CORTE DEI CONTI – Ordinanza 16 marzo 2018
Imposte e tasse – Riscossione delle imposte – Procedura di discarico per inesigibilità delle quote iscritte a ruolo – Termine per l’integrazione delle comunicazioni di inesigibilità presentate anteriormente all’entrata in vigore della Legge n. 190 del 2014 – Decorrenza del termine per l’avvio del procedimento di controllo dell’ente creditore – Esclusione dal controllo delle quote inesigibili di valore inferiore o pari a 300 euro
Fatto
1. Con il ricorso in epigrafe la Soget, nella sua qualità di agente della riscossione del Comune di Teramo, contesta il provvedimento di diniego di discarico prot. 8951 del 13 febbraio 2017, concernente una cospicua serie di quote non riscosse nei confronti del debitore E. s.c.a.r.l. (p. iva 00901660670); si tratta, nella specie, di circa 20 partite di somme iscritte a ruolo, a vario titolo, nei confronti del contribuente in parola, in annualità che vanno dal 2000 al 2008.
Giova subito osservare che il presente giudizio si inquadra in un ben più ampio contenzioso tra l’ente locale ed il proprio agente della riscossione. Il Comune di Teramo, in particolare, a cavallo tra il 2015 e il 2016 ha avviato un’attività di controllo sullo stato delle riscossioni affidate a Soget nei confronti di 142 contribuenti; in esito all’esame degli elementi raccolti, il comune ha emesso una serie di provvedimenti di diniego di discarico, distinti per ciascun debitore, tra cui quello che forma oggetto del presente giudizio; i provvedimenti in parola sono stati singolarmente impugnati dall’agente della riscossione dinanzi a questa Corte dei conti, con 144 separati ricorsi aventi tutti analogo contenuto in diritto. Le relative udienze di discussione si sono svolte il 9 maggio, il 3 ottobre e il 7 novembre 2017.
2. Più in dettaglio, con specifico riguardo alla fattispecie in giudizio è documentato che:
– con nota prot. 71146 del 16 dicembre 2015 il Comune di Teramo chiedeva alla Soget di fornire «dettagli con annessi documenti giustificativi, atti a dimostrare il puntuale e tempestivo» adempimento dell’attività di riscossione svolta nei confronti di 142 posizioni, in relazione alle quali erano insorti dubbi circa la attuale sussistenza del credito comunale (essendosi anche eccepita dai debitori, con istanze di sgravio o ricorsi, la nullità ovvero la tardività degli atti adottati dall’agente della riscossione); il contribuente D. M. si trova indicato al n. 18 dell’elenco accluso alla predetta nota;
– la Soget con nota prot. 1258/2016 eccepiva l’irritualità della richiesta in parola, ritenendo che il comune stesse impropriamente esercitando un’attività di controllo sulle quote inesigibili in pendenza dei termini per la presentazione o l’integrazione delle comunicazioni di inesigibilità e, per di più, senza svolgere contestazioni analitiche sulle presunte omissioni o irregolarità commesse dall’agente;
– con nota prot. 11702 del 1° marzo 2016 il comune insisteva nella propria richiesta di conoscere lo stato della riscossione dei propri crediti iscritti a ruolo, indipendentemente dalla comunicazione di inesigibilità e dal relativo procedimento, trattandosi complessivamente di «crediti insoluti, per diversi milioni di euro, molti dei quali risalenti a più lustri»;
– acquisita ed esaminata la documentazione giustificativa dell’attività espletata, con nota prot. 61698 in data 12 ottobre 2016 il Comune di Teramo contestava all’agente della riscossione, ex art. 20, comma 1, del citato decreto legislativo n. 112 del 1999, la perdita del diritto al discarico (ciò in quanto era manifestamente decorso il termine prescrizionale);
– con nota prot. 2016/26889 del 20 dicembre 2016, Soget respingeva la contestazione, richiamandosi ai commi 684 e 687 dell’art. 1 della citata legge n. 190 del 2014 (come novellati dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225), nella parte in cui precludono all’ente creditore l’avvio di controlli e il conseguente svolgimento di contestazioni in pendenza dei termini di presentazione o integrazione delle comunicazioni di inesigibilità da parte dell’agente della riscossione;
– il Comune di Teramo, con nota prot. 8951 del 13 febbraio 2017, confermava il diniego di discarico, ex art. 19, comma 2, lettera e) del citato decreto legislativo n. 112 del 1999, motivando (in replica alle osservazioni formulate dalla Soget) nel senso che, in mancanza di comunicazioni di inesigibilità anteriori all’entrata in vigore della legge n. 190 del 2014, l’agente della riscossione non poteva beneficiare del differimento dei termini di integrazione delle comunicazioni e di conseguente controllo delle stesse; per effetto del diniego di discarico, il comune ha pertanto invitato l’agente della riscossione a versare entro novanta giorni, in via agevolata, l’importo pari a un ottavo delle somme iscritte a ruolo, oltre spese ed interessi; oppure, decorso inutilmente il predetto termine, a versare un terzo delle somme iscritte a ruolo, oltre spese e interessi.
3. Di qui il ricorso per cui è causa.
La Soget contesta, segnatamente, per quanto qui, precipuamente rileva, la violazione degli articoli 19 e 20 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (come modificati dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190), nonché la violazione dell’art. 1, commi 684, 687 e 688 della stessa legge n. 190 del 2014.
In estrema sintesi, la Soget sostiene che il Comune di Teramo non avesse il potere di effettuare controlli sulle partite iscritte a ruolo, né quello di pronunciarsi sul discarico delle quote in discorso, prima del maturarsi del termine di legge (compreso, per le annualità in esame, tra il 2025 e il 2033; recte, tra il 2029 e il 2037, dopo l’ulteriore novella entrata in vigore il 6 dicembre 2017, nelle more del presente giudizio).
In ogni caso, le quote di importo inferiore o pari a 300 euro non sarebbero soggette a controllo.
La Soget precisa anche, a confutazione di quanto ex adverso affermato, di avere presentato ben prima dell’entrata in vigore della legge n. 190 del 2014 le comunicazioni di inesigibilità relative ai ruoli consegnati negli anni 2000, 2001, 2003 e 2004.
Ancora, eccepisce l’illegittimità della procedura, mancando l’avviso di avvio del procedimento di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241.
Quanto al merito, Soget ritiene di poter comprovare, attraverso le proprie produzioni documentali, la propria diligenza nell’attività di riscossione deducendo, in particolare, la
ritualità e tempestività degli adempimenti di legge, per ogni singola cartella esattoriale.
La Soget ha quindi concluso per l’annullamento degli atti impugnati e l’accertamento della non debenza, da parte della società, degli importi che la stessa sarebbe tenuta a versare come conseguenza del diniego di discarico.
4. Il Comune di Teramo si è costituito in giudizio con memoria del 28 agosto 2017.
Deve darsi atto che il Comune, nella redazione delle proprie difese, si è attenuto alle indicazioni fornite da questa Corte con ordinanze n. 26, 27 e 28 del 26 giugno 2017 (relative ad altri giudizi aventi contenuto analogo a quello qui in esame). In particolare, dopo aver preso atto dell’esistenza di oltre 140 ricorsi aventi contenuto sovrapponibile, la Sezione aveva ravvisato, l’opportunità che tutti i giudizi della specie fossero discussi e, possibilmente, trattenuti in decisione contestualmente, così favorendo la più completa cognizione di causa ed assicurando che tutti i profili in fatto e in diritto fossero trattati esaustivamente, secondo una visione per quanto possibile unitaria, anziché parcellizzata, della fattispecie e dei rapporti tra Soget e Comune di Teramo, evitando altresì che nuovi argomenti difensivi fossero proposti e presi in considerazione solo successivamente alla decisione dei primi ricorsi e che, quindi, non fossero adeguatamente valorizzati; ciò anche con specifico riguardo alle questioni di costituzionalità solo accennate, e non adeguatamente sviluppate, in sede di discussione dei primi giudizi della specie. Il collegio giudicante, quindi, per ragioni di ordinata trattazione dell’insieme dei giudizi in discorso, visto anche il principio di sinteticità e chiarezza degli atti di cui all’art. 5 del codice della giustiziacontabile, aveva ritenuto necessario che le parti articolassero le proprie difese in un unico documento di inquadramento in diritto della vicenda, valido per tutti i ricorsi, specificando poi in apposite schede analitiche i principali dati e le peculiarità nel merito di ciascuna quota oggetto di contestazione.
Ciò posto, il comune ha quindi depositato un’unica memoria di costituzione (per i ricorsi da n. 19527/Q.I. a n. 19551/Q.I.; da n. 19553/Q.I. a n. 19580/Q.I.; da n. 19582/Q.I. a n. 19594/Q.I.; da n. 19596/Q.I. a n. 19600/Q.I); in essa sono affrontate le questioni di carattere generale, comuni a tutti i giudizi; ad essa sono allegate singole schede di dettaglio, concentrate sulle specificità della singola quota non ammessa a discarico.
In estrema sintesi, per quanto qui rileva, l’ente locale deduce che:
i provvedimenti impugnati rappresentano l’epilogo di un’azione di controllo e verifica dell’attività della Soget, avviata dal Comune di Teramo da oltre un quinquennio e resa indispensabile dalla quantità di residui attivi e dalla loro «stagnazione» nel tempo;
l’esistenza di crediti insoluti, per diversi milioni di euro, molti dei quali risalenti a più lustri, determinava per il comune non solo una consistente limitazione della liquidità finanziaria, ma pure incertezza circa la possibilità di qualificare detti crediti come residui attivi, negli atti di programmazione e rendicontazione finanziaria;
in disparte le rilevanti esigenze contabili connesse all’iscrizione dei crediti di incerta esigibilità nel fondo svalutazione crediti e agli effetti di cui ai decreti legislativi n.267/2000 e n. 118/2011, neppure possono ignorarsi le disposizioni contenute nell’art. 1, comma 654-bis, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (introdotto dall’art. 7, comma 9, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125), secondo cui tra le componenti del costo del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti «vanno considerati anche gli eventuali mancati ricavi relativi a crediti risultati inesigibili con riferimento alla tariffa di igiene ambientale, alla tariffa integrata ambientale, nonché al tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES)»;
il differimento del termine ultimo per la presentazione della domanda di discarico, previsto dal citato comma 684 della legge n. 190 del 2014, non impedisce all’Ente creditore di esercitare il controllo sull’attività del concessionario e, quindi, di accertare, in contraddittorio, l’intervenuta estinzione del credito per causa diversa dal pagamento, oppure l’impossibilità di ottenerlo, e l’eventuale sussistenza della perdita del diritto al discarico, con l’adozione dei provvedimenti consequenziali di cui all’art. 20 del decreto legislativo n. 112/1999; in tal senso depone l’interpretazione letterale delle disposizioni in commento, nonché quella logico-sistematica;
con riguardo alle annualità che avevano già formato oggetto di comunicazione di inesigibilità, le nuove disposizioni introdotte o riformulate dalla legge n. 190 del 2014 sono applicabili soltanto nel caso in cui il concessionario provveda ad integrare le comunicazioni d’inesigibilità già presentate;
a voler condividere l’assunto della Soget circa l’estensione della ravvisata preclusione del controllo di cui all’art. 1, comma 687, a tutte le quote affidate ai concessionari, si giunge alla conclusione che detto differimento varrebbe solo laddove una comunicazione di inesigibilità fosse stata emessa entro il 31 dicembre 2014, con impossibilità di integrare le comunicazioni mai presentate e con perdita del diritto al discarico ex art. 19, comma 2, lettera c), del citato decreto legislativo n. 112 del 1999, almeno per i ruoli affidati fino al 2011;
peraltro, la previsione della facoltà di «integrazione» della comunicazione d’inesigibilità, entro i termini previsti dalla novella legislativa, sottende necessariamente l’efficacia e la vigenza del credito, poiché per un credito estinto o per il quale non è più possibile ottenere, lecitamente, il pagamento, non vi può essere alcun fatto o atto nuovo che possa costituire oggetto d’integrazione della comunicazione d’inesigibilità già presentata;
il controllo (di cui allo schema procedimentale degli articoli 19 e 20 del citato decreto legislativo n. 112 del 1999) può quindi essere attivato d’ufficio, a prescindere dalla presentazione di una richiesta al discarico da parte del concessionario o di una comunicazione d’inesigibilità, pur nella pendenza dei termini previsti dal citato comma 684, laddove sia ragionevole ritenere che non è più possibile alcuna integrazione della comunicazione d’inesigibilità a suo tempo presentata, o che sono decorsi inutilmente i termini di legge per la sua presentazione; in tal caso, infatti, l’agente della riscossione non ha alcun interesse a presentare tempestivamente una comunicazione d’inesigibilità, da cui possano emergere sue responsabilità;
quanto alla non assoggettabilità al «controllo di cui al citato art. 19» delle quote pari o inferiori a 300 euro, deve privilegiarsi un’interpretazione costituzionalmente orientata dalla disposizione, da intendersi non come divieto per l’ente creditore di attivare la procedura di controllo, quanto invece come giustificazione, esenzione da responsabilità amministrativa-contabile, laddove non la attivi (come confermato dal fatto che la disposizione non fa riferimento all’art. 20, che si occupa del procedimento del controllo, bensì all’art. 19, comma 3, del decreto legislativo n. 112 del 1999, che si occupa del discarico automatico, previsto proprio per le ipotesi di mancata attivazione del controllo);
ulteriore conferma di ciò si rinviene pure nella disposizione contenuta nel novellato art. 20, comma 2, dello stesso decreto n. 112 del 1999 che prevede per l’ente creditore la facoltà, e non l’obbligo, di ridurre i controlli al 5% delle comunicazioni d’inesigibilità pervenute annualmente, nell’ottica di non gravare l’ente stesso di adempimenti complessi che la sua struttura organizzativa potrebbe non essere in grado di sostenere o, comunque, che potrebbero rilevarsi del tutto inutili a fronte di un contegno assolutamente corretto e puntuale del concessionario della riscossione;
l’indubbia gravosità dell’attività di controllo è stata infatti al centro dell’attenzione del legislatore, atteso che già con l’art. 1, commi 531 seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) e succ. modif., è stata prevista l’istituzione di un Comitato di indirizzo e verifica dell’attività di riscossione mediante ruolo, cui è stato demandato di elaborare annualmente i criteri per il suo esercizio e nel contempo di vigilare sulla loro osservanza;
va ricordato che la stessa legge di stabilità n. 228 del 2012, all’art. 1, commi 527, 528 e 529, aveva disposto espressamente l’azzeramento dei ruoli ante 1999, relativamente a crediti fino a euro 2.000 con discarico automatico del concessionario, salvo i casi di dolo; dunque laddove la legge ha inteso escludere il controllo su alcune partite, lo ha fatto con chiare disposizioni; inoltre, i successivi commi 537 e 538 del medesimo articolo hanno previsto una specifica procedura volta ad acclarare in contraddittorio con l’ente creditore la sussistenza del credito alla data di esecutività del ruolo, sicché sarebbe illogico ritenere che l’ente creditore perda, successivamente, la possibilità di verificare l’andamento dell’attività di riscossione e la permanenza della possibilità di far valere il proprio credito, costringendo il debitore ad introdurre inutili contenziosi per far valere l’irritualità dell’azione esecutiva;
le disposizioni invocate alla Soget, per come interpretate dalla società stessa, presentano profili di contrasto con gli articoli 53, 81 e 97 della Costituzione, risolvendosi di fatto in una esenzione tributaria, per il debitore, a prescindere dalla capacità contributiva, nell’impossibilità per l’amministrazione creditrice di avere il pieno controllo delle proprie entrate e di assicurare gli equilibri di bilancio e il proprio buon andamento; violerebbero, inoltre, l’art. 119 della Costituzione, essendo impedito all’ente creditore, per lungo tempo, di avere conoscenza delle reali risorse finanziarie di cui può disporre per l’espletamento delle funzioni pubbliche e, nel contempo, di conseguire dette risorse;
l’impossibilità dell’esercizio del controllo sulle quote di valore pari o inferiore a € 300,00 e, più in generale, la limitazione ad un massimo del 5% delle comunicazioni d’inesigibilità presentate annualmente dal concessionario, risolvendosi in sostanza nella mancata definitiva riscossione di propri crediti, si traducono in una grave limitazione dell’autonomia finanziaria dell’Ente, comportando la perdita di tributi ed entrate propri, a prescindere dall’accertamento del verificarsi dei casi di estinzione del credito, diversi dal pagamento, o della definitiva insolvenza del debitore;
la violazione delle norme sul procedimento amministrativo non rileverebbe dinanzi a questa giurisdizione contabile, trattandosi di giudizio sulla fondatezza del diritto (cioè sul rapporto) e non sulla mera legittimità degli atti, peraltro a contenuto vincolato;
la perdita del diritto di credito del comune, imputabile all’agente della riscossione per decorso della prescrizione quinquennale o per decorso dei termini (di undici e nove mesi) previsti dall’art. 19, comma 2, lettera a), del citato decreto legislativo n. 112 del 1999, sarebbe resa palese dalla insussistenza o dalla irritualità degli asseriti atti interruttivi, come rappresentato nella scheda analitica allegata alla comparsa di costituzione.
In definitiva, il Comune conclude per la condanna della controparte al pagamento «dell’importo di € 18.970,00 pari a un terzo degli importi iscritti a ruolo, maggiorati di interessi e spese, o di altra somma maggiore o minore ritenuta di giustizia».
5. Il pubblico ministero ha rassegnato le proprie conclusioni con memoria depositata il 29 agosto 2017, ai sensi dell’art. 175 del codice della giustizia contabile.
In estrema sintesi, il pubblico ministero ha aderito all’impostazione della società Soget, richiamandosi alla recente pronuncia della Sezione terza giurisdizionale centrale d’appello n. 662 del 20 dicembre 2016 (confermativa di Sez. Emilia-Romagna, sent. 108 del 9 giugno 2014).
Risolutivo, ad avviso della Procura, il fatto «che il Comune di Teramo, ai sensi della citata disciplina, non poteva esercitare un’attività di controllo con gli specifici effetti previsti esclusivamente nell’ambito del procedimento iniziato a seguito della presentazione della comunicazione di inesigibilità»; i procedimenti in esame, invece, «sono iniziati prima della comunicazione di inesigibilità o se questa è esistente è intervenuta prima del 1° gennaio 2015, data di entrata in vigore del comma 687, dell’art. 1, della legge 23 dicembre 2014, n. 190». Ne discende che, alla luce del vigente quadro normativa, gli atti di diniego in esame sono palesemente illegittimi.
Il pubblico ministero ha altresì osservato che «la conoscenza sulla situazione dei crediti in riscossione doveva essere assicurata e rivendicata dal Comune di Teramo, in quanto l’informazione sull’effettiva esigibilità dei residui attivi vetusti ha effetti diretti sulla costruzione di una veridica contabilità dell’ente locale (v. C.d.C., Sezione regionale di controllo per il Lazio, delib. n. 30 del 2015), poiché le poste di incerta esigibilità devono essere stralciate dal conto del bilancio per l’iscrizione nel conto del patrimonio, sino alla richiesta di formale discarico da parte dell’agente contabile (v., tra le tante, C.d.c., Sezione regionale di controllo per la Campania, delib. n. 282 del 2016)».
Di qui «l’esigenza dell’ente locale di acquisire i necessari elementi di valutazione sulla situazione dei crediti affidati in riscossione, e l’eventuale violazione di tale diritto (…) può comportare l’irrogazione di sanzioni (capo IV della legge n. 112/1999), mentre non può sostenere la perdita del diritto al discarico» dopo l’abrogazione (dal 1° gennaio 2015) della lettera b) del citato art. 19 del decreto legislativo n. 112 del 1999.
In definitiva, la pretesa del comune di ottenere la documentazione giustificativa dell’attività di riscossione, in assenza della comunicazione di inesigibilità, non troverebbe giustificazione normativa; in presenza di comunicazioni già prodotte, invece, il controllo non avrebbe potuto essere avviato, ostandovi la previsione del citato comma 687.
La procura regionale si è peraltro riservata di attivare («per le situazioni di cui ha avuto conoscenza con i ricorsi in discussione e in dipendenza di ulteriori eventuali denunce del comune») procedimenti di responsabilità amministrativa, indipendentemente dalla procedura amministrativa di discarico.
6. La presente causa e stata discussa all’udienza pubblica del 3 ottobre 2017, unitamente a molte altre, tra cui quelle iscritte ai nn. 19482, 19483 e 19484 del ruolo generale. All’udienza sono intervenuti l’avv. S.D.R. per Soget, l’avv. C.C. per il Comune di Teramo e il vice procuratore generale R.L. in qualità di pubblico ministero, come da verbale.
6.1. L’avv. D.R. si è riportato, anche per il giudizio in esame, ai contenuti delle memorie autorizzate già depositate per i citati giudizi nn. 19482 19483 e 19484, discussi congiuntamente al presente; in particolare, ne ha illustrato e confermato i contenuti.
Per quanto qui rileva, il legale ha preliminarmente ribadito che «il legislatore ha recentemente disciplinato i rapporti tra i soggetti concessionari incaricati della riscossione e gli Enti creditori, relativamente al discarico dei crediti inesigibili, stabilendo ai commi 684 e 687 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014 e succ. mod. che: 1) le comunicazioni di inesigibilità possono essere presentate in un arco temporale compreso tra il 2019 ed il 2033, in relazione all’anno di presentazione dei ruoli da parte dell’ente creditore al soggetto tenuto alla riscossione; 2) sino a quel momento, per espressa disposizione del comma 687, non può essere esercitata alcuna attività di controllo, ai sensi dell’art. 20 decreto legislativo n. 112/1999». Invero, «il legislatore ha, da un lato, fissato nuovi termini per la presentazione delle comunicazioni di inesigibilità, dall’altro, ha previsto la possibilità per l’agente di riscossione di integrare, nel corso degli anni, le comunicazioni di inesigibilità già presentate, escludendo qualsiasi possibilità di controllo finalizzata al discarico da parte dell’ente creditore». Alla Soget «preme sottolineare (…) che, in entrambe le fattispecie, il legislatore ha escluso che l’Ente possa operare controlli finalizzati al discarico, in un caso perché le comunicazioni non sono state ancora presentate (e pendono i termini per procedere in tal senso), nell’altro caso perché le comunicazioni possono essere integrate nel tempo stabilito dalla legge».
In punto di compatibilità del delineato quadro normativo con il dettato costituzionale (articoli 53, 81 e 97), si è osservato che:
il sistema delineato apporta un sicuro vantaggio economico in favore dell’ente il quale può continuare a beneficiare, grazie al cronoprogramma di cui al comma 687 della legge n. 190 del 2014, dei proventi derivanti dalla prosecuzione delle attività di riscossione tributaria posta in essere dalla Soget Spa, così come in concreto è avvenuto (ad esempio, dai conti di gestione presentati annualmente si evince, per l’anno 2013, un maggior introito per il comune di € 369.564,41, per l’anno 2014 di € 413.181,48, per l’anno 2015 di € 418.277,12 e per l’anno 2016 di € 321.066,16);
conferma della legittimità costituzionale del sistema di riscossione in esame si rinviene nell’estensione dell’indicato sistema, ad opera del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193 (convertito dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225), anche ai soggetti creditori che hanno cessato o cessano di avvalersi delle società del gruppo Equitalia;
la prosecuzione delle attività di riscossione, fino al termine ultimo stabilito per le comunicazioni di inesigibilità, dà sicura attuazione e tutela ai principi di capacità contributiva (art. 53 Cost.) e di equilibrio di bilancio (art. 81 Cost.), in quanto consente di coltivare le attività di riscossione dei crediti pubblici ben oltre i termini inizialmente previsti, a beneficio dell’ente creditore piuttosto che dell’agente;
l’autentica chiave di lettura delle disposizioni in parola sarebbe confermata dallo stesso ufficio legislativo dell’A.N.C.I. nella «Nota di lettura sulle norme di interessi dei comuni, legge n. 190 del 2014» (pag. 24), laddove si evidenzia che il cronoprogramma legislativo è finalizzato ad anticipare la lavorazione delle cartelle più recenti, che possono ancora produrre gettito, rinviando ad un momento successivo quelle risalenti nel tempo il cui rischio di inesigibilità è più elevato;
in aggiunta alla citata sentenza della Sezione terza d’appello, n. 662 del 2016, va richiamata anche la sentenza della Sezione prima d’appello, n. 79 del 17 marzo 2017, che ha fatto applicazione della normativa de qua anche nell’ambito dei giudizi di conto, affermando l’impossibilità di considerare indebitamente non riscosse partite per le quali fossero ancora aperti i termini previsti per la riscossione e per la comunicazione dell’eventuale inesigibilità;
quanto all’impossibilità di controllare le quote di importo fino a 300 euro, la costituzionalità della normativa si ricaverebbe dal fatto che non si tratta di un azzeramento del credito nei confronti dei contribuenti, ma di una rinuncia ai soli controlli sulla inesigibilità del credito stesso; il conseguente risparmio di risorse è, anzi, destinato proprio all’intensificazione dei controlli, sulle quote di importo superiore (si cita, in proposito: legislatura 17, atto di sindacato ispettivo n. 1-00413, pubblicato il 5 maggio 2015, seduta n. 442).
Infine, riguardo alla violazione delle norme sul procedimento amministrativo, il legale di Soget ha richiamato giurisprudenza amministrativa che afferma l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento anche in relazione ad attività vincolata (tra gli altri, si citano Consiglio di Stato sez. VI, 20 aprile 2000, n. 2443; Consiglio di Stato n. 2953/2004; Consiglio di Stato n. 2307/2004 e n. 396/2004; Consiglio di Stato, sez. VI, n. 686 del 7 febbraio 2002).
In via istruttoria, la Soget ha chiesto eventualmente un termine a difesa per poter controdedurre rispetto alle contestazioni puntuali svolte dal comune nelle singole schede allegate alla memoria di costituzione.
6.2. L’avv. C. per il Comune di Teramo, nel riportarsi agli atti e documenti depositati, ha replicato alle difese di Soget osservando che le recenti sentenze delle Sezioni d’appello della Corte dei conti, citate da controparte, riguardano fattispecie particolari e diverse da quella in discussione; non si tratta, nella fattispecie all’esame, di impedire alla Soget di proseguire nell’attività di riscossione, bensì di consentire al comune di conoscere se vi siano crediti non più riscuotibili (in ipotesi, perché tali li ha già ritenuti il giudice civile o tributario, anche per somme inferiori alla soglia di trecento euro) e se la perdita del credito, o dell’azione, sia riconducibile a inerzia dell’agente della riscossione.
Il comune ha poi ribadito che nella determinazione della tariffa rifiuti vanno considerate, per legge, le relative quote inesigibili, sicché non è ragionevole pensare che la definizione di esse possa essere rinviata in concreto sine die. Inoltre, il legislatore statale non potrebbe imporre all’ente locale di rinunciare, sostanzialmente, a somme inferiori a trecento euro, rimettendone la riscossione all’esclusivo operato dell’agente, senza alcuna possibilità di riscontro da parte dell’ente creditore.
6.3. Il pubblico ministero si è riportato alle conclusioni rassegnate in memoria, rimettendosi alle decisioni del collegio.
6.4. La causa è stata quindi trattenuta in camera di consiglio per la decisione.
Diritto
1. Prima facie, non appaiono fondate le doglianze della Soget in punto di omessa comunicazione di avvio del procedimento (di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241) da parte del Comune di Teramo, ricadendosi nell’ambito di un procedimento tipizzato di contabilità pubblica, disciplinato anche in punto di specifiche modalità e termini di instaurazione e svolgimento del contraddittorio tra l’amministrazione creditrice e l’agente della riscossione (cfr. articoli 19 e 20 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112), con disposizioni evidentemente derogatorie rispetto alle regole generali stabilite dalla legge sul procedimento amministrativo.
Il procedimento, sotto questa angolazione, appare correttamente instaurato e svolto nella pienezza del contraddittorio tra il comune e la Soget la quale, a ben vedere, ha svolto tutte le proprie osservazioni e deduzioni difensive in sede amministrativa, secondo la scansione procedimentale prevista dai citati articoli 19 e 20.
2. Ciò posto, il presente giudizio si incentra sulla possibilità, o meno, per il Comune di Teramo di sottoporre a controllo e, conseguentemente, di adottare provvedimenti di diniego di discarico relativamente a «quote» affidate all’agente della riscossione, in pendenza dei termini per la presentazione o l’integrazione delle relative comunicazioni di inesigibilità; ulteriore questione risiede nella possibilità di svolgere i controlli in parola, e di adottare i conseguenti provvedimenti, relativamente alle quote di valore inferiore o pari a 300 euro. Entrambe le questioni:
sono rilevanti nel presente giudizio, che riguarda, tra l’altro, sia quote di importo fino a 300 euro, sia quote ricomprese in ruoli risalenti, tra gli altri, all’anno 2000, per i quali i termini di presentazione o integrazione delle comunicazioni di inesigibilità verranno a scadenza, a normativa vigente, nel 2037;
rivestono, all’evidenza, carattere di pregiudizialità logica e giuridica rispetto all’esame di merito sull’effettiva inesigibilità delle singole quote e sulle relative cause.
3. La normativa di riferimento è pacificamente rinvenibile nell’art. 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 («Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» – legge di stabilità 2015), in particolare ai commi 684 e seguenti, nonché negli articoli 19 e 20 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (come modificati dalla stessa legge n. 190 del 2014, art. 1, commi 682 e 683).
3.1. Il citato comma 684 stabilisce, in particolare, che: «Le comunicazioni di inesigibilità relative alle quote affidate agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2017, anche da soggetti creditori che hanno cessato o cessano di avvalersi delle società del Gruppo Equitalia ovvero dell’Agenzia delle entrate-riscossione, sono presentate, per i ruoli consegnati negli anni 2016 e 2017, entro il 31 dicembre 2021 e, per quelli consegnati fino al 31 dicembre 2015, per singole annualità di consegna partendo dalla più recente, entro il 31 dicembre di ciascun anno successivo al 2021».
Giova rilevare che il testo della disposizione, vigente alla data di pubblicazione della presente ordinanza, è quello modificato dapprima con legge 1° dicembre 2016, n. 225 (recante conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193), in vigore dal 3 dicembre 2016, e poi con legge 4 dicembre 2017, n. 172 (recante conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148), in vigore dal 6 dicembre 2017. Si noti che la seconda modifica, esaminata in camera di consiglio siccome intervenuta dopo l’udienza di discussione e prima del deposito della presente ordinanza, non muta il quadro normativo, se non allungando ulteriormente i termini già precedentemente previsti e quindi accentuando i profili di legittimità costituzionale qui in esame.
L’effetto della disposizione (a normativa vigente) è quello di rinviare fino al 2037 la definizione delle quote relative ai ruoli affidati nell’anno 2000, fino al 2036 la definizione dei ruoli 2001, fino al 2035 la definizione dei ruoli 2002, fino al 2034 la definizione dei ruoli 2003, fino al 2033 la definizione dei ruoli 2004, e così proseguendo fino ai ruoli 2015, da definire entro il 2022.
3.2. Il successivo comma 687, a sua volta, prevede al primo periodo che «le comunicazioni di inesigibilità relative alle quote di cui al comma 684, presentate anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge, possono essere integrate entra i termini previsti dallo stesso comma 684»; si riaprono, quindi, i termini anche per le quote ricomprese in comunicazioni già presentate, prevedendone la possibile integrazione fino alle date dinanzi indicate (2037 per i ruoli del 2000; 2036 per i ruoli del 2001; 2035 per i ruoli del 2002; ecc.). La regola, dunque, è quella della definizione per specifiche annualità, scaglionate tra il 2021 e il 2037, delle quote ricomprese in tutti i ruoli affidati tra il 2000 e il 2017, indipendentemente dalla circostanza che, per alcune delle quote stesse, sia già stata presentata una comunicazione di inesigibilità.
Al fine di rendere coerente l’impianto normativo, così strutturato, il secondo periodo del comma 687 prevede che «in tale caso» (vale a dire a fronte di comunicazioni già presentate) «il controllo di cui all’art. 20 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, come da ultimo sostituito dal comma 683 del presente articolo, può essere avviato solo decorsi i termini previsti dal citato comma 684».
Si intende, così, impedire all’ente creditore di svolgere i controlli sull’operato dell’agente della riscossione (o, meglio, di pronunciarsi sul conseguente diniego di discarico) fino allo spirare del termine finale per la eventuale integrazione delle comunicazioni di inesigibilità già presentate (ad esempio, fino al 31 dicembre 2037 per i ruoli risalenti al 2000).
La disposizione rende palese che, nella logica legislativa, il controllo sulle quote inesigibili (cioè a dire il controllo di cui agli articoli 19, comma 6, e 20 del decreto legislativo n. 112 del 1999, come riscritti dalla stessa legge n. 190 del 2014 ed applicabili nel nuovo testo anche alle quote degli anni dal 2000 in poi, ai sensi del successivo comma 688) presuppone necessariamente una previa comunicazione di inesigibilità da parte dell’agente della riscossione; ma poiché le comunicazioni possono essere presentate o comunque integrate, per i ruoli affidati negli anni dal 2000 al 2015, in annualità comprese tra il 2022 e il 2037, è giocoforza ritenere che i conseguenti controlli, da parte dell’ente creditore, non possano essere svolti se non prima dell’anno:
2038 (per i ruoli 2000, le cui comunicazioni potranno essere presentate o comunque integrate entro il 31 dicembre 2037);
2037 (per i ruoli 2001, le cui comunicazioni potranno essere presentate o comunque integrate entro il 31 dicembre 2036);
2036 (per i ruoli 2002, le cui comunicazioni potranno essere presentate o comunque integrate entro il 31 dicembre 2035);
e così proseguendo.
Ad avviso di questa Sezione appare, quindi, corretta l’esegesi propugnata dalla società ricorrente, condivisa anche dal pubblico ministero, alla luce della pi ù recente giurisprudenza delle Sezioni d’appello di questa Corte dei conti (Sez. prima, sent. 79 del 17 marzo 2017; Sez. terza, sent. 662 del 20 dicembre 2016). La lettura costituzionalmente orientata prospettata dal Comune di Teramo si scontra, invece, con la chiara lettera del comma 687, secondo cui, a chiusura del sistema, «il controllo (….) può essere avviato solo decorsi i termini previsti dal citato comma 684».
Non v’è spazio, insomma, per una interpretazione delle disposizioni che consenta di superare il vincolo temporale ivi stabilito.
3.3. Il successivo comma 688, al secondo periodo, prevede sotto altro profilo che «le quote inesigibili, di valore inferiore o pari a 300 euro (…) non sono assoggettate al controllo di cui al citato art. 19». Fanno eccezione le quote «afferenti alle risorse proprie tradizionali di cui all’art. 2, paragrafo 1, lettera a), delle decisioni 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e 2014/335/UE, Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014».
Anche quest’ultima disposizione è chiara nel senso di sottrarre a qualsiasi forma di controllo, da parte dell’ente creditore, in sede amministrativa, le quote di valore unitario fino a 300 euro delle quali è (recte, sarà, nel corso degli anni a venire) richiesto il discarico per inesigibilità; ciò indipendentemente dal valore complessivo delle stesse.
La ratio legislativa si evince agevolmente anche dal comma 683 (nella parte in cui esso ha modificato l’art. 20, comma 2, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112) con cui si è previsto che «il controllo (…) è effettuato dall’ente creditore, tenuto conto del principio di economicità dell’azione amministrativa e della capacità operativa della struttura di controllo e, di norma, in misura non superiore al 5 per cento delle quote comprese nelle comunicazioni di inesigibilità presentate in ciascun anno». Si fissa, così, la misura «massima» dei controlli da effettuare, anziché la misura «minima» dei controlli stessi, lasciando trasparire una visione nella quale sarebbe l’eccesso di controlli a togliere efficienza ed economicità alla macchina della riscossione.
4. Così delineato, per quanto qui interessa, il quadro normativo di riferimento, merita anzi tutto richiamare alcune delle considerazioni già a suo tempo svolte da questa Corte dei conti, in funzione di controllo, con deliberazione n. 11/2016/G del 20 ottobre 2016 della Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato (in tema di sistema della riscossione dei tributi erariali al 2015).
In particolare:
«l’esistenza di una consistente mole di arretrati ha indotto a disporre ripetutamente il differimento dei termini di presentazione delle comunicazioni, rimodulando, in parallelo, quelli per il controllo da parte degli enti creditori»; «la soluzione è stata così rinviata di anno in anno, con il risultato di aggravare il problema»;
«si è, pertanto, determinata una lievitazione negli anni delle quote inesigibili, con una conseguente imponente stratificazione delle partite creditorie da trattare (per gli agenti della riscossione) e da controllare (per gli enti impositori). In particolare, gli enti impositori dovrebbero sottoporre a controllo le procedure eseguite dall’agente della riscossione tutte le volte che viene presentata la comunicazione di inesigibilità e, nel frattempo, procedere ogni anno alla determinazione dei residui attivi (somme accertate e non ancora riscosse), ai fini della corretta redazione dei rispettivi bilanci. E’ accaduto, invece, che il legislatore sia intervenuto più volte con provvedimenti di definizione delle domande di rimborso e di discarico (ora comunicazioni di inesigibilità) delle somme iscritte a ruolo, prescindendo da forme di controllo analitico delle attività poste in essere»;
«per gli arretrati, con una soluzione che dà adito a indubbie perplessità, è stato introdotto un particolare calendario, prevedendo che le comunicazioni di inesigibilità per i ruoli consegnati nel 2013 debbano essere presentate nel 2018, quelle relative ai ruoli del 2012 nel 2019 e così via, risalendo fino ai ruoli del 2000 per i quali le comunicazioni avverranno nel 2031» (termine poi ulteriormente prorogato al 2033 e infine al 2037, come dinanzi ricordato);
«l’obiettivo e quello di permettere agli agenti della riscossione di concentrarsi sulla lavorazione delle partite più recenti, trascurando quelle più risalenti per le quali le possibilità di incassare il credito sono diventate oggettivamente modeste (…)»; «è evidente, peraltro, che, considerata la massa e la vetustà delle quote inesigibili accumulatesi nel tempo, non solo la possibilità di riscossione delle partite più risalenti è assolutamente modesta, ma è anche improbabile un controllo effettivo delle procedure poste in essere dall’agente della riscossione da parte degli uffici degli enti impositori»;
andrebbe, piuttosto, valutata l’opportunità di concordare «la possibilità di presentare le comunicazioni di inesigibilità delle quote di importo rilevante – per le quali l’inesigibilità sia già stata definitivamente accertata – secondo una progressione diversa da quella attualmente prevista» e, segnatamente, raggruppandole possibilmente «per codice fiscale, a prescindere dalla annualità di riferimento» ad «evitare che, per lo stesso codice fiscale, il controllo debba essere ripetuto tante volte quante sono le singole partite di debito ad esso riferite nei diversi anni»;
«debole è, comunque, l’efficacia deterrente dell’azione di recupero: restano alti i livelli dell’evasione, comunque influenzati anche dalla scarsa intensità ed efficacia dei controlli»;
«è singolare che, per il controllo, venga, disposto un limite massimo, “non superiore”, anziché un più congruo limite minimo “almeno del 5 per cento”. Un generale rafforzamento del processo di verifica della correttezza, efficacia ed efficienza dell’attività di riscossione appare, infatti, esigenza ineludibile».
La stessa Corte costituzionale, recentemente, con riguardo alla dilazione trentennale dei piani di rientro dai disavanzi, ha avuto modo di osservare che, ferma restando la discrezionalità del legislatore nello scegliere i criteri e le modalità per porre riparo a situazioni di emergenza finanziaria (…), non può tuttavia disconoscersi la problematicità di soluzioni normative continuamente mutevoli (…), le quali prescrivono il riassorbimento dei disavanzi in archi temporali molto vasti, ben oltre il ciclo di bilancio ordinario, con possibili ricadute negative anche in termini di equità intergenerazionale; probabilmente una più tempestiva vigilanza nei confronti delle consolidate prassi patologiche di alcuni enti territoriali avrebbe evitato le situazioni di obiettiva emergenza che il legislatore nazionale è stato costretto a fronteggiare con mezzi eccezionali (sent. 107/2016).
Queste ultime considerazioni paiono ben attagliarsi, mutatis mutandis, anche alla fattispecie qui in esame, laddove il legislatore sembra aver abdicato, per i prossimi anni, alla tempestiva vigilanza sull’andamento delle riscossioni di crediti risalenti nel tempo.
5. Nel descritto contesto, pare a questa Sezione giurisdizionale «non manifestamente infondata» la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni in parola, tra loro in combinato isposto, nella parte in cui non si limitano soltanto a prorogare fino al 2037 il termine per la presentazione o l’integrazione delle comunicazioni di inesigibilità dei crediti affidati alla riscossione nel 2000 (compresi, tra di essi, alcuni di quelli all’odierno vaglio giurisdizionale) ma prevedono anche:
a) l’impossibilità, per l’ente creditore, di esercitare il controllo sulle quote iscritte a ruolo fino alla scadenza dei termini in parola (rinviando, cosi, l’azione di controllo fino al biennio 2038/2039 per i ruoli del 2000);
b) in ogni caso, il divieto di sottoporre a controllo le quote di valore inferiore o pari a 300 euro.
Al riguardo, valgano le seguenti considerazioni.
5.1. E’ ravvisabile, in primo luogo, la violazione del principio di ragionevolezza, di cui è espressione l’art. 3 della Costituzione, in quanto la definizione dei rapporti tra ente creditore e agente della riscossione resta legislativamente sospesa per un termine oggettivamente abnorme, che (avuto riguardo ai ruoli che formano oggetto del presente giudizio) giunge a sfiorare i quaranta anni (per i ruoli 2000) e i venti anni (per i ruoli 2008).
L’irragionevolezza risiede, inoltre, nell’immotivato sbilanciamento di posizioni tra l’ente creditore e l’agente, essendo rimessa esclusivamente all’agente la scelta del «se» e del «quando» presentare le comunicazioni di inesigibilità, durante il suddetto amplissimo arco temporale, mentre l’ente creditore resta in una posizione di mera soggezione, non potendo nel frattempo svolgere controlli finalizzati al diniego di discarico e alla tutela del proprio diritto.
Il profilo di irragionevolezza si manifesta in tutta la sua evidenza laddove si consideri che l’agente della riscossione non ha, ovviamente, alcun interesse a presentare la comunicazione di inesigibilità per le cartelle di pagamento che, ad esempio, abbia omesso di notificare nel termine decadenziale prescritto dall’art. 19, comma 2, lettera a), del decreto legislativo n. 112 del 1999 (termine oggi fissato in nove mesi dalla consegna del ruolo); l’ente creditore, dunque, è di fatto costretto ad aspettare anni (e, segnatamente, lo scadere del termine ultimo per la presentazione delle dichiarazioni di inesigibilità) prima di poter formalmente avviare l’iter di controllo su quest’ultima circostanza (cioè sulla omessa tempestiva notifica) e di poter adottare il conseguente diniego di discarico. Ciò significa che una omessa notifica risalente ai ruoli del 2000 non potrà essere contestata e regolata prima del 2038.
L’assetto normativo che ne risulta pare, quindi, caratterizzato da una intrinseca incoerenza, contraddittorietà ed illogicità, esorbitando dall’esigenza di disciplinare discrezionalmente lo svolgimento del procedimento amministrativo (prima) e del conseguente processo (poi), attraverso scansioni temporali finalizzate a salvaguardarne le esigenze di certezza (cfr. C. cost., ord. 174/2013); si configura, anzi, una indeterminatezza oggettiva dei tempi dell’iter procedimentale, posto che i differimenti di volta in volta operati hanno indicato termini finali successivamente prorogati, l’ultima volta addirittura nel corso del presente giudizio (cfr. C. cost. sent. 102/2013).
Merita ricordare che, in altra fattispecie, afferente l’effettuazione dei conguagli di legge tra amministrazione e soggetto gestore di servizi pubblici, pure nell’ottica generale del perseguimento dell’efficienza dei servizi pubblici stessi, è stato ritenuto irragionevole e costituzionalmente illegittimo il rinvio della comunicazione e della conseguente elaborazione dei dati utili allo scopo in maniera affastellata e distanziata anche di una decina d’anni dal periodo cui i dati stessi si riferivano, laddove i dati stessi avrebbero dovuto evidentemente essere acquisiti ed utilizzati nell’immediatezza (cfr. C. cost., sent. 156/2007); ciò appare tanto più vero, e a maggior ragione, per la riscossione di crediti pubblici e a fronte di una dilazione temporale che eccede non il decennio, bensì il trentennio.
Quanto alle quote di valore unitario inferiore o pari a 300 euro, appare contrario a logica sottrarle a controllo in quanto tali, indipendentemente dal valore cumulativo di esse, avuto riguardo non solo alla posizione del singolo debitore, ma anche al coacervo di crediti dell’ente creditore (sicché, laddove un ente creditore debba riscuotere un portafoglio formato da un fascio di crediti, tutti singolarmente di importo minimo, ma assai elevati nel numero e quindi nell’importo complessivo, non potrebbe effettuare alcun sindacato sull’operato del proprio agente).
5.2. Sotto un secondo profilo, la disciplina in parola sembra contrastare con gli articoli 24 e 103 Cost., impedendo di fatto ad una sola ovvero ad entrambe le parti del rapporto, per un tempo palesemente incongruo (ed incompatibile anche con l’esercizio effettivo delle eventuali conseguenti azioni di responsabilità), di accedere alla tutela giurisdizionale dinanzi al giudice contabile per vedere definita la propria posizione patrimoniale; ciò tanto nel giudizio di conto, quanto nel giudizio ad istanza di parte per il discarico di quote inesigibili.
La violazione delle stesse norme di rango costituzionale è ravvisabile, a maggior ragione, nella impossibilità non solo temporanea, ma addirittura definitiva, con riguardo alle quote di valore unitario fino a 300 euro, di avviare le procedure di controllo propedeutiche all’eventuale provvedimento di discarico, giustiziabile dinanzi alla Corte dei conti, comportando l’impossibilità per l’ente creditore di ottenere tutela in tal senso anche in un ipotetico giudizio di conto (non essendo pensabile che possa o debba provvedere la magistratura contabile, in sede giurisdizionale, a svolgere sulla riscossione dei crediti quei controlli che l’amministrazione creditrice stessa non potrebbe compiere in sede amministrativa). In argomento, è noto che l’esigenza di agevolare operativamente l’attività di una parte, fissando termini di favore, non può spingersi fino a ledere l’effettività del diritto di difesa della controparte (arg. C. Cost. sent. 360 del 2003; Id., sent. 346/1988); si è anche affermato che il differimento dell’accesso alla giurisdizione non vulnera irragionevolmente il diritto di difesa a condizione che la tutela non sia rinviata sine die, ma per un termine «breve» (C. cost., sent. 162/2016), e che sia comunque giustificata da esigenze di ordine generale o da superiori finalità di giustizia (C. cost., sent. 62/1988; sent. 81/1988; sent. 132/1988), fermo restando che, pur nel concorso di tali circostanze, il legislatore deve contenere l’onere nella misura meno gravosa possibile, in quanto l’ampiezza della copertura offerta dai richiamati parametri costituzionali è tale da colpire non solo l’esclusione della tutela giurisdizionale, soggettiva e oggettiva, ma anche qualsiasi limitazione che ne renda impossibile o anche difficile l’esercizio (C. cost., sent. 233/1996; sent. 56/1995).
Sotto quest’ultimo profilo, può rilevarsi che anche nella materia processuale il riscontro di ragionevolezza va senz’altro operato attraverso la verifica «che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato con modalità tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. Tale giudizio deve svolgersi attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti» (v. C. cost., sent. 1130 del 1988; n. 71 del 2015; n. 241 del 20 novembre 2017).
5.3. Inoltre, il rinvio della tutela giurisdizionale ad un momento eccessivamente distante nel tempo è suscettibile di configurare una lesione del principio del giusto processo, perché un processo obbligatoriamente posticipato da venti a quaranta anni, rispetto ai fatti storici cui si riferisce la controversia, non può essere considerato né «giusto» né «ragionevole» meno che mai garantire l’effettività della tutela (v. art. 111 Cost. nonché art. 6 CEDU come ripreso dall’art. 47 Carta UE).
Si eluderebbero infatti, vanificandoli del tutto, gli stringenti parametri di ragionevolezza delineati dalla stessa giurisprudenza europea (cfr. C. cost., sent. 36/2016), dovendosi accedere a una nozione ampia e sostanziale di durata ragionevole del processo (v., ad esempio, C. cost., sent. 184/2015), coerente con la finalità della normativa de qua.
Per di più, nel caso di specie è rilevabile l’asimmetria nella posizione delle parti, essendo l’ente pubblico creditore in una situazione di prolungata e mera soggezione rispetto alle iniziative dell’agente della riscossione (non potendosi avviare i controlli e i conguagli prima delle comunicazioni di inesigibilità ovvero delle relative integrazioni).
D’altronde, allorché nel 2037 scadranno i termini per i ruoli del 2000, e dunque nel biennio 2038/2039 potranno iniziare a definirsi i conseguenti rapporti di debito/credito tra il Comune di Teramo e la società Soget, una eventuale (tardiva) pronuncia giurisdizionale potrebbe risultare inutiliter data, non solo perché la soddisfazione del credito avverrebbe a distanza di circa quaranta anni dall’insorgere dei presupposti del credito stesso, ma anche perché è lecito dubitare che l’agente della riscossione e, le garanzie rilasciate saranno, a quella data, ancora utilmente escutibili.
5.4. Non manifestamente infondata appare anche la violazione dell’art. 81 Cost., sotto il profilo della certa e sollecita definizione delle entrate e della cognizione del loro effettivo stato, ai fini del perseguimento degli equilibri di finanza pubblica, non sembrando compatibile con la suddetta finalità costituzionale il rinvio del definitivo accertamento sulla effettiva riscuotibilità di un credito ad un momento futuro eccessivamente lontano, collocato al di là di qualsivoglia orizzonte temporale accettabile sul piano della disciplina contabile e finanziaria.
Né può ignorarsi che nell’ordinamento finanziario delle amministrazioni pubbliche i principi del pareggio e dell’equilibrio tendenziale fissati nell’art. 81, quarto comma, Cost. si realizzano, tra l’altro, nella parificazione delle previsioni di entrata e spesa (…) a condizione che le pertinenti risorse correlate siano effettive e congruenti (C. cost., sent. 70 del 2012); ma detta effettività e congruità non potranno essere acclarate se non a distanza di decenni, ben oltre qualsiasi accettabile orizzonte temporale.
5.5. Con riferimento all’art. 97 Cost., le disposizioni in parola rappresentano un ostacolo a che l’amministrazione pubblica possa bene organizzarsi per assicurare una sana gestione finanziaria e per dar corso ai dovuti controlli, conservando il pieno dominio sull’effettiva correttezza della gestione, da parte dell’agente, della riscossione delle proprie entrate; al contrario, la normativa è giunta a prevedere, per i crediti oggetto di giudizio, la sospensione del controllo sullo stato della riscossione per un periodo compreso tra i venti e i quaranta anni circa, vietando per di più l’esame delle posizioni di importo fino a 300 euro ed introducendo perfino un limite massimo (anziché minimo) sul totale delle posizioni suscettibili di verifica. Il divieto (e non la mera facoltà) di effettuare controlli, lungi dal contribuire al perseguimento dell’economicità e dell’efficienza dell’azione amministrativa, sembra a questa Corte insanabilmente in contrasto con il principio di buon andamento e di corretta organizzazione amministrativo-contabile, sol che si pensi all’importanza del sistema dei controlli per il corretto agire amministrativo.
5.6. Sullo sfondo, un ulteriore profilo di lesione è stato prospettato anche con riguardo all’art. 53 Cost., sotto il profilo della mancanza di effettività del principio di capacità contributiva, che dalla previsione legislativa di una sospensione sine die dei controlli (e dall’abdicazione completa per quelli su partite fino a 300 euro) risulta fortemente indebolito, laddove non si possa in concreto assicurare, mediante le opportune verifiche da parte dell’amministrazione creditrice, viepiù nelle comunità locali, che l’attività di riscossione sia condotta in condizioni di effettiva parità nei confronti di tutti i contribuenti e che non siano tollerate situazioni di sottrazione all’obbligo tributario; in definitiva, si impedisce all’amministrazione di controllare il regolare funzionamento di uno dei servizi che condizionano l’esistenza stessa della vita della comunità.
Al riguardo, ravvisata la non manifesta infondatezza della questione, è doveroso rimetterne il vaglio alla Corte costituzionale, in uno con tutte le altre, nella considerazione che l’art. 53 della Costituzione è posto a tutela dell’interesse generale alla riscossione dei tributi, considerato quale interesse particolarmente differenziato che, attenendo al regolare funzionamento dei servizi necessari alla vita della comunità, ne condiziona l’esistenza (v. C. cost., sent. 32 del 1976; Id., sent. 45 del 1963).
5.7. In ultimo, non può ignorarsi la lesione dell’art. 119, commi 1, 2 e 4, lamentata dal Comune di Teramo (ed a parere di questa Corte anch’essa non manifestamente infondata), laddove la legislazione in analisi impedisce attualmente all’ente locale di avere conoscenza delle risorse finanziarie effettivamente disponibili e ritarda oltremodo il loro conseguimento, seppur parziale, in caso di inadempienza dell’agente, escludendo in via di fatto, con norma statale, il coinvolgimento dell’ente locale medesimo nell’iter di soddisfacimento del proprio credito.
Si incide anche, per tal via, su un aspetto essenziale dell’autonomia finanziaria degli enti locali, vale a dire la possibilità di elaborare correttamente il bilancio di previsione, attività he richiede la previa e tempestiva conoscenza delle entrate effettivamente a disposizione (cfr. C. cost., sent. 129 del 2016).
6. Per l’insieme delle ragioni fin qui esposte, avuto riguardo alle sole disposizioni che, effettivamente, assumono concreta ed attuale rilevanza nell’ambito del presente giudizio, ritiene questa Sezione giurisdizionale della Corte dei conti che siano rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale, con riferimento agli articoli 3, 24, 53, 97, 81, 103, 111, 119 della Costituzione: dell’art. 1, comma 687, secondo periodo, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, nella parte in cui prevede che «il controllo di cui all’art. 20 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, come da ultimo sostituito dal comma 683 del presente articolo, può essere avviato solo decorsi i termini previsti dal citato comma 684»; dell’art. 1, comma 688, secondo periodo, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, secondo cui «le quote inesigibili di valore inferiore o pari a 300 euro (…) non sono assoggettate al controllo di cui al citato art. 19».
7. Il presente giudizio deve essere quindi doverosamente sospeso con trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per le conseguenti valutazioni, ai sensi della legge 11 marzo 1953, n. 87.
8. La statuizione sulle spese va riservata all’esito del giudizio.
P Q.M.
Con pronuncia non definitiva;
Ravvisata la non manifesta infondatezza, con riferimento agli articoli 3, 24, 53, 97, 81, 103, 111 e 119 della Costituzione, delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 687, secondo periodo, e 688, secondo periodo, della legge 23 dicembre 2014, n. 190;
Ordina l’immediata trasmissione degli atti, a cura della Segreteria, alla Corte costituzionale;
Sospende il giudizio fino alle conseguenti decisioni della Corte costituzionale, con onere di riassunzione a carico delle parti nei termini di legge;
Dispone che, a cura della Segreteria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri, alle parti in causa ed al pubblico ministero, e sia comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica ai sensi dell’art. 23, ultimo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87.
Riserva all’esito del giudizio la statuizione sulle spese.
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.
Così deciso in L’Aquila nelle Camere di consiglio del 3
ottobre, del 7 novembre 2017 e del 6 marzo 2018.
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