CORTE DEI CONTI – Ordinanza 31 gennaio 2017, n. 92
Previdenza e assistenza – Pensione privilegiata ordinaria – Abrogazione dell’istituto – Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 6.
Considerato in fatto
Con atto di ricorso depositato in data 14 ottobre 2013 e ritualmente notificato il sig.re C. R. A. ha adito questa sezione giurisizionale regionale per sentire dichiarare ed accertare il proprio diritto alla pensione privilegiata ordinaria, oltre somme arretrate, interessi e rivalutazione monetaria.
Espone il ricorrente di essere cessato dal servizio dall’1° ottobre 2012, con la qualifica di dirigente medico presso il P.O. «A. Perrino» di Brindisi.
Ai fini che rileva per il presente giudizio, con delibera n. 34 del 17 marzo 1993, a seguito di parere positivo del C.P.P.O. espresso nell’adunanza collegiale del 23 novembre 1992, l’ex USL BR/4 di Brindisi riconosceva al ricorrente la liquidazione dell’equo indennizzo. Successivamente, con nota del 27 settembre 2011, l’ASL BR chiedeva alla Commissione medica di verifica di Bari di sottoporre il medesimo agli accertamenti sanitari circa le condizioni di idoneità al servizio, ai sensi dell’art. 15 del decreto del Presidente della Repubblica n. 461/2001, essendo stato giudicato non idoneo al servizio. Nel contempo, poiché il dott. C. chiedeva alla propria amministrazione il riconoscimento dell’aggravamento dell’infermità già riconosciuta dipendente da causa di servizio, con nota del 5 ottobre 2011, l’ASL BR trasmetteva alla Commissione medica di verifica anche tale istanza. Con verbale BL/S n. 7806 del 5 marzo 2012, la suddetta Commissione, in ordine all’idoneità al servizio, giudicava l’interessato «non idoneo permanentemente ed in modo assoluto al servizio», mentre, in merito alla domanda di aggravamento dell’infermità già riconosciuta dipendente da causa di servizio, con verbale BL/B n. 7821 del 5 marzo 2012 esprimeva giudizio diagnostico con ascrivibilità alla 1ª ctg. Tab. A. Essendo tale giudizio confermato dalla Commissione medica di verifica, su richiesta della ASL BR, che disponeva la risoluzione del rapporto di lavoro.
La sede INPS di Brindisi comunicava al C. il conferimento della pensione di inabilità e, a fronte di domanda di pensione privilegiata presentata in data 7 gennaio 2013, con nota del 9 gennaio 2013, comunicava di non poter dare corso a tale domanda, atteso che la cessazione dal servizio era avvenuta oltre la data di abrogazione (6 dicembre 2011) dell’Istituto di che trattasi, disposta dall’art. 6 del decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201, convertito nella legge n. 22 dicembre 2011, n. 214.
Nei motivi di ricorso si contesta che l’Istituto di previdenza non ha tenuto in debito conto la procedura era già in essere alla data del 29 dicembre 2011, data di presentazione della domanda di aggravamento, ai sensi dell’art. 6 del decreto-legge n. 201/2011 cit. Sul punto, si sostiene la tesi della unicità del procedimento di accertamento della dipendenza della causa di servizio, sia ai fini dell’equo indennizzo che per la pensione privilegiata, si da far ritenere che il procedimento di riconoscimento della pensione privilegiata sia uno sviluppo di quello per l’equo indennizzo.
L’INPS (Ex INPADAP) si è costituito in giudizio con memoria depositata data 24 maggio 2016, alla quale è allegata una relazione a firma del responsabile del settore pensioni dipendenti PP.AA.
Secondo l’Istituto di previdenza va sottolineata l’indipendenza e l’autonomia funzionale del procedimento per il riconoscimento dell’equo indennizzo da quello della pensione privilegiata ordinaria e deve essere tenuto in debito conto che il ricorrente è cessato dal servizio dopo l’entrata in vigore del decreto-legge abrogativo dell’istituto della pensione privilegiata ordinaria previsto per i dipendenti civili dello Stato.
Diritto
Oggetto del presente giudizio è la domanda di riconoscimento della pensione privilegiata ordinaria.
Come è noto, l’art. 6 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel testo in vigore, dispone l’abrogazione, tra gli altri, dell’istituto della pensione privilegiata ordinaria dei dipendenti civili pubblici, come il ricorrente stabilendo, in via transitoria, la applicazione della previgente disciplina «ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché ai procedimenti per i quali, alla predetta data, non sia ancora scaduto il termine di presentazione della domanda, nonché ai procedimenti instaurabili d’ufficio per eventi occorsi prima della predetta data».
Per espressa previsione, l’istituto della pensione privilegiata ordinaria continua a trovare applicazione, invece, nei confronti del personale appartente ai comparti sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico.
Ciò premesso, nel condividere l’eccezione difensiva proposta dall’Istituto di previdenza, nel senso che non ricorre il verificarsi di alcuna delle «clausole di salvaguardia», in virtù delle quali la normativa previgente continua ad esplicare i suoi effetti, dappoiché il procedimento di riconoscimento della pensione privilegiata è stato instaurato dal ricorrente dopo il 6 dicembre 2011 e, d’altronde, il riferimento dell’art. 6 decreto-legge n. 201, convertito nella legge n. 214/2011, ai procedimenti per i quali, alla suddetta data, non sia ancora scaduto il termine di presentazione della domanda, non può essere interpretato che in relazione a quei casi in cui la domanda non sia stata presentata, fermo restando che nella fattispecie all’esame il procedimento non era instaurabile d’ufficio trova applicazione del presente giudizio la disposizione soppressiva dell’istituto della pensione privilegiata ordinaria dei dipendenti civili pubblici, contenuta nell’art. 6 cit., di cui, però, oltre che la rilevanza, va predicata l’illegittimità costituzionale per violazione del principio di eguaglianza, ai sensi dell’art. 3, comma 1, Cost.
Innanzitutto, la rilevanza del dubbio di legittimità costituzionale, in quanto la norma censurata è applicabile nel giudizio a quo, che non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale, siccome reso evidente dalla ricostruzione dei termini della res controversa, in cui l’ostacolo principale sul piano normativo è rappresentato dalla abrogazione dell’istituto della pensione privilegiata per la generalità dei dipendenti civili pubblici, non ricorrendo alcuna delle «clausole di salvaguardia» di diritto transitorio.
Il dubbio di legittimità costituzionale ricollegabile alla violazione dell’art. 3, comma 1, Cost. – di cui si dirà a breve – non è superabile, altresì, mediante interpretazione adeguatrice ovvero secundum constituetionem, che, come è noto, rappresenta, da almeno due decenni, a partire dalla sentenza n. 456 del 1989, una delle condizioni di ammissibilità dell’incidente di costituzionalità, in quanto la norma censurata non ha carattere polisenso, operando una netta distinzione tra coloro per i quali l’istituto della pensione privilegiata ordinaria cessa a far data dal 6 dicembre 2011, che sono la generalità dei dipendenti civili pubblici, e coloro che, nell’ambito del settore pubblico, appartengono ai comparti sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico, ammettendo, quindi, una ed una sola interpretazione della stessa, conforme al dettato testuale.
Ciò premesso, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge n. 201/2011 cit. è, oltre che rilevante, non manifestamente infondata, in quanto la norma censurata si pone in irrimediabile contrasto con l’art. 3, comma 1, Cost.
Va ricordato che la lettura che la giurisprudenza della Corte costituzionale ha dato del principio di eguaglianza ha portato ad enucleare anche un generale principio di «ragionevolezza», alla luce del quale la legge deve regolare in maniera uguale situazioni uguali ed in maniera ragionevolmente differenziata situazioni diverse.
Così, il principio «deve assicurare ad ognuno eguaglianza di trattamento, quanto eguali siano le condizioni soggettive ed oggettive alle quali le norme giuridiche si riferiscono per la loro applicazione (sentenza n. 3 del 1957), con la conseguenza che il principio risulta violato» quando, di fronte a situazioni obiettivamente omogenee, si ha una disciplina giuridica differenziata, determinando discriminazioni arbitrarie ed ingiustificate (sentenza n. 111 del 1981).
Il giudizio di eguaglianza postula, dunque, l’omogeneità delle situazioni messe a confronto e «non può essere invocato quando trattasi di situazioni intrinsecamente eterogenee» (sentenza n. 171 del 1982) o «quando si tratti di situazioni che, pur derivanti da si comuni, differiscano tra loro per aspetti distintivi particolari» (sentenza n. 111 cit. del 1981).
Pertanto, il giudizio ex art. 3, comma 1, della Costituzione si articola in due momenti: il primo, destinato a verificare la sussistenza di omogeneità fra le situazioni poste a confronto: e, cioè, «quel minimo di omogeneità necessario per l’instaurazione di un giudizio di ragionevolezza (sentenza n. 209 del 1988); il secondo, subordinato all’esito affermativo del precedente, destinato a stabilire se sia ragionevole o meno la diversità di trattamento, predisposta per la stessa dalla legge.
Ha affermato, infatti, il giudice delle legge che «si ha violazione dell’art. 3 della Costituzione quando situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, mentre non si manifesta tale contrasto quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non sostanzialmente identiche» (sentenza n. 340 del 2004).
Si può richiamare, per la limpidezza dei concetti espressi, anche la sentenza n. 163 del 1993, secondo cui «il principio di eguaglianza comporta che a una categoria di persone definita secondo caratteristiche identiche o ragionevolmente omogenee in relazione al fine obiettivo cui è indirizzata la disciplina normativa considerata, deve essere imputato un trattamento giuridico identico o omogeneo, ragionevolmente commisurato alle caratteristiche essenziali in ragione delle quali è stata definita quella determinata categoria di persone. Al contrario, ove i soggetti considerati da una certa norma, diretta a disciplinare una determinata fattispecie, diano luogo a una classe di persone dotate di caratteristiche non omogenee rispetto al fine obiettivo perseguito con il trattamento giuridico ad essi riservato, quest’ultimo sarà conforme al principio di eguaglianza soltanto nel caso che risulti ragionevolmente differenziato in relazione alle distinte caratteristiche proprie delle sottocategorie di persone che quella classe compongono».
Alla luce del principio di eguaglianza in senso stretto, deve affermarsi, dunque, la illegittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge n. 201/2011 cit., in quanto, in presenza della stessa infermità, il personale appartenente ai comparti sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico può ancora usufruire del trattamento pensionistico privilegiato, a differenza della generalità dei dipendenti pubblici, per i quali trova applicazione la norma abrogativa dell’istituto della pensione privilegiata ordinaria, senza che tale disciplina differenziata sia fornita di una quale giustificazione e per di più ragionevole. Il che rimanda al giudizio di ragionevolezza.
Il principio di eguaglianza viene frequentemente richiamato nella giurisprudenza della Corte costituzionale, invero, unitamente al principio di ragionevolezza, che, nella giurisprudenza più recente è declinata nella formula della «ragionevolezza proporzionalità» ovvero del «ragionevole e proporzionato bilanciamento», a significare la stretta relazione che intercorre anche tra ragionevolezza e proporzionalità.
Pur in mancanza di un obbligo generalizzato di motivazione della legge, in ragione del silenzio serbato in proposito dalla Costituzione, ai fini del sindacato sulla ragionevolezza è importante verificare la ratio legis soprattutto dopo la sentenza n. 70 del 2015, seguita dalla sentenza n. 108 del 2016. In entrambe le occasioni, la Corte costituzionale ha accolto le questioni sollevate dai giudici a quibus, rimproverando al legislatore la mancanza di una qualunque «relazione tecnica» circa i supposti risparmi di spesa derivanti dalla normativa censurata. Qui interessa il seguente passaggio argomentativo: i risparmi di spesa non possono essere solo affermati, dovendo altresì essere allegati e giustificati in funzione e in proporzione al sacrificio imposto agli interessi economici lesi dalla norma censurata. Ed è significativo osservare che il giudice delle leggi riconosca nella sentenza n. 108 del 2016 che tale previsione tecnica, considerate le peculiarità della disciplina presa in esame, sarebbe stata difficilmente configurabile, ma che ciò nonostante la mancanza di qualunque riferimento sul punto non gli impedisca di valutare la proporzione tra i sacrifici imposti all’affidamento del singolo e il beneficio tratto dalle casse pubbliche, rafforzando la censura di incostituzionalità.
Anche nel caso in esame, manca una stima dei risparmi di spesa derivanti dalla norma censurata, in quanto la «relazione tecnica» si limita ad affermare quanto segue: «La previsione realizza economie quantificabili solo a consuntivo atteso che l’esclusione esplicita di alcune categorie di personale nonché la necessaria gradualità delle modalità di applicazione, determina nel primo triennio effetti non puntualmente qualificabili tenuto conto, anche, dei tempi di liquidazione dei benefici previsti» e non sembri una forzatura ripetere quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 108 del 2016, secondo cui: «Occorre ricordare che la norma non appare corredata da alcuna relazione tecnica circa i risparmi da conseguire e tale stima sarebbe obiettivamente difficile (…)» (v. 4 del Considerato in diritto, in fine).
Il punto, infatti, è proprio questo: come può, la norma censurata, che non reca neppure il riferimento genericamente a contingenti situazioni finanziarie e sostanzialmente priva di una stima dei risparmi di spesa indotti dalla abrogazione dell’istituto delle pensione privilegiata ordinaria per una parte di dipendete pubblici (e non per la generalità), superare il giudizio di ragionevolezza e proporzionalita?
Prendendo a prestito le parole usate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 70 del 2015, ad avviso di questo giudice, il diritto alla pensione privilegiata del ricorrente, in quanto appartenente alla «classe» di dipendenti pubblici esclusivi dal beneficio del trattamento privilegiato ordinario «risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio».
Il giudizio va, quindi, sospeso e gli atti trasmessi alla Corte costituzionale per la conseguente pronunzia.
P.Q.M.
Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
Dispone la sospensione del giudizio in corso e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la pronuncia sulla questione di legittimità costituzionale di cui in premessa;
Ordina che, a cura della segreteria, la presente ordinanza si notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
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