CORTE DI APPELLO DI NAPOLI – Ordinanza 18 settembre 2019
Lavoro e occupazione – Disciplina del contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti – Licenziamento collettivo (nel caso di specie, per riduzione di personale) – Violazione delle procedure o dei criteri di scelta – Applicazione del regime previsto dall’art. 3, comma 1, del decreto legislativo n. 23 del 2015 (tutela indennitaria).
– Legge 10 dicembre 2014, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro), art. 1, comma 7; decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), artt. 1, comma 2, e 10, anche in combinato disposto con l’art. 3 del medesimo decreto legislativo
Antefatto processuale e svolgimento del processo
1. Premesso di essere stata licenziata a seguito di una procedura di licenziamento collettivo la Sig.ra R…., con ricorso depositato presso questa Corte in data 8 ottobre 2018, interponeva gravame avverso la sentenza n. 1110/2018 del Tribunale di Napoli con cui era stata rigettata l’impugnativa del licenziamento intimatole in data 1° luglio 2016.
2. Avverso tale licenziamento la sig.ra R…. esponeva di essere stata dipendente della B. S.r.l. a seguito di passaggio di cantiere ex art. 6 CCNL FISE Igiene – a far data dal 1° maggio 2016, con contratto stipulato ex novo senza riconoscimento della pregressa anzianità di servizio, svolta presso la società cedente; che in data 15 maggio 2016 le veniva intimato – unicamente ad altri otto colleghi – licenziamento ai sensi dell’art. 24, comma 1 della legge n. 223/91 con la motivazione «riduzione del personale»; che, in spregio ai criteri di scelta ex articoli 4 e 5 legge n. 223/91, formalmente comunicati alle OO.SS., la ricorrente veniva individuata, quale lavoratore del ruolo impiegatizio da licenziare, esclusivamente in quanto rivestiva, prima della riassunzione, tale qualifica nel cantiere oggetto del passaggio, posto che tale commessa non prevedeva più tale mansione. Eccepiva la ricorrente la violazione dei criteri di scelta, con particolare riferimento alla sua individuazione, visto che la causale del licenziamento – come desumibile dalle comunicazioni era relativa a tutto i1 personale dell’azienda e non al solo cantiere di Lacco Ameno e nell’organico aziendale vi erano altre figure professionali identiche, mai state considerate ai fini della comparazione.
3. La sig.ra R…., esponeva altresì che, adito il Tribunale di Napoli in funzione di giudice del lavoro, e chiesta la reintegrazione nel posto di lavoro precedentemente occupato e comunque il risarcimento del danno, all’esito del giudizio, svoltosi nella resistenza della convenuta, il giudice di prime cure aveva rigettato il ricorso, per genericità ed infondatezza dei motivi, compensando le spese. Con i motivi di appello la sig.ra R. ribadiva le tesi e le conclusioni già formulate in primo grado.
4. Opponeva, in particolare, la ricorrente l’illegittimità del licenziamento intimatole, per violazione dei criteri di scelta ai sensi dell’art. 5 della legge n. 223/91 e comunque per violazione della procedura.
5. Modulate le richieste istruttorie la Sig.ra R…., concludeva per la riforma della sentenza che aveva rigettato il ricorso.
6. Avverso il gravame formulato si costituiva la B. S.r.l. la quale chiedeva il rigetto dell’appello, ritenendo l’assunto infondato e generico. Esponeva che, in ogni caso, posto che il contratto della R…., era stato stipulato in data posteriore al 7 marzo 2015, la tutela esperibile restava esclusivamente quella indennitaria nei limiti stabiliti dall’art. 10 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23.
Sulla rilevanza delle questioni di costituzionalità sottoposte al vaglio della Corte.
7. Come sottolineato più volte dalla Corte costituzionale (sentenza n. 185 del 1995 e n. 390 del 1996), ai fini della sussistenza della rilevanza della questione da sottoporre al vaglio di costituzionalità è sufficiente, a fronte di una motivazione non implausibile fornita dal giudice a quo, che dall’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione impugnata, derivi un cambiamento del quadro normativo assunto dal giudice rimettente.
8. Riassunta come sopra la vicenda processuale e alla luce di quest’ultima, ritiene la Corte che la decisione, in virtù della tempistica di costituzione del vincolo contrattuale, implichi necessariamente il vaglio e l’applicazione, nelle conseguenze sanzionatorie nel caso di accoglimento delle domande, della normativa di cui agli articoli 1, secondo comma e 10 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23;
9. Il licenziamento oggetto dì causa si riferisce, infatti, ad un’ipotesi disciplinata dall’art. 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, attuativa della direttiva dell’Unione 98/59/CE.
10. Tali licenziamenti sono sottoposti attualmente, come noto, alla disciplina degli articoli 3 e 10 del decreto legislativo n. 23/15, ad un regime sanzionatorio meramente indennitario.
11. Ai fini del presente giudizio, nella descritta prospettiva della coesistenza di diversi regimi sanzionatori, con riferimento a tale tipologia di licenziamento, assume rilevanza nel giudizio a quo, il vaglio di conformità costituzionale del regime meramente indennitario, nella formulazione antecedente alla novella di cui decreto-legge n. 87/2018 convertito in legge n. 96/2018.
12. Ciò deve avvenire. a parere della Corte, sotto vari profili, tra loro strettamente connessi. discendenti sia dal diritto dell’Unione che, comunque, dalla stessa Carta Costituzionale, quali quelli dell’adeguatezza ed effettività della tutela per il danno subito dalla perdita del posto di lavoro, ragionevolezza della coesistenza di plurimi regimi sanzionatori, anche rispetto ai principi di parità e non discriminazione dei lavoratori, principi che a loro volta incidono sul giudizio di aderenza ai parametri costituzionali ed eurounitari.
13. L’eventuale giudizio di non aderenza ai parametri dell’Unione, ovvero ai parametri costituzionali del coesistente doppio regime, determinerebbe una modifica della nuova disciplina che rende pertanto – a giudizio della Corte e come meglio specificato in seguito – rilevanti le questioni.
Sulla doppia pregiudizialità della questione sottoposta al vaglio della Corte.
14. Ritiene inoltre questa Corte, in via preliminare, che stante i duplici profili di contrarietà sia con il diritto dell’Unione che con la Carta costituzionale, la questione dia luogo ad un’ipotesi di cd. «doppia pregiudizialità», atteso che la violazione prospettata di specifiche previsioni della Carta Costituzionale è integrata, oltre ai motivi di seguito specificati, anche dal parametro di cui all’art. 117, primo comma Cost. con riferimento a norme del Trattato dei Diritti Fondamentali dell’Unione la cui violazione, pertanto, concorre con autonoma rilevanza ai fini della decisione del giudizio.
15. La riconducibilità del licenziamento collettivo nell’ambito delle competenze normative dell’Unione impone, infatti, a questo Collegio anche un esame circa la compatibilità delle norme di diritto interno, suscettibili di applicazione, ed in particolare degli articoli 1, 3 e 10 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, con le previsioni contenute nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione (CDFUE) con le norme da esso derivate, sia che si ritenga che introducano diritti di immediata applicazione, sia che stabiliscano principi fondamentali. In entrambi i casi, infatti, l’interprete si trova di fronte a regole di matrice eurounitaria, che incidono direttamente ai fini del giudizio di compatibilità delle norme nazionali, che Giudice è tenuto a disapplicare ovvero a richiedere di espungere dall’ordinamento.
16. La questione prospettata da questa Corte implica, in effetti, la valutazione di conformità delle norme interne che trovano applicazione nella fattispecie in esame con il principio di uguaglianza (art. 20 CDFUE), di non discriminazione (art. 21 CDFUE), di tutela del posto di lavoro (art. 30 CDFUE), in uno con il diritto ad un ricorso effettivo (art. 47 CDFUE), in rapporto con la direttiva 98/59/CE .
17. Le norme sopra richiamate di matrice eurounitaria, arricchite dal richiamo ad altre fonti, implicano, a loro volta, una parziale sovrapposizione dei diritti e dei principi fondamentali con analoghe previsioni affermate dalla Carta costituzionale, anch’esse suscettibili di incidere autonomamente sulla concreta applicabilità delle norme interne.
18. Non può invero negarsi che nell’ambito delle due Carte fondamentali sussista, anche in forza delle comuni tradizioni giuridiche, una oggettiva correlazione, tra gli arti. 20, 21, 30 e 47 CDFUE e gli articoli 3, 4, 35 e 111 Cost. in un rapporto che, sebbene investa omogenei diritti fondamentali, tuttavia, non necessariamente li rende del tutto sovrapponibili richiedendo, quindi, un’opera interpretativa rimessa alle competenze delle rispettive Alte Corti.
19. In tale contesto multilivello questo Collegio non ignora l’attuale «dialogo» tra Corti che coinvolge i meccanismi di tutela dei diritti fondamentali avviato dalla Corte costituzionale sin dalla sentenza n. 269/2017 che, in tema di antinomie tra il diritto nazionale e l’ordinamento eurounitario, afferma una competenza prioritada del Giudice delle Leggi in tema di diritti fondamentali.
20. La pregiudizialità costituzionale di diritti che afferiscono a valori fondamentali, che trovano al contempo riscontro nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione, che indubbiamente costituisce un complesso normativa dotato «di caratteri peculiari in ragione del suo contenuto di impronta tipicamente costituzionale», non può, tuttavia, impedire – secondo questa Corte – al giudice a quo di adire la Corte di Giustizia dell’Unione europea. in qualsiasi stato e fase del giudizio.
21. Ritiene, infatti, il Collegio remittente che qualsiasi prassi costituzionale interna. che impedisca di ritenere la supremazia del diritto dell’Unione, ostacolando anche temporalmente la facoltà del giudice nazionale di adire ex art. 267 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea la Corte di Giustizia non sia compatibile con i vincoli assunti dall’Italia con l’adesione all’Unione europea.
22. La giurisprudenza della Corte di giustizia UE con la sentenza CGUE 11 settembre 2014 nella causa C-112/13, ha chiaramente affermato che «il funzionamento del sistema di cooperazione tra la Corte di giustizia e i giudici nazionali instaurato dall’art. 267 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e il principio del primato del diritto dell’Unione necessitano che il giudice nazionale sia libero di adire, in ogni fase del procedimento che reputi appropriata, e finanche al termine di un procedimento incidentale di legittimità costituzionale, la Corte di Giustizia con qualsiasi questione pregiudiziale ritenga necessaria».
23. Nello stesso senso si inseriscono altre pronunce della Corte di giustizia, sia coeve, sia successive alla sentenza n. 269 del 2017 della Corte costituzionale. In particolare nella decisione del 20 dicembre 2017 causa C-322/16, si ribadisce come «un giudice nazionale investito di una controversia concernente il diritto dell’Unione, il quale ritenga che una norma nazionale sia non soltanto contraria a tale diritto, ma anche inficiata da vizi di costituzionalità; non è privato della facoltà o dispensato dall’obbligo, previsti dall’art. 267 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di sottoporre alla Corte questioni relative all’interpretazione o alla validità del diritto dell’Unione per il fatto che la constatazione dell’incostituzionalità di una norma di diritto nazionale è subordinata ad un ricorso obbligatorio dinanzi ad una Corte costituzionale».
24. L’assenza di vincoli pregiudiziali che impediscano al giudice del merito di adire la Corte di Giustizia dell’Unione con rinvio ex art. 267 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in presenza di coesistenti profili afferenti a valori rilevanti ai fini del giudizio di costituzionalità viene, infine, affermata anche dalla recente decisione del 24 ottobre 2018, nella causa C-234/17 che inequivocabilmente afferma che «i giudici nazionali incaricati di applicare, nell’ambito delle loro competenze, le norme del diritto dell’Unione hanno l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme (…) senza chiedere né attendere la previa soppressione di tale disposizione nazionale per via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale».
25. Questa Corte, considera d’altra parte che l’esigenza di assicurare una tutela sostanzialmente uniforme ed erga omnes (cfr. Corte costituzionale 20/2019 e Corte Cost. ordinanza 117/19) in tema di diritti fondamentali, comunque, non osti al potere del Giudice del merito, in presenza di una doppia pregiudizialità, di adire autonomamente la Corte di Giustizia, sottoponendo contemporaneamente la questione interpretativa, rilevante ai fini del giudizio di costituzionalità, come, peraltro, pare potersi ravvisare anche dalla giurisprudenza costituzionale successiva alla decisione (C. Cost. n. 269/17).
26. L’assenza di un vincolo ostativo in capo al giudice remittente a proporre autonomamente la questione interpretativa che la Corte costituzionale è tenuta a vagliare in quanto strumentale ai fini del giudizio che le è proprio, trova in effetti conferma nelle successive decisioni e, da ultimo, nell’ordinanza n. 117/19.
27. La sintesi del complesso rapporto pare. quindi, delinearsi nella espressa esclusione, affermata dalla Corte costituzionale nella sentenza 20/19, di «ogni preclusione» nell’ambito di un auspicato «concorso di rimedi giurisdizionali» in una prospettiva di arricchimento degli strumenti di tutela dei diritti fondamentali.
28. Nella prospettiva delineata, questo Collegio ritiene, quindi, di risolvere la segnalata doppia pregiudizialità prospettata sulla base di un’interpretazione conforme con le norme dei Trattati dell’Unione della prassi costituzionale che, al contempo, consenta di rimettere al Giudice delle leggi la valutazione della persistenza giuridica con valore erga onmes, di una norma interna contraria a principi fondamentali in una prospettiva anche multilivello.
29. Una diversa interpretazione del «dialogo tra Corti», che consentisse solo a valle del giudizio di costituzionalità la facoltà del Giudice di attivare i meccanismi di rinvio pregiudiziale, rischierebbe di esautorare – rectius emarginare – il ruolo del giudice del merito dal meccanismo dinamico di arricchimento delle tutele tra diritto nazionale e diritto eurounitario.
30. Ritiene, quindi, questa Corte di potere contemporaneamente sollevare, con separate ordinanze, entrambe le questioni prospettabili: la prima innanzi alla Corte costituzionale per la questione basata su violazioni di norme primarie interne, come meglio specificate di seguito, e al contempo in parte lesive di diritti fondamentali richiamati di fonte sovranazionale, e la seconda innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea per l’interpretazione della portata e della valenza delle stesse norme eurounitarie, onde valutare la compatibilità di queste ultime con il diritto interno.
Esplicitazione delle questioni di costituzionalità sottoposte al vaglio della Corte.
31. Rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 1, settimo comma della legge n. 183/14 e degli articoli 1, secondo comma e dell’art. 10 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, in sé e nel combinato disposto con l’art. 3 del medesimo decreto legislativo, per contrasto con gli articoli 3, 4, 24, 35, 38, 41, 111 Cost., in quanto in forma irragionevole, nell’ambito di una stessa procedura di licenziamento collettivo, clic si svolga simultaneamente nei confronti di lavoratori assunti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015 e lavoratori assunti con analoghi contratti precedentemente a tale data, le norme censurate introducono, in presenza di una identica violazione dell’art. 5 della legge n. 223/91 (e quindi per la violazione deì criteri di scelta afferente ai medesimi licenziamenti), un ingiustificato differente regime sanzionatorio sotto un duplice profilo;
32. dal punto di vista sostanziale, in quanto il sistema sanzionatorio che questa Corte sarebbe tenuta ad applicare risulta, rispetto al vincolo imposto dalla Costituzione di tutelare il rapporto di lavoro, irragionevolmente inadeguato per efficacia deterrente e capacità di ristorare il danno effettivo subito dal lavoratore a fronte della illegittima risoluzione del contratto di lavoro, anche sotto il profilo previdenziale, atteso che la normativa di cui al decreto legislatore n. 23/15 non prevede, diversamente dal sistema sanzionatorio applicabile alla medesima violazione perfezionatasi nella stessa procedura per i coesistenti rapporti costituiti in data antecedente, la reintegra nel posto di lavoro o altra misura economica di pari efficacia, sia sotto il profilo della effettività che della capacità deterrente.
33. La coesistenza di regimi sanzionatori, del tutto disomogenei per livelli di tutela, appare, infatti, – a giudizio della Corte remittente – idonea a determinare una irragionevole disparità dì trattamento fra identiche violazioni relative a fattispecie del tutto omogenee, intervenute simultaneamente nella medesima procedura comparativa, basata su identici criteri e presupposti di validità.
34. La sostanziale attenuazione della misura sanzionatoria, concretamente priva di una capacità dissuasiva, per effetto della disparità generata, sacrifica – a giudizio della Corte remittente – in modo irragionevole solo per alcuni lavoratori il diritto al mantenimento del posto di lavoro, tutelato costituzionalmente, ed appare quindi idonea a ledere, per i soli lavoratori assunti post 7 marzo 2015, il diritto ad una selezione comparativa oggettiva ed imparziale.
35. Dal punto di vista strettamente processuale l’inadeguata tutela rispetto al danno effettivo subito si accompagna ad un rimedio processuale meno efficace, perché privo di immediatezza, nel quale il decorso del tempo penalizza il lavoratore privato ingiustamente del posto di lavoro.
36. Le norme oggetto dell’ordinanza di rinvio al contempo si pongono altresì – ad avviso di questo Collegio – in contrasto con gli art. 3, 4, 10, 35, terzo comma e 117, primo comma Cost. in quanto in forma irragionevole nell’ambito di una stessa procedura di licenziamento collettivo, introducono, in violazione degli obblighi derivanti dall’adesione ai Trattati dell’Unione e della normativa interposta (in particolare della Carta Sociale Europea), per i soli lavoratori assunti a decorrere dal 7 marzo 2015 nell’ambito di una stessa procedura di licenziamento collettivo, attuativa della identica direttiva 98/59/CE, un sistema sanzionatorio peggiorativo in quanto privo dei caratteri di efficacia ed effettività della sanzione, che le fonti internazionali impongono quale necessaria tutela di un diritto sociale fondamentale.
37. La violazione dell’art. 24 della Carta Sociale Europea e al contempo dell’art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione riscontrabile dal depotenziato sistema sanzionatorio, produce un arretramento di tutela che, unito alla derivata disparità normativa che incide sulla applicazione di atti derivati dell’Unione, pone l’assetto normativo censurato in conflitto anche con gli articoli 20, 21 e 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione, che assumono diretta rilevanza ai fini della validità degli atti dell’ordinamento per il tramite degli «snodi» costituzionali rappresentati degli art. 10 e 117, primo comma Cost.
38. Da ultimo questa Corte ritiene rilevante ai fini del giudizio di legittimità delle norme richiamate nel paragrafo 31, anche l’ulteriore parametro rappresentato dall’art. 3, 4 e 76 Cost. in quanto, anche alla luce dei lavori parlamentari, non appare manifestamente infondato il contrasto con la legge delega derivante dall’estensione da parte del legislatore delegato del nuovo sistema sanzionatorio anche ai licenziamenti collettivi. Sulla non manifesta infondatezza della violazione dell’art. 1, settimo comma della legge n. 183/2014, dell’art. 2, secondo comma, dell’art. 10 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, sia unitariarnente inteso che nel combinato disposto con l’art. 3 del medesimo decreto legislativo, con riferimento agli articoli 3, 4, 24, 35, 38, 41, 111 Cost. nella parte in cui, irragionevolmente, dispongono per una stessa violazione dei criteri di scelta, avvenuta contestualmente in una medesima procedura di licenziamento collettivo tra omogenei rapporti di lavoro, in modo difforme a seconda della data di assunzione applicando, solo per i lavoratori, con rapporto di lavoro a tempo indeterminato costituito successivamente al 7 marzo 2015, diversamente da quelli assunti precedentemente, una sanzione inefficace rispetto al danno subito a seguito della illegittima perdita del posto di lavoro, priva di efficacia deterrente e inidonea ad assicurare un ristoro efficace del danno anche sotto il profilo previdenziale.
39. Va preliminarmente evidenziato, ai fini della ragionevolezza del modello sanzionatorio, censurato nella presente ordinanza, che nell’arco di tre anni (2015- 2018) trovano applicazione tre distinte sanzioni che possono essere riconosciute in ipotesi di licenziamento collettivo per una identica violazione del criterio di scelta.
40. Il rapido susseguirsi di diverse sanzioni che trovano applicazione nei confronti della medesima contestuale violazione costituisce – ad avviso di questo Collegio – sintomo della consapevolezza da parte del Legislatore della inadeguatezza della disciplina sanzionatoria applicata alla fattispecie rimessa al vaglio della Corte remittente. L’inadeguatezza della sanzione che questa Corte sarebbe tenuta ad applicare, ha, infatti, imposto nel breve volgere di tre anni un intervento correttivo, disposto, peraltro, con decretazione d’urgenza (d.l. 87/18), della sanzione che, pur non emendando la differenziazione introdotta con il decreto legislativo n. 23/15, ne ha incrementato la misura, rendendo vieppiù inadeguata la tutela che questa Corte può accordare nel giudizio a quo, il cui licenziamento è intervenuto prima di tale intervento.
41. L’accavallarsi degli interventi legislativi determina, infatti, per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato costituiti fino al 7 marzo 2015 l’applicazione dell’art. 18 stat. lav. nella sua valenza attenuata, che assicura ai lavoratori, in caso di violazione dei criteri di scelta, la tutela reale rappresentata dalla reintegra nel posto di lavoro. Tale regime, oltre a ripristinare il rapporto di lavoro all’interno di un modello processuale caratterizzato da efficace celerità, attribuisce al lavoratore un indennizzo Fino a 12 mensilità, coerente con la tutela accelerata assicurata dal rito speciale, oltre la facoltà di esercitare una opzione alteniativa al posto di lavoro per ulteriori 15 mensilità ed, infine, il diritto alla ricostituzione integrale della posizione previdenziale. In caso di violazione delle procedure, l’art. 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300 riconosce al lavoratore una sanzione pararnetrata sulla retribuzione globale di fatto da ultimo percepita, variabile da un minimo irriducibile di 12 ad un massimo di 24 mensilità.
42. Per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato costituiti a decorrere dal 7 marzo 2015, viceversa, trova applicazione l’art. 10 della legge 4 marzo 2015, n. 23 che, nel richiamare l’art. 3, primo comma, esclude l’istituto della reintegra in attuazione dei parametri stabiliti dall’art. 1, settimo comma della legge delega n. 183/14. Tale sistema sanzionatorio stabilisce un’unica sanzione, sia in caso di violazione delle procedure, sia per l’ipotesi della violazione dei criteri di scelta, costituita, fino al 13 luglio 2018, da un’indennità onnicomprensiva di importo variabile, in misura non inferiore a 4 e non superiore a ventiquattro mensilità. La sanzione è stata incrementata con il richiamato intervento correttivo fino a 6 mensilità nella misura minima e fino a 36 nell’ammontare massimo, solo ove il licenziamento sia stato intimato successivamente al 13 luglio 2018. In entrambi i casi non è prevista la ricostruzione della posizione previdenziale.
43. E’ di tutta evidenza, quindi, che in presenza di una medesima violazione realizzatasi in un medesimo momento, afferente ai criteri di scelta di una stessa procedura, lavoratori di una stessa azienda potranno concretamente rivendicare forme di tutela profondamente difformi per misura di indennizzo, per tipologia di provvedimento e per capacità dissuasiva.
44. Non ignora questo Collegio quanto già evidenziato dalla Corte costituzionale nella decisione n. 194/2018, ovvero che, a proposito della delimitazione della sfera di applicazione, ratione temporis, di normative che si succedono nel tempo, «non contrasta, di per sé, con il principio di eguaglianza un trattamento differenziato applicato alle stesse fattispecie, ma in monzenti diversi nel tempo, poiché il fluire del tempo può costituire un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche (ordinanze n. 25 del 2012, n. 224 del 2011, n. 61 del 2010, n. 170 del 2009, n. 212 e n. 77 del 2008)» (sentenza n. 254 del 2014, punto 3. del Considerato in diritto). Questa Corte ha al riguardo argomentato che «spetta difatti alla discrezionalità del legislatore, nel risperto del canone di ragionevolezza, delimitare la sfera temporale di applicazione delle norme [..] (sentenze n. 273 del 2011, punto 4.2. del Considerato in diritto, e n. 94 del 2009, punto 7.2. del Considerato in diritto)» (sentenza n. 104 del 2018, punto 7.1. del Considerato in diritto).
La modulazione temporale dell’applicazione del decreto legislativo n. 23 del 2015, censurata dal rimettente, non contrasta con il «canone dì ragionevolezza» e, quindi, con il principio di eguaglianza, se a essa si guarda alla luce della ragione giustificatrice – del tutto trascurata dal giudice rimettente – costituita dallo «scopo», dichiaratamente perseguito dal legislatore, «di rafforzare le opportunità dì ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione» (alinea dell’art. 1, comma 7, della legge n. 183 del 2014)».
45. Deve tuttavia osservarsi che, a giudizio della Corte remittente, la questione che oggi si sottopone all’attenzione della Corte costituzionale si pone in termini parzialmente diversi, posto che il profilo di irragionevolezza del diverso trattamento rispetto al regime di recesso dal rapporto di lavoro, non coinvolge, in primo luogo, la ratio del decreto legislativo 23/2015, ovvero favorire l’ingresso nel mondo del lavoro dei nuovi assunti attraverso una flessibilizzazione dell’uscita (la ricorrente, infatti, è stata assunta in forza di una clausola sociale).
46. In secondo luogo, non appare ragionevole, sia sotto il profilo del bilanciamento degli interessi, che per le disparità generate, prevedere sanzioni totalmente discauali per violazioni identiche riscontrate nella fase risolutiva di rapporti congiuntamente valutati su comuni parametri oggettivi, nell’ambito di una stessa procedura collettiva. attuativa di una medesima direttiva, nella quale il «tempo» viene sostanzialmente “congelato» in ragione della sincronieità della comparazione, afferente a profili professionali omogenei, esistenti in un comune complesso aziendale oggetto di simultaneo confronto.
47. Il fluire del tempo appare a questa Corte. in siffatte violazioni, un elemento inidoneo a giustificare l’applicazione di sanzioni adeguate e dissuasive per alcuni e non effettive per altri. Rispetto alla conseguenza costituita dalla perdita della fonte di reddito, derivata dall’illegittimo esercizio del potere di recesso per errata applicazione di criteri di scelta, la decorrenza del rapporto non costituisce – a parere della Corte – un parametro ragionevole per giustificare una diversa protezione in una procedura di comparazione.
48. In una procedura comparativa unitaria di posizioni omogenee appare, infatti. irragionevole e contrario ai principi di parità di posizioni sostanzialmente omogenee ritenere che medesimi diritti coinvolti nello stesso e simultaneo processo selettivo, finalizzato ad assicurare una valutazione imparziale, siano assoggettati a sistemi di tutela sostanzialmente difformi. La concorrenza di due sistemi, di cui uno inadeguato. appare oggettivamente idonea a influenzare l’esercizio del potere di recesso del datore di lavoro orientandone la scelta sulle posizioni meno tutelate e, quindi, sulla base di una valutazione di -rischio”, che introduce indirettamente, nel procedimento selettivo, un fattore esogeno, quale la maggior -debolezza» del rapporto contrattuale, a discapito dei parametri selettivi generali ed astratti imposti dal Legislatore.
49. La procedura comparativa, prevista da una fonte sovrannazionale tesa a rafforzare le tutele (cfr. 2°«Considerando» della direttiva 98/59/CE) ed eliminare le differenze normative (cfr. «Considerando») è incentrata, infatti, su un’applicazione di criteri solidaristici al fine di assicurare una comparazione non discrezionale, ma vincolata, che viene concretamente vanificata ove si introducano simultanei regimi di tutela, completamente diversi tra loro.
50. La procedimentalizzazione della scelta viene garantita dall’art. 5 della legge 23 luglio 1991, n. 223 – come novellato dalla legge 92/12 – attraverso una tutela ripristinatoria del rapporto di lavoro al fine di dissuadere il datore di lavoro in una fase critica del rapporto, dall’esercitare in forma discrezionale (o peggio arbitraria) il potere selettivo ed impedire che fattori, estranei ai parametri normativi, possano trovare ingresso nella procedura valutativa comparativa. In tale prospettiva il Legislatore ha quindi consapevolmente introdotto per particolari categorie di soggetti una tutela rafforzata del vincolo selettivo (cfr. art. 10 della legge 12 marzo 1999, n. 68 e art. 5, secondo comma legge n. 223/1991) che viene vanificata dalla riduzione generalizzata di tutela del posto di lavoro.
51. La tutela reintegratoria, ancorché attenuata, riconosciuta ad alcuni e negata ai lavoratori assunti successivamente al 7 marzo 2015 per la stessa violazione, produce, – a giudizio Corte remittente – uno sproporzionato effetto disparitario rispetto al diritto ad ottenere mezzi di sostentamento, sia nel corso della “vita lavorativa” che nel suo riflesso successivo (id est nel periodo di vecchiaia).
52. La sanzione reintegratoria, anche nella sua attuazione attenuata prevista in caso di violazione dei criteri di scelta, assicura, infatti, la pienezza della posizione previdenziale, a prescindere dalla durata del processo, per i lavoratori assunti precedentemente al 7 marzo 2015. Non può invero sfuggire che nell’attuale prolungata crisi occupazionale “il tempo del processo”, lungi dall’essere neutro, determina per il lavoratore licenziato, oltre alla perdita del posto di lavoro e all’assenza del reddito, un concreto pregiudizio idoneo a riflettersi nel futuro con riferimento alla posizione previdenziale privandolo di un diritto fondamentale. Tale diritto, avente una dignità costituzionale (art. 38 Cost) viene tutelato nella sua pienezza fino al ripristino della fisiologia del rapporto solo per alcuni lavoratori.
53. In tale prospettiva -ad avviso del Collegio remittente – non rileva ai fini della ragionevolezza della diversità sanzionatoria la giurisprudenza costituzionale sulla dinamica della legislazione previdenziale, atteso il diverso piano sanzionatorio contrattuale oggetto della presente ordinanza.
54. Il ristoro della perdita della posizione contributiva, assicurato ai lavoratori assunti ante marzo 2015, non può, infine, ritenersi garantito dal ricorso agli ammortizzatori sociali, derivanti dal sistema di ed flesecurity, ed in particolare dall’istituto della Naspi. Tale strumento di sostegno è, infatti, comunque garantito a tutti i lavoratori, a prescindere dalla legittimità del recesso e, assopettato a stringenti limiti temporali, di contribuzione e di copertura, peraltro non garantisce la pienezza della contribuzione nel periodo di illegittima ed involontaria disoccupazione.
55. Il ripristino della posizione previdenziale effettiva, riconosciuto dalla tutela stabilita dall’art. 5, terzo comma della legge n. 223/91 viceversa, assicura, responsabilizzando soggetto che colpevolmente ha determinato lo stato di disoccupazione, la pienezza del diritto fondamentale, negata dalla concorrente tutela indennitaria. Tale sistema sanzionatorio assume, quindi, anche sotto tale profilo costituzionale una oggettiva efficacia dissuasiva del tutto assente nel licenziamento «tutelato» dall’art. 10 del decreto legislativo n. 23/15 che si limita a porre a carico della collettività costo previdenziale ed assistenziale dell’atto illegittimo, disincentivando il datore di lavoro dal rispetto dei criteri.
56. La tutela reintegratoria prevista dall’art. 5 della legge 23 luglio 1991, n. 223 per i rapporti di lavoro antecedenti il 7 marzo 2015 risponde, quindi, pienamente – ad avviso di questo Collegio – alla finalità di dissuadere il datore di lavoro dall’esercizio, in occasione di una crisi aziendale, del potere di recesso in forma arbitraria, ma non necessariamente discriminatoria, assicurando una pienezza di tutela in ragione degli interessi costituzionali che «entrano in gioco» nella procedura di licenziamento collettivo.
57. Tale adeguata tutela che pure può essere assicurata anche per il tramite di altre idonee misure, aventi analoghi requisiti di efficacia, effettività e adeguata capacità deterrentc (cfr. art. 24 Carta Sociale Europea), tuttavia, non pare potersi ravvisare nel sistema sanzionatorio previsto dal combinato disposto degli arti. 10 e 3 del decreto legislativo 23/15, che introduce un meccanismo del tutto svincolato dal danno effettivo subito a seguito della medesima violazione.
58. Anche sotto tale profilo si osserva cho il parametro di riferimento nel primo modello ripristinatorio del rapporto è rappresentato dalla retribuzione globale di fatto, mentre, nel coesistente modello indennitario, è costituito dalla retribuzione utile ai fini del TFR che, aì sensi dell’art. 2120 del codice civile, può essere paradossalmente azzerata, in quanto l’individuazione delle voci computabili aì fini di tale istituto è rimessa alla contrattazione collettiva. La tutela meramente indennitaria inoltre è ancorata alla retribuzione da ultimo percepita dal lavoratore, assicurando in tal modo una tutela statica che non considera “il fluire del tempo” nel processo, privo della tutela accelerata, che può concretamente determinare – per la nota crisi della giustizia del sistema italiano – lunghi tempi di definizione, posti totalmente a carico del lavoratore.
59. Va evidenziato infine che la rado indicata nei lavori preparatori del decreto legislativo n. 23/2015, ovvero implementare la dinamica occupazionale, (peraltro assente nel caso in esame atteso che la lavoratrice risulta essere stata assunta in forza di una clausola sociale prevista nel CCNL), attraverso una sostanziale riduzione del livello di tutela di un contratto che riveste dignità costituzionale, e sulla base di una delimitazione del cd «firing cosi», frutto di un esercizio illegittimo del potere di recesso del datore di lavoro, rispetto al danno effettivo cagionato, sbilancia oltremodo, rendendo «tiranno», l’interesse del datore di lavoro ad una flessibilità in uscita rispetto al diritto del prestatore alla conservazione dei posto di lavoro, che costituisce la fonte del proprio sostentamento.
60. Questa Corte ritiene, infine, di richiamare, in tenia di mantenimento dei «livelli» di tutela dei diritti sociali fondamentali, l’esigenza – condivisa anche dalla Carta Sociale Europea – di valutare attentamente in situazioni di crisi (quale quella attuale) l’introduzione di deroghe ai vigenti modelli (cfr. in particolare la decisione del CEDS del 23 maggio 2012 sul merito del reclamo n. 66/2011, Federation generale des employes des compagnies publiques d’electricitè et Confederation des syndicats des fonctionnaires publics c. Grece).
61. La deroga dei parametri che operano sul piano della tutela dei diritti, introdotta dall’art. 10 del decreto legislativo 23/15 con il richiamo all’art. 3 del decreto, incide inevitabilmente anche sui piano sostanziale della selezione dei rapporti, resi non più omogenei rispetto al potere di recesso, operando una significativa perdita di efficacia del modello di tutela.
62. L’irragionevole contrasto che scaturisce dalla coesistenza in una medesima procedura selettiva di differenti modelli sanzionatori, profondamente diversi per adeguatezza e capacità dissuasiva, stride, quindi – ad avviso di questa Corte – con la finalità di rispetto dei valori della dignità umana e dell’utilità sociale, che deve caratterizzare l’ iniziativa economica privata, anche nella particolare espressione che connota il riconosciuto potere del datare di lavoro di recedere (legittimamente) dal contratto di lavoro.
63. Sotto il profilo della efficacia e effettività della tutela giurisdizionale per i rapporti assoggettati al regime del contratto a tutele crescenti, come quello della Sig.ra R…., va da ultimo evidenziata l’eliminazione dal punto di vista processuale del cd rito Fornero (art. 1, comma 47 e segg della legge n. 92/2012) attuata dall’art. 11 del decreto legislativo n. 23/15 che ha riportato le relative controversie nell’alveo del rito cd. ordinario lavoro.
64. Ai fini della complessiva valutazione dell’idoneità del bilanciamento di interessi costituzionalmente protetti, vi è da premettere che, già a giudizio della Corte costituzionale (sentenza n. 78/2015) la strutturazione del rito Fornero costituisce «un vantaggio del lavoratore, il quale, in virtù dell’effetto anticipatorio (potenzialmente idoneo anche ad acquisire carattere definitivo) dell’ordinanza che chiude la fase sommaria, può conseguire una immediata, o comunque più celere, tutela dei propri diritti, mentre la successiva, ed eventuale, fase a cognizione piena è volta a garantire alle parli, che non restino soddisfatte dal contenuto dell’ordinanza opposta, una pronuncia più pregnante e completa».
65. L’inapplicabilità delle disposizioni di cui all’art. 1, commi da 48 a 68 della legge n. 92/12, ai licenziamenti intimati all’esito del contratto di lavoro a tutele crescenti incide anche sotto il profilo dell’efficacia sul piano attuativo della sanzione sulla ragionevolezza (del sistema, e, quindi, sulla effettività della tutela limitata ad un indennizzo, neppure assistito da una garanzia di celerità di tutela che “allontana” nel tempo il ristoro, peraltro limitato, e non assistito dalla ricostruzione del presupposto pensionistico.
66. Il tempo del processo viene, quindi, posto sostanzialmente a carico del soggetto danneggiato, generando, in relazione alla tutela non prettamente risarcitoria/ripristinatoria, un sistema ancor più inefficace di protezione, senza che l’eventuale previsione di accessori sul credito riconosciuto possa ritenersi in concreto compensativo in un contratto che deve assicurare al lavoratore una quotidiana esistenza libera e dignitosa.
67. Deve, quindi, ritenersi rilevante e non manifestamente infondata la violazione degli articoli l, settimo comma della legge n. 183/14 e dell’art. 10 del decreto legislativo n. 23/15 in sé e nel combinato disposto con l’art. 3 del medesimo decreto, con riferimento agli articoli 2, 3, 4, 10, 24, 35, 38 41, 111 Cost. laddove in forma irragionevole ha dato luogo esclusivamente ad una riduzione del livello di tutela di un diritto fondamentale costituzionalmente protetto relativamente a procedure di licenziamento basata esclusivamente sulla data di assunzione in assenza di adeguata proporzionalità rispetto alla minore tutela accordata;
Sulla non manifesta infondatezza delta violazione dell’art. 10 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, sia unitariamente inteso che nel combinato disposto con l’art. 3 del decreto legislativo n. 23/15, con riferimento agli articoli 3, 10, 35, secondo comma e 117, primo comma Cost., nella parte in cui, irragionevolmente, introducono in violazione dei vincoli derivanti dall’adesione all’Unione europea e ai trattati internazionali, un concorrente regime sanzionatoria inefficace rispetto al danno subito con la illegittima perdita del posto di lavoro e con attenuata efficacia deterrente del licenziamento illegittimo, intimato per violazione dei criteri di scelta in una stessa procedura attuativa della direttiva 98/59/CE – in contrasto con l’art. 24 della Carta Sociale Europea, con l’art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea con riferimento anche agii articoli 20 e 21 e 47 ella medesimo trattato.
68. La riconducibilità della disciplina dei licenziamenti collettivi nell’ambito dell’acquis communautaire rende – ad avviso di questa Corte – l’esistenza del doppio regime sanzionatorio descritto in precedenza, in contrasto con le norme fondamentali di tale ordinamento. Tali norme assumono, a loro volta, diretta incidenza costituzionale per il tramite del contenuto normativo degli articoli 10 e 117, primo comma, Cost.
69. La indubbia rilevanza dei diritti fondamentali dell’Unione e del diritto derivato con riferimento alla fattispecie rimessa al vaglio di costituzionalità ha determinato questa Corte a ritenere necessaria la prospettazione di una doppia pregiudizialità come in precedenza dato conto.
70. Come rilevato nella ordinanza di remissione ex art, 267 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea la materia la disciplina dei licenziamenti collettivi deve ritenersi ormai «attratta» nelle competenze concretamente attuate dall’Unione europea per effetto del concreto esercizio di atti di normazione derivata ed in particolare della direttiva 98/59/CE.
71. La direttiva 98/59/CE stabilisce, specificamente «che occorre rafforzare la tutela dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi, tenendo conto della necessità di uno sviluppo economico-sociale equilibrato nella Comunità».
72. La tutela avverso il licenziamento collettivo illegittimo, nel suo profilo individuale di un fenomeno collettivo, rientra pertanto, sensi dell’art. 51, par. 1, nella sfera della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione in quanto tale licenziamento, per effetto della disciplina attuata per il tramite della fonte derivata, deve, ormai, ritenersi ricompreso nell’ambito dell’acquis communautaire con conseguente estensione delle disposizioni della Carta su tale tipo di licenziamento, avente una specifica rilevanza sociale.
73. Ne consegue che il combinato disposto dell’art. 3 e 10 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, introducendo una nuova e concorrente disciplina di tutela avverso i licenziamenti collettivi ed intervenendo su una materia attratta nelle competenze dell’Unione, deve risultare compatibile con i diritti assicurati ai singoli dal Trattato e rispondere al contempo ai parametri di legittimità e compatibilità dei principi fondamentali dell’Unione (cfr. art. 52, 5° par. della CDFUE).
74. La tutela avverso il licenziamento riconducibile a tale tipologia di recesso, avente una particolare rilevanza sociale, e gli altri diritti e principi della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea nel significato e nella portata che questo Collegio ha ritenuto di richiedere alla Corte di Giustizia dell’Unione, debbono essere necessariamente considerati ai fini del vaglio di costituzionalità delle norrne oggetto della presente ordinanza di remissione.
75. Appare quindi in primo luogo invocabile l’art. 30 della CDFUE che, nel recitare «Ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato. conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali», impone una tutela, assunta a valore di diritto fondamentale, il cui contenuto sanzionatorio rimesso, nel rispetto della comune cornice normativa, alla legislazione e alla prassi dei singoli paesi membri.
76. L’art. 30 CDFUE, che costituisce fonte di diritto dell’Unione in conformità al richiamo contenuto nell’art. 6, 1° par. del Trattato dell’Unione (TUE), afferma, quindi, in termini assoluti, che il lavoratore è titolare di un diritto alla tutela avverso il licenziamento il cui contenuto effettivo è rirnesso alle norrnative e alle prassi applicative dei singoli Stati «conformemente al diritto dell’Unione».
77. Il combinato disposto degli art. 3 e 10 del decreto legislativo 4 marzo 2015 n. 23 e degli articoli 5 Icooe 23 luglio 1991 n. 223 e art. 18 stat. lav. costituiscono -come descritto – le due specifiche discipline concorrenti che, integrando la disposizione dell’art. 30 CDFUE, sanciscono il contenuto effettivo della tutela assicurata ai lavoratori dalla normativa nazionale attuativa del diritto dell’Unione.
78. Questa Corte è consapevole che il “diritto”, nei termini sanciti dalla Carta, non consenta una diretta rivendicazione nei singoli giudizi per la mancanza di un contenuto precettivo sanzionatorio sufficientemente dettagliato. Ciò non di meno, tale “diritto incompleto” non può ritenersi privo di una concreta valenza o incidenza nella controversia rimessa al vaglio di questa Corte remittente.
79. Ritiene questa Corte che la previsione dell’art. 30 CDFUE non costituisca, invero, una norma di indirizzo politico ovvero una disposizione meramente prograrnmatica priva di un proprio nucleo precettivo specifico anuabile nel giudizio. La previsione impone, comunque, un obbligo di concretizzazione rivolto ai singoli Stati che, ai sensi dell’art. 51, par. l della Carta deve realizzarsi nel rispetto dei parametri dell’Unione che discendono dal carattere fondamentale del diritto. Al contempo, la previsione consente ai Giudici nazionali di utilizzare i principi che discendono dalla natura fondamentale del diritto quali parametri di legittimità e leve interpretative, conformemente all’art. 52, par. 5 della Carta nella funzione, icasticamente definita «depuratrice di norme»;
80. Ritiene la Corte che, conseguentemente, l’art. 30 della CDFUE nell’affermare la riconducibilità del diritto alla tutela avverso i licenziamenti nell’alveo dei diritti fondamentali, imponendo una tutela «conformemente al diritto dell’Unione», esprima un proprio contenuto precettivo, rilevante nel giudizio a quo anche ai fini della validità costituzionale delle nonne attuative nazionali. Sussiste, infatti, un substrato del diritto sancito dall’Unione che prescinde dalla integrazione eteronoma degli interventi rimessi ai singoli Stati. in quanto idoneo di per sé, quale limite esterno che condiziona la potestà normativa, a ricondurre la stessa nell’ambito dì specifici parametri di coerenza propri dell’ordinamento eurounitario che ne determinano il perimetro di attuazione.
81. Tale «nucleo» precettivo costituisce il vincolo di razionalità e compatibilità della norma nazionale che consente di valutare la legittimità dell’intervento normativo rispetto ai parametri costituzionali degli articoli 10 e 117, comma 1 Cost. in una prospettiva di espunzione della norma dal sistema con validità erga omnes in caso di contrasto non superabile con una interpretazione conforme.
82. Militano in favore di tale interpretazione, – come rilevato nella contestuale ordinanza di remissione ex art. 267 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – oltre all’art. 52, paragrafo 5, della Carta, sia la qualifica «diritto», contenuta nell’art. 30 della CDFUE, sia il suo dichiarato carattere fondamentale, sia il richiamo al «diritto dell’Unione» che infine e soprattutto le «Spiegazioni» allegate alla Carta che il Giudice è tenuto a tenere «in debito conto» in sede di interpretazione (art. 6 TUE). Il richiamo all’art. 24 della Carta Sociale Europea, nell’ambito del quale la tutela prevista per i licenziamenti trova una concreta declinazione, consente di enucleare gli elementi qualificanti la tutela nella dimensione della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione.
83. Il diritto alla tutela avverso il licenziamento nella dimensione eurounitaria, a prescindere alla sua riconducibilità nella controversa categoria dei “diritti incompleti- ovvero dei -principi generali-. indubbiamente assume, quindi, una portata precettiva in quanto pone – ad avviso di questo Collegio – un vincolo nei confronti del Legislatore nazionale. Tale facoltà di integrazione impone il rispetto – rectius la trasposizione – dei parametri di effettività, efficacia, adeguatezza e deterrenza che discendono dalla natura fondamentale del diritto nella sua dimensione sovranazionale che questa Corte, con la separata ordinanza ha richiesto di confermare.
84. Il vincolo esterno e i parametri di valutazione di legittimità dell’intervento integrativo non sono, pertanto, privi di un adeguato supporto normativo di riferimento atteso che la qualificazione del «diritto» come fondamentale impone quel rispetto di specifiche caratteristiche che connotano la tutela di tali diritti nell’ordinamento di cui sono espressione, la cui assenza pone in insanabile contrasto le norme oggetto della presente ordinanza con i parametri costituzionali richiamati.
85. I parametri ai quali deve attenersi la tutela che il diritto fondamentale deve assicurare – che costituisce per l’appunto il contenuto preceuivo dell’art. 30 CDFUE – discendono dai caratteri tipici delle sanzioni apprestate dall’ordinamento eurounitario ampiamente riportate e sviluppate nell’ordinanza di remissione ex art. 267 TFUE. L’adeguatezza della tutela deve, in particolare, considerare, a valle, la pienezza della tutela rispetto al danno subito e, a monte, la presenza per il datore di lavoro «mezzi coercitivi di cui tenere seriamente conto» onde «spinger(lo) ad osservare il principio» (CGUE, Von Colson 10 aprile 1984 C 14/83).
86. Tali parametri, costituiscono, pertanto – a parere di questa Corte – il valore precettivo specifico a tutela dei diritti fondamentali affermati dalla -Carta Costituzionale Europea” che trovano un puntuale pendant nei criteri a loro volta ricavabili dalla ”fonte” ispiratrice dell’art. 30, rappresentata – come detto – dall’art. 24 della Carta Sociale rcv. la cui portata precettiva, nel sienificato materiale ricavabile dalle decisioni del Comitato Europeo dei Diritti Sociali, è oggetto della separata ordinanza di remissione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La espressa “costituzionalizzazione” della Carta Sociale per effetto del richiamo nelle Spiegazioni della Carta, assume un indubbio specifico valore amplificato nella dimensione eurounitaria tale da aver determinato questa Corte, nella consapevolezza della valutazione eià effettuata dalla Corte costituzionale nella sentenza 194/2018, a sottoporre uno specifico chiarimento interpretativo alla Corte di Giustizia dell’Unione europea in ordine alla valenza di tali decisioni nella dimensione propria della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea.
87. Ai sensi dell’art. 52, 5 par. della CDFUE i principi costituiscono a loro volta una leva utilizzabile al fine di valutare la leeittimità degli atti nonnativi. Ai fini della individuazione del significato normativo – rectius del significato – del «diritto alla tutela» nell’ambito dell’ordinamento dell’Unione assumono, a giudizio della Corte remittente, una valenza essenziale anche le dichiarazioni condivise dai paesi membri – le cd. «Spiegazioni» (2007/C 303/02) – allegate alla Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione in occasione della stipula, la cui finalità espressa è quella di guidare l’interprete. Le Spiegazioni rappresentano, pertanto, una chiave di lettura essenziale nella cornice costituzionale europea, che a loro volta condizionano la validità e la compatibilità degli atti dell’Unione e dell’attività normativa dei paesi aderenti nei settori rientranti nell’acquis communautaire.
88. L’art. 52, settimo comma della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione impone, infatti, ai giudici dell’Unione e degli Stati di tenere «nel debito conto» le Spiegazioni elaborate, al fine di fornire orientamenti per l’interpretazione della Carta stessa. Le SpieRazioni costituiscono, conseguentemente il parametro di riferimento basilare per interpretare le norme di stampo eurounitario e per applicarle al livello nazionale, nello sforzo esegetico di individuare il contenuto effettivo del diritto riconosciuto dalla Carta fondamentale dei Diritti dell’Unione.
89. «La Spiegazione» allegata all’art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione chiarisce che «Questo articolo sì ispira all’art. 24 della Carta Sociale riveduta».
90. Ne consegue che, a giudizio della Corte, il contenuto della tutela del diritto fondamentale del lavoratore, nel caso dì licenziamento illegittimo, come sancito dall’Unione, deve quindi ispirarsi – e, quindi, non contraddire – al parametro del «congruo indennizzo», o di «altra misura adeguata», sancito dall’art. 24 della Carta Sociale Europea e tali parametri eteronomi costituiscono, quindi, elemento di riferimento in sede di interpretaz.ione del livello di tutela avverso i licenziamenti ingiustificati intervenuti a conclusione della procedura di licenziamento collettivo.
91. E’ evidente, ad avviso di questo Collegio, la stretta correlazione tra l’art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e l’art. 23 della Carta Sociale Europea che arricchisce, nell’ambito del diritto eurounitario, la tutela approntata avverso il licenziamento dei principi di effettività, adeguatezza e dissuasività, peraltro insiti nella tutela assicurata a tutti i diritti fondamentali che non sembrano potersi riscontrare nella tutela meramente indennitaria concorrente.
92. L’art. 30 CDFUE produce, pertanto, un effetto normativo, ancorché riflesso, nel giudizio rimesso al vaglio di questa Corte.
93. Questa Corte è anche consapevole che ai sensi dell’art. 52, 5° par. CDFUE i caratteri che si ritiene connotino la tutela dell’art. 30 CDFUE non consentono di invocare direttamente nel giudizio l’applicazione di una predefinita sanzione, ripristinatoria o risarcitoria, di matrice eurounitaria in una funzione «costruttiva». I parametri della tutela propri dei diritti fondamentali eurounitari, tuttavia, – non sono – come osservato -privi di rilevanza nel giudizio a quo, anche ai Fini di una funzione espulsiva della norma. in quanto costituiscono il limite esterno di coerenza, rilevante ex artt. 10 e 117 Cost., degli atti espressi dalla potestà normativa integrativa della legislazione nazionale che il Collegio deve «tenere in considerazione» in sede di valutazione della loro conformità ai valori fondamentali dell’Unione, nell’ambito della collaborazione demandata al Giudice nazionale alla concreta creazione di una comune Costituzione europea.
94. La necessità di comprendere il significato del contenuto della Carta dei Diritti Fondamentali ha, quindi, determinato il rinvio pregiudiziale ex art. 267 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea il cui esito indubbiamente assume una diretta rilevanza nel giudizio di costituzionalità.
95. La ricondubilità del licenziamento collettivo nell’ambito delle competenze dell’Unione impone di ritenere rilevanti, anche ai fini del parametro di validità della norma attuativa con il principio di parità di trattamento, un sistema sanzionatorio che genera per violazioni del tutto equiparabili una sostanziale difformità di disciplina rispetto alla misura applicabile in capo al soggetto responsabile dell’illecito.
96. Il principio di uguaglianza sancito per gli atti normativi di fonte eurounitaria costituisce, infatti, un parametro interpretativo primario per tutti gli atti legislativi dell’ordinamento, ivi comprese le direttive che costituiscono una species dell’articolato complesso di norme che concorrono a determinare l’ordinamento dell’Unione.
97. La difforme sanzione applicata in presenza di una identica violazione si pone in contrasto – ad avviso di questo Collegio – con il principio di non discriminazione stabilito dall’art. 21 CDFUE, in quanto finisce per imporre discipline difformi a fattispecie omogenee concentrate nel tempo, penalizzando con il permanere del doppio regime i lavoratori più giovani.
98. L’esigenza di assicurare un rimedio efficace, effettivo e con capacità di inibire la violazione di un diritto fondamentale rende il descritto modello sanzionatorio non compatibile anche sotto il profilo del diritto a rimedi adeguati sancito dall’art. 47 CDFUE.
99. La normativa sottoposta al vaglio si pone quindi, a giudizio, della Corte in contrasto con i principi e i diritti fondamentali dell’Unione, laddove in violazione al diritto di uguaglianza (art. 20 CDFUE) e non discriminazione (art. 21 CDFUE) e al diritto ad una effettiva tutela avverso i licenziamenti ingiustificati (art. 30 in uno con l’art. 47 CDFUE), e introduce nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo regolato dalla direttiva 98/59/CE un doppio sistema di tutela.
Sulla non manifesta infondatezza della violazione dell’art. 10 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, sia unitariamente inteso che nel combinato disposto con l’art. 3 del decreto legislativo 23/15, con riferimento agli articoli 3, 4, 35, 76, 117, primo comma Cost., nella parte in cui ha introdotto in assenza di una specifica attribuzione normativa e comunque in violazione dei principi e dei criteri direttivi della legge delega, una disciplina sanzionatoria per i licenziamenti collettivi, statuendo un modello sanzionatorio in contrasto con i principi e i diritti fondamentali dell’Unione e con le Convenzioni internazionali.
100. Questa Corte ritiene, anche alla luce del particolare procedimento previsto per la modifica delle disposizioni attuative di atti normativi dell’Unione Europea e dei lavori parlamentari che hanno caratterizzato l’iter del decreto legislativo 4 marzo 2015 n. 23, attuativo della legge delega 183/14, che l’estensione effettuata dal Legislatore delegato anche ai licenziamenti collettivi del nuovo sistema sanzionatorio, previsto per i “licenziamenti economici”, confiigga con l’oggetto, i principi e i criteri direttivi della legge che ha conferito al Governo il temporaneo potere di legiferare.
101. L’art. 1, settimo comma della legge n. 183/2014 ha, infatti, demandato al Governo di adottare una disciplina che preveda tutele crescenti con l’anzianità che escluda «per i licenziamenti economici la possibilità della reinteerazione del lavoratore».
102. Orbene ritiene questo Collegio che il licenziamento collettivo sia escluso dalla delega legislativa, dovendosi a tal fine richiamare i lavori parlamentari, che concorrono come fonte «autentica» di interpretazione dell’oggetto della delega legislativa, a determinare l’effettiva portata del temporaneo conferimento della potestà normativa esercitala.
103. La Commissione Lavoro della Camera dei deputati, in occasione della trasmissione della bozza del decreto legislativo ad opera del Governo, ha in effetti rilevato che la “esclusione” per i lavoratori assunti con il nuovo contratto a tutele crescenti, dall’applicazione dell’istituto della reintegra doveva intendersi riferita alle sole fattispecie relative a licenziamenti individuali, non essendo in discussione la disciplina dei licenziamenti collettivi di cui alla legge 23 luglio 1991 n. 223″ (cfr sessione della Commissione Lavoro della Camera dei deputati del 17 febbraio 2015).
104. Analoghe osservazioni sono state formulate dalla CommissioneLavoro del Senato della Repubblica, in occasione della disamina della bozza del decreto legislativo sottoposta dal Governo (cfr sessione dell’ 11 febbraio 2015 della Commissione Lavoro Previdenza Sociale Senato della Repubblica). L’esclusione della materia dei licenziamenti collettivi dalla delega e comunque l’inapplicabilità della sanzione indennitaria a tali licenziamenti viene, quindi, più volte affermata dall’organo titolare del potere delegante, che ha formulato sul punto nei diversi passaggi del decreto legislativo puntuali rilievi(rimasti inattuati) in sede di disamina dello schema legislativo.
105. A conferma della limitata portata della delega concorrono anche ulteriori rilievi di ordine sistematico ed ermeneutico.
106. Ritiene questa Corte rilevante ai fini del giudizio di non manifesta infondatezza la circostanza che la giurisprudenza di legittimità abbia riservato il termine «licenziamento economico» al fine di qualificare le ipotesi di recesso individuale per motivo oggettivo (Cassazione, 19 dicembre 2013, n. 28245), non utilizzando tale qualificazione con riferimento al licenziamento collettivo; sotto altro profilo appare non irragionevole ritenere che, in conformità ad una corretta ermeneutica, una delega che incida profondamente su materie di rilevanza dell’Unione, imponga una chiara ed esplicita enunciazione.
107. Su tale ultimo aspetto si rileva che il raccordo tra l’ordinamento italiano e i processi normativi dell’UE si struttura, infatti, su una specifica normativa, la legge n. 234 del 2012, che prevede all’art. 30 l’approvazione della legge di delegazione europea, preceduta da una articolata procedura di elaborazione. Sebbene tale normativa ovviamente non possa costituzionalizzare una procedura esclusiva per la modifica/attuazione di normative dell’Unione, ciò non di meno appare – ad avviso di questa Corte – che la sostanziale modifica apportata ad una normativa centrale sui licenziamenti collettivi debba, anche ai sensi dell’art. 34 della legge n. 234/12, richiedere proprio in presenza di uno specifico strumento correttivo/applicativo di direttive dell’Unione una chiara ed univoca delega, non potendosi ritenere attribuita implicitamente una sifratta potestà normativa.
108. Da ultimo il richiamo nell’art. 1, settimo comma della legge n. 183/14 al diritto dell’Unione e alle Convenzioni internazionali impone il puntuale rispetto dei principi e dei diritti sanciti da tali Carte sovraordinate o interposte, che l’adozione del descritto modello inadeguato di tutela pare – ad avviso di questo Collegio – del tutto disatteso.
109. Deve quindi da ultimo ritenersi la rilevanza e la non manifesta infondatezza della violazione dell’art. 1, settimo comma della legge 183/14 e dell’art. 1, secondo comma 3 e 10 decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 per contrasto con gli articoli 3, 4, 35, 76 e 117, 1 e 2 Cost.
P.Q.M.
Così provvede;
Dispone la sospensione del giudizio;
Dispone ai sensi dell’art. 23, comma 2 della legge 11 marzo 1953, n. 87 la trasmissione degli atti di causa alla cancelleria della Corte costituzionale.
Dispone con separata ordinanza, per i motivi ivi indicati, la trasmissione degli atti alla cancelleria della Corte di Giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’art. 267 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
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- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 19 novembre 2018, n. 29790 - L'insegnante con contratto di lavoro a tempo indeterminato che si trovi in situazione di esubero a seguito di contrazione dei posti di insegnamento ha titolo a partecipare alle procedure di diversa…
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