CORTE DEI CONTI – Ordinanza 11 agosto 2021
Previdenza – Personale diplomatico in servizio all’estero – Attribuzione dell’indennità o della retribuzione di posizione nella misura minima prevista dalle disposizioni applicabili – Computo dell’indennità o della retribuzione di posizione, così prefissata, nella base pensionabile per la determinazione del trattamento previdenziale del personale diplomatico che rimane assegnato a una sede di servizio all’estero sino alla data del collocamento a riposo. – Decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 43, primo comma, e decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, art. 170, primo comma, in combinato disposto tra loro
Fatto
1. Con ricorso depositato presso questa Sezione il 29 aprile 2014, nonché ivi riassunto dopo che la Corte di cassazione con ordinanza n. 14796/2016 aveva regolato in favore di questa Corte la giurisdizione sulla domanda attorea, M. F., funzionario diplomatico collocato a riposo il 1° febbraio 2007 con il grado di ministro plenipotenziario dopo aver svolto l’ultimo periodo di servizio presso una sede diplomatica all’estero, ha domandato ai fini pensionistici un più favorevole computo dell’indennità di posizione connessa a quel rapporto d’impiego. In particolare, secondo la prospettazione attorea, quell’indennità andrebbe riconosciuta dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (in sigla: MAECI) nella maggior misura spettante al «… personale di pari grado e funzioni in servizio in Italia» (cosi le conclusioni del ricorso introduttivo): cioè avendo riguardo alla posizione funzionale di rango più elevato o, in subordine, a quella di minor rango da attribuirsi ad un funzionario diplomatico avente il grado di ministro plenipotenziario che presti servizio nella sede centrale di quel Ministero; o ancora, in via ulteriormente subordinata, nella medesima misura concretamente percepita dall’odierno ricorrente durante la sua pregressa assegnazione presso l’Amministrazione centrale antecedente a quella, in sede estera, che aveva caratterizzato il suo conclusivo periodo di servizio.
Riguardo a tale domanda, proposta nel contraddittorio tanto del Ministero dell’economia e delle finanze (in sigla: MEF) e del MAECI quanto dell’INPS tutti costituitisi, con sentenza non definitiva n. 662/2019, pronunciata contestualmente alla presente ordinanza e da intendersi qui integralmente richiamata, è stato dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’INPS sulla pretesa attorea.
Inoltre, con la presente ordinanza, l’odierno giudizio è stato vagliato nel merito.
Diritto
2. Nella materia delle pensioni a carico dello Stato riveste carattere fondamentale il principio di cui al primo comma dell’art. 43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092/1973: a mente del quale, «ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza dei dipendenti civili, la base pensionabile …(è) costituita dall’ultimo stipendio o dall’ultima paga o retribuzione…». Quindi tale norma rende necessario individuare, concettualmente prima ancora che materialmente, il trattamento retributivo nell’esatto momento in cui si concluda un dato rapporto d’impiego.
3. Peraltro sul piano retributivo, con riguardo al caso di specie, il primo comma dell’art. 170 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18/1967 sancisce che «il personale dell’Amministrazione degli affari esteri, oltre allo stipendio e agli assegni di carattere fisso e continuativo previsti per l’interno, compresa l’eventuale indennità o retribuzione di posizione nella misura minima prevista dalle disposizioni applicabili, tranne che per tali assegni sia diversamente disposto, percepisce, quando è in servizio presso le rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari di prima categoria, l’indennità di servizio all’estero, stabilita per il posto di organico che occupa …».
Tuttavia si vedrà in prosieguo come quella che, nella fattispecie, il MAECI ha computato ai fini pensionistici non coincida con la retribuzione dell’ultimo periodo di servizio svolto all’estero dall’odierno ricorrente. Soprattutto, però, tale operato del MAECI stesso sottende un concetto di «ultima retribuzione» che comporta una palese sperequazione tra funzionati diplomatici di pari grado: i quali invece, nell’esatto momento in cui cessano dal rispettivo servizio, concettualmente devono veder pienamente equiparato tra loro il trattamento retributivo e, quindi, quello pensionistico. Infatti, allo spirare del rapporto d’impiego, ovviamente perde rilievo la pregressa circostanza secondo cui l’un funzionario diplomatico risultasse assegnato presso la sede centrale del MAECI e l’altro, invece, ad un qualsiasi ufficio all’estero.
4. Invero l’indennità di posizione è determinata contrattualmente con riguardo alle funzioni rivestite da ciascun appartenente alla carriera diplomatica: le quali sono altresì connesse al grado rivestito da quel medesimo soggetto ai sensi del secondo comma dell’art. 101 del già richiamato decreto del Presidente della Repubblica n. 18/1967, ferma restando l’unitarietà del ruolo sancita dal primo comma di quel medesimo articolo.
Nel caso di specie nel 2001 il F. era stato assegnato alle dirette dipendenze del direttore generale per la Cooperazione Economica e Finanziaria Multilaterale; mentre nel 2004 gli erano state conferite le funzioni di capo della rappresentanza diplomatica a Tegucigalpa, che lui aveva quindi svolto sino alla data del 1° febbraio 2007 in cui era stato collocato a riposo (all. 8 al ricorso, senza contestazioni del MAECI).
Quindi, in riferimento al grado da lui rivestito a quella medesima data, è agevole identificare, tra le funzioni da svolgersi presso l’amministrazione centrale ex art. 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18/1967 nel testo vigente alla data di collocamento a riposo dell’odierno ricorrente, quelle più elevate e quelle meno rilevanti. E tali funzioni, in virtù dell’art. 7 comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 94/2008 recante il trattamento economico del personale diplomatico a quella medesima data di collocamento a riposo dell’odierno ricorrente, anche nell’ipotesi a lui meno favorevole avrebbero comportato il ripristino di un’indennità di posizione di entità maggiore rispetto alla misura minima attribuitagli durante il pregresso servizio all’estero.
5. Reputa questo giudice che tale rilevante sperequazione concettuale, prima ancora che quantitativa, tra un funzionario diplomatico che abbia svolto a Roma l’ultima tranche del servizio presso il MAECI ed uno che, invece, abbia lavorato in una sede estera durante quel medesimo segmento temporale, non sia concepibile che permanga nel momento in cui cessino le funzioni esercitate, in Italia o all’estero, da qualsiasi appartenente alla carriera diplomatica: ossia allorquando questi conserva esclusivamente il grado rivestito.
Invero l’esclusivo riferimento al grado connota anche il trattamento pensionistico del personale militare: i cui ufficiali notoriamente non vengono collocati a riposo con la qualifica di direttore dell’ufficio X presso il Ministero della difesa, piuttosto che di comandante della divisione Y; bensì, semplicemente, con il grado p.es. di generale di corpo d’armata piuttosto che di colonnello. Oltretutto è assai frequente per essi la c.d. promozione alla vigilia, la quale ha riflessi essenzialmente pensionistici, oltrechè in tema di indennità di buonuscita; mentre nel caso di specie si assiste ad un fenomeno diametralmente inverso, ossia l’ancoraggio della pensione ad un trattamento retributivo fatalmente transitorio, vista l’inevitabile altalenanza tra svolgimento di funzioni all’estero o invece in sede centrale, anziché ad una costante remunerazione normale pertinente esclusivamente al grado rivestito.
6. Sul piano letterale appare poi evidente come la misura normale dell’indennità di posizione coincida con quella goduta dal funzionario diplomatico che presti servizio in Italia. Depone in tal senso sia il primo comma del già richiamato art. 170, laddove nel caso di servizio all’estero quell’indennità si considera spettante nella «… misura minima …», anziché in quella base; sia la normativa di matrice negoziale, tra cui p.es. il già menzionato art. 7 comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 94/2008: che, per il funzionario diplomatico che presti servizio in Italia, richiama «… le misure della retribuzione di posizione …» senza aggettivi di sorta. Talché logica vuole che, nel momento in cui le funzioni all’estero cessano in virtù del collocamento a riposo, l’indennità di posizione venga automaticamente ripristinata, sia pur ai soli fini del trattamento di quiescenza, nella misura ordinariamente pertinente al grado posseduto da quel dato funzionario diplomatico; nonché alle funzioni che, in base al grado stesso, sarebbero state a lui conferibili presso l’Amministrazione centrale, ove fosse rimasto in servizio.
7. Inoltre la tesi secondo cui il menzionato art. 170 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18/1967 consentirebbe di ripristinare, ai fini pensionistici, la misura «italiana» dell’indennità di posizione appare indirettamente confortata dalla lettera a del comma 1 dell’art. 1-bis del decreto-legge n. 138/2011, convertito dalla legge n. 148/2011: che va ad interpretare in via autentica l’art. 170 stesso nel senso di escludere che l’indennità integrativa speciale spetti al dipendente del MAECI che presti servizio all’estero.
Infatti, non essendo stato contestato ex adverso l’assunto attoreo secondo cui quest’ultima indennità risulti comunque computata ai fini pensionistici (pag. 14 del ricorso), evidentemente ciò avviene perché il combinato disposto tra il principio generale di cui all’art. 43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092/1973 e la norma di dettaglio di cui al predetto art. 170 viene applicato dal MAECI in maniera antitetico rispetto a quanto avviene per l’indennità di posizione. Perciò appare conforme al principio di eguaglianza sostanziale la conseguenza secondo cui pure quest’ultima componente retributiva torni coerentemente ad espandersi alla misura normale, in concomitanza con il collocamento a riposo del funzionario diplomatico, rispetto alla misura minima a lui applicata durante il servizio all’estero.
8. Invece, ad avviso del MAECI, il primo comma del più volte richiamato art. 170 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18/1967 legittimerebbe il computo, nel trattamento pensionistico, del medesimo importo di indennità di posizione fruito da ciascun funzionario diplomatico anteriormente al rispettivo collocamento a riposo. Ma in realtà, sul piano squisitamente testuale, quella norma ha soltanto l’effetto di limitare alla misura minima il quantum dell’indennità di posizione spettante al funzionario diplomatico fintantochè presti servizio all’estero.
Destituita di fondamento è anche la tesi secondo cui la sperequazione pensionistica in commento risulterebbe controbilanciata dalla percezione dell’indennità di servizio all’estero: la quale, invece, è circoscritta esclusivamente al periodo in cui il funzionario diplomatico presti servizio presso una sede estera; mentre è rimasta totalmente indimostrata la contraria allegazione del MAECI secondo cui quest’ultima indennità verrebbe conservata nel trattamento di quiescenza. In realtà quella pubblica amministrazione sembra aver operato un’evidente commistione fra la parziale imponibilità fiscale dell’indennità de qua, sancita dal comma 8 dell’art. 51 del decreto del Presidente della Repubblica n. 917/1986, ed il suo inesistente computo ai fini pensionistici. D’altronde la conclusione secondo cui a detti fini non venga computata l’indennità di servizio all’estero discende dalla circostanza secondo cui essa «.. non ha natura retributiva essendo destinata a sopperire agli oneri derivanti dal servizio all’estero oltre a tener »… conto della peculiarità della prestazione lavorativa all’estero …« (art. 171 primo comma del decreto del Presidente della Repubblica n. 18/1967). E va da sé come, altrimenti, assurdamente le funzioni diplomatiche svolte dall’odierno, ricorrente si considererebbero protratte oltre la data di collocamento a riposo.
Palesemente fallace è altresì la vaga obiezione del MAECI secondo cui, nel caso di specie, l’eventuale computo dell’indennità di posizione in misura eccedente quella minima non risulterebbe preceduto da alcuna contribuzione previdenziale: in contrario bastando considerare l’eventualità in cui l’odierno ricorrente, al pari di qualsiasi altro suo collega, fosse tornato a prestare servizio a Roma p.es. un mese prima del proprio collocamento a riposo. Né il MAECI ha minimamente chiarito quanto ampio dovesse essere nel caso di specie lo iato temporale, tra il rientro presso la sede centrale e quel collocamento a riposo, perché l’indennità di posizione venisse concretamente computata ai fini pensionistici in misura maggiore di quella minima.
9. In virtù delle molteplici considerazioni fin qui svolte questo giudice, in una precedente pronuncia resa su una fattispecie identica a quella per cui è lite (sezione Lombardia, sentenza n. 53/2016, ripetutamente invocata anche dall’odierno ricorrente), era pervenuto ad un’interpretazione costituzionalmente orientata del primo comma dell’art. 170 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18/1967: reputando, dunque, che la misura minima ivi sancita per l’indennità di posizione valesse esclusivamente durante il periodo di servizio all’estero del personale diplomatico. E che, invece, il trattamento pensionistico andasse determinato sulla base della fictio iuris costituita da un rientro a Roma del diplomatico stesso esattamente in coincidenza con il suo collocamento a riposo: con conseguente attribuzione, ai soli fini pensionistici, del complessivo trattamento economico a cui egli avrebbe avuto diritto prestando servizio, a quella medesima epoca, presso la sede centrale.
Tuttavia tale linea interpretativa appare oggi frustrata dagli unici due precedenti giurisprudenziali che, a causa di dubbi in tema di giurisdizione inizialmente nutriti dal giudice contabile e poi fugati dalla Suprema Corte grazie alle ordinanze n. 14795 e n. 14796 emesse nel 2016, appaiono rinvenibili in punto di merito: ossia la sentenza n. 112/2017 della Seconda sezione giurisdizionale centrale d’appello, mediante la quale è stata integralmente riformata la poc’anzi richiamata pronuncia n. 53/2016, e la sentenza n. 244/2015 di questa Sezione. In ambedue tali decisioni il rigetto di domande analoghe a quella odierno è stato motivato con un laconico richiamo alla normativa generale, a cominciare dall’art. 43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092/1973: norma che però ai fini pensionistici, se non osta al computo dell’indennità integrativa speciale seppur non percepita durante il servizio all’estero, men che meno può precludere, al funzionario diplomatico che fino al rispettivo collocamento a riposo abbia lavorato all’estero, il computo dell’indennità di posizione nell’identica misura prevista per un collega che, fino a quel medesimo momento, abbia invece prestato servizio a Roma presso la sede centrale del MAECI.
Nondimeno deve qui prendersi atto di tale orientamento giurisprudenziale, anche perché affermato in grado d’appello. Perciò risulta inevitabile sollevare dinanzi alla Consulta la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del primo comma dell’art. 43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092/1973 e dell’art. 170 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18/1967, per contrasto con il secondo comma dell’art. 3 della Costituzione: perché nel loro insieme tali nonne vengono interpretate dalla giurisprudenza contabile nel senso di prevedere che, nei confronti del soggetto appartenente alla carriera diplomatica il quale alla data di collocamento a riposo risulti assegnato ad una sede di servizio all’estero, ai fini pensionistici l’indennità di posizione venga computata soltanto nella “… misura minima prevista dalle disposizioni applicabili anziché in misura correlata al grado rivestito da quel medesimo soggetto e alle funzioni a lui conferibili avuto riguardo al grado stesso.
10. Inoltre quel medesimo combinato disposto di tali due norme, sempre nell’accezione attribuita ad esso dalla giurisprudenza di questa Corte, sembra collidere anche con il principio di buon andamento sancito dal secondo comma dell’art. 97 della Costituzione.
Invero la linea interpretativa qui censurata può verosimilmente indurre un dato funzionario diplomatico, qualora gli venga comunicata l’assegnazione ad una sede estera allorquando abbia già maturato i requisiti pensionistici, ad optare per il proprio immediato collocamento a riposo: ciò al fine di veder calcolate secondo la misura normale dell’indennità di posizione tanto la pensione quanto la buonuscita, piuttosto che, rischiare di veder penalizzate entrambe nel caso in cui quella sede estera si rivelasse l’ultima della propria carriera. Inoltre, quand’anche quel funzionario diplomatico decidesse di permanere in servizio presso la sede estera assegnatagli, l’interpretazione qui avversata rivestirebbe comunque conseguenze contrastanti con quel medesimo principio di buon andamento: atteso che, avuto riguardo al limite massimo di permanenza in servizio, verrebbe radicato in lui un indubbio interesse personale a rientrare in sede centrale anteriormente a quella data, in potenziale contrasto con l’incondizionata protrazione del servizio all’estero.
11. Così evidenziata la non manifesta infondatezza della duplice questione di legittimità costituzionale fin qui prospettata, la sua rilevanza risulta palese: perché, altrimenti, l’odierna domanda attorea andrebbe senz’altro rigettata: al pari di quanto avvenuto nel caso dei precedenti giurisprudenziali poc’anzi richiamati ed avversati. Mentre soltanto la fondatezza della questione stessa potrebbe rendere accogiibile quella domanda, nella sua prospettazione principale o in una di quelle subordinate, dopo aver vagliato anche la non assorbente eccezione di prescrizione.
P.Q.M.
dichiara rilevante nel giudizio n. 73627, riassunto da M.F. contro il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del primo comma dell’art. 43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092/1973 e del primo comma dell’art. 170 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18/1967, in combinato disposto tra loro ed in riferimento sia all’art. 3 secondo comma sia all’art. 97 secondo comma della Costituzione, nella parte in cui quelle norme sanciscono che nella «… base pensionabile costituita dall’ultimo stipendio …», per un soggetto appartenente alla carriera diplomatica che rimanga assegnato ad una sede di servizio all’estero sino alla data del proprio collocamento a riposo, l’indennità di posizione venga conseguentemente computata soltanto nella «… misura minima prevista dalle disposizioni applicabili …» per il caso di servizio all’estero, e per l’effetto:
1) solleva la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del primo comma dell’art. 43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092/1973 e del primo comma dell’art. 170 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18/1967, in riferimento sia all’art. 3 secondo comma sia all’art. 97 secondo comma della Costituzione;
2) sospende il presente giudizio sino alla comunicazione della decisione che la Corte costituzionale avrà adottato sulla predetta questione di legittimità costituzionale;
3) dispone che gli atti del presente giudizio vengano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale;
4) dispone che la presente ordinanza sia notificata alle attuali parti in causa, nonché al Presidente del Consiglio dei ministri;
5) dispone che la presente ordinanza sia comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica.