CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 aprile 2022, n. 10630
Rapporto di lavoro – Dirigenti scolastici – Passaggio di carriera – Assegno ad personam – Modalità di calcolo
Rilevato che
1. la Corte d’Appello di Palermo, adita dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ha riformato la sentenza del Tribunale della stessa che aveva accolto il ricorso di L.A.M.P. e degli altri litisconsorti indicati in epigrafe, tutti dirigenti scolastici, ed aveva riconosciuto il diritto degli stessi a percepire l’assegno ad personam previsto dall’art. 58, comma 2, del CCNL 2002/2005 per la dirigenza dell’Area V;
2. la Corte territoriale ha rilevato che nell’anno precedente l’immissione in ruolo nella qualifica dirigenziale gli appellati non avevano ricoperto l’incarico di preside incaricato e, pertanto, non poteva trovare applicazione l’invocato art. 58, che prevedeva la conservazione del trattamento economico in atto al momento dell’assunzione, se di miglior favore rispetto a quello connesso alla nuova funzione;
3. il giudice d’appello ha richiamato anche l’art. 3, comma 57, della legge n. 537/1993 secondo cui in caso di passaggio di carriera l’assegno ad personam va calcolato in relazione allo stipendio o alla retribuzione pensionabile in godimento al momento del passaggio medesimo;
4. per la cassazione della sentenza i litisconsorti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso sulla base di due motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ., ai quali il MIUR ha resistito con controricorso, mentre è rimasto intimato l’Ufficio Scolastico Regionale.
Considerato che
1. il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., denuncia la violazione o la falsa applicazione dell’art. 58, comma 3, del CCNL 2002/2005 per la dirigenza dell’Area V, come modificato dall’art. 23 comma V del CCNL 2006/2009 e addebita, in sintesi, alla Corte territoriale di avere fornito un’interpretazione della clausola contrattuale contrastante con la ratio e la finalità della stessa, che era quella di assicurare ai docenti, transitati nel ruolo dirigenziale a seguito del superamento di corso- concorso, un trattamento economico non inferiore a quello goduto dai presidi incaricati;
1.1. i ricorrenti aggiungono che il mancato svolgimento dell’incarico annuale era dipeso da colpa dell’amministrazione che aveva fissato le prove scritte a settembre 2007 costringendo i partecipanti a tornare a svolgere la funzione docente nell’anno scolastico 2007/2008;
2. la seconda censura, ricondotta al vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio perché il giudice d’appello non avrebbe esplicitato le ragioni per le quali il termine “conservano” utilizzato dalle parti collettive sarebbe sufficiente ad escludere dall’ambito di applicazione della clausola contrattuale coloro che in precedenza avevano svolto la funzione direttiva ed avevano confidato sull’attribuzione, al momento del passaggio, di un trattamento economico non inferiore a quello goduto nel periodo di svolgimento dell’incarico;
3. è infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa del Ministero, perché l’esposizione dei fatti di causa, seppure priva di un’analitica ricostruzione della storia lavorativa di ciascun ricorrente, riporta le circostanze di fatto che, secondo la tesi sostenuta, sarebbero sufficienti a provare la fondatezza delle domande originariamente proposte e riassume le rispettive posizioni delle parti nonché lo sviluppo della vicenda processuale;
3.1. la valutazione sulla completezza dell’esposizione dei fatti, richiesta a pena di inammissibilità dall’art. 366 n. 3 cod. proc. civ., deve essere effettuata considerando il fine che il requisito mira ad assicurare e contemperando l’esigenza di fornire alla Corte tutti gli elementi necessari ai fini della decisione con quella della necessaria sinteticità degli atti processuali;
3.1. ne discende che, come evidenziato dalle Sezioni Unite di questa Corte, la “esposizione sommaria dei fatti di causa” non richiede né la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali né che “si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale s’è articolata” ( così in motivazione Cass. S.U. 11.4.2012 n. 5698), essendo sufficiente una sintesi della vicenda “funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure mosse alla sentenza impugnata“;
4. il primo motivo di ricorso, ammissibile per quanto sopra detto, è però infondato giacché la Corte territoriale ha fornito un’esegesi corretta dell’art. 58, comma 3, del CCNL 11. 4.2006 per la dirigenza dell’area V;
5. l’interpretazione della clausola, che deve essere condotta tenendo conto del tenore letterale della stessa e della sua ratio, ossia delle finalità che le parti collettive hanno inteso perseguire, richiede che si dia conto dello sviluppo della complessa vicenda, normativa e contrattuale, che ha interessato la dirigenza scolastica, istituita come autonoma area solo dall’art. 3 del CCNQ del 9.8.2000;
5.1. l’attribuzione ai capi di istituto ed ai direttori didattici della qualifica dirigenziale risale alla legge n. 59 del 1997 che, all’art. 21, comma 16, l’aveva correlata «all’acquisto della personalità giuridica e dell’autonomia da parte delle singole istituzioni scolastiche», rinviando ad un successivo decreto legislativo, integrativo della disciplina dettata dal d. lgs. n. 29 del 1993, l’individuazione dei contenuti e delle specificità del ruolo dirigenziale e stabilendo, proprio in ragione di detta specificità, che il rapporto di lavoro sarebbe stato disciplinato dalla contrattazione collettiva del comparto scuola, articolata in autonome aree (art. 21, comma 17);
5.2. con l’articolo unico del d.lgs. n. 59 del 1998 sono stati, quindi, inseriti nel d.lgs. n. 29 del 1993 gli artt. 25 bis e 28 bis, poi trasfusi negli artt. 25 e 29 del d.lgs. n. 165/2001, con i quali è stata dettata la disciplina della funzione dirigenziale nonché delle modalità ordinarie di reclutamento dei dirigenti scolastici, disciplina connotata dal carattere di specialità rispetto a quella della dirigenza statale, reso evidente dall’inserimento non nel ruolo unico nazionale, bensì in ruoli di dimensione regionale, e dalla valorizzazione di detto livello territoriale anche ai fini della valutazione dell’operato del dirigente nonché, nel testo originario dell’art. 29, delle modalità di accesso alla qualifica dirigenziale;
5.3. il d.lgs. n. 59 del 1998 ha, poi, inserito nel testo del d.lgs. n. 29 del 1993, anche l’art. 25 ter con il quale è stato disciplinato l’inquadramento nei ruoli regionali dei capi di istituto già in servizio e previsto che l’attribuzione della qualifica dirigenziale sarebbe avvenuta «previa frequenza di appositi corsi di formazione, all’atto della preposizione alle istituzioni scolastiche dotate di autonomia e della personalità giuridica a norma dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, salvaguardando, per quanto possibile, la titolarità della sede di servizio» (art. 25 ter, comma 1, poi trasfuso nell’art. 25 comma 7 del d.lgs n. 165/2001);
5.4. in precedenza i capi di istituto non rivestivano la qualifica dirigenziale ed il trattamento retributivo era disciplinato dalla contrattazione per il personale del comparto della scuola mentre lo stato giuridico era quello previsto dal d.lgs. n. 297/1994 che, all’art. 477, prevedeva espressamente anche l’incarico annuale ( comma 1 « Gli incarichi di presidenza di durata annuale negli istituti e nelle scuole di istruzione secondaria, nei licei artistici e negli istituti d’arte sono conferiti, a domanda, ogni anno, dal provveditore agli studi in base ad apposite graduatorie provinciali di merito distintamente formate per i vari tipi di presidenza da conferire») e fissava i criteri per il conferimento, da effettuare in relazione alla posizione rivestita in due distinte graduatorie nelle quali potevano essere iscritti, da un lato, i docenti risultati idonei all’esito del concorso a posti di preside, dall’altro quelli in possesso dei titoli necessari per la partecipazione al concorso in questione;
5.5. l’art. 29 del d.lgs. n. 165/2001 aveva previsto, in ragione della nuova disciplina della dirigenza scolastica, il superamento del sistema degli incarichi annuali ed aveva stabilito, al comma 5, che gli stessi non sarebbero più stati conferiti dall’anno scolastico successivo alla data di prima approvazione del corso concorso, parzialmente riservato, finalizzato all’assunzione della qualifica dirigenziale;
5.6. l’espletamento delle procedure concorsuali non è stato immediato e, nelle more, l’ordinanza ministeriale n. 40 del 2005 ha disciplinato le modalità di conferimento degli incarichi annuali e di formazione delle relative graduatorie, conformi alle tipologie indicate dall’art. 477, precisando nelle premesse: «Sino all’anno scolastico successivo alla data di approvazione della graduatoria del corso-concorso per il reclutamento dei dirigenti scolastici, indetto con D.D.G. 22.11.2004, – che si iscrive nell’iter procedurale previsto dall’art. 29 del D.lgs. 30.3.2001 n. 165 e successive modificazioni e dall’art. 22 della Legge 28.12. 2001 n. 448 – gli incarichi di presidenza sono disciplinati in via permanente dalle disposizioni che seguono, fatte salve eventuali successive modificazioni. »;
5.7. con l’art. 1 sexies del d.l. n. 7/2005, inserito dalla legge di conversione n. 43/2005, il legislatore ha ribadito l’intento di superare il sistema degli incarichi annuali, ed ha stabilito che la copertura dei posti vacanti di dirigente scolastico sarebbe dovuta avvenire ricorrendo alla reggenza, ossia all’istituto disciplinato dall’art. 26 del CCNL 1° marzo 2002 per l’area V della dirigenza scolastica ( del seguente tenore: «L’amministrazione scolastica, sulla base delle norme vigenti, può conferire i seguenti incarichi, che il dirigente scolastico è tenuto ad accettare:…. reggenza di altra istituzione scolastica, oltre quella affidata con incarico dirigenziale);
5.8. il decreto legge, peraltro, al chiaro fine di non mortificare la posizione acquisita dai docenti incaricati, ha consentito in via transitoria la conferma degli incarichi conferiti in epoca antecedente all’anno scolastico 2006-2007 ed ha anche previsto l’indizione di un corso-concorso riservato a coloro che avessero ricoperto entro l’anno scolastico 2005-2006 almeno un anno di incarico di presidenza (recita la norma: «A decorrere dall’anno scolastico 2006-2007 non sono più conferiti nuovi incarichi di presidenza, fatta salva la conferma degli incarichi già conferiti. I posti vacanti di dirigente scolastico sono conferiti con incarico di reggenza. I posti vacanti all’inizio del predetto anno scolastico, ferma restando la disciplina autorizzatoria in vigore in materia di programmazione del fabbisogno di personale di cui all’articolo 39 della legge 23 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, nonché i vincoli di assunzione del personale delle Pubbliche amministrazioni previsti dalla normativa vigente, sono riservati in via prioritaria ad un apposito corso-concorso per coloro che abbiano maturato, entro l’anno scolastico 2005/2006, almeno un anno di incarico di presidenza»), concorso al quale i ricorrenti, secondo quanto si legge al punto 1 dell’esposizione dei fatti di causa, hanno partecipato;
5.9. si tratta, quindi, di un complesso di disposizioni normative finalizzate a garantire la posizione acquisita da titolari di incarichi annuali, in favore dei quali è stata prevista, oltre alla possibilità di accedere al corso – concorso riservato, anche la conferma nell’incarico, secondo le modalità ed i criteri stabiliti dalla citata ordinanza ministeriale nonché da direttive appositamente emanate dal MIUR, in modo da consentire medio tempore la conservazione della funzione a coloro che sarebbero definitivamente transitati nella dirigenza;
6. in questo quadro normativo si è inserita la contrattazione collettiva che, a partire dal CCNL 1.3.2002, con decorrenza dal Io settembre 2000, ha disciplinato gli aspetti economici e normativi dell’autonoma area della dirigenza scolastica, istituita, con la medesima decorrenza, dal CCNQ 9.8.2000, e da quest’ultimo «collocata nell’ambito del comparto scuola, in relazione alla previsione dell’art. 21, comma 17 della legge 59/1997» (art. 3 del CCNQ);
6.1. sino a detta data sulla disciplina del rapporto erano intervenuti i CCNL sottoscritti il 4.8.1995 ed il 26.5.1999, sicché la retribuzione spettante ai capi d’istituto, così come quella prevista per il personale docente ed ATA, aveva avuto la struttura indicata dall’art. 63 del CCNL del 1995 e, a partire dal 1° gennaio 1996, era stato previsto un sistema di progressione economica per tutto il personale del comparto, ivi compreso quello con funzioni direttive, che aveva sostituito il d.P.R. n. 399/1988 ed era fondato sull’attribuzione di posizioni economiche differenziate, di importo crescente a seconda della maggiore o minore anzianità di servizio ( 0-2, 3-8, 9-14, 15-20, 21-27, 28-34, oltre 35);
6.2. lo stipendio tabellare del capo di istituto, comprensivo della retribuzione individuale di anzianità e dell’indennità di funzione, risentiva principalmente dell’anzianità di servizio e, alla data del 1° giugno 1999, poteva variare da un minimo di £. 32.147.000 ad un massimo di £.57.099,000 (cfr. i valori indicati nella tabella E allegata al CCNL 1999), in relazione all’esperienza maturata;
6.3. in ragione della previsione normativa dell’incarico annuale, l’art. 69 del CCNL 4.8.1995 aveva, poi, previsto uno speciale regime da valere sia per il personale docente chiamato a sostituire momentaneamente il capo d’istituto sia per quello incaricato delle funzioni di presidenza o di direzione didattica ed aveva riconosciuto un’indennità aggiuntiva, che si sommava al trattamento stipendiale previsto per la qualifica di appartenenza, determinata sulla base del differenziale tra i livelli iniziali di inquadramento delle due aree – docente e capo d’istituto- (Al personale docente incaricato dell’ufficio di presidenza o di direzione, e al docente vicario, che sostituisce a tutti gli effetti il capo d’istituto per un periodo superiore a quindici giorni, nei casi di assenza o impedimento, nonché all’assistente amministrativo, che sostituisce il direttore amministrativo o il responsabile amministrativo, negli stessi casi, è attribuita, per l’intera durata dell’incarico o della sostituzione, una indennità pari al differenziale dei relativi livelli iniziali di inquadramento);
6.4. oltre all’indennità in questione, che ricalcava nella sostanza quella già prevista in favore dei titolari di incarico annuale dall’art. 54 della legge n. 312/1980, le parti collettive avevano attribuito anche ai docenti incaricati l’indennità di direzione prevista dall’art. 21 del CCNL 26.5.1999 (Ai capi di istituto, ivi compresi gli incaricati, spetta una indennità accessoria mensile. Il relativo importo sarà determinato in sede di contrattazione integrativa nazionale, che potrà definire maggiorazioni in relazione alla tipologia e alla dimensione degli istituti.);
6.5. attesa la possibilità, prevista dal legislatore, di conferma, sia pure ad esaurimento, degli incarichi annuali nelle more del passaggio dall’uno all’altro regime, le disposizioni contrattuali sopra citate sono state espressamente richiamate dall’art. 142 del CCNL per il personale del comparto della scuola 24 luglio 2003 e dall’art. 146 del CCNL 29 novembre 2007 che, quindi, hanno confermato la vigenza della speciale indennità prevista in favore dei dirigenti scolastici incaricati;
7. di dette disposizioni contrattuali hanno tenuto conto le parti collettive in occasione della stipula del primo contratto relativo alla sola dirigenza scolastica, contratto con il quale, in linea con la contrattazione delle altre aree dirigenziali, è stata prevista una struttura della retribuzione comprensiva dello stipendio tabellare, dell’indennità integrativa speciale, della retribuzione di posizione,, parte fissa e parte variabile, della retribuzione di risultato, nonché della «retribuzione individuale di anzianità, ove acquisita e spettante»;
7.1. quest’ultima voce è stata conservata solo per i dirigenti scolastici ex capi d’istituto per i quali, soppressa dall’art. 39 dello stesso CCNL 1.3.2002 la progressione economica per posizioni stipendiali, si poneva l’esigenza di disciplinare il passaggio dall’uno all’altro sistema e di evitare che l’inquadramento nella qualifica dirigenziale si risolvesse in una mortificazione dei diritti già acquisiti e comportasse l’azzeramento, a fini retributivi, dell’anzianità maturata in una funzione che implicava comunque compiti direttivi, rimarcati, anche in epoca antecedente all’attribuzione dell’autonomia scolastica, dal CCNL 4.8.1995;
7.2. il CCNL 1.3.2002 ha, quindi, previsto, all’art. 39, che «A decorrere dal 1.1.2001 è soppressa la progressione economica per posizioni stipendiali ed al personale compete uno stipendio unico determinato in € 18.798,47 (lire 36.398.917) annui lordi inclusa la tredicesima mensilità. Il valore economico corrispondente alla differenza tra la posizione stipendiale in godimento, inclusi gli incrementi indicati nella tabella A, e lo stipendio di cui al comma 1 costituisce la retribuzione individuale di anzianità di ciascun dirigente scolastico ed è corrisposta mensilmente in aggiunta allo stipendio»;
7.3. un’esigenza analoga si è posta, espletate le procedure per il reclutamento dei dirigenti scolastici, per i vincitori che, seppure appartenenti all’area docente, prima della formale acquisizione della qualifica dirigenziale erano stati incaricati della direzione di istituti scolastici ed avevano percepito il trattamento retributivo previsto per l’area di appartenenza, secondo il sistema delle fasce stipendiali, maggiorato della speciale indennità riconosciuta dal già richiamato art. 69 del CCNL 1.9.1995;
7.4. le parti collettive hanno ritenuto che anche in tal caso dovesse operare il divieto di reformatio in peius, perché l’inquadramento aveva riguardato soggetti già investiti, seppure in assenza di qualifica, della relativa funzione, e con l’art. 58 del CCNL 11.4.2006 hanno previsto che « I docenti già incaricati di presidenza e assunti nella qualifica dirigenziale dell’area a seguito delle procedure di reclutamento previste dalla normativa vigente, conservano, quale assegno ad personam, l’eventuale maggior trattamento economico complessivo percepito per effetto dell’espletamento delle funzioni sostitutive. L’eventuale maggior trattamento di cui al comma 2 viene riassorbito con gli incrementi stabiliti dai successivi contratti collettivi nazionali di lavoro»;
7.5. in tal modo, quindi, nell’ambito della dirigenza scolastica, a fini retributivi, al regime, per così dire ordinario, previsto per i dirigenti di nuova assunzione sono stati affiancati due trattamenti «speciali» destinati ad esaurirsi nel tempo, riservati, rispettivamente, agli ex capi di istituto ed agli incaricati annuali divenuti dirigenti a seguito del superamento del concorso riservato, trattamenti accomunati dalla necessità di evitare che l’acquisizione della qualifica dirigenziale si risolvesse in un peggioramento del trattamento retributivo già acquisito;
7.6. ha, poi, continuato ad operare per i docenti incaricati, confermati ai sensi dell’art. 1 sexies del d.l. n. 7/2005, la disciplina del trattamento retributivo prevista dai CCNL per il personale del comparto della scuola (comparto al quale gli stessi appartenevano non essendo applicabile il CCNL dell’Area V della dirigenza che presuppone la qualifica dirigenziale);
8. dalla ricostruzione del quadro normativo e contrattuale discende l’infondatezza della tesi sostenuta dai ricorrenti perché la clausola contrattuale, che si inscrive nel complesso sistema che aveva consentito ai docenti incaricati di conservare l’incarico nelle more dell’espletamento dei concorsi riservati e, correlativamente, di continuare a percepire la maggiorazione retributiva prevista dai CCNL per il personale del comparto della scuola, è chiaramente finalizzata ad impedire, nel passaggio dall’una all’altra qualifica, la reformatio in peius del trattamento retributivo goduto al momento del passaggio stesso;
8.1. il tenore letterale della disposizione, che significativamente utilizza il termine «conservano», esclude che la clausola possa essere applicata anche a coloro che, pur avendo ricoperto in passato un incarico di presidenza (incarico che consentiva la partecipazione al concorso riservato a prescindere cía II’attualità dell’incarico medesimo), non erano stati destinatari della conferma e, pertanto, non percepivano alcuna maggiorazione, in quanto già restituiti al ruolo di docente;
8.2. in detta ipotesi, infatti, il trattamento retributivo da conservare non poteva essere quello relativo ad annualità pregresse, perché quel trattamento, che in ipotesi poteva anche essere risalente nel tempo, era già stato perso a seguito del mancato rinnovo e, pertanto, lo stesso non poteva costituire l’elemento di comparazione rispetto ad una previsione contrattuale finalizzata a garantire l’irriducibilità della retribuzione in occasione del passaggio;
9. le considerazioni svolte nel ricorso sulle ragioni per le quali l’incarico non sarebbe stato rinnovato sono prive di rilevanza ai fini di causa perché, a fronte del tenore e della ratio della disposizione contrattuale, che ne escludono l’applicabilità ai docenti non destinatari dell’incarico annuale al momento del passaggio, un’eventuale responsabilità dell’amministrazione quanto al mancato rinnovo o al ritardo nella conclusione delle operazioni concorsuali non potrebbe mai giustificare l’accoglimento di una domanda di carattere retributivo, che è quella formulata in questa sede;
10. né si può sostenere che, così interpretata, la disposizione contrattuale determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento, mortificando la professionalità comunque acquisita dai docenti incaricati, professionalità non dissimile da quella dei colleghi che al momento del passaggio ricoprivano ancora la funzione direttiva;
10.1. facendo leva sulla peculiare natura della contrattazione disciplinata dal d.lgs. n. 165/2001 e sulla funzione alla stessa assegnata dal legislatore, questa Corte da tempo ha affermato che il principio espresso dall’art. 45 del richiamato decreto, secondo il quale le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale, opera solo nell’ambito del sistema previsto dalla contrattazione collettiva e vieta trattamenti migliorativi o peggiorativi a titolo individuale, ma non costituisce parametro per giudicare le differenziazioni operate in quella sede, in quanto la disparità trova titolo non in scelte datoriali unilaterali lesive della dignità del lavoratore, ma in pattuizioni dell’autonomia negoziale delle parti collettive, le quali operano su un piano tendenzialmente paritario e istituzionalizzato, di regola sufficiente, salva l’applicazione di divieti legali, a tutelare il lavoratore in relazione alle specificità delle situazioni concrete (cfr. fra le tante Cass. n. 6553/2019; Cass. n. 32157/2018; Cass. n. 12334/2018; Cass. n. 19043/2017);
10.2. si è precisato, in particolare, che, ove facciano difetto norme inderogabili dettate dal legislatore nazionale o principi eurounitari di immediata applicazione, la parità di trattamento non può essere invocata per sollecitare un sindacato giudiziale delle scelte operate dalla contrattazione collettiva perché a quest’ultima è stato affidato in via esclusiva il potere di definire i trattamenti retributivi dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni ed è stata lasciata alle parti sociali piena autonomia di prevedere, anche a parità di mansioni e di funzioni esercitate, trattamenti differenziati in ragione dei diversi percorsi formativi, delle specifiche esperienze maturate, delle carriere professionali nonché delle dinamiche negoziali dei diversi comparti ( Cass. n. 19043/2017);
11. il secondo motivo è inammissibile nella parte in cui denuncia il vizio motivazionale ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., perché a seguito della riformulazione operata dal d.l. n. 83/2012 (applicabile alla fattispecie in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata il 7 marzo 2016) rileva solo l’omesso esame di un fatto storico decisivo oggetto di discussione fra le parti (Cass. S.U. n. 34476/2019 che richiama Cass. S.U. n. 8053/2014, Cass. S.U. n. 9558/2018, Cass. S.U. n. 33679/2018) mentre il vizio motivazionale, che va denunciato ai sensi del combinato disposto degli artt. 132 e 360 n. 4 cod. proc. civ., è ravvisabile solo qualora, esclusa qualunque rilevanza del difetto di sufficienza, manchi un requisito essenziale della decisione, il che si verifica nelle sole ipotesi di mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, di motivazione apparente, di contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile;
12. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato con compensazione delle spese del giudizio di legittimità, che il Collegio ritiene di dover disporre in considerazione della novità e della complessità della questione giuridica prospettata;
13. ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dai ricorrenti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.
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