CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 aprile 2022, n. 10666
Contratto di lavoro a tempo determinato – Nullità del termine – Mancata indicazione delle “esigenze funzionali” – Inapplicabilità dell’art. 11 d.lgs. n. 368/2001 – Conversione in rapporti a tempo indeterminato – Esclusione
Rilevato che
1. La Corte d’appello di Catania, con sentenza del 5 agosto 2016, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Ragusa, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato in data 26 settembre 2002 tra A. B. e il Consorzio di Bonifica n. xx di R., condannando il Consorzio alla riammissione in servizio dell’appellante e al pagamento di una indennità pari a 4 mensilità;
2. A. B., operaio comune addetto ai lavori di manutenzione ordinaria, aveva agito in giudizio per ottenere la declaratoria di nullità dei contratti a termine stipulati inter partes dal 2002 al 2012;
3. il Tribunale aveva parzialmente accolto la domanda affermando l’illegittimità dei contratti per mancata indicazione delle “esigenze funzionali”, escluso la conversione del rapporto, ostandovi la normativa regionale (che aveva previsto l’espletamento del concorso pubblico per l’assunzione a tempo indeterminato alle dipendenze degli enti consortili), condannato il Consorzio all’indennità ex art. 32 l. n. 183 del 2010 pari a 12 mensilità;
4. per quello che ancora rileva, la Corte d’appello, ribadita la nullità del termine e dichiarato il rapporto in questione sin dall’origine a tempo indeterminato, disponeva la riammissione in servizio del lavoratore con condanna del Consorzio al pagamento di una indennità pari a 4 mensilità della retribuzione globale di fatto;
premetteva la Corte territoriale che la decisione del Tribunale era stata impugnata tanto dal B. (che aveva proposto appello avverso la statuizione che aveva negato la conversione) quanto dal Consorzio (che aveva censurato l’affermata illegittimità del termine);
riteneva che fosse da confermare la nullità del termine apposto al primo contratto, stipulato, per il periodo dal 2 al 24 ottobre 2002, per lo svolgimento di attività di manutenzione ordinaria, con qualifica di operaio comune, stante la mancanza in concreto delle esigenze idonee a giustificare il ricorso a tale tipo contrattuale, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo alla delibera n. 73 del 2001;
considerava il rapporto a tempo indeterminato sin dalla data di tale contratto con conseguente riammissione in servizio del lavoratore;
quanto a tale ultimo aspetto, osservava che ai consorzi di bonifica era applicabile la disciplina prevista dal d.lgs. n. 368 del 2001, trattandosi di enti pubblici economici e che correttamente il Tribunale aveva escluso potesse operare la disposizione dell’art. 36 d.lgs. n. 165 del 2001;
la conversione del contratto a termine avrebbe potuto essere impedita da altra disposizione di legge che imponesse l’obbligo del concorso – o di una prova selettiva – per le assunzioni a tempo indeterminato presso la amministrazione pubblica, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza del 9 marzo 2015 n. 4685;
tuttavia, la citata sentenza, ricostruendo il quadro della normativa regionale, aveva affermato la L.R. 19 agosto 1999 n. 18 (attraverso la introduzione di un comma 1 bis nel corpo dell’articolo 1 della L.R. n. 12 del 1991) aveva fatto venire meno per gli enti pubblici economici quel residuo velo di concorsualità previsto per gli altri enti pubblici indicati dalla norma sicché non vi erano ostacoli alla conversione del rapporto in caso dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro;
la reintroduzione dello strumento concorsuale era avvenuta, in seguito, con la L.R. n. 15 del 2004, art. 49 sicché dalla entrata in vigore di tale legge tornava ad operare il divieto di conversione;
in sostanza, per gli enti pubblici economici della Regione Sicilia in relazione ai contratti stipulati nella vigenza della L.R. n. 18 del 1999 e prima della entrata in vigore della L.R. n. 15 del 2004 la conversione operava;
riteneva, poi, sussistente il diritto al risarcimento del danno e per la quantificazione dello stesso faceva applicazione dell’art. 32 della l. n. 183 del 2010;
5. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il Consorzio, articolato in sei motivi di censura, cui A. B. ha opposto difese con controricorso;
6. il ricorrente ha depositato memoria.
Rilevato che
1. con il primo motivo di ricorso il Consorzio denuncia la violazione del d.lgs. n. 368 del 2001, art. 11 e del c.c.n.l. per i dipendenti dai Consorzi di Bonifica e di Miglioramento Fondiario, artt. 2 e 121, ratione temporis applicabile, nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti;
censura la statuizione di nullità del termine apposto al contratto del 26 settembre 2002, assumendo che lo stesso rientrava nella disciplina transitoria di cui al d.lgs. n. 368 del 2001, art. 11, secondo la quale restavano in vigore sino alla naturale scadenza le clausole dei contratti collettivi stipulate ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23;
nella specie trovava dunque applicazione il c.c.n.l. per i dipendenti dai Consorzi di Bonifica, vigente fino al 31 dicembre 2003, artt. 2 e 121;
le richiamate norme contrattuali prevedevano l’assunzione a tempo determinato degli operai avventizi;
sotto il profilo del vizio di motivazione, lamenta, altresì, l’omesso esame del fatto, pacifico tra le parti di causa, che il B. aveva svolto la sua attività come operaio avventizio, secondo la definizione del predetto articolo 121 c.c.n.l.;
espone che lo stesso ricorrente aveva allegato nell’atto introduttivo di essere stato assunto con contratto di lavoro a termine ai sensi dell’articolo 11, comma 2, d.lgs. n. 368 del 2001 come operaio avventizio ed aveva invocato l’applicazione della disciplina dettata per tali operai;
2. con il secondo motivo il Consorzio deduce la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e, in particolare, il travisamento della prova, per non avere la Corte territoriale posto a fondamento del compendio probatorio la delibera n. 492 del 2002 (e non quella indicata in sentenza), richiamata dal contratto prot. n. 10716 del 2002, atto dal quale si evincerebbe la sussistenza delle ragioni giustificative del termine;
3. i due motivi, da trattarsi congiuntamente stante l’intima connessione, sono in parte infondati ed in parte inammissibili;
3.1. dalla sentenza impugnata (cfr. pag. 2 del provvedimento) emerge che fin dal ricorso introduttivo il lavoratore aveva allegato di essere stato assunto per eseguire opere di manutenzione rispondenti a stabili esigenze dell’ente, anziché ad esigenze temporanee;
tale essendo la prospettazione dell’atto introduttivo di lite, non vi era alcuna necessità che l’attore contestasse l’opposto assunto del Consorzio: ciò perché la contestazione da parte del convenuto dei fatti già affermati o già negati nell’atto introduttivo del giudizio non ribalta sull’attore l’onere di contestare l’altrui contestazione, dal momento che egli ha già esposto la propria posizione a riguardo (Cass. 14 marzo 2018, n. 6183);
ciò importa l’infondatezza dell’assunto del Consorzio secondo cui costituirebbe circostanza incontestata e pacifica tra le parti la stipula dei contratti a termine per esigenze temporanee;
3.2. è, poi, inammissibile in sede di legittimità la doglianza di travisamento della prova, trattandosi di vizio non più deducibile a seguito della novella apportata all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 134 del 2012, che ha eliminato la possibilità di una censura veicolata attraverso il predetto n. 5, a fortiori in caso di doppia conforme di merito, stante la preclusione di cui all’art. 348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ. (cfr. Cass. 3 novembre 2020, n. 24395, in relazione a Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053);
né per altra via si può sollecitare in sede di legittimità una rivisitazione del materiale probatorio;
3.3. l’illegittimità del termine per mancanza di prova della sua ragione giustificativa esclude che possa applicarsi l’art. 11 del d.lgs. n. 368 del 2011;
il dato normativo prevede testualmente: “1. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo sono abrogate la legge 18 aprile 1962, n. 230, e successive modificazioni, l’articolo 8-bis della legge 25 marzo 1983, n. 79, l’articolo 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, nonché tutte le disposizioni di legge che sono comunque incompatibili e non sono espressamente richiamate nel presente decreto legislativo. 2. In relazione agli effetti derivanti dalla abrogazione delle disposizioni di cui al comma 1, le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi dell’articolo 23 della citata legge n. 56 del 1987 e vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, manterranno, in via transitoria e salve diverse intese, la loro efficacia fino alla data di scadenza dei contratti collettivi nazionali di lavoro. 3. I contratti individuali definiti in attuazione della normativa previgente, continuano a dispiegare i loro effetti fino alla scadenza“;
è evidente, quindi, che il citato comma 2, nel prevedere l’ultrattività, fino alla scadenza dei c.c.n.l., delle clausole della contrattazione collettiva in vigore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 368 del 2001, si riferisce alle clausole che consentono l’utilizzo della contrattazione a termine, mentre nel caso di specie la stipula del contratto è avvenuta al di fuori di dette ipotesi o, comunque, senza che della loro ricorrenza sia stata fornita prova;
in breve, possono essere oggetto di proroga i contratti cui risulti legittimamente apposto un termine, non quelli con termine illegittimo;
3.4. a tanto va aggiunto che la lettera e la ratio del citato comma 2 rendono evidente che il disposto normativo si riferisce alle clausole già in essere alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 368 del 2001, avendo il legislatore inteso disciplinare la fase transitoria rispetto alle disposizioni contrattuali previgenti;
è, quindi, infondata la deduzione del Consorzio secondo cui l’art. 11 cit. si riferirebbe anche ai contratti collettivi stipulati dopo l’entrata in vigore della norma quando l’efficacia degli stessi copra anche in periodo anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 368 del 2001, com’è nel caso di specie in cui il contratto, pur stipulato in data 17.4.2002, era inteso a spiegare i suoi effetti nell’arco temporale dal 1.1.2000 al 31.12.2004 (secondo la previsione dell’art. 154, comma 3, del medesimo c.c.n.l.);
ne consegue che la previsione del comma 2 del citato art. 11 del d.lgs. n. 368 del 2001 non può riferirsi anche a dette ipotesi: diversamente, si lascerebbe alle parti sociali la libertà di prevedere nuove ipotesi di ampliamento dell’utilizzo della contrattazione a termine, in deroga al nuovo assetto normativo delineato dal d.lgs. n. 368 del 2001, laddove, per converso, la disposizione ha piuttosto lo scopo (proprio perché transitoria) di preservare le sole clausole della contrattazione collettiva già vigenti alla data dell’entrata in vigore della novella e le eventuali e peculiari deroghe – in ampliamento – nell’utilizzo della contrattazione a termine;
4. con il terzo motivo viene dedotta la violazione della L.R. Sicilia n. 4 del 2003;
in sintesi, il Consorzio lamenta la violazione della legislazione siciliana relativa alle garanzie occupazionali, ritenendo che la legislazione regionale siciliana imponga la proroga dei contratti a termine dei dipendenti dei Consorzi di bonifica, senza che sia rimesso all’ente alcuna valutazione.
5. la censura non coglie nel segno;
deve in primo luogo rilevarsi che la norma – art. 106, comma 1, L.R. Sicilia n. 4 del 2003 – lungi dall’imporre un obbligo di proroga, l’ha consentita rispetto ai contratti di cui all’art. 3 della L.R. Sicilia n. 76 del 1995 fino al 1° dicembre del 2008 (termine successivamente prorogato);
alla luce del percorso argomentativo di Cass. 9 gennaio 2019, n. 274 (cfr. infra), deve osservarsi, infatti, che la normativa richiamata va interpretata nel senso che le assunzioni a tempo determinato e le proroghe successive sono sempre subordinate al rispetto dei presupposti e della durata dei contratti a termine, nel caso di specie quella di cui al d.lgs. n. 230 del 1962;
non sussiste, quindi, alcun obbligo di proroga, né è possibile predeterminarlo per legge, perché la valutazione dei presupposti fattuali per la proroga (le esigenze temporanee), deve essere effettuata, di volta in volta e caso per caso, nel rispetto della normativa vigente al tempo;
a tanto si aggiunga che la proroga non può che concernere un contratto a termine che sia stato legittimamente stipulato, mentre nel caso di specie il contratto è viziato ab origine dalla nullità del termine;
6. con il quarto motivo viene dedotta la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.;
si assume che la Corte territoriale abbia errato nel ritenere inammissibile (in quanto generica e valutativa) la prova testimoniale tempestivamente articolata dal Consorzio al fine di provare la tipologia e la natura delle mansioni svolte dal B. e, nel dettaglio, che il lavoratore abbia svolto la propria prestazione ai sensi dell’art. 128 del c.c.n.l. come operaio avventizio per opere stagionali ed occasionali;
7. anche tale censura non coglie nel segno;
è noto che la mancata ammissione della prova per testimoni non è censurabile in sede di legittimità quale errore di diritto (nella specie l’art. 115 cod. proc. civ.), ma quale vizio della motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa delle circostanze dedotte ai fini della decisione;
orbene, nel caso di specie il giudice di appello ha ritenuto che nessuna prova fosse stata offerta dal Consorzio circa l’esistenza effettiva delle esigenze idonee a giustificare il ricorso al contratto a termine, il che non consentiva di ravvisare, pur attraverso la (generica) prova testimoniale, il carattere stagionale di una attività che si svolgeva “in modo identico, in tutti i periodi dell’anno” (cfr. sentenza pag. 6);
il giudice del gravame ha quindi effettuato una valutazione di irrilevanza delle prove, che non è stata fatta oggetto di alcuna specifica censura;
8. con il quinto motivo si duole il ricorrente della violazione dell’art. 3 della L.R. Sicilia n. 49 del 1981, degli artt. 6, 7 e 9 della L.R. Sicilia n. 14 del 1958 e dell’art. 3 della L.R. Sicilia n. 12 del 1991, oltre che dell’art. 97 della Carta costituzionale;
nella sostanza lamentata la violazione delle norme innanzi indicate dalle quali si desumerebbe l’obbligo, per i consorzi di bonifica siciliani, di assumere i propri dipendenti solamente previo espletamento di un concorso o di una prova pubblica selettiva, con conseguente impossibilità di trasformare i rapporti a termine in rapporti a tempo indeterminato;
9. il motivo è fondato;
9.1. si deve qui richiamare integralmente, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., quanto affermato in Cass. 9 gennaio 2019, n. 274 in cui si opera una completa ed esaustiva ricostruzione di tutta la normativa di settore, anche alla luce della legislazione regionale (si vedano i punti da 54 a seguire della pronunzia);
per quanto qui di più stretto interesse, nella citata sentenza si afferma che “la l.r. n. 76 del 1995 laddove ha autorizzato i consorzi di bonifica a ricorrere alle assunzioni a tempo determinato, da svolgersi ai sensi della l. n. 230 del 1962 (…) non si pone affatto in contrasto con il divieto di assunzione a tempo indeterminato dettato dall’art. 32 della l.r. n. 45 del 1995, non introduce alcuna norma derogatoria a tale divieto, né abroga l’art. 32″ (…). La legge n. 76 del 1995 e le disposizioni di legge regionale intervenute successivamente si sono, infatti, limitate a prorogare nel tempo l’utilizzo di siffatta tipologia di assunzioni e, al contempo, le misure di garanzia occupazionale-assistenziale. (…). Risulta, dunque, chiara la volontà del legislatore di consentire nel sistema delle assunzioni dei Consorzi di bonifica solo circoscritte ipotesi di assunzione a tempo determinato, rinviando per le modalità di assunzione alla legge n. 230 del 1962. (…) La circostanza che i rapporti a termine dedotti in giudizio siano stati stipulati al di fuori delle ipotesi previste dalla l. n. 230 del 1962, richiamata negli artt. 3 e 4 della l.r. n. 76 del 1995 non ne consente la trasformazione o conversione in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, non essendo possibile sanare, per tal via, rapporti di lavoro invalidi sin dalla loro origine, in quanto tale effetto è precluso dal richiamato divieto di assunzione a tempo indeterminato” (si vedano specificamente i punti 69, 70, 73 e 76 della sentenza);
9.2. tale essendo il quadro normativo di riferimento, il motivo in esame, pur erroneo quanto alla disciplina legislativa invocata (soccorrendo, sul punto, il principio iura novit curia), è fondato nella parte in cui deduce l’impossibilità giuridica di far luogo alla conversione dei rapporti con termine illegittimo in rapporti a tempo indeterminato;
in una parola, il divieto di conversione del contratto a termine in rapporto a tempo indeterminato si coniuga – quanto a dette ipotesi – con il divieto imposto ai Consorzi di Bonifica dalla legislazione regionale innanzi richiamata di procedere a nuove assunzioni di personale a tempo indeterminato (si vedano sul punto i precedenti in senso conforme, fra le altre, Cass. 21 ottobre 2020, n. 22981; Cass. 6 dicembre 2021, n. 38657);
9.3. ne consegue l’accoglimento del quinto motivo nei sensi di cui sopra;
10. con il sesto motivo il Consorzio chiede che venga cassata – quale mero effetto della ritenuta legittimità del termine – la statuizione relativa al risarcimento del danno disposto in favore del lavoratore ai sensi dell’art. 32 della l. n. 183 del 2010;
11. il motivo è infondato, atteso che la legittimità del termine è stata – come sopra esposto – esclusa;
12. la cassazione della statuizione relativa alla domanda di conversione del rapporto implica la pronuncia nel merito sulla stessa ex art. 384, comma 2, cod. proc. civ. non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto;
tale domanda va rigettata per le ragioni già esposte nei paragrafi che precedono;
13. il diverso esito dei gradi di merito ed il consolidarsi solo in epoca successiva all’introduzione del giudizio della giurisprudenza di legittimità in ordine alle questioni qui esaminate consiglia la compensazione delle spese dell’intero giudizio;
14. non sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1, quater d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
accoglie il quinto motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di conversione del rapporto; compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.
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