CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 aprile 2019, n. 9020
Fallimento – Ammissione stato passivo – Contratto di collaborazione – Carente indicazione di un progetto o di un programma – Conversione automatica in rapporto di lavoro subordinato – Non sussiste – Prova delle modalità concrete di esplicazione della prestazione, riconducibili all’area della subordinazione – Poteri d’ufficio esercitabili dal giudice in sede di opposizione allo stato passivo
Rilevato
1. che il Tribunale di Venezia, pronunziando sulla opposizione proposta da F. M. avverso il decreto di esecutività dello stato passivo del Fallimento della società a r.l. Spazio Casa, ha respinto la domanda con la quale la opponente aveva chiesto di essere ammessa al passivo in via privilegiata per l’importo complessivo di € 40.807,70 (di cui € 6.289,00 per tfr ed € 7.966,70 a titolo di risarcimento del danno per illegittimità del licenziamento);
2. che, in particolare, il Tribunale, pur dichiarando di condividere l’assunto della opponente circa la carente indicazione di un progetto o di un programma nel contratto di collaborazione inter partes stipulato ai sensi degli artt. 61 e sg. d. lgs. 10/09/2003 n. 276, ha escluso che a ciò conseguisse la conversione automatica della collaborazione in rapporto di lavoro subordinato occorrendo, comunque, la prova che le modalità concrete di esplicazione della prestazione lavorativa fossero riconducibili all’area della subordinazione; tale prova non era stata in concreto offerta in quanto le circostanze capitolate dalla M., sulla quale ricadeva il relativo onere, non risultavano significative in ordine alla ricostruzione del rapporto come di natura dipendente. In ogni caso, anche a voler superare tale obiezione, l’opponente non aveva depositato, neppure nella fase di opposizione ex art. 98 Legge Fall., il ccnl Commercio sulla cui base aveva formulato i conteggi per le differenze connesse al rivendicato III livello e tale mancata produzione non era superabile mediante l’applicazione analogica dell’art. 425, comma 4, cod. proc. civ. venendo in rilievo un onere di allegazione e produzione assoggettato alle regole processuali sulla distribuzione dell’onere della prova e del contraddittorio;
3. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso F. M. sulla base di due motivi; il Fallimento in persona del Curatore ha depositato controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380- bis .1. cod. proc. civ.;
Considerato
1. che con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione dell’art. 69 d. lgs. n. 276/2003 cit. censurando il provvedimento impugnato per avere posto a carico di essa M. l’onere della prova delle concrete modalità di esplicazione del rapporto laddove – assume – in base all’art. 61 d. lgs. n. 276/2003 cit. la mancanza del progetto comportava, in via di sanzione automatica, la conversione del rapporto in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato; in ogni caso – sostiene- le concrete modalità di esplicazione del rapporto erano state quelle tipiche della subordinazione;
2. che con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 69 d. lgs. n. 276/2003 cit. e dell’art. 425 cod. proc. civ.. Premesso che la mancanza del progetto aveva determinato in via automatica la conversione della collaborazione autonoma in rapporto di lavoro subordinato osserva che nella liquidazione delle differenze il giudice doveva tener conto del contratto più consono applicabile alla categoria professionale di appartenenza del datore di lavoro. In questa prospettiva si duole del mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio in applicazione analogica dei corrispondenti poteri attribuiti dall’art. 425 cod. proc. civ. al giudice del lavoro;
3. che, come noto, il principio processuale della “ragione più liquida”, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., comporta che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 cod. proc. civ.(Cass. 09/01/2019 n. 363; Cass. 11/05/2018 n. 11458; Cass. 21/06/2017 n. 15350; Cass. 19/08/2016 n. 17214; Cass. 28/05/2014 n. 12002);
3.1. che l’applicazione del principio della ragione più liquida alla fattispecie in oggetto determina l’esame in via prioritaria del secondo motivo di ricorso, anche se esso investe la questione relativa all’ammissione al passivo in via privilegiata dei crediti derivanti da rapporto di lavoro dipendente, questione logicamente subordinata a quella oggetto del primo motivo incentrato sulla “conversione” in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ai sensi dell’art. 69, comma 1, d. lgs. 276/2003 cit. del rapporto di collaborazione a progetto instaurato dalla opponente con la società poi fallita. Ciò in quanto la richiesta della M. relativa all’accertamento della natura subordinata del rapporto risulta meramente strumentale al riconoscimento del credito e del relativo grado di prelazione ai fini dell’insinuazione al passivo della procedura fallimentare di talché una volta esclusa, comunque, per le ragioni, che si andranno ad evidenziare, la possibilità di ammissione al passivo dei crediti in questione, l’accertamento della conversione in rapporto di lavoro subordinato della originaria collaborazione a progetto instaurata tra le parti diviene irrilevante;
4. che, infatti, il secondo motivo di ricorso risulta infondato;
4.1. che in merito ai poteri d’ufficio esercitabili dal giudice in sede di opposizione allo stato passivo ex art. 99 I. fall., in riferimento alla possibilità, in applicazione analogica dei poteri ex art. 425 cod. proc.civ., di acquisizione del contratto collettivo applicabile occorre considerare che, a differenza del testo dell’art. 99 I. fall, novellato dal d.lgs. 09/01/2006 n. (cd. “regime intermedio”, applicabile ai fallimenti dichiarati dal 16.7.2006 al 31.12.2007), che all’8° comma prevedeva che “Il tribunale, se necessario, può assumere informazioni anche d’ufficio e può autorizzare la produzione di ulteriori documenti”, il testo dello stesso articolo novellato dal d.lgs. 12/09/2007 n. 169 (in vigore dal 1° gennaio 2008 e pertanto applicabile ai fallimenti dichiarati dopo tale data, quale quello in oggetto dichiarato con sentenza del 2.3.2012 ), non contiene più una tale previsione;
4.2. che nel vigore del regime intermedio si è al proposito ritenuto: “l’omesso esercizio del potere officioso di assumere informazioni, essendo potere discrezionale attribuito al giudice del merito, può essere sindacato soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, mentre nella concreta fattispecie il ricorrente ha formulato la censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, (v. in argomento, Sez. 3, Sentenza n. 10128 del 2004 e Sez. L, Sentenza n. 9817 del 1998). Quanto alla mancata acquisizione della documentazione tardivamente allegata, poi, il motivo è manifestamente infondato perché correttamente il Tribunale ha evidenziato che si erano verificate le preclusioni istruttorie previste dalla L. Fall., art. 9, che – anche nel testo anteriore al c.d. decreto correttivo prevedeva sin dagli atti introduttivi (ricorso e memoria difensiva) l’onere, a pena di decadenza, di specifica indicazione dei mezzi di prova e dei documenti “prodotti” di cui la parte intendeva avvalersi” (Cass. 04/09/2009, n. 19211);
4.3. che in relazione al regime vigente, questa Corte ha affermato che in tema di poteri istruttori d’ufficio del giudice dell’opposizione allo stato passivo, l’emanazione dell’ordine di esibizione (nella specie, di documenti) è discrezionale, e la valutazione di indispensabilità neppure deve essere esplicitata nella motivazione; ne consegue che il relativo esercizio è svincolato da ogni onere motivazionale ed il provvedimento di rigetto dell’istanza è insindacabile in sede di legittimità, anche sotto il profilo del difetto di motivazione, trattandosi di uno strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova dei fatti non possa in alcun modo essere acquisita con altri mezzi e l’iniziativa della parte istante non abbia finalità esplorativa. (Cass. 21/02/2017, n. 4504; non diversamente da quanto si ritiene nel processo del lavoro: Cass. 25/10/2013, n. 24188);
4.4. che, inoltre, costituisce principio consolidato quello secondo cui l’art. 421 cod. proc. civ. sui poteri istruttori ufficiosi del giudice è norma relativa al rito del lavoro e non trova applicazione nel giudizio di opposizione allo stato passivo del fallimento, ai sensi dell’art. 98 l.fall., che è retto dalle norme che regolano il giudizio ordinario, anche se si facciano valere diritti derivanti da un rapporto di lavoro subordinato con l’impresa assoggettata alla procedura concorsuale (Cass. 19/05/2006, n. 11856; Cass. 30/09/2016, n. 19596);
4.5. che, in ogni caso, anche nel rito del lavoro la richiesta alle associazioni sindacali, a norma dell’art. 425 cod. proc. civ., di informazioni, o del testo dei contratti collettivi applicabili nella controversia, costituisce esercizio, da parte del giudice del merito, di una facoltà discrezionale, il cui uso è insindacabile sede di legittimità, tranne nell’ipotesi in cui vi sia stata specifica istanza all’uopo proposta dalla parte (Cass. 12/08/2009 n. 18261), e la stessa sia stata rigettata con motivazione erronea ed illogica (Cass. . 1654 del 14/02/1987 2300 del 15/04/1982), circostanza questa neppure specificamente allegata dalla odierna ricorrente che si è limitata a richiamare quanto rappresentato nella memoria autorizzata in punto di libera consultabilità dell’archivio dei contratti e accordi collettivi istituito presso il CNEL ;
5. che alla luce dei richiamati principi il mancato esercizio in via analogica dei poteri ex art. 425 cod. proc. civ. da parte del giudice del fallimento, si sottrae al sindacato di legittimità;
6. che a tanto consegue il rigetto del ricorso e il regolamento, secondo soccombenza, delle spese di lite;
7. che sussistono i presupposti per l’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso . Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 3.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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