CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 agosto 2019, n. 20747

Tributi – IVA – Omessa allegazione della dichiarazione IVA al modello UNICO – Configurazione di omessa dichiarazione IVA – Accertamento induttivo ex art. 55 del d.P.R. n. 633 del 1972 – Illegittimità – Onere di contraddittorio preventivo – Nullità dell’accertamento

Rilevato che

1. L’ Agenzia delle Entrate ha notificato a S.L. avviso d’accertamento, in materia di IVA, per l’anno d’imposta 1999, con il quale, per effetto dell’omessa dichiarazione, accertava con metodo induttivo il volume d’affari e determinava l’imposta evasa in euro 52.101,72, irrogando contestualmente la sanzione di euro 63.554,00.

2. Contro tale atto impositivo, il contribuente ha proposto ricorso dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Siracusa, deducendo (per come si ricava dalla sentenza impugnata e dal ricorso):

– di aver presentato, mediante il modello UNICO, la dichiarazione dei redditi nell’anno 2000, relativa ai redditi conseguiti nell’anno d’imposta 1999, tramite delega al proprio commercialista, il quale tuttavia, trasmettendola telematicamente, aveva omesso di inviare, unitamente alla dichiarazione IRPEF, la sezione relativa alla dichiarazione IVA;

– che era stato violato il termine di cui agli artt. 54-bis, comma 1 del d.P.R. n. 633 del 1972 e 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, che, a pena di decadenza, prescrivono che il controllo formale della dichiarazione dei redditi sia eseguito entro I’anno successivo alla liquidazione dell’imposta dovuta;

– che il modello UNICO aveva struttura unitaria e che le due sezioni, IRPEF ed IVA, si influenzavano reciprocamente, con la conseguenza, secondo il contribuente, che il mancato invio della dichiarazione IVA si riduceva ad un mero errore formale, emendabile e riparabile per effetto dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione, al fine dell’accertamento dell’effettiva obbligazione tributaria;

– che l’ufficio aveva violato gli artt. 2, 5 e 6 della Legge n. 21 del 2000, e l’art. 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, per non aver informato il contribuente dell’errore formale in cui era incorso.

La CTP adita ha accolto il ricorso.

3. Proposto appello dall’Ufficio, la Commissione tributaria regionale della Sicilia – sezione staccata di Siracusa, n. 65/16/12, depositata il 9 gennaio 2012, lo ha accolto, pur riducendo l’imposta dovuta ad euro 50.858,21, oltre alla sanzione ed agli accessori, rilevando che:

– il riferimento all’art. 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972 era incongruo, trattandosi di norma che disciplina l’ipotesi di controllo della liquidazione dell’imposta dichiarata, mentre nel caso di specie si verte nella fattispecie dell’omessa dichiarazione. Pertanto, l’Ufficio non aveva l’obbligo di inviare la comunicazione di cui al predetto art. 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972 e non ha violato gli artt. 2,5 e 6 della legge n. 21 del 2000;

il termine per procedere all’accertamento era stato prorogato di due anni dall’art. 10 della legge n. 289 del 2012, per i periodi d’imposta non interessati dalle definizioni di cui agli artt. 7,8 e 9 della stessa legge, e l’amministrazione non era decaduta dal relativo potere;

– nel merito, l’allegazione del contribuente, secondo la quale l’Ufficio avrebbe omesso di tener conto, ai fini della quantificazione dell’imposta accertata, del credito IVA sugli acquisti effettuati nello stesso anno d’imposta 1999, è in contrasto con la natura induttiva dell’accertamento ex art. 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, che impedisce di tener conto dell’imposta versata sugli acquisti di beni e servizi nel periodo, se tali versamenti non risultano dalle dichiarazioni periodiche. E comunque il contribuente neppure in giudizio ha fornito puntuali allegazioni ed adeguati riscontri probatori sull’IVA assolta sugli acquisti e, pertanto, sulla sussistenza del suo diritto ad eventuali detrazioni sull’imposta accertata, delle quali, secondo la CTR, il giudice del merito tributario, quale giudice del rapporto, avrebbe altrimenti potuto tener conto, al fine di rideterminare la pretesa erariale contestata;

– risultavano invece provati dal contribuente versamenti dell’imposta dovuta in misura superiore a quella accertata dal giudice del primo grado, per cui la pretesa erariale andava ridotta alla minor somma di euro 50.858,21.

4.Il contribuente propone ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della predetta sentenza d’appello.

5. L’Ufficio si è costituito con controricorso.

Considerato che

1. Preliminarmente, il controricorso dell’Ufficio è inammissibile, in quanto tardivo ai sensi dell’ art. 370, comma 1, cod. proc. civ.

Infatti, la notifica a mezzo posta del ricorso si è perfezionata, con la consegna dell’atto all’Ufficio destinatario, il 26 aprile 2013. Pertanto, il successivo termine per il deposito dei ricorso è scaduto il 16 maggio 2013. Quindi, il termine di venti giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso è maturato il 5 giugno 2013, data entro la quale avrebbe dovuto essere notificato il controricorso, che invece è stato accettato dall’ufficiale giudiziario e spedito per la notifica a mezzo posta il 17 settembre 2013, con conseguente tardività dell’adempimento.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 3 del d.P.R. del 22 luglio 1998, n. 322 e 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, per non avere il giudice a quo considerato che la dichiarazione effettuata con il modello UNICO costituisce «un unicum», per cui, nonostante l’omesso invio della sezione relativa all’IVA, dal contesto della dichiarazione IRPEF l’Amministrazione avrebbe comunque potuto desumere, anche previo invio ai contribuente della comunicazione di cui al terzo comma del predetto art. 54-bis, i dati mancanti, ed in particolare dagli acquisti effettuati dal contribuente nel relativo periodo avrebbe potuto determinare l’IVA sugli acquisti detraibile, quantificata in lire 98.477.000.

3. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 3 del d.P.R. n. 322 del 1998 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, per non avere il giudice a quo considerato che l’Amministrazione, nonostante il mancato invio della sezione IVA del modello UNICO, dai dati trasmessi nella dichiarazione IRPEF avrebbe potuto accertare comunque quelli mancanti, ed in particolare, anche previo invio al contribuente della comunicazione di cui al terzo comma del predetto art. 54-bis, dagli acquisti effettuati dal contribuente nel relativo periodo avrebbe potuto determinare l’IVA sugli acquisti detraibile, quantificata in lire 98.477.000.

4. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 6 e 10 della legge n. 212 del 2000, lo Statuto del contribuente, per non avere il giudice a quo considerato che l’Amministrazione, prima di emettere l’avviso di accertamento controverso:

– ai sensi del predetto art. 6, comma 2, avrebbe dovuto informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il riconoscimento, seppure parziale, di un credito;

– ai sensi del comma 5 del medesimo art. 6, prima di procedere ad iscrivere a ruolo tributi risultanti da dichiarazioni, nell’ipotesi di incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, avrebbe dovuto, a pena di nullità dell’atto impositivo, invitare il contribuente a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti entro un termine congruo e non inferiore a 30 giorni;

– ai sensi dell’art. 10 della legge n. 212 del 2000, non avrebbe avuto titolo per pretendere interessi e sanzioni, in conseguenza dell’inadempimento degli obblighi di comunicazione preventiva di cui ai punti che precedono.

5. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997, per non avere il giudice a quo considerato che, quando è dimostrato che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziaria ed addebitabile esclusivamente a terzi, è esclusa la punibilità del contribuente e, pertanto, non sono dovute le sanzioni.

6. Deve essere trattato preliminarmente il terzo motivo, che, in caso di accoglimento, è potenzialmente assorbente degli altri.

Infatti, con il terzo motivo, il contribuente, nella sostanza, denuncia l’omissione del contraddittorio preventivo – generalizzato in materia di contributi armonizzati, quale l’IVA oggetto dell’accertamento controverso – contemporaneamente allegando l’attività istruttoria («produzione delle fatture e dei registri contabili») che egli avrebbe potuto compiere, ove il contraddittorio si fosse svolto, per favorire un esito diverso dell’accertamento.

Al riguardo, questa Corte ha già chiarito che, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, per i tributi armonizzati, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa (Cass., S.U., 09/12/2015, n. 24823).

Ed è stato altresì precisato che per escludere la relativa nullità non è sufficiente che in giudizio il contribuente non abbia dato prova della fondatezza delle difese che avrebbe potuto proporre nel contraddittorio preventivo, essendo sufficiente che non si sia limitato a lamentare la violazione formale, ma abbia prospettato in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali l’ordinamento lo ha predisposto (cfr. la citata Cass., S.U., 09/12/2015, n. 24823, in motivazione, al punto 3.2.).

Nel caso di specie, le allegate ragioni che il ricorrente avrebbe potuto far valere nel contraddittorio endoprocedimentale, ove esso si fosse svolto, non appaiono, per quanto qui interessa, meramente pretestuose, atteso che, attraverso la produzione di documentazione contabile, egli avrebbe potuto fornire all’Amministrazione quei «dati» e quelle «notizie comunque raccolte o venuti a conoscenza dell’ufficio» che, ai sensi dell’art. 55 del d.P.R. del 26 ottobre 1972, n. 633, avrebbero potuto concorrere all’ accertamento dell’imposta sul valore aggiunto effettivamente dovuta, nonostante la mancata presentazione, da parte del contribuente, della relativa dichiarazione annuale. Soluzione, quest’ultima, del resto conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa ai secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicché, in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili (Cass., S.U., 08/09/2016, n. 17757 e n. 17758).

Pertanto, atteso che la violazione del contraddittorio ha, nel caso di specie, determinato la nullità dell’accerta mento impugnato, va accolto il terzo motivo e la sentenza impugnata va cassata senza rinvio. Non essendo infatti necessari ulteriori accertamenti nel merito, va accolto il ricorso introduttivo del contribuente.

7. Tutti gli ulteriori motivi restano assorbiti.

8. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il terzo motivo e dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente; condanna la controricorrente al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.