CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 agosto 2019, n. 20752
Tributi – T.I.A. – Ente ecclesiastico civilmente riconosciuto – Esenzione prevista dal regolamento comunale per gli immobili destinati ad attività di culto religioso – Applicazione agli immobili destinati ad oratorio o simili – Esclusione. – Impugnazione dell’atto dinanzi al giudice tributario – Ammissibilità. – Natura tributaria della tariffa – Esclusione dell’IVA
Ritenuto che
La Parrocchia S.P.., ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, impugnava la fattura della tariffa di igiene ambientale (T.I.A.) relativa agli anni dal 2005 al 2009 deducendo, tra l’altro, la violazione dell’art. 6, punto 3, lett. a), Regolamento T.I.A. del Comune di Parma, che esenta dal tributo gli edifici di culto ed i locali strettamente connessi e tali attività.
La CTP di Parma accoglieva il ricorso con sentenza successivamente confermata dalla CTR della Emilia Romagna, che respingeva l’appello di I. EMILIA s.p.a. e, richiamando l’art. 16, lett. a), l. n. 222 del 1985, riconosceva il diritto alla esenzione per l’intero complesso immobiliare, in quanto “gli immobili destinati ad oratorio o simili degli enti parrocchiali sono pertinenze degli edifici di culto, perché destinati all’educazione e al coinvolgimento in genere nelle attività religiose della parrocchia e quindi strettamente connessi all’attività di culto”.
La I. Ambiente s.p.a. ricorre per la cassazione della sentenza affidando il suo mezzo a tre motivi, cui resiste parte intimata con controricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 97, 24, 53 Cost., 19, d.lgs. n. 546 del 1992, per avere la CTR ritenuto impugnabile la fattura commerciale anche se non è atto amministrativo ma atto volto all’attuazione di un diritto soggettivo di pagamento per una prestazione svolta, che necessita della richiesta ed emissione di un decreto ingiuntivo o di provvedimenti similari, non essendo di per sé in grado di produrre effetti significativi nella sfera del destinatario.
1.1 La censura è infondata alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui “Gli atti con i quali il gestore del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani richiede al contribuente il pagamento della tariffa di igiene ambientale (T.I.A.), anche quando assumono la forma della fattura commerciale, non avendo per oggetto il corrispettivo di una prestazione liberamente richiesta, bensì un’entrata pubblicistica, hanno natura di atti impositivi ed il contribuente ha pertanto la facoltà (sebbene non l’obbligo) di impugnarli dinanzi al giudice tributario, sebbene non siano ricompresi nell’elenco di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992.” (tra le altre, Cass. n. 27805/2018).
2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 16, lett. a), l. n. 222 del 1985, e 6, Regolamento T.I.A. del Comune di Parma, per avere la CTR ritenuto estensivamente gli immobili esenti (chiese, cappelle e simili, seminari, conventi, monasteri, locali in cui si esercita la catechesi e/o l’educazione religiosa dei fedeli), avuto riguardo segnatamente alla destinazione dei locali derivati da un ampliamento realizzato sulla base di concessioni edilizie del 2000 e del 2001, riguardante il piano terreno ed il primo piano, come da planimetrie catastali versate in atti, destinati ad “attività supplementari” ragionevolmente produttive di rifiuti solidi urbani.
2. 1 La censura è fondata, alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, in tema di TARSU, Cass. n. 15407/2017 e n. 7153/2019; n. 32789/2018; n. 13740/2017; n. 4027/2012), in quanto l’interpretazione della disciplina di riferimento fatta propria dalla CTR, che richiama, quale sostrato normativo idoneo a giustificare l’esenzione, l’art. 16, l. n. 222 del 1985 (“Agli effetti delle leggi civili si considerano comunque: a) attività di religione o di culto quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana; b) attività diverse da quelle di religione o di culto quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro.”), non tiene conto del fatto che si tratta di disposizione di contenuto programmatico, che impegna lo Stato a darvi attuazione, e che nessuna norma di legge prevede l’esenzione dalla TARSU, così come dalla T.I.A., stante il generale principio posto dall’art. 62, d.lgs. n. 507 del 1993, in materia di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, e dall’art. 238, d.lgs. n. 152 del 2006, in materia di tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, che nella sostanza condividono, al di là delle alterne vicende normative circa la qualificazione del prelievo, la valenza specifica di corrispettivo di servizio legato alla qualità e quantità dei rifiuti prodotti dal soggetto passivo, in quanto è proprio la produzione ed il conferimento di rifiuti che costituiscono la ratio del prelievo medesimo.
Inoltre, non è stata allegata – e neppure dimostrata – dalla contribuente alcuna condizione oggettiva di esclusione dal conferimento di rifiuti solidi urbani per i locali non destinati a culto i quali, ancorché siti nel complesso immobiliare parrocchiale, producono rifiuti come qualsiasi edificio, mentre è appena il caso di rilevare che, ai sensi dell’art. 6, punto 3, lett. a), dell’invocato Regolamento T.I.A. del Comune di Parma, “non sono soggetti a tariffa” soltanto “i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o che non comportano secondo la comune esperienza la produzione di rifiuti in maniera apprezzabile e ciò (…) per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati”.
Ne discende che anche la nozione di “locali strettamente connessi” a quelli propriamente adibiti al culto contenuta nell’art. 6 del Regolamento non può essere estensivamente intesa, atteso il principio che tutte le disposizioni che prevedono agevolazioni fiscali sono di stretta interpretazione, non potendosi sic et simpliciter ricomprendere tra esse le “attività supplementari” di cui alla documentazione catastale versata in atti, che sono state puntualmente riscontrate nel corso del sopralluogo effettuato, come anche riportato nel ricorso per cassazione.
3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 4, 22 e seguenti, d.p.r. n. 633 del 1972, 3, per avere la CTR ritenuto non dovuta l’IVA applicata in fattura.
3.1 La censura è infondata atteso il principio, affermato dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 5078/2016, secondo cui “La tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, istituita dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, oggi abrogato, avendo natura tributaria, non è assoggettabile all’IVA, che mira a colpire la capacità contributiva insita nel pagamento del corrispettivo per l’acquisto di beni o servizi e non in quello di un’imposta, sia pure destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il medesimo contribuente.” (cfr. anche S.U. n. 23144/2015 e n. 26268/2016).
4. La sentenza, per quanto sopra detto, va cassata e la causa decisa nel merito con l’accoglimento dell’originario ricorso della contribuente limitatamente alla IVA che non è dovuta.
4.1 L’evoluzione della giurisprudenza richiamata giustifica la integrale compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo ed il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito accoglie l’originario ricorso limitatamente alla IVA che dichiara non dovuta. Compensa le spese dell’intero giudizio.
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