CORTE DI APPELLO DI CAGLIARI – Ordinanza 17 settembre 2020, n. 18
Infortuni sul lavoro e malattie professionali – Prestazioni economiche da inabilità permanente – Menomazioni preesistenti all’entrata in vigore del decreto ministeriale previsto dall’art. 13, co. 3, del d.lgs. n. 38 del 2000 e già indennizzate – Previsione che la valutazione del grado di menomazione conseguente a un nuovo infortunio o a una nuova malattia professionale avviene senza tenere conto delle preesistenze – Mantenimento dell’eventuale rendita corrisposta in conseguenza di infortuni o malattie professionali verificatisi o denunciati prima dell’entrata in vigore del citato decreto ministeriale – Decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13, co. 6, secondo e terzo periodo
Svolgimento del processo
Lo svolgimento viene riportato nei limiti di quanto devoluto al giudice di II grado ex art. 346 del codice di procedura civile e 56 decreto legislativo n. 546/1992.
Con ricorso al Tribunale di Cagliari l’attuale ricorrente ha affermato di aver lavorato come minatore in sottosuolo dal 1959 al 1988 e di essere stato esposto all’inalazione di biossido di silicio.
Ha affermato di aver contratto la silicosi per tale ragione ed ha chiesto l’accertamento dell’esistenza della malattia e la condanna dell’INAIL all’erogazione delle relative prestazioni, negate in via amministrativa dopo che era stata presentata domanda il 22 febbraio 2008.
L’INAIL si è costituito in giudizio contestando l’esistenza del diritto ed eccependo che, poiché il ricorrente era titolare di rendita per «broncopneumopatia» (m.p. n. 40001717), era inammissibile qualsiasi duplicazione delle prestazioni.
Istruita la causa con produzioni documentali e CTU, il consulente ha concluso:
«Il signor F. M. risulta affetto da silicosi:
La diagnosi è di verosimile certezza;
Il conseguente grado di danno biologico può essere indicato pari al 25% a far data dalla presentazione della domanda amministrativa.»
Di seguito, nell’elaborato peritale, il CTU dichiara di aver anche visitato il ricorrente in altro procedimento, finalizzato all’accertamento dell’aggravamento della malattia professionale per cui era già indennizzato, ovvero sia la broncopneumopatia, redigendo la relativa consulenza, di cui riporta un estratto nel corpo di quella oggetto di causa, confermandone le valutazioni.
Nella diversa consulenza si legge:
«Prima di confrontare i dati emersi al solo scopo di verificare se sia o non intervenuto un aggravamento della broncopneinnopatia, non si può fare a meno di osservare come, alla luce degli attuali esami, la diagnosi di broncopneumopatia non può più essere condivisa, in quanto ci si trova al cospetto di una quadro patologico classico di silicosi.
Per quanto non sia possibile porre a confronto diretto i radiogrammi eseguiti in occasione della CTU del 1997, né risulta possibile confrontare radiogrammi INAIL, non prodotti e, per quanto riportato in alti, non eseguiti in occasione della revisione, il solo confronto del referto radiologico del 1997 con quello attuale evidenzia come si sia verificata una grossolana evoluzione, caratterizzata da un interessamento interstiziopatico di tutto il parenchima polmonare.
Attualmente l’osservazione diretta del quadro radiografico standard del torace è talmente eclatante che, se nel 1997 fosse stato presente anche solo in minor misura un quadro assimilabile, certamente ai radiologi del “Binaghi” (dove fu eseguito l’esame di quella CTU), non sarebbe sfuggito e sicuramente lo avrebbero segnalato.
Il quadro attuale è quello di una fibrosi polmonare interstiziale, caratterizzata da una disseminazione periferica, mantellare, di immagini nodulari e micronodulari di densità chiaramente fibrotica, che si raggruppano come “a grappoli” in varie zone dei campi polmonari.
Il quadro RX è talmente chiaro, e la fibrosi interstiziale talmente marcata, che, confrontato con il referto TC del torace esibito dal periziando (anche se trattasi di esami non “omogenei”), consente di ritenere che dal 2008 (epoca dell’esame TC) ad oggi si sia verificata una ulteriore evoluzione peggiorativa della fibrosi polmonare. Ed in effetti, la visione diretta che ho potuto personalmente effettuare dell’esame TC esibito dal periziando, mi consente di affermare che se ripetessimo oggi l’esame TC del torace, certamente troveremmo tale ulteriore aggravamento.
L’odierno quadro radiologico e quello TC del torace consentono, con criterio di tutta verosimiglianza, praticamente di certezza, di porre diagnosi di “silicosi”, alla luce della sicura e lungata (29 anni di galleria) esposizione del periziando all’inalazione di silice in miniera altamente silicotigena (Montevecchio)…
Conclusioni: nel signor F. M. indennizzato per broncopneumopatia professionale col grado del 14% d’inabilità lavorativa, risulta essersi realizzato un aggravamento della patologia respiratoria; con riferimento alla data di presentazione della domanda amministrativa di revisione può essere indicato un nuovo maggior grado d’inabilità, pari al 22%; a causa di un ulteriore intervento aggravamento, con riferimento al gennaio 2010 può essere indicato un nuovo maggior grado d’inabilità, pari al 32%».
Il Tribunale, con sentenza n. 1975 del 19 luglio 2011, ha accolto la domanda e riconosciuta la rendita per silicosi e cardiopatia associata al 25% di danno biologico.
Ha proposto appello l’INAIL, ribadendo che l’appellato era già indennizzato al 32% per broncopneumopatia, (vedi esiti della CTU relativa), liquidata secondo il regime del testo unico 1124/1965, e che il riconoscimento del danno integrale al 25% per la nuova patologia denunciata comportava una duplicazione di prestazioni, poiché si sarebbe dovuto tener conto della preesistenza già indennizzata, che interessava il medesimo apparato e, perciò, era «concorrente» con la silicosi. Ha perciò sostenuto che si sarebbe dovuto detrarre dal danno complessivo il danno preesistente, per ottenere il danno «nuovo» o «ulteriore». L’appellato si è costituito chiedendo il rigetto dell’appello.
La Corte d’appello, con sentenza n. 518 del 28 novembre 2012, ha accolto l’appello, ritenendo che «a parte la nuova diagnosi di silicosi polmonare», nessun danno ulteriore esistesse rispetto alla broncopneumopatia già diagnosticata e già indennizzata al 32% in regime ex decreto del Presidente della Repubblica 1124-1965, soggiungendo che la «silicosi» non si poteva considerare come nuova malattia professionale, da indennizzare come danno biologico ex decreto legislativo n. 38/2000 e che il danno riscontrato non era nuovo, ma coincideva con quello già indennizzato. Ha soggiunto che in caso contrario si sarebbe verificata una duplicazione dell’indennizzo ed ha, in definitiva, rigettata la domanda.
Ha proposto ricorso per Cassazione l’appellato e la Corte, con la sentenza n. 6774-2018 ha annullato la sentenza, ravvisando una violazione dell’art. 13, 6° comma, decreto legislativo n. 38/2000 ed ha rinviato a questa Corte, in diversa composizione. La suprema Corte ha ritenuto che la Corte d’appello avesse violato il decreto legislativo n. 38/2000:
«Essa contrasta infatti con la lettera dell’art. 13, comma 6, secondo e terzo periodo, che non distinguono la malattia nuova (o l’infortunio nuovo) che riguardi lo stesso apparato da quello che non lo riguardi; applicano a tutti i nuovi eventi la stessa soluzione, secondo cui delle preesistenti invalidità “non si tiene conto” al fine di valutare – nell’ambito delle nuove prestazioni – il grado di menomazione ad essi relativi; e prevedono la regola della concorrenza delle prestazioni (“l’assicurato continuerà a percepire l’eventuale rendita corrisposta in conseguenza di infortuni o malattie professionali verificatisi o denunciate prima della data sopra indicata”.
Riassume il giudizio l’originario ricorrente, cui resiste l’INAIL.
In corso di causa, deceduto l’appellato, si è costituita in giudizio l’erede. La causa è stata istruita con produzioni documentali ed è stata decisa sulla base delle seguenti
Conclusioni
Per l’appellante INAIL:
In via principale, in totale riforma della sentenza appellata, rigettare le domande proposte da F. M.
In subordine, qualora venisse riconosciuta la sussistenza della silicosi polmonare, procedere a scorporare il danno da quello indennizzato dall’Istituto con la BPCO.
Per l’appellata S. C.:
La ecc.ma Corte:
1) respinga l’interposto appello;
2) accerti che F. M. aveva diritto alla rendita per silicosi con cardiopatia associata nella misura del 25%, o in quell’altra maggiore o minore che risulterà in corso di causa, dalla data della domanda amministrativa, e per l’effetto condanni l’Inail al pagamento, a favore degli eredi, dei ratei maturati e scaduti, fino alla data del decesso, maggiorati degli interessi legali e rivalutazione monetaria nei limiti di legge;
3) condanni l’Inail alla rifusione delle spese del presente giudizio, del giudizio d’appello e del giudizio nanti la Corte di cassazione oltre alle spese generali e al rimborso dell’importo del contributo unificato per il ricorso in Cassazione pari a euro 900,00 con distrazione a favore degli avvocati V.A., C.A. e G.P. anticipatari;
4) ai sensi dell’art. 152 disp. att. si dichiara che il reddito imponibile, ai fini dell’imposta personale sul reddito risultante dall’ultima dichiarazione non è superiore a euro 22.987,64 come da dichiarazione sostitutiva di certificazione agli atti e pertanto, in caso di reiezione della domanda, si chiede che le spese del giudizio non vengono comunque poste a carico del ricorrente.
Motivi della decisione
Ricostruzione in fatto
I fatti che risultano accertati sono così sintetizzabili: il defunto F. M. godeva già di una rendita per «broncopneumopatia da polveri di silicati e calcare», arrivata alla percentuale del 32% di danno alla capacità lavorativa, costituita dal 1992 sotto il regime del testo unico 1124/1965. Tale percentuale era stata raggiunta a seguito di domanda giudiziale di aggravamento, nel cui corso il medesimo CTU dell’attuale procedimento aveva riscontrato che egli era affetto da un’unica malattia, la silicosi, mentre non era esistente la broncopneumopatia per cui era indennizzato. La percentuale di danno verificata dal CTU al momento della consulenza (2010), era del 32% di perdita di capacità lavorativa, sotto il regime del testo unico 1124/1965. La maggior percentuale di danno, peraltro, è rimasta sempre imputata alla prestazione in godimento, ovvero sia una rendita per BPCO e non per silicosi.
Il 22 febbraio 2008 ha chiesto all’INAIL il riconoscimento della diversa malattia della silicosi (rispetto alla BPCO per cui era indennizzato), con associata cardiopatia, sotto il regime pertanto del decreto legislativo n. 38/2000, che valuta non più il danno alla capacità lavorativa, ma il danno biologico. Il CTU, nel confermare l’esistenza della sola silicosi come unica malattia professionale che affliggeva il ricorrente, valuta in danno biologico nella misura del 25%, poi accertato dal Tribunale con la sentenza qui appellata.
Quadro normativo
La fattispecie è disciplinata dalla disposizione dell’art. 13, 6° comma, decreto legislativo n. 38/2000, il quale ha innovato il sistema delle prestazioni erogabili dall’INAIL sostituendo, per quanto qui rileva, il sistema di valutazione medico-legale del danno. Nel sistema del testo unico 1124/1965, infatti, si teneva conto del danno che gravava sulla «capacità lavorativa», mentre in quello delineato dal decreto suddetto si ha riguardo al «danno biologico».
La norma:
«6. Il grado di menomazione dell’integrità psicofisica causato da infortunio sul lavoro o malattia professionale, quando risulti aggravato da menomazioni preesistenti concorrenti derivanti da fatti estranei al lavoro o da infortuni o malattie professionali verificatisi o denunciate prima della data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3 e non indennizzati in rendita, deve essere rapportato non all’integrità psicofisica completa, ma a quella ridotta per effetto delle preesistenti menomazioni, il rapporto è espresso da una frazione in cui il denominatore indica il grado d’integrità psicofisica preesistente e il numeratore la differenza tra questa ed il grado d’integrità psicofisica residuato dopo l’infortunio o la malattia professionale. Quando per le conseguenze degli infortuni o delle malattie professionali verificatisi o denunciate prima della data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3 l’assicurato percepisca una rendita o sia stato liquidato in capitale ai sensi del testo unico, il grado di menomazione conseguente al nuovo infortunio o alla nuova malattia professionale viene valutato senza tenere conto delle preesistenze. In tale caso, l’assicurato continuerà a percepire l’eventuale rendita corrisposta in conseguenza di infortuni o malattie professionali verificatisi o denunciate prima della data sopra indicata.»
Per completezza, si riporta anche il testo dell’art. 9 stesso decreto legislativo n. 38/2000, riguardante la disciplina dell’errore, nella parte che può rilevare:
«Art. 9 Rettifica per errore
1. Le prestazioni a qualunque titolo erogate dall’istituto assicuratore possono essere rettificate dallo stesso Istituto in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione delle prestazioni. Salvo i casi di dolo o colpa grave dell’interessato accertati giudizialmente, l’istituto assicuratore può esercitare la facoltà di rettifica entro dieci anni dalla data di comunicazione dell’originario provvedimento errato.
2. In caso di mutamento della diagnosi medica e della valutazione da parte dell’istituto assicuratore successivamente al riconoscimento delle prestazioni, l’errore, purché non riconducibile a dolo o colpa grave dell’interessato accertati giudizialmente, assume rilevanza ai fini della rettifica solo se accertato con i criteri, metodi e strumenti di indagine disponibili all’atto del provvedimento originario.
3. L’errore non rettificabile comporta il mantenimento delle prestazioni economiche in godimento al momento in cui l’errore stesso è stato rilevato.
4. E’ abrogato il primo periodo del comma 5 dell’art. 55 della legge 9 marzo 1989, n. 88″…»
Dall’esame dell’art. 13, 6° comma, risulta che lo stesso contiene la disciplina che regola il passaggio dal vecchio al nuovo sistema di indennizzo, in relazione ai casi di interferenza che si possono verificare nel caso dell’esistenza di menomazioni fisiche preesistenti, individuando due diverse ipotesi: la prima è quella in cui, all’atto della richiesta di una prestazione sotto il nuovo regime, ci siano menomazioni preesistenti concorrenti, derivanti da fatti estranei al lavoro (e non è il caso che si presenta), o da infortuni o malattie professionali verificatisi o denunciate prima della data di entrata in vigore (neanche questo è il caso attuale) del decreto ministeriale di cui al comma 3 e non indennizzati in rendita, nel qual caso la percentuale di danno relativa al nuovo danno è calcolata tenendo conto che la capacità fisica è già diminuita per effetto della preesistenza. La norma precisa infatti anche la formula matematica da applicare (c.d. formula di G.).
La seconda è quella in cui non solo ci sia una malattia o infortunio professionale preesistente, ma per lo stesso l’interessato già percepisca una rendita o sia stato «liquidato in capitale» ai sensi del testo unico: in questo caso, il nuovo danno va valutato «senza tener conto delle preesistenze», quindi presumendo una integrità fisica del 100%. Si prevede di seguito che l’interessato continui a percepire la prestazione già in corso, senza modificazioni.
Per quanto riguarda l’art. 9, disciplinante l’errore, esso è stato riportato solo per completezza, sia perché l’iniziativa di ritenere erronea la propria precedente valutazione medica spetta all’INAIL, e solo successivamente, sempre introdotta dalle parti nel processo, può essere fatta oggetto del giudizio, sia perché è stato chiarito dalla CTU, in relazione alla domanda di aggravamento della broncopneumopatia, che dagli esami risultanti al tempo non era individuabile un elemento diagnostico fondamentale (art. 9, 2° comma), e quindi la prestazione già in corso non sarebbe revocabile.
Principio di diritto
Il principio di diritto cui questa Corte deve attenersi è quello che la stessa sentenza della suprema Corte indica ai punti 6) e 7):
«6. La fattispecie che ne occupa attiene alla seconda parte dell’art. 13, comma 6, decreto legislativo n. 38/2000, su cui non constano specifici precedenti di questa Corte. In base alla norma di legge risulta che qualora il lavoratore goda di una rendita per una malattia professionale denunciata prima dell’entrata in vigore della disciplina dettata dal decreto legislativo n. 38/2000 (ovvero prima del 25 luglio del 2000 e successivamente venga colpito da una nuova malattia professionale (non importa se concorrente o coesistente) il grado di menomazione conseguente alla nuova malattia professionale deve essere valutato senza tenere conto delle preesistenti menomazioni; ed il lavoratore percepirà pertanto sia la rendita già liquidata in base al testo unico 1124/65, sia la prestazione per la nuova malattia da liquidarsi in base allo stesso art. 13 del decreto legislativo numero 38 del 2000.
7. La legge non contempla la distinzione pretesa dalla difesa dell’Inail ed accolta dalla sentenza impugnata secondo cui in caso di nuova malattia si dovrebbe distinguere l’ipotesi del danno concorrente e quella del danno coesistente; né consente di enucleare una terza ipotesi di valutazione delle preesistenze per il c.d. «danno biologico d’apparato» (rispetto a quelle regolate nel primo e nel secondo periodo dell’art. 13, 6 comma). E’ perciò evidente che la soluzione presa dalla Corte d’appello cagliaritana, di scorporare il danno biologico d’apparato ovvero il danno biologico per bronco pneumopatia da quello per silicosi, sia in contrasto con la regola dettata dalla legge.»
Effetti dell’applicazione della norma
In applicazione del principio di diritto alla controversia, pertanto, l’appello dell’INAIL dovrebbe essere rigettato: la valutazione del 25% di danno biologico data alla silicosi non solo è corretta, ma anche non deve tener conto dell’esistenza della preesistente rendita per broncopneumopatia al 32%, malattia che altro non è che la silicosi oggetto della presente controversia, non diagnosticata al tempo della sua concessione. All’appellato spetterà pertanto la rendita al 25% di danno biologico per silicosi, che andrà. ad aggiungersi alla vecchia rendita in godimento del 32%, per la stessa (unica) malattia professionale da cui è afflitto.
Si assiste pertanto ad una totale duplicazione dell’indennizzo, in relazione ad un unico fatto lesivo, sia pure sotto due diversi parametri di valutazione: il 32% di perdita della capacità lavorativa, che equivale al 25% di danno biologico. Unica è la malattia e la valutazione delle conseguenze sotto i due profili è stata effettuata pressochè contemporaneamente, a parametri fisici invariati e dallo stesso ausiliare.
A differenza di questa fattispecie, se il fatto lesivo preesistente non fosse stato già indennizzato, come nella prima parte del 6° comma («verificato o denunciato» è la dizione della norma), la valutazione medico legale della nuova malattia avrebbe potuto tener conto della preesistenza ed essere, quindi, unitaria e complessiva.
Questa considerazione è valida anche nella fattispecie in cui, anche a prescindere dall’esistenza di un’esatta identità di malattia, le due patologie, una preesistente ed una successiva, interessino gli stessi organi e parametri vitali da valutare e sia impossibile, sempre dal punto di vista medico legale, scinderne le conseguenze sulla funzionalità fisica. Ciò viene precisato anche perché questa Corte ha, pendenti davanti a sé, altre controversie investenti questa problematica, una delle quali già oggetto di analoga ordinanza di rimessione a codesta Corte (INAIL-M. A., racl 206-2017, ordinanza del 26 maggio 2020).
Norme costituzionali interessate
Questa Corte dubita della conformità della disposizione da applicare agli articoli 3 e 38 della Costituzione, sotto il profilo perciò della disparità di trattamento e della violazione del principio di solidarietà sociale, che deve essere ancorato ad uno stato di bisogno effettivo.
Per quanto riguarda la disparità di trattamento, essa è evidente rispetto alla stessa fattispecie disciplinata dalla norma in questione, nel primo periodo del 6° comma: nel caso di eventi precedenti e domande già presentate prima dell’entrata in vigore, l’evento lesivo precedente viene valutato unitariamente a quello successivo, ai fini di accertare il complessivo danno, mentre nel caso che sia già stata erogata la prestazione (2° e 3° comma), del danno precedente non si tiene conto e si presume la piena efficienza fisica, calcolando su questa il danno nuovamente verificatosi, con ciò creando una situazione di privilegio per questo secondo caso.
La ragione della differenziazione non può essere rinvenuta nella tutela dei diritti acquisiti, poiché anche nella prima fattispecie si è di fronte ad una situazione in cui esiste un diritto già consolidato: la presentazione della richiesta di prestazione per l’evento verificatosi consolida la pretesa di vederselo valutare ed eventualmente indennizzare, ed è perciò anch’esso un diritto acquisito.
A ben vedere, la tutela ha la sola finalità di mantenere fermo il criterio di valutazione medico legale applicato, ancorato a parametri che si vorrebbe non confondibili con quelli relativi al danno biologico, ma questo viene fatto differenziandosi dall’altra ipotesi in cui il danno è preesistente ed anche la relativa denuncia, ma il criterio di valutazione medico legale del danno precedente, sempre nel caso di un danno successivo, viene mutato ed anche il primo viene coinvolto nella valutazione complessiva, ancorata a parametri diversi dai precedenti, prevista espressamente dal 6° comma nella prima parte.
Non si ravvisa alcuna giustificazione in questa differenziazione, che nel caso dell’esistenza di una rendita già, in essere attribuisce un ingiustificato privilegio al percettore, poiché si ottiene l’effetto di maggiorare la percentuale di danno indennizzato in relazione al nuovo evento o malattia.
Questa Corte è consapevole che la legittimità della disposizione è stata già indagata da codesta Corte, in particolare con la sentenza n. 426 del 2006, sempre in relazione al secondo e terzo periodo del 6° comma in questione. In ogni caso, totalmente diversa è la situazione di fatto posta a base della valutazione compiuta al tempo: nella sentenza n. 426, in una situazione in cui si percepiva già una rendita col regime precedente e si era verificato un nuovo fatto lesivo col nuovo regime, che però non oltrepassava la percentuale di danno indennizzabile, si desiderava giungere ad una valutazione unitaria al fine di comprendervi anche il nuovo danno, che era invece sotto soglia, al fine di ottenere una rendita maggiore.
Nella fatti specie in esame, invece, si assiste ad una totale duplicazione dell’indennizzo, e ciò, ad avviso di questa Corte, confligge anche con l’art. 38 della Costituzione, oltre che sempre con l’art. 3, poiché la duplicazione dell’attribuzione spezza il collegamento sia con lo stato di necessità, che con l’adeguatezza del rimedio predisposto dal legislatore. Il meccanismo predisposto dal 6° comma dell’art. 13 decreto legislativo, in definitiva, non è in grado di evitare duplicazioni di indennizzo, poiché il 2° ed 3° periodo, a differenza del 1° periodo del 6° comma, nel quale nessun problema di duplicazione si pone, impongono di far riferimento ad una piena efficienza fisica, anche se in concreto già compromessa, portando pertanto a valutare necessariamente due volte le conseguenze di una determinata patologia, o le conseguenze di patologie interessanti gli stessi organi o influenti sugli stessi parametri vitali. Nel sistema generale vige invece il principio dell’incompatibilità tra le prestazioni derivanti dallo stesso fatto lesivo (art. 1, 43° comma, legge n. 335/1995) ed anche tra prestazioni previdenziali ed assistenziali, anche se di diversa origine e frutto di diverso sistema di valutazione (art. 3, legge n. 407/1990). La possibilità di cumulo è inoltre rimessa a situazioni previste da norme speciali, come nel caso dell’art. 12, legge n. 412/1991 che, nel modificare l’art. 3, legge n. 407/1990 appena citato, esclude dal divieto di cumulo le prestazioni erogate ai ciechi civili, ai sordomuti e agli invalidi totali.
Non si può neanche ritenere una valida giustificazione la volontà di assicurare un trattamento di miglior favore, poiché sarebbe stata realizzabile in altro modo, quale la possibilità di conservare il trattamento più favorevole, prevista ad esempio dalle stesse disposizioni appena citate.
Rilevanza della questione
Come già detto, si tratta del principio di diritto da applicare necessariamente alla controversia, in esecuzione dell’art. 384 del codice di procedure civile, e questo giustifica di per sé la valutazione sulla rilevanza: l’appello dell’INAIL dovrebbe essere respinto. L’appellato dovrebbe pertanto percepire integralmente e senza decurtazioni l’importo della rendita al 25% per asbestosi, unica malattia esistente, che sì aggiungerebbe a quella già in essere per broncopneumopatia al 32%.
Se, invece le disposizioni di cui sopra dovessero essere ritenute costituzionalmente illegittime e, in ipotesi, dovesse risultare di generalizzata applicazione quella del 1° periodo del 6° comma, l’appello dell’INAIL dovrebbe essere accolto e nuovamente determinato il danno complessivo con l’applicazione della formula precisata.
Si rileva, in aggiunta, che la suprema Corte si è già pronunciata anche in un’altra controversia in cui la parte privata era patrocinata dai medesimi difensori di quella attuale, sempre valutando una sentenza di questa Corte d’appello, ed il principio di diritto affermato è stato identico (vedi Cassazione sez. L n. 6048-2018). Si deve aggiungere ancora che anche in altre controversie pendenti davanti a questa Corte d’appello, tra cui R.G. 206-2017, pur non provenienti da rinvio dalla suprema Corte, si chiede l’applicazione del medesimo principio di diritto e si richiamano espressamente le pronunce di quest’ultima appena richiamate.
Per quanto riguarda pertanto l’applicazione della suddetta previsione, si è di fronte ad un orientamento reiterato, che deve essere ritenuto diritto vivente, e nei confronti del quale non paiono percorribili altre soluzioni interpretative, vista l’inequivoca previsione della norma. In particolare, non è percorribile l’interpretazione propugnata dall’INAIL che, oltre ad essere totalmente in contrasto con la previsione della legge, fa riferimento ad un criterio medico legale che, in causa, risulta essere non esistente ed impraticabile con metodo scientifico.
Sulla base di queste considerazioni, sciogliendo la riserva, si deve pertanto sospendere il presente procedimento e rimettere gli atti alla Corte costituzionale, per la soluzione della questione, rilevata d’ufficio.
P.Q.M.
Visti l’art. 134 della Costituzione e la legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 13, 6° comma, secondo e terzo periodo del decreto legislativo n. 38/2000 in relazione agli articoli 3 e 38 della Costituzione nella parte in cui portano ad una duplicazione totale o parziale dell’indennizzo, a differenza delle fattispecie disciplinate dal 1° periodo dello stesso comma.
Dispone la sospensione del giudizio in corso e l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Manda alla cancelleria di notificare la presente ordinanza alle parti del giudizio, al Presidente del Consiglio dei ministri e di darne comunicazione al Presidente del Senato e al Presidente della Camera.
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