CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 febbraio 2022, n. 3079

Lavoro – Contratto a termine – Operaio idraulico forestale – Detenzione – Reati non riconducibili all’attività lavorativa – Ripristino del rapporto lavoro

Rilevato che

1. la Corte d’appello di Catanzaro, in riforma della sentenza del Tribunale di Locri, ha respinto tutte le domande formulate nei confronti dell’A.F.O.R. – da G.V., il quale aveva chiesto l’accertamento del proprio diritto ad essere assunto dall’Azienda a tempo indeterminato o, in subordine, con contratto a termine a far tempo dal gennaio 2004 ed aveva conseguentemente chiesto la condanna dell’AFOR a riassumerlo o a reintegrarlo e a pagargli le retribuzioni non corrisposte dal gennaio 2002;

2. il ricorrente aveva prestato attività lavorativa di operaio idraulico forestale fino al 1993 ed era stato impossibilitato a mantenere il rapporto di lavoro in quanto detenuto per reati non riconducibili all’attività lavorativa;

3. nel periodo novembre-dicembre 2003 era stato riassunto alle dipendenze dell’A.FO.R. che, però, non aveva provveduto alla trasformazione del rapporto secondo l’accordo sindacale del 19/12/2003; tornato in libertà, nel gennaio 2004 aveva chiesto la riassunzione, non concessa sebbene l’azienda non l’avesse mai formalmente licenziato; pertanto, aveva agito in giudizio invocando l’applicazione dell’art. 1, comma 2, del d.l. n. 233/1984 e della legge n. 193/2000 nonché la delibera della Giunta Regionale n. 21367/2003 riguardante la riammissione in servizio degli operai in precedenza detenuti;

4. quanto al preteso diritto alla trasformazione del rapporto in uno a tempo indeterminato, la Corte territoriale ha evidenziato che l’art. 1 del d.l. n. 233/1984 conv. con modificazione nella l. n. 442/1984 non era utilmente invocabile in quanto prevedeva solo la possibilità di stipulare rapporti a tempo determinato e in specifiche ipotesi (“solo per i contratti a tempo determinato e che non abbiano scadenza successiva al 31 dicembre 2004, per gli anni 2002, 2003 e 2004”) ed in ogni caso ha escluso la possibilità per l’A.FO.R. di assumere a tempo indeterminato al fuori della regola del pubblico concorso;

5. ha, inoltre, ritenuto infondata anche la domanda subordinata di assunzione a tempo determinato rilevando l’errore del giudice di prime cure, che aveva applicato al caso di specie la normativa dettata dagli artt. 1256, co. 2, e 1464 cod. civ. evidenziando che, nel caso in esame, il rapporto di lavoro come operaio forestale era comunque cessato con lo spirare del termine;

6. per la cassazione della sentenza G. V. ha proposto ricorso sulla base di un motivo, cui non ha opposto difese l’A.FO.R., rimasta intimata.

Considerato che

1. con l’unico motivo il ricorrente denuncia violazione di legge per omessa, errata, falsa e contraddittoria interpretazione dell’art. 1 del d.l. n. 233/1984, dell’art. 97 Cost., dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 1, comma 1, e 2 della l. n. 442/1984, nonché degli artt. 1256 e 1464 cod. civ. e 28 cod. pen.;

sostiene che la Corte territoriale avrebbe errato nel non riconoscergli il diritto all’assunzione una volta venuta meno la causa ostativa alla possibilità di riprendere l’attività al medesimo titolo dell’originaria assunzione; assume che tale possibilità gli sarebbe stata prevista espressamente dall’atto deliberativo dell’A.FO.R. n. 35 del 7/2/2002 con il quale era stata recepita la deliberazione della Giunta regionale n. 16 dell’8/1/2002 avente ad oggetto Direttive riguardanti la riammissione degli operai idraulico-forestali già detenuti, mai contestata in primo grado da parte avversaria; sosteneva, infine, che i provvedimenti restrittivi ai quali era stato sottoposto avrebbero sospeso – ma non risolto – il rapporto di lavoro, sicché si sarebbero dovuti considerare utili ai fini del raggiungimento del requisito delle 51 giornate lavorative;

2. il ricorso è inammissibile in tutte le sue articolazioni, perché formulato senza il necessario rispetto degli oneri imposti dagli artt. 366 e 369 cod. proc. civ.; perché non attinge le plurime rationes decidendi sulle quali si fonda la sentenza impugnata; perché, quanto al diritto ad essere assunto con contratti a tempo determinato, svolge considerazioni non specificamente riferibili al decisum;

3. deve innanzitutto essere rilevata l’assoluta carenza dell’esposizione dei fatti di causa, ossia del requisito di cui all’art. 366 n. 3 cod. proc. civ., che impone alla parte di «indicare anche gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione, ai fini di consentire alla Corte la corretta sussunzione del fatto concreto nelle norme che si assumono violate o erroneamente interpretate» (v. Cass. n. 16872/2014 e negli stessi termini Cass. nn. 9888/2016 e 23804/2016); i requisiti di cui all’art. 366 cod. proc. civ. rispondono ad un’esigenza che non è di mero formalismo, in quanto solo l’esposizione chiara e completa dei fatti di causa e la descrizione del contenuto essenziale dei documenti e degli atti processuali rilevanti consentono al giudice di legittimità di acquisire il quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione impugnata, indispensabile per comprendere il significato e la portata delle censure (tale essendo la ratio della citata norma processuale);

4. nel caso di specie, si rilevano incongruenze nella stessa esposizione dei fatti, risultando (pag. 3 del ricorso) una riassunzione avvenuta alle dipendenze dell’A.FO.R. nel “periodo novembre-dicembre 2003” ed una avanzata richiesta di riassunzione e/o reintegra nel posto di lavoro “dal giorno della scarcerazione e cioè dal gennaio 2004 fino alla data della sua effettiva reintegra”; inoltre, poiché la pretesa fatta valere nei confronti dell’A.FO.R muove dal presupposto della persistente validità del contratto di lavoro in essere alla data in cui il ricorrente si vide costretto a sospendere l’attività lavorativa, perché destinatario di ordinanza di custodia cautelare, è evidente che il V. avrebbe dovuto precisare quale fosse la natura di detto contratto e con quale soggetto lo stesso fosse stato stipulato e ciò in considerazione della diversità del regime giuridico del rapporto a termine rispetto a quello a tempo indeterminato; nel ricorso, invece, si deduce solo che il ricorrente fu costretto “a sospendere l’attività lavorativa nel 1993, allorquando è stato attinto da ordinanza custodiale”, senza fornire ulteriori precisazioni sulla tipologia del rapporto a suo tempo instaurato e sulle vicende successive alla prima scarcerazione, sicché appare evidente la carenza degli elementi indispensabili ai fini della decisione, carenza sottolineata, sia pure fra le righe, dalla stessa Corte territoriale;

5. si aggiunga, quanto al preteso diritto ad una assunzione a tempo indeterminato, asseritamente riconducibile ad un accordo sindacale del 19 dicembre 1993, recepito dalla delibera della Giunta regionale n. 21367 del 19/12/2003 (v. pag. 3 del ricorso per cassazione e pag. 2 della sentenza impugnata), che già il giudice di appello ha evidenziato che “tali documenti non risultano prodotti in atti, per cui non vi è prova della loro effettiva predisposizione, ancor prima del loro contenuto, non essendo possibile basarsi sulle mere affermazioni di parte e che, in ogni caso, sarebbero illegittimi in quanto in contrasto con principi costituzionali e norme imperative”; circa gli indicati documenti (e gli ulteriori atti richiamati e, così, l’atto deliberativo dell’A.FO.R. n. 35 del 7/2/2002 con il quale era stata recepita la deliberazione della Giunta regionale n. 16 dell’8/1/2002), il ricorrente non assolve agli oneri di specificazione e di allegazione imposti dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ., perché non ne trascrive il contenuto, non li deposita in questa sede né fornisce indicazioni in merito alla loro allocazione nel fascicolo processuale, sicché la censura si rivela sotto tale profilo inammissibile;

6. né è censurata la fondante ratio decidendi della Corte territoriale secondo la quale è comunque preclusa all’A.FO.R. la possibilità di stipulare rapporti a tempo indeterminato al fuori della regola prevista dall’art. 97 della Cost.;

7. neppure i rilievi intesi ad ottenere l’accertamento del diritto ad essere assunto a tempo determinato specificamente riferibili al decisum, non censurando le plurime rationes decidendi sulla base delle quali la Corte territoriale ha ritenuto che la domanda stessa non potesse essere accolta (perché fondata su documenti non prodotti e, comunque, perché l’art. 1 della legge n. 442/1984 ha previsto solo una facoltà e non un obbligo di assunzione dei lavoratori stagionali che nell’anno precedente avessero maturato almeno 51 giornate lavorative);

8. il ricorrente si limita ad argomentare sulle ragioni per le quali anche gli ex detenuti dovrebbero essere inseriti nella platea degli aspiranti all’avviamento al lavoro, ma nulla deduce sulla configurabilità di un diritto soggettivo all’assunzione, negato dal giudice d’appello in ragione non solo del carattere facoltativo dell’assunzione stessa, ma anche della circostanza che il rapporto lavorativo del V. – 148 giornate lavorative – era già cessato prima della sua carcerazione e che dopo il 1993, non avendo il V. più lavorato, era “venuto meno il suo diritto alla chiamata per gli anni a seguire”; egualmente non è censurata l’ulteriore argomentazione della Corte territoriale secondo la quale, considerato il lungo periodo detentivo e la mancata prova del fatto che il V. avesse comunicato all’A.FO.R. il sopravvenuto impedimento, “l’assenza ingiustificata del dipendente per circa 10 anni non può che essere interpretata in modo univoco dal datore di lavoro come dimissioni”;

9. è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’orientamento secondo cui ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (cfr., fra le numerose in tal senso, Cass. n. 18641/2017);

10. inoltre, i motivi del ricorso devono avere i caratteri della specificità, completezza e riferibilità alla decisione gravata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnato e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le ragioni per le quali quel capo è affetto dal vizio denunciato; se ne è tratta la conseguenza che la proposizione di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza gravata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi, richiesta dall’art. 366 n. 4 cod. proc. civ., e determina l’inammissibilità, in tutto o in parte, del ricorso, rilevabile anche d’ufficio (cfr. fra le tante Cass. n. 20910/2017, Cass. n. 20652/2009, Cass. n. 17125/2007, Cass., S.U., n. 14385/2007);

10. sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

11. nulla va disposto in ordine alle spese, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva;

12. occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., S.U., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.