CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 aprile 2019, n. 9060
Tributi – Accertamento – Emissione di fatture per operazioni inesistenti – Sanzioni – Raddoppio dei termini di accertamento per violazioni penali
Ritenuto che
A. S. ricorre per la cassazione della C.T.R. del Piemonte, n. 1115/2017 dep. il 17/7/2017, che ha accolto l’appello dell’Ufficio in controversia su impugnazione di avviso di accertamento per Irpef Iva Irap anno 2004, e irrogazione di sanzione a seguito di pvc della GGFF nei confronti della ditta individuale Euro intonaci di A. S., dal quale risultavano contestate detrazioni IVA e deduzione di costi a seguito di emissione di fatture per operazioni inesistenti da parte dei fratelli P. S. e R. P., anch’essi oggetto di accertamento.
La CTR, in riforma della sentenza di primo grado – che aveva considerato non sussistere i presupposti per il c.d raddoppio dei termini per l’accertamento – ha ritenuto tempestiva la notifica dell’accertamento, in fattispecie nella quale rilevava il reato di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediate uso di fatture per operazioni inesistenti, e per la quale la GGFF aveva effettuato regolare comunicazione di notizia di reato); aveva altresì ritenuto adeguatamente motivato per relationem il provvedimento impugnato, e assolto l’onere probatorio dell’Ufficio – che ha fornito la prova che l’operazione commerciale oggetto della fattura non è stata posta in essere ovvero non è stata posta in essere fra i soggetti ivi indicati- accertata la totale assenza di struttura imprenditoriale dei P., che non hanno presentato per il 2006 e per gli anni oggetto di accertamento (2004/2010) la dichiarazione dei redditi. Per contro il contribuente non avrebbe provato “né la fonte legittima della detrazione e dei costi, né la sua mancanza di consapevolezza di partecipare ad una operazione fraudolenta”, non essendo sufficiente la regolarità delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti.
L’Agenzia delle entrate si costituisce ex art. 370 comma 1 c.p.c..
Il ricorrente deposita memoria.
Considerato che
1. Col primo motivo si deduce violazione di legge, ex art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione al d.lgs. 128/15 e I. 208/15, riguardando peraltro la notizia di reato gli anni d’imposta dal 2007 al 2010, e non anche gli anni precedenti.
Il motivo è infondato.
Va premesso che l’art. 37, comma 24, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, integrando il terzo comma dell’art. 43, d.P.R. n. 600 del 1973, ha stabilito che in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione; l’art. 37, comma 25, del medesimo d.l. n. 223 del 2006, introduce analoga disposizione in materia di i.v.a., previa modifica dell’art. 57, d.P.R. n. 633 del 1972; non vengono, invece, in rilievo, le modifiche introdotte, dapprima, dall’art. 2, primo e secondo comma, d.lgs. 3 agosto 2015, n. 128, che ha circoscritto il raddoppio dei termini di accertamento per violazioni penali solo ai casi in cui la denuncia è effettivamente presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento, quindi, dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. 28 dicembre 2015, n. 208, che hanno, tra le altre disposizioni, eliminato la fattispecie del raddoppio dei termini ordinari;
– infatti, quanto alla prima modifica, in virtù dell’apposita norma di salvaguardia prevista dall’art. 2, d.lgs. n. 128 del 2015, la stessa non si applica alle violazioni punibili constatate in processi verbali notificati prima del 2 settembre 2015 e seguite dalla notifica di atti impositivi entro il 31 dicembre 2015, quali sono quelle in oggetto, in cui la notifica dell’avviso di accertamento è intervenuta nel 2013 (come si evince dagli estremi dell’avviso di acc. riportati in ricorso);
– quanto alla ulteriore modifica, il regime transitorio previsto dalla l.n. 208 del 2015 per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016 – secondo cui il raddoppio dei termini di accertamento, quali stabiliti dal secondo periodo del comma 132, opera, nel caso delle indicate violazioni penali, solo a condizione che la denuncia penale sia 4 presentata o trasmessa dall’amministrazione finanziaria entro il termine stabilito nel primo periodo del medesimo comma 132 – riguarda solo le fattispecie non regolate dal precedente regime transitorio, cioè i casi in cui non sia stato notificato un atto impositivo (o di irrogazione di sanzioni) entro il 2 settembre 2015, in quanto, ai sensi dell’art. 3, secondo comma, d.lgs. n. 128 del 2015 sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatola, notificati alla data di entrata in vigore di tale decreto (cfr. Cass. n. 22337 del 13/09/2018, n. 11620/2018; 9322/2017; Cass. 16 dicembre 2016, n. 26037; Cass. 9 agosto 2016, n. 16728);
– ciò posto, la CTR ha nel caso di specie, accertata la regolare comunicazione di notizia di reato con conseguente applicazione del raddoppio dei termini, ex art. 331 c.p.p., indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di condanna (cfr., altresì, Cass., ord., 30 maggio 2016, n. 11171); il raddoppio attiene solo alla commisurazione del termine di accertamento ed i termini raddoppiati sono anch’essi termini fissati direttamente dalla legge, operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva, senza che all’amministrazione finanziaria sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione;
– il giudice di appello ha dato atto che nel caso in esame si fosse «in presenza di reati tributari» di cui al d.lgs. n. 74 del 2000 e ritenuto, conseguentemente, che i termini ordinari per l’azione accertatrice fossero raddoppiati, facendo così corretta applicazione dei principi di diritto richiamati (Cass. n. 22337/2018).
1. Col secondo motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo, ex art. 360 n. 5 c.p.c., da cui è derivata l’errata valutazione in ordine alla realizzazione dei lavori da parte dei P.; errata valutazione della consapevolezza del S. di partecipare a operazioni fraudolente. In particolare la CTR non avrebbe considerato fra i documenti prodotti una multa per violazioni del codice della strada ad opera di uno dei P. alla guida di un mezzo del S. e copia dei contratti di subappalto regolarmente trascritti dalle parti, oltre alle bolle di accompagnamento di ritiro dei materiali sui cantieri firmati dai P., a dimostrazione dell’effettivo svolgimento dei lavori oltre all’esistenza di rapporti intercorrenti fra le parti di cui al subappalto. Parimenti la sentenza avrebbe omesso di valutare i fatti che avrebbero escluso la consapevolezza del contribuente per i fatti ascritti al P., quali l’iscrizione dei P. alla Camera di commercio, la multa le bolle di accompagnamento, i pagamenti tracciati, i contratti di subappalto. Dopo l’introduzione del DURC (anno 2010) il S. ha interrotto i rapporti con i P. non in grado di produrre il suddetto documento.
Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
In tema di ricorso per cassazione, il vizio di motivazione su un “fatto controverso e decisivo per il giudizio”, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 40 del 2006, deve riferirsi esclusivamente a fatti principali, ossia a fatti costitutivi, impeditivi, modificativi o estintivi del diritto controverso ex art. 2697 c.c., sicché deve provvedersi all’evidenziazione del carattere decisivo degli stessi, ossia della idoneità del vizio denunciato a determinare una diversa ricostruzione del fatto (da ultimo Cass. n. 33578 del 28/12/2018).
Nella esposizione del motivo manca l’evidenziazione del carattere decisivo dei fatti, inidonei pertanto a giustificare una diversa ricostruzione dei fatti, ossia della capacità del vizio denunciato a determinare una diversa ricostruzione del fatto che ha determinato il giudice all’individuazione della disciplina giuridica applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio di merito e, quindi, di un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo od estintivo del diritto. Sotto un secondo aspetto, la nozione di decisività concerne la stessa idoneità del vizio denunciato, ove riconosciuto, a determinare una diversa ricostruzione e, dunque, asserisce al nesso di casualità fra il vizio della motivazione e la decisione, essendo, peraltro, necessario che il vizio, una volta riconosciuto esistente, sia tale che, se non vi fosse stato, si sarebbe avuta una ricostruzione del fatto diversa da quella accolta dal giudice del merito e non già la sola possibilità o probabilità di essa (Cass. n. 3668 del 14/02/2013, n. 33578 del 28/12/2018, cit.).
Nella fattispecie non costituiscono fatti decisivi nei termini enucleati dalla giurisprudenza sopra richiamata, la mancata valutazione come prova da parte della CTR della multa e l’errata valutazione in ordine alla realizzazione dei lavori da parte dei P..
Il motivo è poi infondato con riferimento alla consapevolezza della frode da parte del contribuente, sul quale incombe la prova contraria, di aver agito in assenza di detta consapevolezza e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi n. 21104 del 24/08/2018, n. 17619 del 05/07/2018). La CTR ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto sopra indicati, non ritenendo sufficienti, ai fini dell’onere della prova incombente sul contribuente “la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti”, ritenuta dalla giurisprudenza di questa Corte inidonea di per sé a dimostrare la fonte legittima del costo (Cass. n. 11873/18).
Il ricorso va conclusivamente rigettato; le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art. 13 comma 1 bis d.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in €. 2.000,00, oltre spese prenotate a debito; sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art. 13 comma 1 bis d.P.R. n. 115/2002.
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