CORTE DI CASASZIONE – Ordinanza 13 luglio 2021, n. 19899
Tributi – Accertamento – Rettifica reddito d’impresa – Fatture per operazioni inesistenti – Onere di prova contraria
Fatti di causa
1. Il contenzioso trae origine dalla notifica alla società contribuente di un avviso di accertamento relativo al periodo di imposta 2007 ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. c) e dell’art. 41, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973 con il quale è stato rettificato il reddito d’impresa dichiarato dalla società e sono stati recuperati costi non deducibili ex art. 41-bis medesimo decreto.
E’ stata altresì accertata minore IVA in detrazione ex art. 54, commi 5-8, d.P.R. n. 633 del 1972.
L’accertamento è stato condotto mediante verifiche incrociate dell’Agenzia delle Entrate di Teramo e di quella di Barletta-Andria-Trani dalle quali è emersa la fittizietà delle fatture emesse dalla società V. s.a.s. di D.F.P. & C. (risultata soggetto sconosciuto al fisco) per operazioni effettuate dalla contribuente con conseguente determinazione di un maggior reddito a carico di quest’ultima e recupero della maggiore IRPEF anche nei confronti dei soci con separati avvisi di accertamento.
I ricorsi proposti dalla società e dai soci sono stati riuniti e trattati congiuntamente dalla Commissione provinciale di Bari che ha dichiarato inammissibile ex art. 17-bis d.lgs. n. 546 del 1992 il ricorso n. 2619/13 proposto da R.G. e rigettato nel merito gli altri due.
La CTR, anche tenuto conto dell’adesione dell’Agenzia al motivo di appello relativo all’erronea declaratoria di inammissibilità del ricorso, ha ritenuto ammissibile il ricorso n. 2619/13, rigettando nel merito gli altri motivi di impugnazione confermando, su tali punti, la sentenza di primo grado.
In particolare, i giudici di merito hanno ritenuto non dimostrato l’effettivo spostamento della merce indicata nelle ‘fatture oggetto di controversia, disallineate rispetto ad una corretta contabilità industriale le percentuali di maggiorazione del costo della materia prima tra merce acquistata e prodotto realizzato in relazione alle diverse fatture contabilizzate e, addirittura, in un caso, non congruenti i dati relativi ai tempi in cui sarebbe avvenuta la vendita e quelli di consegna dei prodotti realizzati con la merce acquistata.
Ulteriori anomalie sono state individuate con riferimento alle date degli ordini di acquisto della merce prodotta dalla società ricorrente.
Hanno altresì rilevato la mancata tracciabilità di una parte della somma corrisposta a pagamento della merce fatturata e l’assenza di prova certa dell’incasso di gran parte della somma residua dalla fornitrice V. s.a.s., essendo risultate incassate le somme da soggetti terzi giratari dei titoli.
Infine, la CTR ha ritenuto ininfluente ogni riferimento difensivo alla documentazione attestante la vendita dei prodotti che avrebbe creato un debito IVA, laddove, invece, le cessioni del prodotto lavorato dalla contribuente è avvenuta ai sensi dell’art. 8 d.P.R. n. 633 del 1972, ossia senza applicazione dell’IVA.
3. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione la società ed i soci articolando due motivi.
L’Agenzia ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo viene dedotta “violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. per violazione e falsa applicazione di norme di diritto in punto di mancato rispetto dei requisiti di cui all’art. 56 dpr n. 633 del 73 ed art. 3 della I. 241/90 sull’obbligo motivazionale e sul relativo onere della prova”.
L’argomentazione sviluppata nel motivo si sostanzia, da un lato, nella contestazione del merito della pretesa contenuta negli avvisi di accertamento in esame, dall’altro, nella lamentata mancanza di adeguata motivazione della ripresa tributaria, con specifico riferimento alle ragioni che hanno indotto l’Amministrazione a ritenere che, nella fattispecie, si verte in tema di operazioni oggettivamente inesistenti.
2. Con il secondo motivo si censura “vizio di motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – mancata valutazione della prova sull’effettiva esistenza della società e relativa carenza di motivazione in ordine all’inesistenza delle operazioni”.
I ricorrenti lamentano la mancata valutazione di una serie di elementi probatori asseritamente sottoposti alla cognizione dei giudici di merito per confutare le argomentazioni di cui agli avvisi di accertamento.
In particolare, sostengono di avere fornito la prova dell’esistenza della società fornitrice della merce fatturata (V. s.a.s.) così come l’esistenza del soggetto che ne era il legale rappresentante (D.F.P.).
Tali circostanze avrebbero dovuto essere adeguatamente valutate ed, in tal caso, avrebbero potuto condurre ad un esito diverso del giudizio con particolare riguardo alla natura, eventualmente, di operazioni soggettivamente inesistenti di quelle contestate con l’applicazione del diverso regime di detraibilità dell’IVA.
3. Va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposto dalla società per carenza di legittimazione attiva.
Secondo quanto dedotto dall’Agenzia la procura ad litem è stata rilasciata dalla legale rappresentante R.G. in data 12.07.2015 mentre, sin dall’11.12.2014, la carica sociale era ricoperta da D.B.N..
L’eccezione è inammissibile in quanto nella memoria l’Agenzia non ha riprodotto il documento sulla base del quale ha rilevato il difetto della legittimazione.
Trova applicazione il principio per cui “in tema di rappresentanza processuale delle società di capitali, la mancanza di “legitimatio ad processum” per difetto di potere rappresentativo può essere rilevata anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello di legittimità, con il solo limite del giudicato sul punto, a condizione che la controparte, consultando gli atti soggetti a pubblicità legale, fornisca la prova dell’insussistenza di tale potere. Ne consegue l’inammissibilità della censura, proposta per la prima volta in sede di legittimità, fondata sul difetto di “legitimatio ad processum” in capo al sedicente rappresentante di una persona giuridica, qualora il ricorrente non abbia riprodotto nel ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza, i documenti a sostegno delle sue deduzioni, né li abbia comunque depositati unitamente al ricorso” (Cass. sez. 5, n. 10009 del 24 aprile 2018).
4. In relazione al primo motivo si osserva che, così come formulato, esso è inammissibile per plurime ragioni.
Da un lato, non avendo riprodotto integralmente (ad eccezione di quanto si dirà in seguito) il contenuto dell’avviso di accertamento, parte ricorrente ha omesso di rendere l’atto introduttivo del giudizio di legittimità autosufficiente e di porre il giudicante in condizione di delibare la questione posta senza ulteriori accertamenti di fatto.
Ulteriormente, si osserva che il tema della motivazione dell’avviso di accertamento era già stato posto nel giudizio di merito e risolto nel senso (pag. 7 della sentenza) che i contribuenti erano stati messi in condizione di difendersi adeguatamente, tanto da produrre documentazione conducente e reputata (dalla difesa) idonea a dimostrare la regolarità delle operazioni.
Nel proporre ricorso per cassazione, i ricorrenti hanno omesso di prendere in considerazione la statuizione della CTR sul punto articolando il motivo nei termini promiscui sopra specificati sovrapponendo profili “formali” e questioni di “merito” per giungere, infine, ad articolare censure in punto di ripartizione dell’onere della prova, senza, tuttavia, specificare in quale parte della sentenza sia stato erroneamente applicato il relativo criterio.
Peraltro, per completezza, sul punto si osserva che il vizio relativo all’onere della prova ha precisi limiti di deducibilità nel giudizio di cassazione dovendo essere confermato l’arresto secondo cui “in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c.” (Cass. sez. 6-3, n. 26769 del 23 ottobre 2018).
Il motivo si presenta, oltretutto, infondato nel merito nella parte in cui è riferito all’avviso di accertamento in ragione del fatto che dai brevi stralci riportati a pag. 6 del ricorso, emerge la motivazione adeguata dell’atto dell’Agenzia delle Entrate di Bari che ha fatto riferimento agli accertamenti compiuti da altra Amministrazione finanziaria (Agenzia delle Entrate di Teramo) alle cui risultanze si è riportata riproducendole.
Si ricorda che “in tema di contenzioso tributario, l’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo di motivazione, ai sensi dell’art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l'”an” ed il “quantum debeatur”, sicché lo stesso è correttamente motivato quando fa riferimento ad un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza regolarmente notificato o consegnato all’intimato, senza che l’Amministrazione sia tenuta ad includervi notizia delle prove poste a fondamento del verificarsi di taluni fatti o a riportarne, sia pur sinteticamente, il contenuto” (Cass. sez. 5, n. 27800 del 30 ottobre 2019; Cass. sez. 5, n. 7360 del 31 marzo 2011).
5. Il secondo motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 348-ter cod. proc. civ.
Nel caso in esame si verte in tema di sentenze della CTP e della CTR che, nella parte in cui hanno esaminato nel merito le domande dei ricorrenti, hanno deciso in conformità tra loro.
Il ricorso in appello è stato depositato in data 07/07/2014.
Ne consegue che, quanto al vizio articolato ex art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ. deve trovare applicazione l’arresto secondo cui “nell’ipotesi di ” doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse” (Cass. sez. 1, n. 26774 del 22 dicembre 2016).
Nel caso di specie, come detto, le statuizioni attinte dal motivo di ricorso in esame sono tra loro conformi avendo compiuto i giudici di merito valutazioni in fatto esattamente sovrapponibili (non risultando, comunque, il contrario sulla base delle deduzioni di parte ricorrente).
Ai fini di interesse non appare influente la circostanza che abbia formato oggetto di diversa valutazione il ricorso proposto dalla sola R.G., in quanto la decisione assunta in ordine all’ammissibilità del relativo ricorso originario nulla sposta in ordine all’accertamento di fatto compiuto nelle fasi di merito e giustifica l’applicabilità della disposizione che limita la ricorribilità per cassazione delle sentenze di appello nel caso di “doppia conforme”, da intendersi quale doppia valutazione conforme delle emergenze fattuali, essendo irrilevanti i profili di rito che possono, eventualmente, condurre a difformi statuizioni in punto di ammissibilità dell’originaria domanda.
6. Alla luce di quanto fin qui esposto discende il rigetto del ricorso e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali sostenute dalla controricorrente che liquida in complessivi € 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 13 comma 1- quater del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dalla controricorrente che liquida in complessivi € 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Da atto dei presupposti processuali per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato, se dovuto, dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002.
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