotte entro il limite di cui ai rispettivi redditi aggiuntivi: con un beneficio, nel complessivo biennio, di circa 30.000 euro per la P. e con la conseguente declaratoria di illegittimità sostanziale in parte qua dei due indebiti da lei censurati nell’odierno giudizio.
5. A sostegno della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale parrebbe sufficiente sottolineare come decurtazioni ultra vires esulino palesemente dalla ratio della normativa qui censurata: ratio che consiste nell’escludere il diritto alla pensione di reversibilità nella misura in cui, a quest’ultima, il relativo titolare cumuli ulteriori redditi la cui entità sia tale da controbilanciare la parallela decurtazione di quella medesima pensione.
Peraltro è interessante osservare, anche ai fini che qui interessano, come tale decurtazione lasci comunque fermo, pur nell’eventualità meno favorevole per il pensionato, il diritto al cumulo nella misura minima del 50% sancita per la fascia più alta della tabella F: quindi a prescindere da quanto cospicuo possa rivelarsi l’ammontare dei redditi aggiuntivi posseduto dal titolare della pensione in argomento.
Se anche tale considerazione concorre a rendere palesemente irrazionale l’antitetica eventualità secondo cui le decurtazioni possano addirittura eccedere quei redditi aggiuntivi, a ben vedere tutte le possibilità fattuali fin qui descritte, ivi compresa quella da cui promana la questione di legittimità costituzionale qui sollevata, traggono la loro causa efficiente nella reciproca autonomia tra il parametro in base al quale va stabilita l’entità delle decurtazioni, ossia i redditi aggiuntivi posseduti dal pensionato nell’anno precedente, e l’ammontare della pensione di reversibilità anteriormente alle decurtazioni stesse. Mentre la clausola di salvaguardia di cui al quarto periodo va soltanto a temperare le conseguenze concrete di quell’autonomia: senza però eliminare in radice l’assurda eventualità che le decurtazioni possano travalicare i correlativi redditi aggiuntivi di riferimento.
6. Se tale autonomia esclude che possa mai derubricarsi a mera casualità aritmetica l’eventualità in commento, deve infine considerarsi che l’esorbitanza qui censurata si risolve in un totale stravolgimento dell’istituto delle decurtazioni. Infatti queste, da modalità mediante cui bilanciare (parzialmente) la circostanza secondo cui il pensionato disponga aliunde di mezzi adeguati a quelle esigenze di vita richiamate dal secondo comma dell’art. 38 della Costituzione, si trasformerebbero in mero pretesto per un’espropriazione della pensione di reversibilità in misura appunto superiore rispetto a quei redditi aggiuntivi. Né occorre sottolineare come, in una simile evenienza, assurdamente risulterebbe preferibile che il pensionato non avesse conseguito affatto quei redditi aggiuntivi o, almeno, che essi non avessero travalicato la soglia di rilevanza di cui alla tabella F, costituita dal triplo del trattamento minimo annuo previsto dal Fondo pensioni lavoratori dipendenti: perché, in ambo i casi, il complessivo risultato si rivelerebbe più favorevole per il pensionato stesso.
P.Q.M.
in relazione al giudizio n. 76085 proposto da A. P. contro l’INPS, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del terzo e quarto periodo del comma 41 dell’art. 1 della legge n. 335/1995 e della connessa tabella F, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui prevede che la decurtazione effettiva della pensione ai superstiti il cui beneficiario possieda redditi aggiuntivi possa eccedere l’ammontare complessivo di tali redditi, e per l’effetto:
1) solleva la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del terzo e quarto periodo del comma 41 dell’art. 1 della legge n. 335/1995 e della connessa tabella F, in riferimento all’art. 3 della Costituzione;
2) sospende il presente giudizio sino alla comunicazione della decisione che la Corte costituzionale avrà adottato sulla predetta questione di legittimità costituzionale;
3) dispone che gli atti del presente giudizio vengano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale;
4) dispone che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, nonché al Presidente del Consiglio dei ministri;
5) dispone che la presente ordinanza sia comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica.