CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 febbraio 2022, n. 3004
Tributi – IVA – Avviso di accertamento – Contraddittorio endoprocedimentale – Atto emesso prima del termine dilatorio – Nullità
Rilevato che
1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza di cui all’epigrafe, con la quale la Commissione tributaria regionale della Sicilia ha rigettato il suo appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Trapani, che aveva accolto il ricorso di G.L. contro l’avviso d’accertamento, in materia di Iva relativa all’anno d’imposta 2008, con il quale veniva rilevata l’omessa registrazione e dichiarazione di operazioni imponibili, all’esito di processo verbale redatto dalla Guardia di finanza.
Il contribuente è rimasto intimato.
La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’articolo 380-bis cod. proc. civ.
Considerato che
1. Con il primo motivo la ricorrente Agenzia deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, nonché del principio di strumentalità delle forme affermato, in tema di contraddittorio endoprocedimentale, dalla CGUE con la sentenza del 3 luglio 2014, resa nella cause riunite C-129/13 e C-130/2013, Kamino.
Assume infatti la ricorrente che il giudice a quo, nel rigettare l’appello erariale, ha confermato la nullità dell’atto impositivo, dichiarata dal giudice di prime cure perché emesso prima del decorso del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, senza effettuare la verifica della c.d. “prova di resistenza”, che avrebbe richiesto la valutazione, ex ante, della non pretestuosità delle difese che il contribuente avrebbe potuto far valere nel contradditorio preventivo, ove esso si fosse svolto ritualmente.
Il motivo è infondato.
Giova premettere che la ricorrente Agenzia, pur dando atto dell’avvenuta produzione, nel merito, da parte sua, del processo verbale di constatazione e, da parte del contribuente, dell’avviso d’accertamento controverso, non ha prodotto in questa sede tali documenti (non risultando nel ricorso un indice che li menzioni) , né ne ha riprodotto o almeno esposto, quanto meno in parte, nello stesso ricorso il contenuto essenziale. Tale circostanza – che precluderebbe di verificare i presupposti di applicazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 ( ovvero che siano avvenuti accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio delle attività) e renderebbe inammissibile il mezzo (cfr. Cass., Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 7161; Cass. 20 novembre 2017, n. 27475) non determina tuttavia l’inammissibilità del ricorso, considerato che l’Ufficio in questa sede (come nel merito, per quanto risulta dal ricorso e dalla sentenza impugnata) comunque non censura che la norma in questione debba essere applicata alla fattispecie concreta sub iudice. Ed anzi il ricorso espressamente sostiene che nel caso di specie si verta in tema di «contraddittorio procedimentale previsto e garantito dall’art. 12, comma 7, I. n. 212/2000», contestando invece l’interpretazione che di tale disposizione è stata data dalla CTR nel caso di atto impositivo che abbia per oggetto tributi armonizzati, e sostenendo (con il secondo motivo di ricorso) che sussistessero ragioni d’urgenza che avrebbero giustificato la deroga al termine dilatorio di garanzia dettato dalla medesima norma (quindi tanto più presupponendo l’applicazione di quest’ultima).
Tanto premesso in ordine all’incontestata applicabilità dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 , il motivo è infondato.
Infatti, « In materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifica fiscale, le ragioni di urgenza che, ove sussistenti e provate dall’amministrazione finanziaria, consentono l’inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12, I. n. 212 del 2000, debbono consistere in elementi di fatto che esulino dalla sfera dell’ente impositore e fuoriescano dalla sua diretta conoscibilità, sicché non possono in alcun modo consistere nella imminente scadenza del termine decadenziale dell’azione accertativa. Peraltro, detto obbligo, imposto per gli accertamenti eseguiti mediante accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, comporta che il legislatore, nel comminare la nullità dell’atto impositivo in caso di sua violazione, ha operato una valutazione “ex ante” del rispetto del contraddittorio, che assorbe a monte “la prova di resistenza”, ciò che giustifica la mancata distinzione, nella norma, tra tributi armonizzati e non, scattando detta prova quando la normativa interna non sanzioni tale violazione con questa forma di invalidità. (Cass. Sez. 5 – , Sentenza n. 11685 del 05/05/2021, ex plurimís).
Anche in materia di tributi armonizzati, dunque, l’ inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12 della legge n. 212 del 2000 non richiedeva l’espletamento della c.d. “prova di resistenza”, operata ex ante dal legislatore.
2.Con il secondo motivo la ricorrente Agenzia deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3 e num. 4, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ.; 115 e 116 cod. proc. civ.; e dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000.
Assume infatti la ricorrente che il giudice a quo, nel rigettare l’appello erariale, avrebbe errato nell’escludere che l’Amministrazione avesse dimostrato l’esistenza di circostanze che avrebbero legittimato l’emissione dell’accertamento in questione prima del termine dilatorio, essendosi limitato ad una «non dimostrata carenza del patrimonio dell’appellato».
Rileva infatti l’Agenzia che nello stesso avviso d’accertamento aveva evidenziato la sussistenza della particolare urgenza, ravvisandola nel pericolo di perdita del credito erariale, derivante dall’ammontare di quest’ultimo (determinato in euro 136.179,00, con riferimento però agli anni d’imposta 2006, 2007, 2008 e 2009), comparato con la carenza del patrimonio del debitore, costituito da terreni e fabbricati di valore inferiore alla pretesa erariale, come documentato dalla «scheda identificativa dei dati necessari per la richiesta di misure cautelari», allegata al p.v.c. e riprodotta nel ricorso.
Il motivo è inammissibile, poiché « È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito.». (Cass. Sez. U – , Sentenza n. 34476 del 27/12/2019).
Invero la CTR nella motivazione, per quanto sintetica, ha dato atto della mancanza di prova non della composizione del patrimonio del contribuente (come pare voler sostenere la ricorrente), ma della «carenza» di quest’ultimo. Il giudice a quo ha quindi espresso una valutazione, sulla consistenza del patrimonio del contribuente, che, a differenza di quanto sostiene la ricorrente, pur non citando espressamente il documento in questione, non prescinde necessariamente dal suo esame. Nella sostanza, dunque, la CTR ha espresso un giudizio in fatto- insindacabile in questa sede- sulla mancata prova che il patrimonio del contribuente, avuto riguardo alla pretesa erariale, fosse tanto carente da giustificare, al fine di preservare la pretesa erariale, la deroga al termine legale dilatorio e l’urgenza di emissione dell’atto impositivo ante tempus.
Del resto, qualora la ricorrente avesse voluto censurare il mancato esame del fatto (la consistenza del patrimonio) che il documento in questione dovrebbe dimostrare, avrebbe dovuto denunciare il vizio di cui all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., ciò che non ha fatto. E, comunque, il motivo non evidenzia la natura decisiva dello stesso fatto.
Infatti, «In tema di diritti del contribuente, la sola imminente scadenza del termine di decadenza dell’azione accertativa non integra una ragione di urgenza valida ai fini dell’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni di cui all’art. 12, comma 7, st. contr., previsto a seguito della proposizione dell’accertamento con adesione da patte del contribuente, spettando piuttosto all’Amministrazione offrire come giustificazione dell’urgenza la prova, sulla base di fatti concreti e precisi, che l’emissione dell’avviso in prossimità del maturare dei termini decadenziali sia dipesa da fattori ad essa non imputabili che hanno ‘inciso al punto da rendere comunque necessaria l’attivazione dell’accertamento, pena la dissoluzione della finalità di recupero delle imposte non versate.».
Ed è vero sia che « In materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’elevata entità degli importi accertati per la quale sono applicabili le misure cautelari di cui all’art. 22 del d.lgs. n. 472 del 1997 costituisce ragione d’urgenza idonea a derogare al termine dilatorio di 60 giorni, ex art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000» (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 15755 del 23/07/2020); sia che « In materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’elevata entità degli importi accertati per la quale sono applicabili le misure cautelari di cui all’art. 22 del d.lgs. n. 472 del 1997 costituisce ragione d’urgenza idonea a derogare al termine dilatorio di 60 giorni, ex art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000.» (Cass. Sez. 5 – , Ordinanza n. 22750 del 12/08/2021).
Tuttavia, a quanto risulta dal ricorso (cfr. pag. 2 dell’atto) l’imposizione recuperata con l’avviso in questione (unico qui sub iudice e portato a conoscenza di questa Corte) riguarda operazioni imponibili per euro 1.000,00, cui corrisponde Iva per euro 200,00 con relative sanzioni, ovvero importi di per sé soli non rilevanti nella misura presupposta dai citati precedenti.
E, comunque, la «scheda identificativa», per come riprodotta nel ricorso, è esclusivamente idonea a dare conto, piuttosto, della proprietà o comproprietà, da parte del contribuente, di diversi terreni e fabbricati, dato di per sé solo non equivalente all’assunta «carenza».
2. Nulla sulle spese, essendo rimasto intimato il contribuente.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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