CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 agosto 2019, n. 20791
CCNL Autoferrotranvieri – Società concessionaria del servizio di gestione del trasporto pubblico extraurbano – Insussistenza cessione di azienda c.d. in deroga – Pagamento delle differenze retributive
Rilevato che
1. Con sentenza n. 685 depositata il 28.1.2016 la Corte di appello di Venezia, confermando la pronuncia del giudice di primo grado, ha accolto le domande di C. C. e degli altri litisconsorti indicati in epigrafe di inquadramento nel V livello (“Agente di Movimento-Operatore di esercizio) del CCNL Autoferrotranvieri, con condanna del datore di lavoro, S. s.p.a., società concessionaria del servizio di gestione del trasporto pubblico extraurbano nella provincia di Rovigo subentrata alla C.T.R. a r.l., al pagamento delle differenze retributive.
2. La Corte di appello rilevava l’insussistenza di una cessione di azienda c.d. in deroga (ossia ai sensi dell’art. 47, comma 5, della legge n. 428 del 1990), non essendone stati provati i presupposti, e, dunque, la ricorrenza di un trasferimento regolato dall’art. 2112 cod.civ. a fronte della cessione di elementi materiali significativi organizzati al fine dello svolgimento del trasporto extraurbano, unitamente alla prosecuzione dei rapporti di lavoro.
3. Per la cassazione della sentenza impugnata la società S. s.p.a. in liquidazione propone ricorso fondato su due motivi (ulteriormente sub-articolati), illustrati da memoria. Resistono i lavoratori con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 414 cod.proc.civ. e dell’art. 2697 cod.civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente ritenuto esaustivo il ricorso introduttivo del giudizio proposto dai lavoratori nonostante gravi carenze di allegazioni circa il parametro richiesto, la decorrenza degli eventuali superiori inquadramenti e del scatti di anzianità, gli istituti retributivi considerati ai fini del calcolo.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia violazione falsa applicazione degli artt. 47, comma 5, della legge n. 428 del 1990 e 2112 cod.civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente trascurato che l’applicazione dell’art. 2112 cod.civ. presuppone (oltre al passaggio di elementi materiali significativi) la continuità dei rapporti di lavoro, circostanza non realizzatasi nel caso di specie posto che la ricostruzione dei fatti dimostrava che la situazione di crisi della società P.B., impossibilitata ad assicurare il servizio di trasporto pubblico per mancanza di mezzi finanziari, aveva determinato una prima interruzione dei rapporti di lavoro (da marzo a giugno 1993) prima dell’esercizio temporaneo del trasporto da parte della C.T.R. s.r.l., con successiva interruzione dei rapporti (da ottobre 1994 ai primi giorni di gennaio 1995) prima della successiva assunzione ex novo, a seguito di gara pubblica per l’aggiudicazione del servizio e dell’accordo sindacale del 4.1.1995, con la S. s.p.a.; inoltre, la necessità di un atto autoritativo della pubblica amministrazione per l’autorizzazione allo svolgimento del servizio e l’interruzione dell’attività nel marzo 1993 impediva di ravvisare un cedente e un cessionario quali stipulanti l’accordo sindacale previsto dall’art. 47, comma 5, della legge n. 428 del 1990, norma che dunque doveva essere interpretata tenendo in considerazione le peculiarità del caso; infine, l’applicazione dell’art. 2112 cod.civ. era impedita dalla natura associativa, e non subordinata, del rapporto di lavoro intercorso tra i lavoratori e la C.T.R..
3. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto la censura è prospettata con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto (o un estratto) del ricorso introduttivo del giudizio, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. 12 febbraio 2014, n. 3224; Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726).
4. Il secondo motivo, al suo interno articolato in due censure, è inammissibile.
6. Invero, nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nella prima parte dell’intestazione del motivo di ricorso, la censura si risolve nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti.
7. Al riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicché le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486; Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio 2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).
8. La sentenza in esame (pubblicata dopo rii.9.2012) ricade sotto la vigenza della novella legislativa concernente l’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (d.l. 22 giugno 2012, n. 83 convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134): l’intervento di modifica, come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053/2014), comporta una ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto, che va circoscritto al “minimo costituzionale”, ossia al controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta)”.
9. Nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la motivazione non è assente o meramente apparente, né gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o contraddittori.
10. In particolare, la Corte distrettuale ha rilevato – anche tramite richiamo di sentenze di questa Corte intervenute per situazioni del tutto assimilabili alla presente (Cass. n. 21278 del 2010 e Cass. n. 12813 del 2014; orientamento confermato successivamente da Cass. nn. 15549 e 14798 del 2019, Cass. 12546 del 2018) – la sostanziale continuità del rapporto di lavoro dalla società P.B. alla S. nonché l’irrilevanza di un periodo di sospensione tra il primo e il successivo imprenditore.
11. La Corte distrettuale ha, inoltre, rilevato che la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra i lavoratori e la C.T.R. doveva ritenersi incontroversa, essendo sempre stato conservato, nell’ambito della successione delle tre gestioni, la stessa organizzazione, compresa la disciplina del contratto collettivo del 1987.
12. Vanno ravvisati, altresì, profili di improcedibilità perché la ricorrente, in violazione dell’art. 369 cod.proc.civ., comma 1, n. 4, non ha prodotto, unitamente al ricorso, l’accordo sindacale del 4.1.1995 richiamato quale valido presupposto integrante la previsione di cui all’art. 47, comma 5, della legge n. 428 del 1990, (in senso analogo, Cass. n. 10066 del 2016).
13. Alla luce delle considerazioni esposte il ricorso va rigettato. Le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.pro.civ.
14. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese di lite a favore dei contro ricorrenti, liquidate complessivamente in euro 200,00 per esborsi ed euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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